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venerdì 30 luglio 2021

La caduta dell'impero romano. Una nuova storia - Peter Heather

Ammetto senza problemi che la copertina non è tra le migliori sul piano estetico, davvero. Tuttavia, l'unico modo per scansarla almeno in parte è ricorrere al formato elettronico, dove se non altro non si è obbligati a guardartela ogni volta che si apre il libro; perché detto libro conta svariate edizioni e ristampe da quando è apparso in Italia nel 2006, ma l'editore Garzanti è rimasto deplorevolmente fedele a quella, senza nemmeno dirci di chi è quella brutta faccia (credo sia Costantino, ma collegarlo alla caduta dell'impero... boh?).
E dunque, un libro di storia sulla fine dell'impero romano. 
Con che coraggio l'autore mette come sottotitolo Una storia nuova
Sì, certo, un pelino di provocazione c'è. Si tratta però e prima di tutto di una sintesi della storiografia degli ultimi cinquant'anni sull'argomento (all'epoca della prima pubblicazione, ovvero il 2005). Gran profluvio di considerazioni basate sui recenti scavi archeologici, ma anche sulle analisi recenti delle fonti scritte, che nel frattempo ovviamente sono un po' aumentate: ricerca di qua, spulcia di là, è inevitabile che qualcosa di nuovo salti fuori. E poi naturalmente vale il classico slogan che esorta a "guardare le fonti vecchie con occhi nuovi".
Ne esce un quadro rivoluzionario, che stravolge e rivolta come calzini le vecchie teorie?
Ovviamente no, ma qua e là qualcosa cambia, e tanti piccoli cambiamenti finiscono per alterare notevolmente il quadro d'insieme.
Inoltre, per Heather come per tutta la storiografia inglese, c'è l'enorme totem dell'antico e sacrale testo di Gibbon The Decline and Fall of the Roman Empire, che in Inghilterra è tuttora il classico testo che se non l'hai letto puoi solo andare a nasconderti con la tua vergogna in un cantuccio  - mentre da noi è stato letto solo da pochi eletti nelle cui file non posso ad alcun titolo vantarmi di essere inclusa. E già dal titolo c'è una nota polemica, visto che si parla senza infingimenti di caduta dell'impero romano, ma si mette da parte il declino; e infatti il quadro che traccia Heather non è di un impero in declino, bensì di un impero che declinò, alla fine, solo e soltanto perché stava cadendo - perché se crolli vuol dire che tanto in forze non sei più. Oppure, spingendosi un pelo più in là: se cadi vuol dire che chi ti ha fatto cadere era più forte di te, che tu stessi declinando o meno.
Dunque una onesta opera di compilazione con qualche teoria innovativa accennata qua e là.

Il tema delle motivazioni della caduta dell'impero romano è molto sentito e discusso sin dal 476 d.C., come scoprii con un certo divertimento mentre preparavo non so quale esame (Storia della Chiesa, mi sembra) appunto a tema tardoantico, e tra i testi da studiare c'era una raccolta di saggi data alle stampe da Einaudi nel 1968 dedicata a Il conflitto tra paganesimo e cristianesimo nel secolo IV che apriva con una conferenza di Arnaldo Momigliano che vantava un inizio di quelli che restano impressi:
Possiamo forse cominciare con una buona notizia: in quest’anno di grazia 1959 è ancora possibile considerare verità storica il fatto che l’Impero romano declinò e cadde. Nessuno, a tutt’oggi, è disposto a negare la scomparsa dell’Impero romano. Ma qui comincia il disaccordo degli storici: quando si domanda perché l'Impero romano sia caduto, si ottiene una sconcertante varietà di risposte.
Seguiva poi la garbata constatazione che le cause della caduta in questione erano invece tuttora assai discusse, e tra le possibilità più carine c'era una teoria marxista che sosteneva che il declino iniziò con la fine della guerra del Peloponneso (ovvero parecchio prima della nascita del suddetto impero). Di quel saggio, che da anni mi propongo di recuperare e fotocopiare, ricordo soprattutto le gran risate che mi feci leggendolo e di come perseguitassi chiunque mi capitasse a tiro leggendone passi scelti (senza far troppi danni, perché si trattava comunque di gente che faceva Lettere e dunque non sempre era completamente disinteressata alla questione). Ancora oggi, ogni volta che in classe devo parlare della caduta dell'impero romano o anche più in generale delle discussioni storiche cito quel passo introduttivo ai ragazzi, spiegando che la storia è materia molto più mutevole e ondivaga di quanto si sia tradizionalmente portati a pensare.
Giusto per sintetizzare un minimo e uscire dalla palude dei bei ricordi della mia giovinezza, la frase di Momigliano sta ad indicare che già 60 anni fa, con buona pace di Gibbon, la questione delle cause e concause della caduta dell'impero romano era ancora tutt'altro che definita. E, del resto, quale argomento di storia lo è stato mai?

Ma veniamo al libro.
In sintesi, si divide in tre parti. La prima è una dettagliata descrizione del Signor Impero Romano: come funzionava, com'era strutturato, quali erano i suoi limiti di fondo - limiti per certi versi non aggirabili, per esempio il problema della lentezza delle comunicazioni: all'epoca, più che organizzare una bella rete di strade con tanto di stazioni di cambio per i cavalli non si poteva fare, anzi sotto quell'aspetto i romani erano stati molto bravi ed efficienti. Ma l'impero era grande e le comunicazioni lente. Per lo stesso motivo l'impero non era veramente centralizzato, a piramide: c'era il potere centrale e c'erano i poteri locali, piuttosto autonomi. Era una soluzione che per molto tempo si dimostrò piuttosto valida.
C'era poi un grosso esercito, molto ben addestrato e pagato con le tasse. I problemi con le tasse arrivarono nel momento in cui le tasse smisero di arrivare con regolarità perché una parte sempre maggiore dell'impero era in mano ai barbari, che le tasse, detto e non concesso che le riscuotessero, se le tenevano per sé.
La classe dirigente era corrotta, ma lo era in modo sistemico, e lo era sempre stata anche quando l'impero rifulgeva sì come gemma.
I confini... è noto che a un certo punto l'impero smise di espandersi. Perché?
Perché da una parte c'erano i persiani, che all'inizio del IV secolo diventarono molto forti e pericolosi. Una parte delle truppe venne infatti dedicata da allora al confine con i Sasanidi, ma non sempre con grandi risultati. Inoltre, le truppe che schieravi contro i Sasanidi non le potevi schierare da altre parti, che in certi momenti si dimostrò un serio limite.
L'altro confine erano i Germani, divisi in millemila tribù occupatissime spesso a combattersi tra loro e tutte decisamente poverelle. A un certo punto Roma stabilì che, visto che tanto da loro non c'era da raccattare granché, tanto valeva lasciarli stare salvo occasionali scorrerie quando gli servivano rinforzi per le truppe o nuovi coloni - e, naturalmente, quando cercavano di allargarsi. Modesti contingenti di migranti erano accolti senza problemi, ma sempre facendo molta attenzione a impedirgli appunto di allargarsi, spesso con sistemi davvero tutt'altro che cortesi.

