Vengo a presentare questo romanzo allo stimato Venerdì del Libro di Homedemamma solo perché finora ho presentato tutti i romanzi di J. K. Rowling (che per questa serie usa lo pseudonimo di Robert Galbraith anche se tutti sappiamo che si tratta di lei) e non voglio interrompere la serie di una autrice che ho sempre apprezzato moltissimo, ma premetto subito che stavolta il libro non mi ha granché entusiasmato.
Forse per il soggetto?
Assolutamente no: stavolta niente serial killer, bensì un classico giallo che somma un cold case (un sottogenere che ho sempre molto apprezzato) con un omicidio d'alto bordo avvenuto in circostanze che fanno pensare ad un suicidio e una famiglia allargata della quale il meno che si possa dire è che i rapporti interni siano piuttosto complessi - e anche questo è un ramo della letteratura giallistica che ho sempre molto apprezzato. Per svariate centinaia di pagine l'autrice ci percula alla grande seminando falsi indizi, indizi travestiti, tracce che all'apparenza non valgono un soldo bucato ma che poi si rivelano importantissime e tracce molto promettenti che si rivelano quasi del tutto prive di significato. Inutile che mi metta a raccontare la trama perché il risvolto di copertina racconta singolarmente bene (miracolo! Prodigio!) l'inizio, dando al lettore tutti gli elementi necessari per rendersi conto di che tipo di storia si tratta.
Sì, certo, è una vicenda complicata, con tanti personaggi che si incastrano. Ma J. K. Rowling è abituata a gestire storie complicate, e finora l'ha fatto assai bene. Anche qui la soluzione è interessante e ben strutturata, almeno se uno ci studia un po' su.
Il problema è che arrivata a metà ci avevo una gran confusione in testa e ho cominciato ad andare avanti per forza d'inerzia. La situazione era complicata, sì, ma non chiara; e questa è una deplorevole novità per una scrittrice che è sempre riuscita a gestire benissimo le trame complicate senza che il lettore si perdesse invocando una bussola per venire a capo della faccenda.
Nei Ringraziamenti l'autrice dichiara la sua gratitudine verso il marito che non le ha mai chiesto una sola volta perché avessi deciso di scrivere un romanzo lungo e complesso proprio nel momento in cui lavorava a una pièce teatrale e a due sceneggiature.
Tutti, anche quelli che non sono mai stati sposati, sanno benissimo che qualsiasi coniuge in certi momenti sa che certe domande non vanno fatte, se ci si tiene a dare un futuro al suo matrimonio - e dunque non resta che concludere che il consorte di J K. Rowling è sinceramente interessato allo stato di salute del suo vincolo coniugale, oltre che una gran brava persona - e di questo mi rallegro sinceramente. Io però, che non ho alcun matrimonio con J. K. Rowling da conservare in buona salute e sono solo una lettrice, per quanto fedele e affezionata oltre che assai riconoscente per il molto piacere che i suoi libri hanno portato nella mia vita, potendo glielo chiederei volentieri.
"Signora cara, perché non si è presa un po' di tempo per fare le cose con più calma? Non c'era niente di insormontabile per lei in questo romanzo, manca solo l'ultima stesura".
L'ultima stesura. Quella in cui si lima, si taglia, si ritocca, si sfronda, si tolgono le ripetizioni.
Ebbene sì, è un libro troppo lungo, di un buon dieci per cento. Bastava togliere qualche riga qua e qualche riga là, e magari riaggiustare qualche scena. E trovo un vero peccato che questo non sia stato fatto, perché l'impianto di base sarebbe ottimo.
Non sono stata l'unica a dichiararmi insoddisfatta di questo romanzo. Qualcuno ha lamentato l'eccessivo spazio dedicato alle vicende personali dei due investigatori, Cormoran e Robin. Finiranno insieme? Uno dei due farà il Grande Passo e deciderà di provare a trasformare il loro eccellente rapporto di collaborazione professionale in qualcosa di più affettuoso? Questa era la Grande Domanda che tutti i lettori si ponevano alla fine del libro precedente, e alla faccia degli spoiler dichiaro subito che no, al momento il Grande Passo non è stato fatto ma in qualche modo le cose sono andate avanti e non è detto che nel prossimo romanzo la situazione non quaglierà - che era più o meno quel che mi aspettavo e quindi sotto questo aspetto non sono rimasta delusa.
Un po' pallificata sì, però, devo ammetterlo. Perché d'accordo, tutti avevamo capito che il matrimonio di Robin, felicemente (?) avvenuto in chiusura del romanzo precedente era costruito non sulla roccia, bensì sulle sabbie mobili; con un abile colpo di coda J. K. Rowling lo solidifica a sorpresa e per un po' sembra chiaro che tutti, tranne Robin e Matthew, che fanno un tentativo, siano consapevoli di questo. Poi le cose precipitano definitivamente e anche questo ce lo aspettavamo. Ma se qualche garbata variante sul tema aiuta il lettore a focalizzare certe questioni, insistere reiterando circostanze e riflessioni per decine di volte lo annoiano e viene il momento in cui il vero enigma non è se il matrimonio nonostante tutto sopravviverà (tutti diamo per certo che non succederà) ma se siamo più stufi di Robin che sembra una tigre depressa in gabbia, di Matthew che sembra più ottuso di Tiger e Goyle messi insieme o di Cormoran che medita e rimugina le stesse meditazioni non so quante infinità di volte.
Anche la storia gialla soffre di ripetizioni, e viene il momento in cui non capiamo più non tanto se il fratello cattivo è davvero cattivo o cosa sia stato effettivamente detto in un paio di telefonate-chiave, quanto chi abbia telefonato effettivamente a chi e che cosa abbia fatto il giorno X il fratello presunto cattivo - non perché effettivamente queste domande facciano parte dell'abile tranello in cui il lettore viene cacciato, ma perché la narrazione è confusa - senza contare che non si capisce nemmeno a che capitolo cercare per chiarirsi i dubbi.
In conclusione: una bella storia raccontata in modo piuttosto trasandato.
Tutto ciò non mi impedirà di leggere i prossimi romanzi di J. K. Rowling, ma sconsiglio vivamente, questo sì, di partire dal presente romanzo per approcciarla - perché se partite da questo romanzo non è affatto sicuro che vi verrà voglia di leggere anche gli altri.
Insomma, triste a dirsi: buona lettura, ma non aspettatevi troppo.
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venerdì 14 febbraio 2020
venerdì 22 marzo 2019
Mansfield Park - Jane Austen
Può darsi che a suo tempo Mansfield Park sia stato pubblicato in Italia nella vecchia BUR grigia (sì, quella che dopo sessanta o settant'anni ormai si sfalda quando la riprendi in mano, e peccato perché erano sempre edizioni integrali e con ottime traduzioni). Sta di fatto che quando ero una giovinetta implume in libreria non si trovava e solo nel 1983 Garzanti la propose (o ri-propose, forse) nella collana dei classici. Naturalmente mi ci precipitai sopra come un falco affamato si precipita sulla preda e lo spolpai in pochi giorni rimanendone assolutamente soddisfatta. Ma sono una delle poche.
Tra i sei romanzi di Jane Austen infatti è il meno amato, e lo fu anche ai tempi della sua prima pubblicazione - con una certa delusione da parte di Jane, sospetto., che ci aveva dedicato parecchio lavoro visto che dei sei è il suo romanzo più lungo.
Aggiungo che la rilettura più recente l'ho fatta un paio di mesi fa durante la mia ultima degenza ospedaliera, scaricandolo aggratisse dalla rete, dove si trova molto facilmente. L'edizione che mi capitò fra le mani aveva la traduzione di Giuseppe Ierolli e conteneva anche una ricca appendice dove erano raccolti diversi interessanti documenti e soprattutto l traduzione integrale di Giuramenti di innamorati, la commedia che nel corso del romanzo i personaggi cercano di allestire e che l'autrice non riassume, dandola assolutamente per conosciuta da tutti i suoi lettori; al giorno d'oggi, ahimé, Giuramenti di innamorati è stata completamente dimenticata, almeno in Italia (se pure è mai stata conosciuta due secoli fa) e potersela legge aiuta a capire un bel po' di allusioni e di commenti fatti appunto nel corso dell'allestimento dello spettacolo. Insomma, consiglio vivamente di cercare quell'edizione perché è un bell'aiuto per il lettore e mi scuso vivamente per non sapervi indicare da dove l'ho scaricata (in modo del tutto legale e alla luce del sole, garantisco): quelle sono state per me settimane un po' confuse e insomma mi sono completamente dimenticata di dove l'ho presa.
Come mai Mansfield Park è meno popolare degli altri romanzi?
Non sono la persona più adatta a rispondere, visto che a me è piaciuto moltissimo, tanto che è il mio preferito subito dopo Orgoglio e pregiudizio; posso solo azzardare delle ipotesi.
E' il romanzo meno divertente tra i sei, tanto per cominciare. Veramente non ci si fanno poi queste gran risate nemmeno con l'ultimo, Persuasione, che però vanta foltissime schiere di apprezzatori. Comunque in Mansfield Park quasi tutti i protagonisti passano il loro tempo soffrendo come cani, soprattutto per questioni di amore non corrisposto e per gelosia - e sempre con l'obbligo sociale di mantenere una facciata serena e brillante.
La protagonista, Fanny, risulta abbastanza antipatica (non a me, sia chiaro): molti la trovano troppo perbenino e ha il grande inconveniente di non sbagliare un colpo, mai. Fanny ragiona senza orgoglio e senza pregiudizio, ha un suo codice morale molto rigoroso e una sensibilità quasi esasperata, non prende mai in giro nessuno e piange parecchio, anche se di solito senza farsi vedere. E' anche abituata a vedersi scavalcare da tutti, e quindi non pesta mai i piedi per difendere i suoi diritti anche quando avrebbe ottime ragioni per farlo.
Altrettanto ingrato risulta il suo prediletto, Edmund, anche lui un po' troppo perfettino e perbenino. E anche lui mi piace moltissimo, quindi fatico a simpatizzare con chi non lo apprezza.
D'accordo, né lui né Fanny hanno uno spiccato senso dell'umorismo - ma in fin dei conti non lo aveva nemmeno Fitzwilliam Darcy, che vanta invece schiere numerosissime di fan.
Va detto poi che non c'è una scena d'amore che sia una - si svolgono tutte dietro le quinte - e questo può effettivamente dispiacere in un romanzo dove si parla quasi esclusivamente d'amore. C'è un certo fondo di moralismo e una grande abbondanza di buoni sentimenti, ma a ben guardare c'è in tutti i romanzi di Jane Austen, solo che negli altri le circostanze di solito sono più gentili per tutti, mentre Mansfield Park è sfiorato più di una volta dall'ala della tragedia e ha un lieto fine solo per alcuni dei personaggi.
Ci sono poi i due fratelli Crawford, brillanti vivaci e spiritosi, che ho sempre trovato di una antipatia mortale (soprattutto Henry) ma che alla media dei lettori risultano molto più simpatici dei due perfettini perbenisti. Entrambi comunque hanno una singolare capacità di di complicarsi la vita con le loro mani e l'autrice rifiuta costantemente di soccorrerli quando sono nelle ambasce - ma in effetti proprio non so perché dovrebbe: di fatto i Cawford non si mettono nei pasticci per ingenuità o imprudenza, ma perché se ne fregano di tutto e di tutti tranne che di sé stessi, e in effetti non sono il tipo di persone che sono più portata ad apprezzare.
E' un romanzo di gente ricca, ma è anche il romanzo, tra i sei, che mette più apertamente in rilievo i problemi che si possono avere quando si fa parte della gentry ma non si hanno adeguati soldi.
