E' una verità universalmente riconosciuta che al giorno d'oggi tutti i ragazzi vogliono fare i calciatori e tutte le ragazze vogliono diventare veline, e che per questo motivo nessuno di loro cerca più di farsi una Vera Cultura, come invece prima era desiderio di tutti. Detta verità è così universalmente riconosciuta e indiscussa che viene sempre citata come premessa indispensabile ogni volta che si parla dei Giovani d'Oggi - di recente l'ho vista perfino citata tra i motivi per cui il Maestro Unico oggi non sarebbe più all'altezza del suo compito (ammetto tuttavia che il collegamento tra calciatori, veline e maestri mi è sfuggito; senz'altro per demerito mio).
Se però, invece che su Molte e Autorevoli Fonti dovessi basarmi solo ed esclusivamente sulla mia modesta esperienza, confesso che sarei tentata di rivedere la questione per ridimensionarla un po'. D'accordo, il mio osservatorio è piuttosto ridotto - qualche decina di classi in una sola provincia, la maggior parte delle quali nella Grande Città; però non ho mai sentito dire che la mia provincia inverte la tendenza e che in essa i Giovani d'Oggi siano fatti di altra pasta rispetto ai deprimentissimi, sciaguratissimi e scioperatissimi Giovani d'Oggi che infestano il nostro bel paese.
Sulla scorta dei miei dati personali posso senz'altro convenire che molti ragazzi hanno il sogno nel cassetto di diventare calciatori, e molti di loro praticano il calcio come sport, anche se solo tre dei miei allievi mi han dato l'impressione di considerarlo qualcosa di più di un sogno nel cassetto.
Tra questi tre, uno di loro sembrava effettivamente considerarlo qualcosa che rendeva del tutto superfluo lo studio. Devo però onestamente ammettere che non mi dava l'impressione di disporre di risorse interiori tali da offrirgli molte altre possibilità - in pratica sembrava proprio il tipo di persona abbastanza superficiale e sprovveduta da pensare di risolversi così la vita, senza però mettere in conto il notevole impegno necessario per emergere nel calcio (come in qualsiasi altra campo).
Gli altri due erano ragazzi piuttosto studiosi; in particolare uno dei due, pur non avendo un tipo di intelligenza molto portata per lo studio teorico, compensava con un'estrema diligenza e molto impegno, com'era riconosciuto da tutto il consiglio di classe.
Quanto alle veline, in sette anni che ormai si avviano a diventare otto, ricordo di un solo accenno ad un possibile futuro in quel campo: richieste di costruire in coppia una frase con determinate caratteristiche grammaticali, due ragazze scrissero appunto che volevano fare le veline. Siccome nella frase c'erano un pronome e un congiuntivo cannati di brutto, le mandai alla lavagna e gliela feci scrivere.
"Cosa c'è che non va qui?" chiesi alla classe. Che prima suggerì che l'idea di fare le veline non andasse bene, poi che quelle due non avessero alcuna possibilità di emergere in quel campo e solo dopo che ebbi ripetuto con molta decisione che non mi sarei mai permessa valutazioni di quel tipo, cominciarono lentamente a prendere in considerazione la possibilità che la frase potesse avere qualcosa che non andava sul piano linguistico (ma garantisco che era una frase davvero atroce, e tale avrebbe dovuto apparire a chiunque conoscesse anche solo un po' di italiano. Ma in effetti, veline o meno, quella non era una classe che si segnalasse per la perfezione formale nel periodare).
Dal mio angoletto tranquillo, lo ammetto, questa fissazione su calciatori e veline mi sembra, più che una veridica analisi sociologica, uno di quei frequenti casi in cui gli adulti proiettano le loro fissazioni sulle nuove generazioni, attribuendogliele.
Non sono però opinioni che mi azzarderei ad esprimere in pubblico, se non tra qui pochi amici fidati che eviterebbero con cura di diffondere questa mia originale teoria, non foss'anche per compassione).
Non sono però opinioni che mi azzarderei ad esprimere in pubblico, se non tra qui pochi amici fidati che eviterebbero con cura di diffondere questa mia originale teoria, non foss'anche per compassione).
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