La seconda parte è dedicata al primo Problema Serio che si presentò per l'impero, ovvero l'arrivo in massa nel 375-76 di ben due popoli germanici, greutungi e tervingi, che si presentarono in massa alla frontiera chiedendo di entrare, finirono per entrare in modo decisamente caotico e rimasero per anni a scorazzare all'interno dell'impero sostentandosi a razzie fino alla battaglia di Adrianopoli del 378 dove i romani persero. Il problema dunque da occasionale si fece permanente, anche se venne in vario modo arginato. Solo che, una volta arginato in qualche modo, entrò in scena Attila con gli unni al seguito - guarda caso proprio il popolo che aveva convinto greutungi e tervingi a scappare verso l'impero ad imlorare protezione e asilo.
Gli unni guidati da Attila furono un problema ancor più serio, anche perché al contrario dei Germani sapevano gestire un assedio e prendere una città, per quanto ben cinta di mura. Se dal disastro di Adrianopoli l'impero era riuscito a riprendersi, sia pure con qualche cedimento, con Attila e i suoi le cose andarono molto peggio. Ma l'impero di Attila, è noto, durò pochissimo. Tuttavia...

La terza parte è dedicata al disastro vero e proprio che secondo l'autore cominciò, ebbene sì, proprio al crollo dell'impero unno: a quel punto infatti i Germani non erano più tanti rivoletti di scarsa rilevanza, ma avevano imparato a riunirsi in grandi confederazioni (con grandi eserciti) e gestirli era tutt'altra storia. In particolare un problema decisamente serio furono i vandali di Genserico, che decisero di improvvisarsi navigatori; con un certo successo, visto che approdarono sulle coste africane. Di tutto questo il problema più drammatico fu proprio la perdita, per la parte occidentale dell'impero, delle cospicue tasse africane.
Nel 468 però la parte orientale dell'impero armò e finanziò una grandiosa spedizione per il recupero dell'Africa (che finì in un disastro abbastanza simile a quello dell'Invincibile Armata del 1588) e secondo Heather il vero punto di non ritorno fu proprio quello: dopo quel disastro militare non c'erano più soldi né esercito da giocare per la parte occidentale e la parte occidentale dell'impero entrò dunque in agonia. Quella orientale però, com'è noto, sopravvisse e anzi ben presto ricominciò ad allargarsi e prosperare per un buon paio di secoli prima dell'arrivo degli arabi - il che starebbe ad indicare che i problemi esistenziali dell'impero romano non erano tali da minarlo alle radici, visto che le due parti dell'impero erano organizzate e funzionavano esattamente nello stesso modo.

I veri cattivi dunque sono gli unni: che fecero la loro brava parte di danni scorazzando su e giù per le steppe e per l'Europa, insegnando ai Germani - già in evoluzione e in espansione per conto loro - che "uniti si vince, da soli non è bello". E l'impero romano d'occidente cadde infine, a causa delle invasioni barbariche.
E qualcuno dirà che dopotutto non si tratta poi di una teoria così nuova, e che qualche dubbio che le invasioni barbariche ci avessero messo lo zampino, nella caduta dell'impero romano, circolava già da tempo negli ambienti storici - così come in parecchi tendevano a pensare che l'impero romano era caduto principalmente perché si era dimostrato meno forte dei suoi nemici, in base alla vecchia teoria che "di solito chi è più forte vince, e l'altro perde".
In realtà qualcosa di nuovo c'è, nel senso che almeno o per la prima volta ho letto uno studio approfondito sull'impero unno e sull'evoluzione degli usi e costumi e politiche germaniche in quel  secolo tanto movimentato che va dagli anni di Adrianopoli alla deposizione di Romolo Augustolo; naturalmente è uno studio approfondito che va avanti a frammentini, briciole e schegge faticosamente incollate con tanti periodi ipotetici e tanti buchi nella trama, però è comunque molto interessante.

L'autore appartiene alla scuola degli storici inglesi, che ritengono loro dovere esprimersi in uno stile comprensibile, chiaro e amichevole, evitando deliberatamente di tirar scemo il lettore a ogni singola frase e accumulando la pedanteria soprattutto nelle note (che hanno soprattutto lo scopo di spiegare al lettore specialistico o particolarmente interessato come ripercorrere il percorso che ha portato a questa o quella conclusione). In tanti han lodato la sua squisita scorrevolezza e brillantezza, e probabilmente considerando la materia ha fatto davvero miracoli. Tuttavia, via via che si assemblano le schegge e le briciole, quando di ogni briciola è data una accurata analisi storico-filologico-bocciofila, la scorrevolezza non sempre è proprio così totale - mentre la parte introduttiva, dove si viaggia su fonti più solide e soprattutto più abbondanti e si possonop fare discorsi più distesi, va davvero giù come acqua di fonte. Di sicuro comunque Heather riesce a coniugare chiarezza e precisione - e anche un notevole disappunto perché la fonte che sarebbe davvero più utile per sdipanare questo o quel groviglio regolarmente manca e al più si riesce a intravederla per speculum in aenigmate (e nell'alto medioevo, sotto questo aspetto, andrà pure peggio).