Ho scritto che leggendolo non ci si fanno poi queste gran risate. In realtà non è vero, e contiene alcune delle più acuminate frasi uscite dalla penna dell'autrice, a partire dall'inizio quando spiega che "di certo al mondo non ci sono abbastanza uomini ricchi per tutte le donne graziose che se li meriterebbero" - e il problema di partenza è proprio questo: Maria Ward, donna di notevole bellezza ma con un modesto patrimonio personale di 7000 sterline, ha avuto la fortuna di conquistare Sir Thomas Bertram di Mansfield Park, diventando così Lady Bertram; a suo tempo tutti convennero che per avere il diritto di aspettarsi una fortuna del genere le mancavano almeno 3000 sterline, ma anche sull'evidente fatto che un matrimonio così ricco era un colpo di fortuna anche per le due sorelle minori di Lady Bertram che quindi avrebbero facilmente stretto matrimoni altrettanto vantaggiosi. E invece non va così, appunto perché ci sono più ragazze graziose che gentiluomini ricchi pronti a sposarle, e così le due sorelle minori dovettero contentarsi: la maggiore delle due sposò un sacerdote che non aveva nulla di suo (ma Sir Thomas provvide a fornirlo di adeguato beneficio ecclesiastico) mentre la minore, Frances, sposò contro il volere della famiglia un luogotenente di marina senza soldi né conoscenze e senza nemmeno un buon carattere a raccomandarlo. In compenso il luogotenente di marina si mostrò assai fertile sin dai primi anni, col risultato che gli sposi più squattrinati si ritrovano con una bella nidiata. Sir Thomas decide di aiutarli e, tra le altre cose, prende in casa una delle bambine: Fanny, la Cenerentola di turno - che non viene maltrattata e messa a fare le pulizie di casa o roba del genere, ma che comunque si ritrova sempre in seconda linea rispetto ai quattro figli di Mansfield Park occupando un ruolo che è più quello di una dama di compagnia per Lady Bertram che quello di una figlia adottiva. Tenera, sensibile e molto, molto paziente, la piccola Cenerentola si innamora ben presto di Edmund, il fratello minore, ma ha molta cura di nascondere la cosa - per molto tempo perfino a sé stessa.
Quando Fanny raggiunge l'età giusta per essere presentata in società e Edmund, destinato agli ordini eccclesiastici, sta per essere ordinato sacerdote, a un passo da Mansfield Park piombano i due fratelli Crawford, pieni di fascino e di soldi; e siccome i quattro giovani Bertram sono molto belli e tutt'altro che poveri, inizia una lunga serie di corteggiamenti intrecciati complicati dal fatto che la maggiore delle sorelle Bertram, Maria, è già fidanzata con un ricchissimo e ottimo partito che non ha nulla per raccomandarlo quanto a fascino e simpatia ma di cui le piacciono molto la posizione sociale e i vasti possedimenti. Aggiungiamo che il giovane Crawford ama moltissimo farsi corteggiare e che la giovane Crawford è molto attratta da Edmund ma non sopporta l'idea di legarsi a un ecclesiastico e che Sir Thomas, padre nobile ai limiti dell'insopportabile, passa una buona metà del romanzo all'altro capo del pianeta a badare alle sue proprietà e otterremo una miscela esplosiva in cui all'improvviso si ritrova coinvolta perfino Fanny, quando Crowford il Farfallone decide che la piccola di casa è troppo indifferente al suo fascino e che quindi è indispensabile che anche lei ceda al suo fascino come già hanno fatto le due sorelle Bertram. Naturalmente il tutto finirà in un mezzo disastro - beh, per qualcuno a dire il vero finisce in un disastro completo e senza remissione, e il Qualcuno in questione alla fine può incolpare solo sé stesso... e la sciagurata scelta di farsi trascinare dai sentimenti che fino a quel momento aveva tenuto assai a bada per un sacco di motivi uno più opportunistico dell'altro.
Insomma, i buoni alla fine del romanzo ottengono adeguata ricompensa della loro bontà, mentre i meno buoni finiscono in castigo - qualcuno anche a tempo indeterminato, ma il tutto è così ben motivato e ben condotto che per conto mio ogni volta resto assolutamente ammirata per l'abilità e il realismo con cui l'autrice ha gestito una trama tutt'altro che semplice, anche se un po' resto dispiaciuta per come chi si sia messo nei pasticci si ritrovi poi costretto a restarci.
Due postille prima di concludere.
La prima riguarda Mrs. Norris, la zia cattiva che opprime costantemente Fanny sotto il peso di una serie di angherie non troppo crudeli (ma solo perché Edmund e Sir Thomas non lo permetterebbero mai!) ma, garantisco, comunque davvero spiacevoli e offensive quanto inutili: di lei non sapremo mai il nome, è sempre e soltanto Mrs. Norris. Quasi due secoli dopo J.K. Rowling chiamò proprio Mrs. Norris la perfida gatta dell'irascibile custode Argus Gazza. I lettori italiani però se ne accorsero solo se e quando presero in mano il testo in inglese, perché i traduttori ignorarono completamente il riferimento letterario e chiamarono la spettrale gatta "Mrs. Purr".
La seconda postilla riguarda il bel saggio che Nabokov dedica a Mansfield Park nelle sue Lezioni di letteratura, dove tra l'altro si parla molto sia della tentata rappresentazione di Giuramenti di innamorati sia, soprattutto, del bellissimo gioco di anticipazioni e rappresentazioni più o meno simboliche degli sviluppi futuri della vicenda che sono una delle cifre più caratteristiche di Jane Austen - e di cui questo romanzo è particolarmente ricco (peraltro, prima di leggere Nabokov, non ci avevo mai fatto caso se non a livello inconscio).
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e mi riprometto solennemente di essere molto più regolare nella mia partecipazione, d'ora in poi. Possa la primavera regalarvi piacevolissime ore di lettura mentre guardate dalla finestra gli alberi in fiore - in attesa che si alzi un po' la temperatura e che sotto gli alberi in fiore possiate andare a leggere godendovi il profumo e il tepore della bella stagione.
Tra i sei romanzi di Jane Austen infatti è il meno amato, e lo fu anche ai tempi della sua prima pubblicazione - con una certa delusione da parte di Jane, sospetto., che ci aveva dedicato parecchio lavoro visto che dei sei è il suo romanzo più lungo.
Aggiungo che la rilettura più recente l'ho fatta un paio di mesi fa durante la mia ultima degenza ospedaliera, scaricandolo aggratisse dalla rete, dove si trova molto facilmente. L'edizione che mi capitò fra le mani aveva la traduzione di Giuseppe Ierolli e conteneva anche una ricca appendice dove erano raccolti diversi interessanti documenti e soprattutto l traduzione integrale di Giuramenti di innamorati, la commedia che nel corso del romanzo i personaggi cercano di allestire e che l'autrice non riassume, dandola assolutamente per conosciuta da tutti i suoi lettori; al giorno d'oggi, ahimé, Giuramenti di innamorati è stata completamente dimenticata, almeno in Italia (se pure è mai stata conosciuta due secoli fa) e potersela legge aiuta a capire un bel po' di allusioni e di commenti fatti appunto nel corso dell'allestimento dello spettacolo. Insomma, consiglio vivamente di cercare quell'edizione perché è un bell'aiuto per il lettore e mi scuso vivamente per non sapervi indicare da dove l'ho scaricata (in modo del tutto legale e alla luce del sole, garantisco): quelle sono state per me settimane un po' confuse e insomma mi sono completamente dimenticata di dove l'ho presa.
Come mai Mansfield Park è meno popolare degli altri romanzi?
Non sono la persona più adatta a rispondere, visto che a me è piaciuto moltissimo, tanto che è il mio preferito subito dopo Orgoglio e pregiudizio; posso solo azzardare delle ipotesi.
E' il romanzo meno divertente tra i sei, tanto per cominciare. Veramente non ci si fanno poi queste gran risate nemmeno con l'ultimo, Persuasione, che però vanta foltissime schiere di apprezzatori. Comunque in Mansfield Park quasi tutti i protagonisti passano il loro tempo soffrendo come cani, soprattutto per questioni di amore non corrisposto e per gelosia - e sempre con l'obbligo sociale di mantenere una facciata serena e brillante.
La protagonista, Fanny, risulta abbastanza antipatica (non a me, sia chiaro): molti la trovano troppo perbenino e ha il grande inconveniente di non sbagliare un colpo, mai. Fanny ragiona senza orgoglio e senza pregiudizio, ha un suo codice morale molto rigoroso e una sensibilità quasi esasperata, non prende mai in giro nessuno e piange parecchio, anche se di solito senza farsi vedere. E' anche abituata a vedersi scavalcare da tutti, e quindi non pesta mai i piedi per difendere i suoi diritti anche quando avrebbe ottime ragioni per farlo.
Altrettanto ingrato risulta il suo prediletto, Edmund, anche lui un po' troppo perfettino e perbenino. E anche lui mi piace moltissimo, quindi fatico a simpatizzare con chi non lo apprezza.
D'accordo, né lui né Fanny hanno uno spiccato senso dell'umorismo - ma in fin dei conti non lo aveva nemmeno Fitzwilliam Darcy, che vanta invece schiere numerosissime di fan.
Va detto poi che non c'è una scena d'amore che sia una - si svolgono tutte dietro le quinte - e questo può effettivamente dispiacere in un romanzo dove si parla quasi esclusivamente d'amore. C'è un certo fondo di moralismo e una grande abbondanza di buoni sentimenti, ma a ben guardare c'è in tutti i romanzi di Jane Austen, solo che negli altri le circostanze di solito sono più gentili per tutti, mentre Mansfield Park è sfiorato più di una volta dall'ala della tragedia e ha un lieto fine solo per alcuni dei personaggi.
Ci sono poi i due fratelli Crawford, brillanti vivaci e spiritosi, che ho sempre trovato di una antipatia mortale (soprattutto Henry) ma che alla media dei lettori risultano molto più simpatici dei due perfettini perbenisti. Entrambi comunque hanno una singolare capacità di di complicarsi la vita con le loro mani e l'autrice rifiuta costantemente di soccorrerli quando sono nelle ambasce - ma in effetti proprio non so perché dovrebbe: di fatto i Cawford non si mettono nei pasticci per ingenuità o imprudenza, ma perché se ne fregano di tutto e di tutti tranne che di sé stessi, e in effetti non sono il tipo di persone che sono più portata ad apprezzare.
E' un romanzo di gente ricca, ma è anche il romanzo, tra i sei, che mette più apertamente in rilievo i problemi che si possono avere quando si fa parte della gentry ma non si hanno adeguati soldi.
Ho scritto che leggendolo non ci si fanno poi queste gran risate. In realtà non è vero, e contiene alcune delle più acuminate frasi uscite dalla penna dell'autrice, a partire dall'inizio quando spiega che "di certo al mondo non ci sono abbastanza uomini ricchi per tutte le donne graziose che se li meriterebbero" - e il problema di partenza è proprio questo: Maria Ward, donna di notevole bellezza ma con un modesto patrimonio personale di 7000 sterline, ha avuto la fortuna di conquistare Sir Thomas Bertram di Mansfield Park, diventando così Lady Bertram; a suo tempo tutti convennero che per avere il diritto di aspettarsi una fortuna del genere le mancavano almeno 3000 sterline, ma anche sull'evidente fatto che un matrimonio così ricco era un colpo di fortuna anche per le due sorelle minori di Lady Bertram che quindi avrebbero facilmente stretto matrimoni altrettanto vantaggiosi. E invece non va così, appunto perché ci sono più ragazze graziose che gentiluomini ricchi pronti a sposarle, e così le due sorelle minori dovettero contentarsi: la maggiore delle due sposò un sacerdote che non aveva nulla di suo (ma Sir Thomas provvide a fornirlo di adeguato beneficio ecclesiastico) mentre la minore, Frances, sposò contro il volere della famiglia un luogotenente di marina senza soldi né conoscenze e senza nemmeno un buon carattere a raccomandarlo. In compenso il luogotenente di marina si mostrò assai fertile sin dai primi anni, col risultato che gli sposi più squattrinati si ritrovano con una bella nidiata. Sir Thomas decide di aiutarli e, tra le altre cose, prende in casa una delle bambine: Fanny, la Cenerentola di turno - che non viene maltrattata e messa a fare le pulizie di casa o roba del genere, ma che comunque si ritrova sempre in seconda linea rispetto ai quattro figli di Mansfield Park occupando un ruolo che è più quello di una dama di compagnia per Lady Bertram che quello di una figlia adottiva. Tenera, sensibile e molto, molto paziente, la piccola Cenerentola si innamora ben presto di Edmund, il fratello minore, ma ha molta cura di nascondere la cosa - per molto tempo perfino a sé stessa.