Con questo post partecipo in sempre più totale anarchia al Venerdì del Libro di Homemademamma, che al momento latita assai, e auguro buone letture e soprattutto vacanze molto rilassanti a chiunque passi da queste parti.

giovedì 29 luglio 2021

Haeretica - Migrazioni umane e confronti cinofallici

Sappiamo che Attila aveva un atteggiamento molto assertivo verso la vita

Al giorno d'oggi i manuali di storia delle medie si sentono moralmente obbligati a fare richiami e approfondimenti alla società contemporanea.
Fermo restando che questa è una parte che andrebbe lasciata all'insegnante - perché il mondo è mutevol cosa per definizione, e quindi i confronti che si presentano più opportuni cambiano di anno in anno in modo assolutamente imprevedibile*, un approfondimento sensato e fatto con criterio non morde e sarà pur sempre una utile risorsa per l'insegnante (o anche solo per il singolo alunno che si sfoglia il manuale per conto suo) che deciderà in proprio se occuparsene o meno. 
Purtroppo però la gran parte di questi confronti sembra  fatta senza criterio alcuno.
Tanto per citare Vivi la storia!, manuale di cui già gran bene ho avuto occasione di dire, i primi due li ho trovati davvero agghiaccianti.
Editto di Rotari; ed ecco che parte l'approfondimento per spiegare come qualmente oggi si approva una nuova legge in Italia.
Per carità, se proprio un alunno fa una domanda specifica in proposito è giusto  rispondere (molto a grandi linee), fermo restando che tutta la trafila di approvazione di una legge in un moderno sistema costituzionale non è proprio adattissimo a coinvolgere degli undicenni. Ma, insomma, l'editto di Rotari non era se non in minima parte una nuova legge: al contrario, si trattava di mettere per la prima volta in forma scritta un diritto nato per consuetudine - e allora, se proprio davvero vogliamo tirare in ballo il confronto con la società contemporanea, ci sarebbe magari qualcosa da dire sul diritto consuetudinario (che esiste ancora, ed è molto importante) e magari sulla Costituzione inglese, che a tutt'oggi non è scritta in forma completa ed è nata appunto per una serie di consuetudini accumulate a partire dall'XI secolo, ovvero dall'arrivo dei normanni.

Peggio che peggio l'altro esempio: un confronto, nientemeno, tra le migrazioni dei popoli barbari... e i migranti che arrivano in Italia in questi anni.
Qui non c'è solo un confronto fuor di luogo, ma che alla fine non morde e al massimo addormenta. Al contrario, c'è proprio un confronto tossico. La stravagante teoria che proclama che i barconi che approdano malamente a Lampedusa portano truppe di invasione è una roba che in una classe onorata non andrebbe sfiorata nemmeno col pensiero, e pazienza se nei centri sociali dell'estrema destra ne parlano, mi sembra davvero un caso da "lasciamo stare i bambini", che a undici anni difficilmente sono appassionati alla questione - e se lo sono, di solito lo sono perché se ne parla in famiglia, e meno ci si mette in contrasto apertamente con il modello educativo delle famiglie e meglio è, quando i ragazzi sono così giovani.
Ad ogni modo, da una parte abbiamo qualche centinaia (a volte qualche decina di centinaia, ma sempre e comunque alla spicciolata) di uomini, donne e bambini di varia provenienza che nel migliore dei casi sbarcano un po' straniti e a volte piuttosto malandati e non hanno con sé armi - qualcuno per restare in Italia, molti per andarsene altrove; dall'altra intere popolazioni con carri, provviste e bestiame al seguito e truppe di dieci-quindicimila armati guidati da uno o più re che vengono con intenzioni più o meno invasive e, come si usa dire in questi casi, con un progetto comune - o, quanto meno, con un itinerario comune.Quasi sempre via terra, ma questi son dettagli.
Certo, fai il confronto e dici che sono cose diverse.
Il punto è che sono veramente due cose diverse. E' come fare un paragone tra un colpo di stato militare e un referendum per una scissione politica del territorio; è verissimo che sono due cose diverse, e infatti non c'entrano nulla tra loro.

Già che ci sono ne approfitto per agganciarmi a un curioso dibattito storiografico attualmente in corso (spero solo in Italia) appunto sulle invasioni barbariche (di cui però va detto che Vivi la storia! è del tutto innocente).
Tale dibattito parte dalla constatazione che, al momento delle prime, vere invasioni (in sintesi: l'arrivo improvviso dei due popoli germanici tervingi e greutungi al confine dell'impero romano che chiedevano accoglienza in modo assai insistente nel 376), già da tempo i romani accoglievano o si procacciavano mediante deportazione gruppi piccoli o medi di popolazioni germaniche stanziati vicino al confine dell'impero, arruolandoli o usandoli come contadini.
Secondo alcuni curiosi individui, non troppo usi forse a frequentare libri di storia di una qualche qualità, questo deplorevole uso romano di flirtare con il potenziale invasore portò al disastro di Adrianopoli e in seguito alla caduta dell'impero romano. E dunque non va bene per noi accogliere i migranti sui barconi.
A questa strampalata corrente di pensiero se ne contrappone una seconda, composta se non altro in parte da persone che qualche volta e in un qualche momento della loro vita una scorsa a qualche libro di storia tardoromana l'han data (pur se, vien da dire, senza gran costrutto) che sostiene che per molto tempo il sistema funzionò a meraviglia e che infatti l'impero romano è stato a lungo una fiorente società multietnica (entrambe affermazioni senz'altro valide, all'attuale stato delle nostre - tuttora scarse - conoscenze del periodo); e che dunque accogliere i migranti non comporta per noi alcun pericolo e anzi è nostro dovere e fonte di salvezza.

Fermo restando che sul fatto che è nostro dovere (come ci dice la Costituzione) sono d'accordo, e che al momento grossi pericoli non ne vedo neanch'io all'orizzonte, entrambi i ragionamenti mi sembrano parimenti accampati per aria e basati su presupposti piuttosto balordi - per tacere del fatto che il collegamento tra orde barbariche e barconi di migranti stressati mi sembra all'altezza di quello che legherebbe il culo con le quarant'ore, e visto che il blog è mio e lo gestisco io ne approfitto per spiegare perché tutti costoro mi sembrano delirare, da una parte come dall'altra.

E' verissimo che l'impero romano è stato a lungo una fiorente società multietnica, e qualsiasi manuale (compreso il tanto da me deprecato Vivi la storia!) lo afferma senza mezzi termini. Del resto, impero giapponese a parte - che, come tutto ciò che è giapponese funziona con regole tutte sue - gli imperi sono sempre stati per definizione società multietniche, altrimenti si chiamerebbero regni monoetnici. Qualche volta han funzionato bene, qualche volta male, ma quello sono. E, molto spesso, questi imperi funzionano che tutti sono abbastanza uguali ma l'etnia fondante dell'impero è molto più uguale delle altre, anche se può includere larghe percentuali di altre etnie, purché ben addomesticate  agli usi e costumi dell'etnia dominante. Nel caso dell'impero romano, infatti, non importava se eri greco, numida, tervingio o quant'altro, se facevi (o meglio, se tuo figlio cresciuto in ambiente romano faceva) il normale corso di studi e di formazione romana, potevi arrivare anche alle cariche più alte ed eri un romano a tutti gli effetti; altrimenti potevi scegliere di restare nella zona grigia, mantenere usi e costumi e lingua della tua gente e venivi usato per la manovalanza.
E' altrettanto vero che i piccoli contingenti di barbari venivano spesso accolti, e talvolta anche cercati, quando appunto serviva un po' di manovalanza supplementare - soprattutto nell'esercito, che a partire dal III secolo era spesso a corto di personale perché erano aumentati i nemici (cioè i persiani rompevano assai).
Il massiccio arrivo di turvingi e greutingi (causato da un vivo desiderio di queste popolazioni di sfuggire agli unni, piombatigli addosso all'improvviso come disgrazie) era però un caso molto diverso, principalmente perché stavolta i barbari erano davvero tanti.
Le fonti non sono facilissime da interpretare, ma quel che appare chiaramente è che, mentre fino a quel momento i romani facevano grandissima attenzione a rispettare un protocollo che mettesse sempre i barbari in condizione di assoluto svantaggio, stavolta il protocollo saltò, principalmente perché i richiedenti asilo erano davvero troppi per essere gestiti nel solito modo. E insomma entrarono, scorazzarono e non si riuscì a fermarli. Il risultato finale fu la battaglia di Adrianopoli.
Col tempo, la pazienza e un grande uso delle armi si finì per venirne a capo in un qualche modo. Quando però tutto sembrava riavviato verso il meglio, arrivarono gli unni - anche loro tanti, ma anche molto ben armati e con tecniche di guerra più efficienti di quelle delle popolazioni di origine germanica. Da lì l'impero non riuscì più a riprendersi, anche se in più di una occasione  sembrò che le cose si fossero riavviate per il meglio.
In pratica, le migrazioni diventarono pericolose quando smisero di essere migrazioni alla spicciolata e diventarono invasioni. Tuttavia, con le invasioni i romani non flirtarono proprio per niente - semplicemente i nemici erano troppi (e continuava in più ad esserci l'onnipresente problema dei persiani). 
L'impero romano quindi non cadde per eccesso di ospitalità o soverchio buonismo, cadde perché venne sconfitto dopo aver tentato di resistere con le unghie e con i denti.

Due considerazioni si affacciano, in questa curiosa discussione che avrebbe la pretesa di avere qualcosa a che fare con la storia:
1)Ma tutti quei popoli al confine, non si poteva pensarci prima e sorvegliarli con più attenzione invece di fidarsi tanto?
Beh, tutti quei popoli al confine per molto tempo non c'erano. Forse i romani avrebbero dovuto sorvegliare meglio non tanto la frontiera (quello lo facevano già) quanto i territori interni - anche se, naturalmente, è molto facile dirlo standosene in poltrona a fare la calza in un mondo dove i social ti mettono in contatto quando vuoi con buona parte del globo terracqueo. All'epoca si viaggiava a piedi o a cavallo, fuori dall'impero le strade erano quel che erano... e soprattutto le infinite e piccolissime popolazioni germaniche solo raramente avevano dato dei veri problemi, e in quelle rare occasioni erano state ben rimesse in riga. Che senso aveva preoccuparsi di quattro straccioni accampati più o meno in prossimità del confine?
In effetti, forse avrebbe avuto senso, considerando che nel corso delle generazioni anche gli straccioni si evolvono e imparano a confederarsi eccetera. Magari si può dire che fra le concause della caduta dell'impero romano c'è anche stata la convinzione dei romani che "tanto da lì grandi problemi non ne venivano". Un eccesso di confidenza, forse. Ma, di sicuro, non un eccesso di ospitalità.
2) Ma tutta questa confidenza, non spingeva i barbari ad andare nell'impero, dove tanto sapevano che sarebbero stati ben accolti?
Non so, a me sembra piuttosto normale che, dal momento che l'impero romano era là, non troppo lontano, i germani pensassero di andare lì piuttosto che dagli atzechi. E d'altra parte dalla zona in cui si trovavano i barbari era abbastanza difficile andare da qualche parte che non fosse l'impero romano o il Polo Nord. 
Va comunque riconosciuto che i romani non cercavano in alcun modo di tenere nascosta la loro esistenza, e nel caso dei germani sarebbe stato invero piuttosto complicato, dopo essersi tanto azzuffati sui confini con loro.

In conclusione: la tarda antichità e l'alto medioevo sono epoche assai interessanti da studiare per moltissimi motivi, ma l'utilità di questo studio per affrontare certe questioni strettamente contemporanee mi sembra abbastanza discutibile.

* Vogliamo parlare degli infinitissimi approfondimenti su peste del Trecento e la peste ne I promessi sposi nonché sull'improvvisa ondata di spagnola dopo la prima guerra mondiale che in tanti abbiamo fatto, spesso anche a gran richiesta della platea, negli ultimi 18 mesi, laddove fino a due anni fa si trattava di argomenti che riscuotevano sì un certo successo di pubblico, ma offrivano scarsissimi raffronti con la vita quotidiana contemporanea?

venerdì 23 luglio 2021

Il giardino dei musi eterni - Bruno Tognolini


Dove vanno i nostri amici non umani dopo la morte? Sì, sappiamo cosa succede alle loro spoglie mortali: smaltite dai veterinari oppure affettuosamente sepolte in qualche giardino, talvolta cremati e conservati amorevolmente dai loro umani in scatole o urne - oppure, in certe città, portate in qualche piccolo cimitero a loro dedicato.
Ma per loro, c'è anche qualcosa dopo la morte? Che ne è della loro anima?
Il giardino dei musi eterni suggerisce una risposta per questa domanda; ed è ambientato appunto in un piccolo cimitero dedicato agli animali di affezione.