Quando Fanny raggiunge l'età giusta per essere presentata in società e Edmund, destinato agli ordini eccclesiastici, sta per essere ordinato sacerdote, a un passo da Mansfield Park piombano i due fratelli Crawford, pieni di fascino e di soldi; e siccome i quattro giovani Bertram sono molto belli e tutt'altro che poveri, inizia una lunga serie di corteggiamenti intrecciati complicati dal fatto che la maggiore delle sorelle Bertram, Maria, è già fidanzata con un ricchissimo e ottimo partito che non ha nulla per raccomandarlo quanto a fascino e simpatia ma di cui le piacciono molto la posizione sociale e i vasti possedimenti. Aggiungiamo che il giovane Crawford ama moltissimo farsi corteggiare e che la giovane Crawford è molto attratta da Edmund ma non sopporta l'idea di legarsi a un ecclesiastico e che Sir Thomas, padre nobile ai limiti dell'insopportabile, passa una buona metà del romanzo all'altro capo del pianeta a badare alle sue proprietà e otterremo una miscela esplosiva in cui all'improvviso si ritrova coinvolta perfino Fanny, quando Crowford il Farfallone decide che la piccola di casa è troppo indifferente al suo fascino e che quindi è indispensabile che anche lei ceda al suo fascino come già hanno fatto le due sorelle Bertram. Naturalmente il tutto finirà in un mezzo disastro - beh, per qualcuno a dire il vero finisce in un disastro completo e senza remissione, e il Qualcuno in questione alla fine può incolpare solo sé stesso... e la sciagurata scelta di farsi trascinare dai sentimenti che fino a quel momento aveva tenuto assai a bada per un sacco di motivi uno più opportunistico dell'altro.
Insomma, i buoni alla fine del romanzo ottengono adeguata ricompensa della loro bontà, mentre i meno buoni finiscono in castigo - qualcuno anche a tempo indeterminato, ma il tutto è così ben motivato e ben condotto che per conto mio ogni volta resto assolutamente ammirata per l'abilità e il realismo con cui l'autrice ha gestito una trama tutt'altro che semplice, anche se un po' resto dispiaciuta per come chi si sia messo nei pasticci si ritrovi poi costretto a restarci.
Due postille prima di concludere.
La prima riguarda Mrs. Norris, la zia cattiva che opprime costantemente Fanny sotto il peso di una serie di angherie non troppo crudeli (ma solo perché Edmund e Sir Thomas non lo permetterebbero mai!) ma, garantisco, comunque davvero spiacevoli e offensive quanto inutili: di lei non sapremo mai il nome, è sempre e soltanto Mrs. Norris. Quasi due secoli dopo J.K. Rowling chiamò proprio Mrs. Norris la perfida gatta dell'irascibile custode Argus Gazza. I lettori italiani però se ne accorsero solo se e quando presero in mano il testo in inglese, perché i traduttori ignorarono completamente il riferimento letterario e chiamarono la spettrale gatta "Mrs. Purr".
La seconda postilla riguarda il bel saggio che Nabokov dedica a Mansfield Park nelle sue Lezioni di letteratura, dove tra l'altro si parla molto sia della tentata rappresentazione di Giuramenti di innamorati sia, soprattutto, del bellissimo gioco di anticipazioni e rappresentazioni più o meno simboliche degli sviluppi futuri della vicenda che sono una delle cifre più caratteristiche di Jane Austen - e di cui questo romanzo è particolarmente ricco (peraltro, prima di leggere Nabokov, non ci avevo mai fatto caso se non a livello inconscio).
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e mi riprometto solennemente di essere molto più regolare nella mia partecipazione, d'ora in poi. Possa la primavera regalarvi piacevolissime ore di lettura mentre guardate dalla finestra gli alberi in fiore - in attesa che si alzi un po' la temperatura e che sotto gli alberi in fiore possiate andare a leggere godendovi il profumo e il tepore della bella stagione.
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venerdì 24 novembre 2017
La via del male - Robert Galbraith
Ebbene, è la Rowling. Non potrei mai dire male di J.K. Rowling, cui devo tanta riconoscenza e che tanto apprezzo come scrittrice. Davvero, non oserei
E tuttavia, lo ammetto, se non ci fosse stata di mezzo la Sua augusta penna questo libro lo avrei scansato come la peste, e a metà della terza pagina mi stavo seriamente domandando se mi conveniva continuare.
Naturalmente è scritto bene. E quando mai J.K. Rowling scrive male? Non certo qui.
Ma, lo ammetto, i serial killer non li reggo proprio. Lo so che è un genere che va di moda e che oggi usa immedesimarsi anche nel loro punto di vista; e so anch'io che ci sono libri dedicati a serial killer che hanno venduto milioni e milioni di copie. Non grazie a me, comunque.
E' un genere di cui mi sfugge il fascino. Che cavolo me ne frega di immedesimarmi in un serial killer? Non lavoro nella polizia, che per lavoro è tenuta ad occuparsene, e per mia fortuna non ci ho mai avuto a che fare (altrimenti non sarei qui a scrivere). So che non si dovrebbe mai dire "mai", ma, ecco, non è un tipo di personalità che riesce a far risuonare alcuna corda nel mio animo e non riesco proprio a immaginarmi in quei panni.
Terroristi? No, non è il mio genere, ma chissà, in circoostanze del tutto diverse avrei potuto ritrovarmici. Omicidi plurimi e aggravati? Oh, nella mia mente ne commetto in quantità. Ma mi serve pur sempre un motivo.
D'accordo, anche i serial killer hanno i loro motivi - il primo, par di capire, è che uccidere gli piace. Ma insomma, non so che farci, proprio non mi ci ritrovo.
Detto questo, per amore di J.K. Rowling ho letto anche il libro che qui vado a presentare, e che appunto parla di un serial killer; non solo, ma passate le prime pagine non è stato un sacrificio.
Del resto anche quelle prime spiacevoli (per me) pagine hanno un loro perché, come anche aver scelto sì sgradevole (per me) soggetto è proprio da quelle prime pagine che impariamo subito che nel mirino del serial c'è Robin, la segretaria e assistente di Cormoran Strike. E non solo è nel mirino, ma è pure sotto stretta sorveglianza, e da parecchio tempo Stavolta l'insidia è, letteralmente, dietro l'angolo di casa. E lei non ne ha la minima idea. Cormoran ci arriva, a un certo punto, ma per un bel pezzo nemmeno lui si rende conto di quanto è effettivamente vicino il pericolo - anche perché, se se ne rendesse conto subito, il romanzo finirebbe verso pagina 40, circa a un quindicesimo del suo percorso.
Anche la scelta del tipo di assassino, ripensandoci, ha un suo perché, strettamente legato alla trama interna del romanzo, quella che riguarda i due investigatori
Del resto, cosa c'è di più apparentemente illogico e apparentemente imprevedibile di un serial killer?
Ma andiamo per ordine.
Un bel mattino Robin riceve un pacco prima di entrare in ufficio. Firma la ricevuta, entra, avvia la solita trafila di quando inizia la giornata lavorativa Poi apre il pacco.
Il pacco contiene una gamba. In pratica, un pezzo di cadavere.
Sul cadavere sono tatuati i versi di una canzone, che Cormoran conosce molto bene e che formano una delle piste dell'investigazione, quella che conduce alla sua defunta madre (il romanzo trabocca di citazioni musicali, soprattutto dalle canzoni dei Blue Oyster Cult; che sarebbe un pregio, non fosse che qui in Italia il culto dell'ostrica azzurra non è stato mai molto diffuso, pur essendo costoro un degnissimo gruppo musicale).
Ci sono altre due piste, legate pure quelle al passato di Cormoran. Del resto la gamba è stata mandata a lui, e chi spedisce gambe tagliate presumibilmente non è persona che si raccomandi per il suo perfetto equilibrio mentale. Si tratta dunque di risalire agli squilibrati più squilibrati tra i molti con cui Cormoran ha avuto a che fare nel suo complesso passato - e sono un bel campionario, scopriamo.
Il risultato della scrematura sono tre individui, uno più sgradevole dell'altro, che non hanno assolutamente nulla che li raccomandi all'indulgenza o all'interesse del lettore. Costoro a loro volta hanno avuto una vita piuttosto movimentata, contrassegnata da cambi di identità e di indirizzo. Tanto per intendersi, si tratta di gente deprimente e depressa, e gli ambienti in cui si svolgono le indagini somiglia molto ai punti più deprimenti del Seggio Vacante - o, per chi gradisse un paragone più potteriano, è come passare qualche centinaio di pagine in casa Marvolo, l'adorabile ramo materno della famiglia di Voldemort.
La ricerca è complicata - ancor più complicata dal fatto che la polizia, che si sta attivamente occupando del caso, non gradisce interferenze, ma che le interferenze da parte dell'agenzia sono rese necessarie non tanto da delicate questioni di onore professionale, bensì perché i clienti si stanno volatilizzando come neve al sole e l'agenzia in questione rischia la morte per inedia.
Cormoran combatte una sua battaglia privata non solo per rintracciare l'assassino, ma anche perché Robin resti il più possibile fuori dalle indagini, che stavolta possono rivelarsi molto pericolose per lei.
Robin a sua volta combatte con tutte le sue forze per non essere lasciata fuori dalle indagini per una serie di motivi che vanno chiarendosi solo molto lentamente (anche se ne abbiamo intravista qualche traccia nel romanzo precedente).
Nel frattempo il lettore viene abilmente depistato dalle intricate vicende sentimentali della ragazza, ormai a un passo dal matrimonio con il povero Matthew. Lo definisco "povero Matthew" non perché anch'io non abbia desiderato di strozzarlo più volte nel corso della lettura, in particolare verso la fine, ma perché sono convinta che il suo affetto per Robin è sincero; inoltre, non essendo un potenziale serial killer, è pur sempre un personaggio molto più gradevole della maggior parte dei personaggi che incrociamo durante la lettura.
La soluzione infine arriva e contiene anche un piccolo colpo di scena - non di quelli memorabili, da includere nella lista dei "Dieci colpi di scena che hanno cambiato la storia della letteratura", ma insomma un colpo di scena piuttosto rispettabile
Tuttavia il vero finale è un altro, di cui non conviene assolutamente parlare qui. Mi limiterò a dire che l'ultima pagina si chiude con un cliffhanger assolutamente micidiale, di quelli che ti lasciano ad uggiolare fuori dalla porta per tutta la notte. Capita, quando J. K. Rowling conclude il terzo romanzo di una serie.
In conclusione: ottimo per chi ama le storie di serial killer, e assolutamente indispensabile per chi segue la serie di Cormoran Strike.
Con questo post, un po' meno entusiastico del solito, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture a chiunque passi di qua.