La protagonista è Ginger, una splendida maine coon a pelo semilungo, morta di vecchiaia a 17 anni che appunto in quel cimitero si risveglia, e impara che sì, c'è vita dopo la morte. Eterna e infinita. E che lei adesso è diventata una Animam, ovvero qualcosa di molto più esteso della micia che era prima: mantiene la sua identità ma non ha più confini e può espandersi al di là del tempo e dello spazio sciogliendosi nel Tutto ma restando sé stessa. Diciamo che è una post-vita di concezione orientale, descritta in modo molto affascinante. 
Si fanno giochi che nemmeno l'agile corpo di una maine coon consentiva in vita e si stringono amicizie con altri animali di altre specie - cani e gatti, certo, ma anche cavalli, tartarughe, uccelli, pesci, porcellini, cavie e via elencando, perché ormai non si è più limitati né dall'Io né dalla propria specie. Si mantengono tuttavia le competenze sviluppate nel corso della convivenza con gli umani - a seconda dei casi informatiche, burocratiche, linguistiche e qualt'altro.
Non è una esistenza del tutto distaccata dalla ormai trascorsa vita mortale: perché ci sono mortali che riescono a vedere questi fanta-animali e a parlarci - umani, ma non solo. C'è una libertà infinita. C'è lo spazio infinito tutto intorno. Si possono vivere vite di altri animali, ma anche diventare nuvole, vento, luce. La pioggia non bagna ed è anzi molto piacevole per uno speciale solletico che fa, il freddo e il caldo non sono più un problema. Ospiti di lusso nell'universo, gli Animam conducono una vita estremamente piacevole.
Un concetto di vita-oltre-la-morte davvero suggestivo, direi anche invidiabile.

C'è una storia, naturalmente. Anzi, ci sono diverse storie intrecciate.
E' nello stesso tempo un romanzo di formazione, di avventura, un fantasy e anche un giallo con venature horror - oltre che una storia di animali, che è un sottogenere non classificato ma che attraversa la letteratura da almeno due secoli. E siccome è una trama piuttosto particolare e ben costruita non la racconterò. Dico solo che c'è un lieto fine - ma questo si può facilmente immaginare già dalle prime tre pagine: quello splendido clima di serenità e di luce che avvolge tutto il romanzo, come potrebbe portare altro che a un lieto fine di quelli davvero appaganti?
Un lieto fine, aggiungo, con un piccolo spiraglio per sviluppi futuri: perché in quel bel giardino pieno di Illuminati, c'è qualcuno più illuminato degli altri: le tartarughe. Chissà se Bruno Tognoli ha letto Pratchett? Sospetto di sì. Ma non è detto, perché le tartarughe sono animali Illuminati  e simboli di saggezza in molte culture, non solo in qualche occasionale romanziere inglese.

E' un romanzo corale, ma c'è anche una Protagonista. Una eroina, vien da dire. Una vera eroina di stampo tradizionale, non una di quelle eroine moderne in perenne crisi identitaria, smangiate da dubbi e dolori e complicazioni. No, Ginger è una vera eroina di stampo classico, come usavano nei romanzi dell'Ottocento. Bellissima, prima di tutto. Ma anche intelligente, osservatrice e capace di eccellenti deduzioni. Coraggiosa e salda di animo. Dotata di un carattere discreto, felpato, elegante. Abbastanza educata da cercare di non far capire quanto in cuor suo se la tiri per essere una maine coon purosangue; diciamo superba con discrezione, ma anche affettuosa e gentile. Un po' riservata. E' una gatta, dopotutto. E sì, sappiamo tutti che ci sono gatti espansivi, quasi un po' invadenti, pronti a fare amicizia con chiunque; ma sappiamo anche che non tutti sono così. Lei, per esempio.
Poi c'è Orson, un grande cane bianco molto intrinsecamente cane: sappiamo tutti che ci sono cani scontrosi e riservati, ma Orson è un cane di stampo tradizionale, molto amichevole e affettuoso - e insieme a Ginger forma una coppia imbattibile.
Poi c'è la saggia tartaruga Mama Kurma.
Il classico trio, insomma: il Buono, l'Intelligente, il Saggio. Trasportato sugli animali funziona davvero bene, ho notato. Più una folla davvero ben fatta di personaggi minori.

In sintesi: una bella storia, scritta bene, dal tema insolito e molto rasserenante. Può andare bene a qualunque età, soprattutto se di recente avete perso qualcuno di caro, non necessariamente a quattro zampe.

Con questo post partecipo in assoluta autonomia al Venerdì del Libro di Homemademamma che, chissà, forse dopo l'estate potrebbe ritornare, e auguro buone vacanze e buone letture a tutti.

martedì 20 luglio 2021

La storia medievale (quella che si fa alle medie)


Incredibile ma vero, in venti e passa anni di onorato servizio ho fatto solo tre volte storia medievale in prima. La terza volta è stata quest'anno.
Nei miei primi anni, quelli delle supplenze brevi ma anche della prima supplenza annuale,  in prima si faceva ancora la storia dall'antichità al 1300. In seguito la ministra Moratti cambiò la scansione dei programmi, in un modo a mio avviso molto sensato, facendo partire le prime appunto dalla caduta dell'impero romano d'occidente. Fino a quel momento dunque la storia medievale era molto compressa, e per certi aspetti la cosa era abbastanza comoda.
In seguito mi sono ritrovata una gran quantità di volte a fare la storia moderna e contemporanea, ma di quella medievale si occupava sempre qualcun altro. Casi della vita.

La prima di queste tre volte avevo il mio fido manuale I nodi del tempo. Il primo volume non è probabilmente il migliore dei tre, ma è senz'altro e di gran lunga il migliore manuale di storia medievale post-riforma che mi è passato tra le mani.
Inoltre avevo una classe di fulmini di guerra che, tra l'altro, adoravano storia. E andò tutto benissimo.
C'è stato poi un altro anno, ma finii all'ospedale dopo Natale e dunque diciamo che non conta. E poi avevo appena finito i vichinghi, cioè avevo fatto quella parte dove in qualche modo ci si arrangia sempre perché si suddivide bene in argomenti.
Quest'anno avevo una Prima decisamente Capricciosa e un manuale... d'accordo, sono ben consapevole che assemblare un manuale di storia medievale è una roba davvero difficile, e che quindi chi si attenta all'impresa ha diritto a molta comprensione, ma davvero, non so immaginare un qualche tipo di utilizzo per il primo volume di Vivi la storia!
Non serve per alimentare il fuoco perché è carta patinata e colorata e fa un fumo sgradevole (almeno immagino, perché in effetti non ci ho provato).
Non costituisce una valida alternativa alla carta igienica perché è dura, patinata ecc.
Non è un buon supporto se hai un tavolo con le gambe diseguali perché si sfascia solo a guardarlo. Per lo stesso motivo non funziona bene come corpo contundente.
E come manuale di storia medievale è del tutto improponibile.
Non vi dico la sofferenza.

Dicevo, il medio evo. Studiarne la storia è davvero complicato. Spiegarla, peggio che mai.
Spiegarla quando ne sai tanta avendola studiata con amore e dedizione e appassionandoti a tutti i più strani particolari, è ancora più complicato.
Il Medio Evo è un periodo anarchico per definizione, pieno zeppo di gente che la mattina si alza e decide di fondare un nuovo stato.
Che poi, "stato". Andiamoci piano con queste parole. Dici "stato" e i fanciulletti implumi che hai sotto gli occhi si immaginano una roba moderna: una classe dirigente, un sistema legislativo, una certa unità di intenti, per le meno dei confini attendibili. Qui abbiamo davvero di tutto: proprietà private, territori dominati da una qualche popolazione (magari assemblata con scarti e resti di altre), libere associazioni, gente che la mattina si sveglia e dice "lo stato sono me (o anche: siamo noi)", gente che arriva in gruppo e stabilisce "da oggi qui è roba nostra", altra gente che dice "Questa è roba nostra perché 866 anni fa l'imperatore ha scritto così, eccovi l'atto autografo" "Ma è scritto in inglese, a quei tempi l'inglese nemmeno esisteva!" "C'è la sua firma, e più non dimandare".
Popoli che cambiano nome, popoli che cambiano composizione, popoli che cambiano lavoro:  "Sì, abbiamo fatto i pastori nomadi per tremila anni. Ieri c'è venuto l'animo invasivo e abbiamo deciso di invadere il primo posto dove passavamo. Problemi?".
Re dappertutto, come se piovesse. Dici "re" e i fanciulletti di cui sopra si immaginano un tizio con la cappa di ermellino e l'aria grave che siede su un trono per dare udienza e tiene in testa una corona d'oro con le pietre scintillanti (un tipo di copricapo che peraltro entra in uso proprio nel medio evo), ma il Protocollo Identificativo del Re è decisamente vago. 
Sei un re se ti hanno eletto per alzata di spada i duecento guerrieri di una tribù di seicento persone scarse che viaggiano con i cammelli al seguito. Sei un re se nominalmente comandi tutta la Francia ma guai a te se ti azzardi a spadroneggiare fuori dal tuo feudo personale, e qualche volta anche lì ci possono essere dei problemi. Sei un re se guidi una orda (termine generico quant'altri mai) di cento o duecentomila persone. Sei un re se hai in tuo bravo fazzoletto di terra dove qualche centinaio di persone ti riconosce come re. Sei un re se hai conquistato un territorio e l'esercito che guidi ti proclama re. Sei un re, anche, se lo storico non sa in che cazzo di altro modo definirti (e succede spesso). E qualche volta sei anche un re con una grande cappa di ermellino, il trono scolpito, la corona con le gemme  e un gran territorio dove tutti scattano appena alzi un dito.
E il re può pagare i suoi uomini di fiducia in soldi, in bottino, in terre, in gioielli e anche in banchetti. Dipende.
Fondi un regno, magari anche un grande regno. Vent'anni dopo, del tuo regno non c'è più traccia e nessuno si è nemmeno preso il disturbo di scrivere quando il regno è stato sciolto - forse anche perché quel giorno non lo ricorda nessuno. Tra l'altro l'alto l'alto medioevo rappresenta un caso abbastanza curioso dove la storia la scrivono spesso i perdenti, vuoi perché loro sanno scrivere e i vincitori no, vuoi perché anche quando scrivono i vincitori si preoccupano soprattutto di mettere su carta improbabili leggende spacciandole per storie e gli unici che hanno almeno una vaga idea di cosa sia la storiografia sono i perdenti - che col tempo lo dimenticano e cominciano a scrivere leggende pure loro.
E poi ci sono regni non riconosciuti da alcuno che prosperano per decenni e per secoli e nessuno che gli va a rompere le scatole (buon per loro).
Ci sono anche un sacco di repubbliche: città con principi, anche part-time, città con sovrani, città gestite da assemblee. Città che fanno parte di regni e di imperi, ma sono repubbliche. Città che riconoscono ufficialmente di far parte di un regno o di un impero, ma guai se il sovrano in carica prova a ricordarglielo. Repubbliche, repubbliche ovunque.
I confini si spostano, le aree di influenza si spostano, tutto si sposta a gran velocità, in particolare le popolazioni, in barba al fatto che le strade fan sempre più schifo. Tra l'altro le orde hanno un modo tutto loro di gestire la viabilità.
E c'è pure la Chiesa, sorta di universo parallelo che quasi dappertutto ha la sua bella quota di territori, spesso dotati di grandissime esenzioni, e dove può gestire le cose a modo suo. Monasteri, pievi, diocesi, vescovadi. Grandi quantità di città gestite da vescovi.
Un delicato accenno allo Stato della Chiesa non basta certo, e comunque anche lo Stato della Chiesa, che prende forma lentamente, guarda un po' funziona a modo suo, specie nei primi tempi.
Chiaramente, nemmeno all'esame universitario pretendono che tu sappia tutto su tutti i territori d'Europa e i regni e imperi islamici e l'impero romano, che per comodità viene chiamato "bizantino" e i regni crociati. Non è umanamente possibile, e figuriamoci se si può pretendere ciò da una povera creatura di dodici anni, minimo minimo ti denunciano alla corte europea per i diritti dell'uomo. Giustamente, aggiungo.