E tuttavia, lo ammetto, se non ci fosse stata di mezzo la Sua augusta penna questo libro lo avrei scansato come la peste, e a metà della terza pagina mi stavo seriamente domandando se mi conveniva continuare.
Naturalmente è scritto bene. E quando mai J.K. Rowling scrive male? Non certo qui.
Ma, lo ammetto, i serial killer non li reggo proprio. Lo so che è un genere che va di moda e che oggi usa immedesimarsi anche nel loro punto di vista; e so anch'io che ci sono libri dedicati a serial killer che hanno venduto milioni e milioni di copie. Non grazie a me, comunque.
E' un genere di cui mi sfugge il fascino. Che cavolo me ne frega di immedesimarmi in un serial killer? Non lavoro nella polizia, che per lavoro è tenuta ad occuparsene, e per mia fortuna non ci ho mai avuto a che fare (altrimenti non sarei qui a scrivere). So che non si dovrebbe mai dire "mai", ma, ecco, non è un tipo di personalità che riesce a far risuonare alcuna corda nel mio animo e non riesco proprio a immaginarmi in quei panni.
Terroristi? No, non è il mio genere, ma chissà, in circoostanze del tutto diverse avrei potuto ritrovarmici. Omicidi plurimi e aggravati? Oh, nella mia mente ne commetto in quantità. Ma mi serve pur sempre un motivo.
D'accordo, anche i serial killer hanno i loro motivi - il primo, par di capire, è che uccidere gli piace. Ma insomma, non so che farci, proprio non mi ci ritrovo.
Detto questo, per amore di J.K. Rowling ho letto anche il libro che qui vado a presentare, e che appunto parla di un serial killer; non solo, ma passate le prime pagine non è stato un sacrificio.
Del resto anche quelle prime spiacevoli (per me) pagine hanno un loro perché, come anche aver scelto sì sgradevole (per me) soggetto è proprio da quelle prime pagine che impariamo subito che nel mirino del serial c'è Robin, la segretaria e assistente di Cormoran Strike. E non solo è nel mirino, ma è pure sotto stretta sorveglianza, e da parecchio tempo Stavolta l'insidia è, letteralmente, dietro l'angolo di casa. E lei non ne ha la minima idea. Cormoran ci arriva, a un certo punto, ma per un bel pezzo nemmeno lui si rende conto di quanto è effettivamente vicino il pericolo - anche perché, se se ne rendesse conto subito, il romanzo finirebbe verso pagina 40, circa a un quindicesimo del suo percorso.
Anche la scelta del tipo di assassino, ripensandoci, ha un suo perché, strettamente legato alla trama interna del romanzo, quella che riguarda i due investigatori
Del resto, cosa c'è di più apparentemente illogico e apparentemente imprevedibile di un serial killer?
Ma andiamo per ordine.
Un bel mattino Robin riceve un pacco prima di entrare in ufficio. Firma la ricevuta, entra, avvia la solita trafila di quando inizia la giornata lavorativa Poi apre il pacco.
Il pacco contiene una gamba. In pratica, un pezzo di cadavere.
Sul cadavere sono tatuati i versi di una canzone, che Cormoran conosce molto bene e che formano una delle piste dell'investigazione, quella che conduce alla sua defunta madre (il romanzo trabocca di citazioni musicali, soprattutto dalle canzoni dei Blue Oyster Cult; che sarebbe un pregio, non fosse che qui in Italia il culto dell'ostrica azzurra non è stato mai molto diffuso, pur essendo costoro un degnissimo gruppo musicale).
Ci sono altre due piste, legate pure quelle al passato di Cormoran. Del resto la gamba è stata mandata a lui, e chi spedisce gambe tagliate presumibilmente non è persona che si raccomandi per il suo perfetto equilibrio mentale. Si tratta dunque di risalire agli squilibrati più squilibrati tra i molti con cui Cormoran ha avuto a che fare nel suo complesso passato - e sono un bel campionario, scopriamo.
Il risultato della scrematura sono tre individui, uno più sgradevole dell'altro, che non hanno assolutamente nulla che li raccomandi all'indulgenza o all'interesse del lettore. Costoro a loro volta hanno avuto una vita piuttosto movimentata, contrassegnata da cambi di identità e di indirizzo. Tanto per intendersi, si tratta di gente deprimente e depressa, e gli ambienti in cui si svolgono le indagini somiglia molto ai punti più deprimenti del Seggio Vacante - o, per chi gradisse un paragone più potteriano, è come passare qualche centinaio di pagine in casa Marvolo, l'adorabile ramo materno della famiglia di Voldemort.
La ricerca è complicata - ancor più complicata dal fatto che la polizia, che si sta attivamente occupando del caso, non gradisce interferenze, ma che le interferenze da parte dell'agenzia sono rese necessarie non tanto da delicate questioni di onore professionale, bensì perché i clienti si stanno volatilizzando come neve al sole e l'agenzia in questione rischia la morte per inedia.
Cormoran combatte una sua battaglia privata non solo per rintracciare l'assassino, ma anche perché Robin resti il più possibile fuori dalle indagini, che stavolta possono rivelarsi molto pericolose per lei.
Robin a sua volta combatte con tutte le sue forze per non essere lasciata fuori dalle indagini per una serie di motivi che vanno chiarendosi solo molto lentamente (anche se ne abbiamo intravista qualche traccia nel romanzo precedente).
Nel frattempo il lettore viene abilmente depistato dalle intricate vicende sentimentali della ragazza, ormai a un passo dal matrimonio con il povero Matthew. Lo definisco "povero Matthew" non perché anch'io non abbia desiderato di strozzarlo più volte nel corso della lettura, in particolare verso la fine, ma perché sono convinta che il suo affetto per Robin è sincero; inoltre, non essendo un potenziale serial killer, è pur sempre un personaggio molto più gradevole della maggior parte dei personaggi che incrociamo durante la lettura.
La soluzione infine arriva e contiene anche un piccolo colpo di scena - non di quelli memorabili, da includere nella lista dei "Dieci colpi di scena che hanno cambiato la storia della letteratura", ma insomma un colpo di scena piuttosto rispettabile
Tuttavia il vero finale è un altro, di cui non conviene assolutamente parlare qui. Mi limiterò a dire che l'ultima pagina si chiude con un cliffhanger assolutamente micidiale, di quelli che ti lasciano ad uggiolare fuori dalla porta per tutta la notte. Capita, quando J. K. Rowling conclude il terzo romanzo di una serie.
In conclusione: ottimo per chi ama le storie di serial killer, e assolutamente indispensabile per chi segue la serie di Cormoran Strike.
Con questo post, un po' meno entusiastico del solito, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture a chiunque passi di qua.
martedì 25 luglio 2017
Cornelius Fudge / Caramel, ovvero scegliere portati dalla piena
Se ci chiedessero una lista dei cattivi di Harry Potter, è molto improbabile che il ministro Fudge ci verrebbe in mente tra i primi - in effetti è molto improbabile che ci verrebbe in mente anche se ci chiedessero una qualsiasi lista dei personaggi più notevoli di Harry Potter. E' presente in sei volumi su sette, ma non si fa notare molto. In compenso influisce con una certa forza sulle vicende, ed è anche uno stronzo di notevole levatura* - stronzo e anche incapace. Ma all'occorrenza piuttosto gioviale.
Fudge in inglese è una torta morbidosa, di quelle a più strati ricoperte da una o più glasse, non necessariamente rigide: una fragile corazza per un cuore morbido, più esattamente molle. Nella prima traduzione si chiamava Caramell, con un richiamo a quei dolci al cucchiaio di cui fanno parte i creme caramel ma anche i budini, la panna cotta, la crema bavarese e simili: dolci composti essenzialmente di uova e latte (o panna) e che si mangiano col cucchiaio. Non era una brutta traduzione, e va detto che fudge per il lettore italiano non è una parola particolarmente evocativa, anche se qualsiasi dizionario può soccorrerci facilmente.
Insomma, un perfetto uomo politico, di quelli destinati al successo e di cui gli storici si domandano perplessi "Ma come ha fatto costui a trovare qualcuno che lo prendesse sul serio abbastanza da dargli un qualche incarico?".
Perché i tipi come Fudge di solito fanno una brillante carriera, sorpassando senza difficoltà persone assai più preparate e capaci di loro - e una volta arrivati al potere, evitano con cura di prendere decisioni impopolari, per quanto necessarie possano rivelarsi; perché, com'è noto, le decisioni impopolari sono brutte, fastidiose, scomode cose che fanno fare tardi a cena.
In tempi tranquilli (ma esistono tempi tranquilli?) i Cornelius Fudge non fanno troppi danni e anzi non fanno proprio niente a parte qualche insulso provvedimento che non lascia tracce; ma se le circostanze richiedono un qualche tipo di capacità, persone come lui producono di solito grossi danni e chi prende il loro posto si ritrova costretto a gestire l'impossibile - di solito fallendo clamorosamente (ogni riferimento a Rufus Scrimgeour non è casuale).
Sentiamo parlare del ministro Cornelius Fudge (nella prima traduzione Cornelius Caramell) già nel primo libro, quando Hagrid accompagna Harry a Diagon Halley e gli racconta di Silente che ha rifiutato di fare il Ministro della Magia e però quello che al momento è il Ministro in carica non fa che chiedergli consiglio. Vabbé, il lettore al momento è convinto che Hagrid sia il classico Gigante Buono Ma Non Necessariamente Astutissimo (imparerà solo più avanti che Hagrid è sempre attendibilissimo, tranne forse quando parla di animali interessanti, verso i quali è a volte un po' troppo parziale) e quindi prende la cosa con le molle.
Ad ogni modo, per quanto Silente possa essere liberale con i suoi consigli, nel corso della saga Fudge evita con cura di seguirli non appena hanno l'apparenza un po' scomoda - e a volte Silente gliene dà di scomodissimi (e sempre molto validi, si capisce, se solo Fudge avesse la pur minima intenzione di scomodarsi a seguirli).
Incontriamo dal vivo il Ministro Budino nel secondo volume quando, nonostante il parere contrario di Silente, fa arrestare Hagrid per la questione della Camera dei Segreti.
"Io sto ricevendo un mucchio di pressioni. Bisogna far vedere che si sta facendo qualcosa" spiega a Silente. Del resto i precedenti di Hagrid sono contro di lui, e in effetti arrestarlo sembra la cosa più facile. Soprattutto, tra la scelta di arrestare un innocente (perché i precedenti di Hagrid sono contro di lui, ma le prove no) e quella di contraddire il potente Lucius Malfoy, non c'è nemmeno da porsi la questione, per il ministro.
Il primo incontro ufficiale tra Harry e il Ministro avviene però solo all'inizio del terzo volume, quando un preoccupatissimo Harry, appena scappato da Privet Drive dopo aver gonfiato l'insopportabile zia Marge, ha una gran paura di venire espulso da Hogwarts. A sua volta, scopriremo poi, il Ministero della Magia e una discreta fetta del mondo magico sono preoccupatissimi per la scomparsa improvvisa del Ragazzo Che E' Sopravvissuto, perché temono sia stato rapito e ucciso da Sirius Black. Cornelius si mostra gentile, quasi paterno, rassicura Harry che non ci saranno conseguenze per quel piccolo incidente (via, non si finisce certo ad Azkaban solo per aver gonfiato una zia!) e anzi si occupa di trovargli una stanza al Paiolo Magico perché il ragazzo passi il resto delle vacanze estive in Diagon Alley, dove la comunità magica ne avrà gran cura sorvegliandolo con molta attenzione.
Ritroviamo il Ministro alla fine del libro, quando partecipa al processo in appello contro Fierobecco - un processo talmente garantista che insieme a Fudge arriva anche il boia ufficiale del mondo magico per procedere all'esecuzione del povero grifone. Più avanti Piton cercherà di convincerlo che l'evasione di Sirius Black, appena catturato, è opera di Harry Potter - ma per quanto abbia in effetti ragione, le circostanze sono tali che l'accusa non viene nemmeno presa in considerazione.
Resta il fatto che, per scelta del Ministro Budino, Hogwarts è stata impestata per tutto l'anno dai Dissennatori, che alla fine hanno addirittura cercato di somministrare il loro famigerato bacio a Harry e Ron. Lo sventato Cornelius si mostra molto colpito da questo incidente: "Oh sì, dovranno andarsene. Non avrei mai immaginato che avrebbero cercato di somministrare il Bacio a un ragazzo innocente... del tutto incontrollabili... no, li farò rispedire ad Azkaban questa notte stessa..." dimenticando i che i suoi amati Dissennatori si sono mostrati fuor di controllo praticamente dall'inizio dell'anno, come Silente non ha mancato di ricordargli più volte.
E' solo alla fine del Calice di Fuoco però che Cornelius Fudge si rivela in tutta la sua micidiale storditaggine: accorso ad Hogwarts dopo l'incidente di Cedric si porta dietro un Dissennatore a mo' di scorta (ma allora è un vizio?), il quale Dissennatore appena vede Bartemius Crouch junior non trova di meglio da fare che succhiargli via l'anima con il Bacio, trasformandolo così in un vegetale. In questo modo Crouch non potrà più testimoniare e tutta la vicenda della resurrezione di Voldemort diventa una semplice fantasia di Harry Potter.
Per la prima volta Harry lo vede per quel che è, e ne rimane sbalordito:
"Aveva sempre pensato a Caramell come a un uomo gentile, un po' chiassoso, un po' pomposo, ma fondamentalmente buono. E ora davanti a lui c'era un piccolo mago iroso, che si rifiutava categoricamente di accettare l'idea che il suo comodo mondo tranquillo potesse venire turbato... che si rifiutava di credere che Voldemort potesse essere tornato".
Davanti al comportamento del Ministro Minerva McGonagall dà in escandescenze per la prima e unica volta in tutta la saga, e lo stesso Silente, che lo conosce molto bene, non gli risparmia parole decisamente taglienti: "Sei accecato dall'amore per la poltrona che occupi, Cornelius! (...) Te lo dico ora: prendi i provvedimenti che ti ho suggerito, e verrai ricordato come uno dei più grandi e coraggiosi Ministri della Magia che abbiamo mai avuto. Scegli di non agire, e la storia ti ricorderà come l'uomo che si è fatto da parte, quello che ha concesso a Voldemort una seconda possibilità di distruggere il mondo che abbiamo cercato di ricostruire!".
Come sappiamo, Cornelius sceglierà di non agire e si farà da parte, negando la possibilità che Voldemort sia davvero tornato, nonostante il racconto di Harry e perfino nonostante la testimonianza di Piton che non esita a esibire il suo Marchio Nero, tornato improvvisamente attivo e pulsante. Negherà tutto, rifiuterà di allontanarsi dai suoi amati Dissennatori perché "metà di noi dormono sonni tranquilli solo perché sanno che i Dissennatori fanno la guardia ad Azkaban", e del resto, lo caccerebbero via solo per averlo suggerito, e non si può provare ad allearsi con i Giganti perché la gente ha paura dei giganti...
Fudge è in buona fede, o più esattamente è convinto di esserlo. L'idea del ritorno di Voldemort fa parte di quelle cose brutte e scomode che ti fanno fare tardi a cena, la gente rischia di spaventarsi se diffondi la notizia, e del resto la notizia non può essere vera, è troppo scomoda per essere vera. Il confortevole mondo di Cornelius rischierebbe di andare in pezzi, se accettasse la possibilità che Potter e Silente e Piton stiano dicendo la verità, così lui chiude la porta e dichiara che si tratta solo di una assurdità causata dalla fantasia troppo accesa di un adolescente (dimenticando però che l'adolescente in questione è il massimo esperto vivente su Voldemort).
L'unica vera scelta che Cornelius Fudge fa dunque è una non-scelta: si sfila, si tira indietro e dichiara che quel che sta succedendo non sta affatto succedendo. Non è una scelta insolita per un politico - Manzoni descrive molto bene questo tipo di comportamento nel capitolo dedicato alla peste, quando in tanti decidono d'ufficio che la peste non esiste e quand'anche esistesse non sarebbe lì - ed è una scelta che porta inevitabilmente a risultati disastrosi.
Saldamente attaccato alla sua comoda poltrona e ai suoi amati Dissennatori, Cornelius Fudge separa la sua strada da quella di Silente: già all'inizio dell'Ordine della Fenice vediamo che gli ha tolto le più pregiate onoreficenze, ha ridotto notevolmente i suoi poteri ad Hogwarts e ha avviato una campagna stampa contro l'inaffidabile e visionario Harry Potter; trova anche qualcuno che lo capisce, una sorta di anima gemella: Dolores Umbridge, che senza un suo esplicito ordine costruisce per Harry la trappola dei Dissennatori in Privet Drive, per obbligare Harry a reagire con un incantesimo e poterlo così incastrare in un processo davanti al Wizengamot.
Anche se basato su una buona base di inganno, il processo non è truccato: i giudici sono imparziali e ascoltano sia il racconto di Harry che quello di Silente, prestando grande attenzione alla testimonianza della Maganò Arabella Figg, per poi finire per assolvere il ragazzo con formula piena. Cornelius però ha comunque fatto del suo meglio per truccare le carte, retrodatando l'ora dell'udienza per poter svolgere il processo in contumacia e soprattutto tenere lontano Silente - un procedimento più che illegale, oltre che una vera porcata.
*in italiano "stronzo" sta ad indicare sia una persona di scarsissima levatura intellettuale che una persona scorretta e di ridotti scrupoli morali. Il ministro Budino è sia l'una che l'altra cosa.
Fudge in inglese è una torta morbidosa, di quelle a più strati ricoperte da una o più glasse, non necessariamente rigide: una fragile corazza per un cuore morbido, più esattamente molle. Nella prima traduzione si chiamava Caramell, con un richiamo a quei dolci al cucchiaio di cui fanno parte i creme caramel ma anche i budini, la panna cotta, la crema bavarese e simili: dolci composti essenzialmente di uova e latte (o panna) e che si mangiano col cucchiaio. Non era una brutta traduzione, e va detto che fudge per il lettore italiano non è una parola particolarmente evocativa, anche se qualsiasi dizionario può soccorrerci facilmente.
Questa è una chocolate fudge cake. Abbastanza simile a una Sacher, in effetti
Perché i tipi come Fudge di solito fanno una brillante carriera, sorpassando senza difficoltà persone assai più preparate e capaci di loro - e una volta arrivati al potere, evitano con cura di prendere decisioni impopolari, per quanto necessarie possano rivelarsi; perché, com'è noto, le decisioni impopolari sono brutte, fastidiose, scomode cose che fanno fare tardi a cena.
In tempi tranquilli (ma esistono tempi tranquilli?) i Cornelius Fudge non fanno troppi danni e anzi non fanno proprio niente a parte qualche insulso provvedimento che non lascia tracce; ma se le circostanze richiedono un qualche tipo di capacità, persone come lui producono di solito grossi danni e chi prende il loro posto si ritrova costretto a gestire l'impossibile - di solito fallendo clamorosamente (ogni riferimento a Rufus Scrimgeour non è casuale).
Sentiamo parlare del ministro Cornelius Fudge (nella prima traduzione Cornelius Caramell) già nel primo libro, quando Hagrid accompagna Harry a Diagon Halley e gli racconta di Silente che ha rifiutato di fare il Ministro della Magia e però quello che al momento è il Ministro in carica non fa che chiedergli consiglio. Vabbé, il lettore al momento è convinto che Hagrid sia il classico Gigante Buono Ma Non Necessariamente Astutissimo (imparerà solo più avanti che Hagrid è sempre attendibilissimo, tranne forse quando parla di animali interessanti, verso i quali è a volte un po' troppo parziale) e quindi prende la cosa con le molle.
Ad ogni modo, per quanto Silente possa essere liberale con i suoi consigli, nel corso della saga Fudge evita con cura di seguirli non appena hanno l'apparenza un po' scomoda - e a volte Silente gliene dà di scomodissimi (e sempre molto validi, si capisce, se solo Fudge avesse la pur minima intenzione di scomodarsi a seguirli).
Incontriamo dal vivo il Ministro Budino nel secondo volume quando, nonostante il parere contrario di Silente, fa arrestare Hagrid per la questione della Camera dei Segreti.
"Io sto ricevendo un mucchio di pressioni. Bisogna far vedere che si sta facendo qualcosa" spiega a Silente. Del resto i precedenti di Hagrid sono contro di lui, e in effetti arrestarlo sembra la cosa più facile. Soprattutto, tra la scelta di arrestare un innocente (perché i precedenti di Hagrid sono contro di lui, ma le prove no) e quella di contraddire il potente Lucius Malfoy, non c'è nemmeno da porsi la questione, per il ministro.
Il primo incontro ufficiale tra Harry e il Ministro avviene però solo all'inizio del terzo volume, quando un preoccupatissimo Harry, appena scappato da Privet Drive dopo aver gonfiato l'insopportabile zia Marge, ha una gran paura di venire espulso da Hogwarts. A sua volta, scopriremo poi, il Ministero della Magia e una discreta fetta del mondo magico sono preoccupatissimi per la scomparsa improvvisa del Ragazzo Che E' Sopravvissuto, perché temono sia stato rapito e ucciso da Sirius Black. Cornelius si mostra gentile, quasi paterno, rassicura Harry che non ci saranno conseguenze per quel piccolo incidente (via, non si finisce certo ad Azkaban solo per aver gonfiato una zia!) e anzi si occupa di trovargli una stanza al Paiolo Magico perché il ragazzo passi il resto delle vacanze estive in Diagon Alley, dove la comunità magica ne avrà gran cura sorvegliandolo con molta attenzione.
Ritroviamo il Ministro alla fine del libro, quando partecipa al processo in appello contro Fierobecco - un processo talmente garantista che insieme a Fudge arriva anche il boia ufficiale del mondo magico per procedere all'esecuzione del povero grifone. Più avanti Piton cercherà di convincerlo che l'evasione di Sirius Black, appena catturato, è opera di Harry Potter - ma per quanto abbia in effetti ragione, le circostanze sono tali che l'accusa non viene nemmeno presa in considerazione.
Resta il fatto che, per scelta del Ministro Budino, Hogwarts è stata impestata per tutto l'anno dai Dissennatori, che alla fine hanno addirittura cercato di somministrare il loro famigerato bacio a Harry e Ron. Lo sventato Cornelius si mostra molto colpito da questo incidente: "Oh sì, dovranno andarsene. Non avrei mai immaginato che avrebbero cercato di somministrare il Bacio a un ragazzo innocente... del tutto incontrollabili... no, li farò rispedire ad Azkaban questa notte stessa..." dimenticando i che i suoi amati Dissennatori si sono mostrati fuor di controllo praticamente dall'inizio dell'anno, come Silente non ha mancato di ricordargli più volte.
E' solo alla fine del Calice di Fuoco però che Cornelius Fudge si rivela in tutta la sua micidiale storditaggine: accorso ad Hogwarts dopo l'incidente di Cedric si porta dietro un Dissennatore a mo' di scorta (ma allora è un vizio?), il quale Dissennatore appena vede Bartemius Crouch junior non trova di meglio da fare che succhiargli via l'anima con il Bacio, trasformandolo così in un vegetale. In questo modo Crouch non potrà più testimoniare e tutta la vicenda della resurrezione di Voldemort diventa una semplice fantasia di Harry Potter.