Come si fa a organizzare tutto questo in modo da non annoiare troppo i fanciulletti implumi? Sono giovanini, hanno undici anni, non sanno molto di istituzioni in generale, e quanto alle istituzioni medievali, figurarsi (del resto, spesso non ne sa quasi niente nemmeno chi ha fatto il manuale, quindi non si vede proprio come potrebbero i ragazzini farsi una preparazione in materia) . 
Spesso non sono nemmeno granché bravi a esporre. Qualcuno se la cava bene, qualcuno si arrangia come può mandando le cose  a memoria, qualcuno cede le armi e stabilisce per principio che la storia gli fa schifo - e questa è una cosa che andrebbe evitata il più possibile.
L'anno dopo e due anni dopo sarà tutto più facile: gli eventi si incatenano meglio, sono meno (e abbiamo meno stati); impostare un raccontino che plachi il professore sarà più facile. Loro, tra l'altro, miracolosamente saranno diventati molto più capaci a orizzontarsi, perché nel frattempo sono cresciuti e il loro implume cervellino si è assai evoluto e gli permette di fare cose che prima nemmeno avrebbero immaginato.
E tutto ciò ci fa molto piacere, ma come ce la caviamo in prima media?
Quando hai un manuale che a te pare orrido e una classe dove quasi tutti hanno deciso che la storia non gli piace prima ancora che tu abbia pronunciato una sola parola su quella materia?
E per giunta non sembrano avere la benché minima idea su come si imposta un racconto?

Dopo un anno di lotta all'arma bianca, ho sviluppato una nuova teoria che ho tosto trasformato in tecnica: isolare qualche tema da sviluppare nel dettaglio, e alternarlo a avvenimenti particolari che si possano esporre ricorrendo alla buona, vecchia tecnica del chi-come-dove-quando-perché eccetera. Per l'occasione ci ho aggiunto anche protagonista, antagonista e aiutante, come nelle favole. 
Esercizi di compilazione: "Scrivete tutte le parole evidenziate in neretto, poi provate a collegarle in un testo". Oppure "Scrivete tutte le date in ordine cronologico, e spiegate a cosa si riferiscono".
I nodi del tempo ha una praticissima serie di esercizi che aiutano splendidamente a sintetizzare e raccontare. Qualche volta spiego in sintesi un capitolo, poi dico "Riguardatevi bene i riassunti delle colonne a lato del testo, poi fate gli esercizi del capitolo e li correggiamo insieme". Funziona benissimo, perché alla fine sono stati costretti a rileggersi almeno tre volte il capitolo in sintesi e quindi i punti principali, che qualche volta tra l'altro sono davvero pochi, gli sono entrati in testa per forza di cose. Ma Vivi la storia! ha un concetto degli esercizi che mi fa rimpiangere i bei tempi in cui c'era la pena di morte. Il principale e più usato è "sottolinea le righe che rispondono alla domanda o parlano di questo e quello". Un bell'approccio costruttivo, e davvero aiuta molto ad autonomizzare il ragazzo. Alla faccia della storia laboratoriale, ma almeno ripetere con parole proprie il fatto che X ha barcocchiato ben bene Y, in prima media, vogliamo metterli in condizione di farlo?
E così mi sono ritrovata ad assegnare esercizi di comprensione del testo (che tra l'altro non è nemmeno il massimo della comprensibilità) e a risentire storielline più o meno ben formulate. Si chiama, mi sembra, lavorare sulle competenze di base. Una roba utile, non lo metto in dubbio, ma storia dovrebbe essere una roba un po' più sofisticata. Credevo.

E ho cominciato a vagare per la rete a caccia di materiali di appoggio.
Senza la mia cara piattaforma non sarebbe stato possibile. 
E tuttavia la rete non mi è stata di troppo aiuto, stavolta. Video brevi e carini sulla storia medievale scarseggiano. In italiano, intendo. Ci sono solo molti coraggiosi insegnanti che scodellano lezioncine insulse. 
Il punto è che una lezioncina insulsa gliela posso fare anch'io. Mi servirebbero graziose lezioni rutilanti di effetti speciali. Ma per la storia medievale non c'è quasi nulla. In inglese invece ci sono cose deliziose.
Ma se  la Prima Capricciosa fosse in grado di seguire un video simpatico in inglese... allora, semplicemente, non sarebbe la Prima Capricciosa*, e probabilmente non gli servirebbe il cucchiaino.
Ma, davvero qui è il caso di dirlo: con i se e con i ma non si fa la storia!

Dicevo, il manuale.
Naturalmente questo manuale è fatto particolarmente male, ma risente di problemi che accomunano diversi manuali di storia medievale delle medie: in pratica, sono spesso manuali delle superiori semplificati. Male. 
Visto il risultato, mi viene da dire che probabilmente anche il manuale delle superiori su cui Vivi la storia! si è basato presentava le sue brave zone d'ombra, ma a fare il processo alle intenzioni siam buoni tutti, e magari era un manuale bellissimo. Chissà.

All'inizio comunque non va male:  prima cade l'impero romano, poi abbiamo, in ordine di comparsa: Giustiniano e la guerra greco-gotica, il monachesimo, l'arrivo dell'islam, i longobardi e infine Carlomagno che rifonda l'impero, o almeno ne è convinto. In qualche modo ci si arrangia.
Poi c'è la gran questione della crisi dell'impero carolingio e dei feudi ereditari, ma insomma basta saltare. L'impero carolingio scompare, i feudi diventano ereditari. Fine della lezione.

Per fortuna, da qualche tempo è invalsa l'abitudine di dedicare un capitolo alle Grandi Invasioni del X secolo: ungari, saraceni e vichinghi. Di per sé è una buona cosa: i vichinghi sono un argomento che si spende molto bene in classe, e agli ungari attacchi senza difficoltà l'arrivo del Sacro Romano Impero Germanico (d'ora in poi, più confidenzialmente "impero").
Ma poi arriva la frantumaglia: un gran pastone di roba senza capo né coda, prestando grandissima attenzione al  Contrasto tra Papato e Impero - che è una roba estremamente sopravvalutata, secondo me: alla fine si tratta di dire che, a seconda dei casi, a volte conta di più l'uno oppure l'altro, e a conti fatti secondo me non contano mai molto né l'uno né l'altro, ma hanno un grosso ufficio stampa alle spalle. Comunque, è tutta roba cui i ragazzi non si appassionano granché e, santo cielo, spiegata in quel modo non posso proprio dargli torto.
E così decido di uscire dal pastone applicando il sistema illustrato all'inizio. Ed ecco come ho proceduto quest'anno:

Lotta per le investiture. 
Si tratta di un argomento molto sopravvalutato, ma l'episodio di Enrico IV che aspetta nella neve per tre giorni si spende bene, e tutto il gioco di ruolo che c'è dietro serve a spiegare come funzionavano certe cose - per esempio che il potere di una scomunica non stava nella forza del papa quanto nel potere dello scomunicato, e infatti un sacco di sovrani vennero scomunicati senza subirne il minimo danno - caso classico Federico II che probabilmente nella cancelleria teneva un faldone dedicato ma non si preoccupava granché della questione.