Per la prima volta Harry lo vede per quel che è, e ne rimane sbalordito:
"Aveva sempre pensato a Caramell come a un uomo gentile, un po' chiassoso, un po' pomposo, ma fondamentalmente buono. E ora davanti a lui c'era un piccolo mago iroso, che si rifiutava categoricamente di accettare l'idea che il suo comodo mondo tranquillo potesse venire turbato... che si rifiutava di credere che Voldemort potesse essere tornato".
Davanti al comportamento del Ministro Minerva McGonagall dà in escandescenze per la prima e unica volta in tutta la saga, e lo stesso Silente, che lo conosce molto bene, non gli risparmia parole decisamente taglienti: "Sei accecato dall'amore per la poltrona che occupi, Cornelius! (...) Te lo dico ora: prendi i provvedimenti che ti ho suggerito, e verrai ricordato come uno dei più grandi e coraggiosi Ministri della Magia che abbiamo mai avuto. Scegli di non agire, e la storia ti ricorderà come l'uomo che si è fatto da parte, quello che ha concesso a Voldemort una seconda possibilità di distruggere il mondo che abbiamo cercato di ricostruire!".
Come sappiamo, Cornelius sceglierà di non agire e si farà da parte, negando la possibilità che Voldemort sia davvero tornato, nonostante il racconto di Harry e perfino nonostante la testimonianza di Piton che non esita a esibire il suo Marchio Nero, tornato improvvisamente attivo e pulsante. Negherà tutto, rifiuterà di allontanarsi dai suoi amati Dissennatori perché "metà di noi dormono sonni tranquilli solo perché sanno che i Dissennatori fanno la guardia ad Azkaban", e del resto, lo caccerebbero via solo per averlo suggerito, e non si può provare ad allearsi con i Giganti perché la gente ha paura dei giganti...
Fudge è in buona fede, o più esattamente è convinto di esserlo. L'idea del ritorno di Voldemort fa parte di quelle cose brutte e scomode che ti fanno fare tardi a cena, la gente rischia di spaventarsi se diffondi la notizia, e del resto la notizia non può essere vera, è troppo scomoda per essere vera. Il confortevole mondo di Cornelius rischierebbe di andare in pezzi, se accettasse la possibilità che Potter e Silente e Piton stiano dicendo la verità, così lui chiude la porta e dichiara che si tratta solo di una assurdità causata dalla fantasia troppo accesa di un adolescente (dimenticando però che l'adolescente in questione è il massimo esperto vivente su Voldemort).
L'unica vera scelta che Cornelius Fudge fa dunque è una non-scelta: si sfila, si tira indietro e dichiara che quel che sta succedendo non sta affatto succedendo. Non è una scelta insolita per un politico - Manzoni descrive molto bene questo tipo di comportamento nel capitolo dedicato alla peste, quando in tanti decidono d'ufficio che la peste non esiste e quand'anche esistesse non sarebbe lì - ed è una scelta che porta inevitabilmente a risultati disastrosi.
Saldamente attaccato alla sua comoda poltrona e ai suoi amati Dissennatori, Cornelius Fudge separa la sua strada da quella di Silente: già all'inizio dell'Ordine della Fenice vediamo che gli ha tolto le più pregiate onoreficenze, ha ridotto notevolmente i suoi poteri ad Hogwarts e ha avviato una campagna stampa contro l'inaffidabile e visionario Harry Potter; trova anche qualcuno che lo capisce, una sorta di anima gemella: Dolores Umbridge, che senza un suo esplicito ordine costruisce per Harry la trappola dei Dissennatori in Privet Drive, per obbligare Harry a reagire con un incantesimo e poterlo così incastrare in un processo davanti al Wizengamot.
Anche se basato su una buona base di inganno, il processo non è truccato: i giudici sono imparziali e ascoltano sia il racconto di Harry che quello di Silente, prestando grande attenzione alla testimonianza della Maganò Arabella Figg, per poi finire per assolvere il ragazzo con formula piena. Cornelius però ha comunque fatto del suo meglio per truccare le carte, retrodatando l'ora dell'udienza per poter svolgere il processo in contumacia e soprattutto tenere lontano Silente - un procedimento più che illegale, oltre che una vera porcata.
Costretto a condurre comunque il processo, visto che l'accusato ha avuto la malagrazia di presentarsi, per giunta con Silente al seguito (e davanti a Silente Fudge soffre un vistoso complesso di inferiorità, del resto pienamente giustificato) il Ministro cerca di giocare ogni carta per ottenere una sentenza di colpevolezza, minacciando Silente, rievocando le vecchie infrazioni di Harry - compreso l'episodio della zia gonfiata due anni prima, per l'occasione diventata una gravissima infrazione e non più una ragazzata.
La giuria però non si lascia ingannare. Più avanti Silente pagherà a caro prezzo la sua difesa di Harry, ma sul momento Fudge è costretto ad accettare il verdetto della corte.
Una scena abbastanza simile (salvo il fatto che in apparenza Silente ne esce sconfitto) si ripeterà molti capitoli dopo, quando grazie alla delazione di Marietta Edgecombe il gruppo di studio autonomo chiamato l'Esercito di Silente viene scoperto. Accorso ad Hogwarts per godersi l'arresto del pericoloso e lunatico Harry Potter, Cornelius si vedrà nuovamente sbarrare la strada da Silente, che riuscirà a fargli credere che si trattava in realtà di una sua iniziativa per togliergli il Ministero con un colpo di mano.
Un lampo d'improvvisa comprensione brillò sul volto di Fudge. Arretrò di scatto, inorridito, lanciò un grido e balzò di nuovo lontano dal fuoco.
"Tu?" bisbigliò, rimettendosi a calpestare il mantello bruciacchiato.
"Proprio così" annuì amabile Silente.
Il Ministro si mostra ferito, indignato e furente - soprattutto, abbocca come una carpa; da tempo probabilmente si era convinto che tutte quelle strane storie sul ritorno di Voldemort fossero solo abili manovre con cui l'ambizioso Silente cercava di strappargli la sua amata poltrona; e dunque cerca di arrestare il suo pericoloso rivale.
Come sappiamo il tentativo di arresto viene gestito da Silente con la consueta abilità (o meglio stile, come osserva giustamente Phineas Nigellus dal suo ritratto) e in sostanza né Cornelius Fudge né Dolores Umbridge ottengono granché: dopo una sparizione molto teatrale Silente rientrerà nel suo ufficio (o almeno così si suppone) mentre Umbridge, nominalmente preside di Hogwarts, non riuscirà mai più a metterci nemmeno la punta di un piedino.
Il terzo e ultimo confronto tra Fudge e Silente all'interno dell'Ordine della Fenice si situa alla fine del romanzo, dopo la drammatica battaglia del Ministero, e più che un confronto è un massacro in piena regola: piuttosto confuso, Cornelius arriva nell'atrio del Ministero mentre lo scontro si sta concludendo:
Ma nonostante tutta la sua buona volontà, il Ministro è infine costretto a dare credito alle numerose testimonianze dei maghi che si affollano intorno a lui... e ai suoi stessi occhi:
"Per la barba di Merlino... qui... qui!... nel Ministero della Magia!... cieli supremi... non sembra possibile... parola mia... ma come può...?".
Davanti al suo insignificante balbettìo e alle sue patetiche rimostranze, Silente risponde con istruzioni molto precise: "Tu darai ordine di allontanare Dolores Umbridge da Hogwarts. E dirai ai tuoi Auror di smetterla di dare la caccia al mio insegnante di Cura delle Creature Magiche, così potrà tornare al lavoro. Stanotte ti concederò mezz'ora del mio tempo: sarà più che sufficiente per informarti di quanto è successo qui. Dopo di che dovrò tornare alla mia scuola".
La deposizione di Fudge dal Ministero inizia in quel momento, quando Silente gli dà ordini come se fosse un sottoposto di basso rango e si autorinomina preside di Hogwarts.
Da quel momento Fudge riceverà solo ordini. Nel giro di pochi giorni sarà costretto a dimettersi.
Osserviamo meglio questo passaggio attraverso i suoi colloqui col Primo Ministro dei babbani, all'inizio del sesto libro: prima amichevole e un po' borioso, nel corso degli anni Cornelius si mostrerà sempre più debole e incapace financo di spiegare la situazione al ministro babbano, attonito (ma non sprovveduto nella gestione del potere):
"Deve fare qualcosa! In quanto Ministro della Magia è sua responsabilità!"
"Mio caro Primo Ministro, non può onestamente credere che io sia ancora Ministro della Magia dopo tutto questo! Sono stato cacciato tre giorni fa! La comunità magica al completo ha chiesto le mie dimissioni per quindici giorni di fila. Non li ho mai visti così concordi in tutto il mio mandato!".
E infatti a quell'ultimo colloquio Cornelius non arriva in qualità di Ministro della Magia... ma come lacché incaricato di presentare il nuovo ministro Scrimgeour al ministro babbano.
L'ultima apparizione del Ministro Torta la vediamo al funerale di Silente:
Cornelius Caramell li oltrepassò, diretto alle file davanti, con l'aria derelitta, rigirando la bombetta verde come al solito.
Anche lui è venuto a rendere omaggio all'uomo che vedeva troppo lontano perché lui potesse capirlo, e che ha cercato di trasformare in avversario perché era troppo scomodo come alleato: scomodo, e rischiava di fargli fare tardi a cena.
Di lui non sapremo più niente, e non ce ne fregherà un accidente: persone come lui non meritano nemmeno la curiosità dei lettori.
lunedì 15 maggio 2017
Neville Paciock / Longbottom, ovvero Colui Che Non E' Stato Scelto da Voldemort
Scegliere un cast di undicenni che dovranno lavorare su otto film in un arco di tempo di undici anni può presentare delle incognite, se i produttori non hanno una gran fortuna.
Passa un giorno e passa l'altro, ed è così arrivato anche il giorno della mia conferenza su Harry Potter, cui guardavo ormai da due mesi con grandissima preoccupazione: sarei stata bene quel giorno? Ce l'avrei fatta? Avrei retto adeguatamente il trauma, lo stress e la fatica o lo sforzo si sarebbe rivelato superiore alle mie deboli forze?
Tanto ero preoccupata di questo che a malapena rimaneva nel mio cuore un angolino per preoccuparmi di riuscire a parlare bene e con proprietà sviluppando gli argomenti in modo adeguato. Mi pareva che, se solo fossi riuscita a raggiungere quella pedana in un decoroso stato di benessere fisico, il resto sarebbe facilmente venuto da sé.
Di fatto, è andato tutto bene: un felice stato di benessere ha avvolto l'intera giornata, l'ottima pasta alle melanzane fornita dalla mensa scolastica e l'eccellente risotto alla zucca fornito da Sary hanno adeguatamente sostenuto il mio ancora debilitato e capriccioso organismo, e insomma ero in grande spolvero rispetto al mio solito. Invece di strisciare sono salita con passo fermo sulla pedana e ho parlato come dovevo.
Il pubblico era... simpatico, non mi viene altra parola per descriverlo: una bella nidiata di appassionati che si snodava su tre generazioni, tutti festosi all'idea che quella sera si sarebbe parlato della loro amata saga di Harry Potter; avevano tutti dei gran sorrisi e qualcuno portava al collo collane con giratempo, boccini e simili.
Ho parlato di scelte, naturalmente: la scelta di Voldemort di prendere sul serio la profezia, quella di Harry di andare con i Grifondoro eccetera eccetera.
Alla fine, come si usa, ho chiesto se qualcuno aveva domande o osservazioni da fare, ma nessuno ne aveva, e dunque la conferenza è stata sciolta.
Solo allora sono venuti alla pedana a farmi le domande e le osservazioni - molto carine tra l'altro. Una ragazza mi ha chiesto se avevo fatto il test su Pottermore per sapere a che casa appartenessi (lei era un Corvonero, e le ho confessato che vorrei tanto essere Corvonero anch'io, ma probabilmente ero un Tassofrasso), un altra mi ha raccontato della sua gita nel parco a tema a Londra, mettendomi un gran desiderio di andarci a mia volta...
E un ragazzo ha fatto una domanda vera e propria: perché, se i possibili Avversari inizialmente erano due, ovvero Neville Longbottom e Harry Potter, Voldemort aveva stabilito che quello pericoloso era Harry ed era andato da lui?
Sono rimasta spiazzata. Silente non lo spiega, in effetti.
Il ragazzo ha suggerito che forse Voldemort aveva studiato i due bambini e aveva capito che quello pericoloso era Harry; ma, a parte che Harry ha vissuto parte del suo primo anno coperto dall'Incanto Fidelius e quindi Voldemort non poteva studiare un bel nulla, sembra improbabile che si riesca a capire quanto sarà potente un mago da adulto osservandolo nel suo primo anno di vita.
Ho suggerito che forse poteva dipendere dal fatto che i genitori di Harry erano maghi più potenti di quelli di Neville, e che quindi Voldemort avesse pensato che loro figlio sarebbe stato più potente del figlio dei Longbottom - un ipotesi come un altra, che comunque il ragazzo ha preso per possibile.
Arrivata a casa ho riletto le pagine dove Silente parla della possibilità che il Prescelto fosse Neville, e di nuovo ho preso atto che non c'erano spiegazioni sul perché Voldemort avesse stabilito che quello pericoloso era Harry.
Il giorno dopo ho chiamato un amica e abbiamo sviscerato la questione.
"Non sappiamo se Voldemort avesse effettivamente deciso che il più pericoloso era Harry. Soltanto che da qualche parte doveva pur cominciare, se voleva farli fuori" ha osservato.
"Quindi pensi che Voldemort abbia semplicemente avuto sfortuna?".
"Nemmeno. Chi ci dice che in casa Longbottom non sarebbe potuto succedere qualcosa di molto simile? Forse Voldemort non era semplicemente in grado di eliminare un bambino in quelle circostanze, la maledizione gli sarebbe comunque rimbalzata contro e Neville sarebbe diventato come Harry Potter, con tanto di cicatrice".
Del resto ce lo dice anche Silente: "La profezia ha valore solo perché Voldemort ha fatto in modo che l'avesse".
Che cosa sappiamo di Neville?
Ce lo presentano come un giovane mago molto imbranato, pacioccoso e un po' pauroso - non tanto, comunque, da non riuscire a trovare un coraggio di tipo particolarmente difficile: quello di opporsi agli amici per il loro bene. Proprio perché ha avuto il coraggio necessario per affrontare gli amici cercando di impedirgli di andare a prendere la Pietra Filosofale alla fine del primo libro Silente gli assegna i punti che faranno vincere a Grifondoro la Coppa delle Case. Al momento opportuno Neville (che non a caso ha un cognome che è anche il nome di un villaggio della Contea) sa accantonare le sue incertezze e tirare fuori le unghie, e da vero Grifondoro è in grado di estrarre la spada d'argento con i rubini dal Cappello.
I Longbottom hanno il coraggio e la resilienza tipica degli hobbit: i genitori di Neville hanno perso la ragione sotto la maledizione Cruciatus - ma non l'hanno persa al punto di tradire la loro parte. Erano maghi di buon lignaggio, dagli illustri antenati, di buonissima reputazione, facevano parte dell'Ordine della Fenice - e da quel minimo che ci fa vedere Rowling erano anche loro attaccatissimi al figlio. Avrebbero saputo fare un incantesimo di protezione come quello di Lily dando la loro vita per lui e facendo così rimbalzare la maledizione scagliata da Voldemort?
E' senz'altro possibile.
Per tutti i sette libri Neville si presenta come un riflesso sbiadito di Harry. Un evento molto traumatico all'età di un anno ha reso i loro destini molto differenti: Harry ha perso i genitori e i ricordi a loro collegati la notte in cui il mago più potente della sua generazione cercò di ucciderlo ed entrò dentro di lui trasmettendogli una parte dei suoi poteri, è cresciuto orfano e in seguito ha affrontato quello stesso mago in duello cinque volte, oltre a entrare a sua volta dentro la sua mente; Neville è rimasto peggio che orfano perché ha sempre saputo che i suoi genitori erano vivi eppure irrimediabilmente lontani da lui, ed è cresciuto in una soffocante atmosfera iperprotetta e imbottita di sensi di colpa che ha molto attutito le sue capacità. Soltanto quando entra ad Hogwarts, passando gran parte dell'anno lontano dalla sua micidiale nonna (per tacere dell'ineffabile zio) riprende pian piano il contatto con le sue reali capacità, che sono notevoli.
I ruoli di Harry e Neville avrebbero potuto rovesciarsi, se il destino dei loro genitori fosse stato scambiato?
Di nuovo: è possibile, perché i due sono molto simili nel carattere.
Al momento di scegliere il cast, nel lontanissimo 2000, solo Rowling sapeva che l'Imbranato del Grifondoro avrebbe mostrato più avanti un lato decisamente eroico; ma nemmeno lei era in grado di prevedere come si sarebbe evoluto il fisico dei giovani attori. Matthew Lewis sembrava un ottimo e pacioccosissimo Neville Paciock, mentre era sulla soglia della preadolescenza, e portava a meraviglia il suo pigiama con gli orsetti.
Con gli anni comunque è venuto su un Neville decisamente agguerrito, ma che a sorpresa è rimasto assolutamente in tema - anche se ha perso un po' della pacioccosità da hobbit, ammettiamolo:
Secondo questa teoria dunque Voldemort avrebbe avuto una sola scelta per andare in culo alla profezia: lasciare che i due bambini crescessero tranquilli per i fatti loro, mentre lui continuava a imperversare nel mondo magico.
Non sarebbe bastato a garantirgli l'immunità, certo: come Silente ricorda ad Harry "Hai idea di quanto i tiranni temano coloro che opprimono? Sanno benissimo che un giorno tra quelle molte vittime ce ne sarà certamente una che si leverà contro di loro e reagirà! Voldemort non è diverso! Ha sempre cercato chi l'avrebbe sfidato. Ha ascoltato la profezia ed è entrato in azione".
Impossibile che col tempo Voldemort non trovasse qualcuno abbastanza stufo di lui da scovare un modo per levarlo di torno (e anche quel sistema di seminare in giro frammenti di anima quasi fossero noccioline era tutto fuorché sicuro, a ben guardare).
Ultima considerazione: sappiamo che i Potter erano protetti da un Incanto Fidelius, mentre non risulta che Neville fosse coperto da niente ("non risulta" comunque non è lo stesso di "siamo sicuri che non"). Forse l'Incanto fu allestito dopo che Voldemort aveva torturato i Longbottom fino a farli impazzire? E forse dopo che la ragione (ma non la volontà) dei due maghi aveva ceduto Voldemort stabilì che i Potter erano gli avversari più pericolosi?
Al momento la cronologia del primo anno di vita di Harry non è abbastanza chiara da fornirci una risposta.
domenica 16 aprile 2017
Draco Malfoy e famiglia, ovvero scegliere per convenzione ma senza convinzione
Come già Severus Piton, anche Draco Malfoy è un personaggio che deve molta della sua popolarità all'attore che lo impersona, ovvero Tom Felton - che tutti, Rowling compresa, descrivono come un ragazzo tanto amabile quanto simpatico.
Questo non toglie che sulla carta Draco non riesca proprio irresistibile.
Dopo la prima caduta di Voldemort, Lucius Malfoy raccontò al Ministero qualcosa su un improbabile maledizione Imperius cui si era trovato sottomesso suo malgrado, fece probabilmente passare di mano qualche borsa di galeoni e fu assolto da ogni colpa e lasciato in pace nel suo avito (e lussuoso) castello insieme alla ricca collezione di famiglia di manufatti magici non proprio integerrimi, a partire dal diario degli anni di scuola dell'Oscuro Signore.
Per quattordici anni poté così godere tutti gli agi e i vantaggi di una ricchissima rendita e di una reputazione sinistra senza nemmeno nemmeno doversi incomodare per dimostrarsene all'altezza: grandi discorsi in privato su quando c'era Lui (caro lei), qualche acquisto più o meno equivoco in quel di Knockturn Alley, cospicue donazioni ad enti di beneficienza (nella più solida tradizione dickensiana) ma assolutamente nessun tentativo di formare associazioni di Mangiamorte, cercare tracce del (defunto?) Voldemort, men che meno proseguire nel lavoro da Lui avviato. Qualche frequentazione non proprio equivoca ma con un passato: ex Mangiamorte ufficialmente pentitissimi dei loro trascorsi, maghi un po' chiacchierati... ma mai nessuna azione illecita, per quel che sapeva il Ministero; e, in verità, anche al di fuori di quel che sapeva il Ministero, al massimo qualche bravata, come si fanno a volte nelle rimpatriate tra padri di famiglia un po' cresciuti - ad esempio evocare il Marchio Nero (che poi sarebbe verde) alla Coppa del Mondo dei Maghi.
Quella di Lucius Malfoy era prudenza o indifferenza?
Non è dato saperlo. E' possibile però che il giovanile ardore che aveva guidato Lucius nelle braccia di Voldemort si fosse assai smorzato grazie agli effetti di una vita pantofolara, oltre che per il trascorrere degli anni e le normali vicende di un matrimonio ben assortito e allietato da un giovane erede: Lucius Malfoy è prepotente, arrogante e antipatico, ma sembra di capire che la sua sia una normalissima famigliola legata da solidi vincoli di affetto, dove entrambi i genitori sono estasiati davanti al gran miracolo di avere un figlio; il quale figlio cresce viziato da una madre iperprotettiva e da un padre che nemmeno si sogna di negargli qualcosa o di contrastare la moglie: anche l'idea di mandare Draco a Durmstrang, in una scuola straniera dove potrebbe imparare un po' di solida e rispettabile magia nera, viene ben presto abbandonata perché mammà non vuole che la creaturina si allontani troppo da lei.
Abituato a tirarsela moltissimo, Draco approda a Hogwarts, dove si aspetta di stare sull'altarino esattamente come a casa sua; ma, anche se tra i Serpeverde è tenuto in grandissima considerazione da tutti, in fin dei conti laggiù è solo un alunno di buon livello senza niente di particolare a caratterizzarlo a parte una notevole prepotenza e una costante tendenza a trattare tutti dall'alto in basso. La stella di Hogwarts in quegli anni è innegabilmente Harry Potter, che oltre a ritrovarsi regolarmente nelle situazioni più assurde (da cui si ostina ad uscire vivo) riesce regolarmente a concentrare su di sé tutta la gloria e la fama - senza contare che c'è pure Hermione Granger, l'allieva più brava di tutta la scuola, a contendergli ogni possibile primato scolastico.
Pur se costretto in seconda linea, Draco passa comunque quattro anni sereni ad Hogwarts, punteggiati solo da qualche occasionale arrabbiatura. Le sue attività preferite sono cercare di mettere nei guai Harry (non sempre con successo) e ostentare una dimestichezza con le arti oscure che non ha, rimpiangendo, ad imitazione di suo padre che "quando c'era Lui".
Poi, giusto alla fine del quarto anno, Lui ritorna.
La maggior parte dei Mangiamorte non fa per niente i salti di gioia (e Voldemort se ne accorge benissimo): gli anni sono passati, l'entusiasmo si è assai placato e parecchi, che avevano abiurato, rinnegato e giurato gran pentimento davanti ai tribunali del Ministero devono un sacco di spiegazioni all'Oscuro Signore, perché non si consegnano le dimissioni a Voldemort: è servizio a vita, o morte.
Ad ogni modo Lucius lascia le pantofole davanti alla poltrona e torna al suo posto, non sappiamo con quanto entusiasmo, alla guida del gruppo dei Mangiamorte. Del resto Voldemort non ha molta scelta: i suoi servi più fedeli sono ancora prigionieri ad Azkaban, e Lucius Malfoy sembra il più lucido e affidabile tra quelli rimasti in libertà - oltre a godere della totale fiducia del ministro Fudge e ad aver unto abbastanza ruote da poter fare praticamente quel che gli pare dentro il Ministero.
La prima operazione - liberare i Mangiamorte chiusi ad Azkaban e arruolare i Dissennatori - viene portata a termine nel migliore dei modi; ma la seconda - ovvero quella di catturare Harry Potter con profezia annessa in una imboscata al Ministero - si risolve in un disastro. Lucius viene imprigionato ad Azkaban - che non sarebbe poi questa gran tragedia, ora che i Dissennatori non ci sono più - ma soprattutto cade in disgrazia.
Draco aveva passato il quinto anno a Hogwarts arruffianandosi la perfida Umbridge senza ritegno, e con una parte dei Serpeverde si era arruolato nelle Squadre d'Inquisizione, diventando così uno dei lacché della Preside e acquistando un certo potere sugli altri studenti; ma il regno della Umbridge è molto breve, e al suo ritorno al castello di famiglia alla fine dell'anno scolastico Draco troverà che la sua posizione è completamente cambiata: Voldemort è assai irritato con i Malfoy, oltre che a corto di divertimenti, e decide di spremere un po' il ragazzo per vedere se c'è qualcosa da ricavarne.
Draco si ritrova così improvvisamente promosso da bulletto del collegio a capofamiglia dei Malfoy, con un padre da riscattare e una madre da proteggere - e la cosa non gli piace affatto, anche se davanti ai compagni continua a tirarsela assai.
Gli vengono assegnati due compiti, e la ricompensa sarà la libertà (e la vita) dei suoi genitori, oltre al favore dell'Oscuro Signore.
Il primo compito è trovare un modo per far entrare dei Mangiamorte nella protettissima Hogwarts - operazione assai complessa ma che Draco riuscirà a portare a termine impiegando grande pazienza e ingegno (come gli riconoscerà Silente nel loro ultimo colloquio).
Il secondo incarico è di uccidere Silente. Quando la madre lo viene a sapere cade nello sconforto più nero perché sa che questo Draco non potrà farlo. Lei lo ha partorito e lo ha allevato, lo conosce bene ed è sicura che non sarà in grado (e i fatti le daranno ragione); così, per salvare suo figlio si affida a Piton, stringendo con lui il Voto Infrangibile perché Draco abbia comunque una protezione.
Di questo Draco non sarà grato a nessuno dei due e per tutto l'anno farà del suo meglio per complicare la vita a Piton - come se il poverino, coinvolto in un quadruplo gioco carpiato con salto mortale, non avesse già problemi più che a sufficienza.
Per far entrare i Mangiamorte ad Hogwarts Draco si mette subito al lavoro con atti, pensieri e parole; ma per uccidere Silente, il men che si può dire è che non si impegna moltissimo, e anche quando fa un paio di pallidi tentativi non ci mette il cuore, come gli rimprovererà poi lo stesso Silente.
Primo tentativo: l'idea base è far arrivare una collana maledetta fino a Silente, sperando così che costui si dimentichi di colpo le più elementari precauzioni e la maneggi a mani nude, possibilmente giocandoci come se fosse uno yoyo e infilandosela al collo prima di andare a ballare con gli amici in discoteca. Niente di tutto questo succede, naturalmente, e la collana riuscirà solo a buttare un incantesimo assai potente su una povera studentessa che starà malissimo per mesi.
Secondo tentativo: far entrare una bottiglia di vino avvelenato a Hogwarts, nella speranza che il prof. Lumacorno la regali a Silente che se la beva allegramente, possibilmente in una situazione di solitudine totale in cui nessuno dei maghi di cui Hogwarts pullula sia presente a dargli un bezoar - e stavolta è Ron che rischia di lasciarci la pelle, ma la bottiglia avvelenata nemmeno arriva nelle vicinanze dell'ufficio del preside.
Diciamo che come scassinatore Draco mostra delle notevoli potenzialità, ma come assassino non sembra destinato a conquistarsi una reputazione imperitura.
La sorte però gli concede un altra possibilità, quando Silente, completamente disarmato, si offre a lui senza opporre resistenza (dopo aver provveduto a pietrificare Harry che assiste a tutta la scena ma senza poter intervenire).
Quella di Silente è una mossa molto ardita ma con un nobile scopo: si tratta di "salvare un anima" (quella di Draco) rendendolo ben consapevole di non essere in grado di uccidere una persona indifesa. Per uccidere un mago esiste un solo incantesimo, ma richiede una grande forza mentale e soprattutto una grande determinazione. Draco comunque non riesce nemmeno a pronunciare la formula: rimanda, traccheggia, fa conversazione con Silente dei più vari argomenti, addirittura lo minaccia - ma non riesce nemmeno a provarci. Sarà Piton che alla fine farà il lavoro sporco, uccidendo Silente - e qui sarebbe interessante sapere se, quando ha accettato di fare il voto infrangibile in difesa di Draco, aveva previsto come sarebbe andata a finire. Verrebbe da pensare di sì, visto che conosceva piuttosto bene il ragazzo, ma su quel che davvero pensa Piton l'autrice è molto, molto parca.
Ad ogni modo, anche se l'anima di Draco è salva, la famiglia Malfoy, dopo che il ragazzo ha fallito la sua seconda missione, non se la passa affatto bene. A completamento del tutto Lucius riesce anche a bucare l'ultimo incarico che Voldemort gli affida, ovvero l'uccisione di Harry all'inizio del settimo volume.
Da quel momento la famiglia Malfoy è commissariata: Voldemort sequestra il lussuoso castello (che dalla descrizione sembra piuttosto una villa palladiana), ci pianta il suo quartier generale, si prende la bacchetta di Lucius (salvo poi scoprire che non funziona bene per lui) e non dimentica di fargli presente che è caduto nella più totale disgrazia ogni volta che gliene viene servito un pretesto. Impariamo così a conoscere un Lucius Malfoy assai umile e strisciante - la cui principale preoccupazione resta la sorte della moglie e soprattutto del figlio Draco.
Verso la metà dell'ultimo libro a villa Malfoy arrivano anche, in qualità di prigionieri, Harry, Hermione e Ron - un po' travestiti, d'accordo, e mascherati con qualche incantesimo di modesta durata, ma tutti gli adulti presenti li riconoscono, sono quasi sicuri di riconoscerli... comunque per una conferma si rivolgono a Draco. Che improvvisamente diventa l'essere più incerto della terra: non gli pare, non crede, forse, non saprebbe...
Questo non basta a salvare i tre ragazzi, perché alla fine l'identificazione avviene comunque - ma Draco si rifiuta di consegnarli a Voldemort. Non è una presa di posizione aperta, piuttosto si ha l'impressione che dentro di lui qualcosa si rifiuti di schierarsi con il lato oscuro della Forza, a dispetto delle circostanze, del retaggio familiare e dell'educazione ricevuta.
Qualcosa però, fino alla fine, impedisce comunque a Draco non dico di schierarsi contro Voldemort, ma almeno di rimpiattarsi cautamente per evitare ulteriori coinvolgimenti.
Non sappiamo cosa succede esattamente, ma ritroviamo il giovane Malfoy ad Hogwarts, con gli immancabili Tiger e Goyle al seguito, ben determinato a catturare Harry per poi consegnarlo a Voldemort. In una scena decisamente fiammeggiante, nella Stanza delle Necessità in versione deposito dei rifiuti, Draco insegue Harry (che a sua volta ha al seguito Hermione e Ron). Se riuscisse a catturarlo lo consegnerebbe davvero a Voldemort?
Non lo sappiamo. Tutto lascerebbe pensare di sì, ma alla prova dei fatti Draco si è già defilato più di una volta. Ad ogni modo non solo non riesce a catturare Harry ma impedisce a Tiger e Goyle di ucciderlo perché Voldemort lo vuole vivo. Una volta tanto però Tiger mostra qualche segno di vita autonoma e non solo dichiara (più o meno) che gli sembra più pratico ammazzare Potter senza farsi tante seghe, ma addirittura provoca un mostruoso incendio dove riesce a morire arso vivo. Il fuoco da lui scatenato distruggerà poi il quinto horcrux, mentre Draco e Goyle vengono salvati non una ma addirittura due volte da Harry.
Nel frattempo Lucius Malfoy cerca di allontanarsi da Voldemort, con la scusa di andare ad uccidere Harry; Voldemort glielo impedisce dicendo di aver capito benissimo che l'unica cosa che gli preme è controllare se suo figlio Draco sia ancora vivo (ed ha perfettamente ragione a dirlo) e che insomma Draco si arrangiasse per conto suo e Lucius smettesse di rompere.
L'ultima scena in cui vediamo la famiglia Malfoy è di quelle che non si dimenticano: nella confusione più totale, dopo la Battaglia di Hogwarts, i signori Malfoy vagano alla cieca fino a raggiungere Draco, unica persona di cui gli interessi qualcosa in tutto quel casino. E, senza che nessuno abbia il coraggio di fermarli, i tre, finalmente riuniti, se ne vanno per i fatti loro.
Illesi, tutti e tre. Altri saranno stati schiantati, avadakedavrati, impallinati, sepolti dai calcinacci, presi a pedate dalle armature, coperti di fatture di tutti i tipi; ma i Malfoy no, loro non si sono fatti nemmeno un graffio. Unico tra tutti i Mangiamorte, Lucius la scamperà, e probabilmente si installerà nuovamente nella sua bella villa palladiana (dopo qualche necessaria riparazione e qualche borsa di galeoni donata al Ministero per placare le acque).
In conclusione, Draco è il perfetto esempio di come un figlio affezionato si possa ritrovare per forza d'inerzia ad accettare una strada scelta per lui dalla tradizione familiare pur senza aver le caratteristiche necessarie per inserirsi nella tradizione in questione: certamente ha la stoffa del bulletto e del prepotente - e l'esempio del padre ha avuto senz'altro il suo peso in questo; certamente non si tratta della settima rincarnazione di Francesco d'Assisi; ma, al contrario di molti che, come Fudge, pur non nutrendo particolari inclinazione verso le Arti Oscure accettano per opportunismo di compiere azioni anche molto malvagie, fregandosene con grande candore delle conseguenze di queste azioni, Draco, che consapevolmente e per retaggio è sinceramente convinto (almeno fino alla prima parte dei sesto libro) di essersi schierato dalla parte del Lato Oscuro, non riesce a compiere niente di conclusivo a favore di Voldemort. Proprio non ci riesce, non ce la fa. Qualcosa dentro di lui si rifiuta, qualcosa di più forte perfino dell'affetto e dell'ammirazione per il padre e la madre e della necessità di salvare il buon nome della famiglia o la stessa vita dei suoi genitori.
Draco insomma ha una coscienza, che dorme spesso di un sonno profondo ma che rivela con forza la sua presenza nei momenti in cui è più scomodo farlo. Oltre certi limiti il giovane Malfoy non riesce ad andare - al contrario di suo padre, che non risulta essere mai stato frenato da uno scrupolo in vita sua.
Non si tratta degli effetti di una vera scelta, compiuta in piena coscienza; al contrario, sono scelte che contrastano la sua volontà apparente. Resta il fatto che le convenzioni non riescono a influire su di lui oltre un certo limite, e in assenza di una vera convinzione interiore Draco Malfoy si pianta come un mulo - o, a seconda di come si decida di vederla, svicola via.
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