La cavalleria. 
Normalmente i manuali, davvero non so perché, la piazzano nei punti più strani ma sempre in netto anticipo rispetto a quando è arrivata davvero. 
Intendiamoci: la gente combatte a cavallo dalla notte dei tempi, o almeno da quando è stato domesticato il cavallo; ma qui si parla della cavalleria medievale, quella dove pochi fanciulli di nobile stirpe seguivano un complicatissimo addestramento per andare a combattere a tastoni con addosso degli stranissimi elmi - e quella entra in scena nell'XI secolo, massino alla fine del X, non dopo la caduta dell'impero romano o con l'arrivo di Carlomagno. 
E allora: cavalleria, incastellamento, corti feudali, amor cortese, poemi cavallereschi, crociate spagnole, crociate in Terra Santa, già che c'ero ci ho messo anche la Crociata contro gli Albigesi. In pratica, la Costellazione crociata, pellegrinaggi compresi.

Grande dilemma: farla prima o dopo la rinascita del Mille e le città? 
Quest'anno l'ho fatta prima. Perché c'erano già stati vichinghi e normanni. Ma sono fenomeni contemporanei.
Il punto è che la cavalleria mi sembra, ideologicamente, più vecchio stile mentre le città mi sembrano più moderne. 
E' un pregiudizio, dovrei rimuoverlo. Dopotutto, sono due facce della stessa medaglia.
Magari l'anno prossimo faccio prima la Rinascita del Mille.

La Rinascita del Mille  ha sempre un bel capitolotto dedicato. In Vivi la storia!, va detto, fa abbastanza pena, ma di solito è piuttosto buono.
Dunque: rivoluzione agricola, disboscamento, nascono le città e gli ordini mendicanti (con un piccolo, piccolo cenno alle eresie).
Le città, devo dire, sono un tema un po' sottovalutato in tutti i manuali. Nell'Italia settentrionale abbiamo avuto i Comuni e quindi ci si occupa soprattutto di quelli. Ma nel medioevo convivono città di molti tipologie, e ci vorrebbe un bel capitolo dedicato che illustra questi tipi uno per uno: città autonome, città-stato, città universitarie, porti franchi, repubbliche marinare, città mercantili, città rigorosamente sottomesse al potere centrale ma con la loro brava rappresentanza in parlamento (ci sono un sacco di parlamenti nel medio evo, e molta più rappresentanza di quel che oggi siamo abituati a pensare. Il modello del Grande Feudatario Maleducato andava molto meno di moda di come  risulta dai film moderni). 
Comunque sono riuscita ad attaccarci la libera città di Novgorod e Aleksandr Nevskij, la storia di Federico Barbarossa con i comuni della Lega Lombarda, e pure la Lega Anseatica.  A quel punto avevano già sentito parlare dei cavalieri teutonici e pure di Barbarossa, annegato ingloriosamente in una crociata, quindi li hanno collegati senza troppi problemi (Barbarossa che annega, ho notato, resta molto impresso, anche perché tutti se lo immaginano che va giù come un sasso per colpa dell'armatura, e nei disegni dell'epoca sembra proprio che andasse così).
Si può fare una sezione a parte dedicata alla battaglia di Legnano (che tra l'altro viene citata anche nell'Inno d'Italia ma se si fa conviene ricordare che è uno dei tantissimi episodi secondari della storia medievale, anche se per chi ci si trovò in mezzo fu molto importante.

Poi siamo passati a cose un pochino meno corpose.

Federico II
personaggio piuttosto interessante, da affrontare soprattutto sul piano culturale. Scuola siciliana, il trattato della caccia al falcone, Castel del Monte, la crociata senz'armi... davvero ce n'è da dare e da serbare.

La Magna Charta.
Tutti i manuali, da sempre, dedicano il loro dignitoso paragrafino alla Magna Charta. Quasi mai comunque si ricordano di spiegare che è una delle grandi conseguenze della ignoratissima (da noi) battaglia di Bouvines.
Di battaglie, nei manuali moderni di storia medievale, si parla poco e così i ragazzi finiscono per convincersi che le battaglie nel medio evo sono come tutte le battaglie e non un gioco di società condotto usualmente tra quattro gatti. Un bell'approfondimento sulla battaglia di Bouvines (e le sue notevoli conseguenze) permette di approfondire diversi temi: la tregua di dio, per esempio, il tema della Famiglia (visto che i Plantageneti erano una piovra che si espandeva per mezzo continente), la condizione femminile con Eleonora d'Aquitania, il tutto profittando del fatto che, grazie alle varie versioni di Robin Hood tutti i ragazzi hanno almeno sentito parlare (e cantare) di Giovanni re fasullo d'Inghilterra:


e da lì si passa alla Magna Charta, magari avvisando che nei primi tempi venne osservata un po' a singhiozzo, almeno per la parte dell'habeas corpus.
Quest'anno, ahimé, ho saltato Eleonora d'Aquitania che purtroppo mi è venuta  in mente solo a cose fatte.

A questo punto si può parlare della Crisi del Papato: Bonifacio VIII, la Cattività Avignonese e pure lo scisma. Non è molto complicato, si tratta di raccontare che per un certo periodo il papa è stato ostaggio francese - o meglio emanazione del re di Francia. Il palazzo dei papi ad Avignone recita benissimo e spiega tante cose. 

Poi arriva la Peste. Qualche manuale la fa meglio, qualche manuale la fa peggio, ma insomma la Peste è un gran bell'argomento, si spende benissimo e una bella carrellata di quadri a scheletri riesce sempre a rialzare il morale a tutti. Quest'anno, naturalmente, era attesissima.

A questo punto siamo a fine ma restano due argomenti piuttosto importanti: uno è la Guerra dei Cent'anni - tema ingrato quant'altro mai perché è difficile capire come inizia, ancor più come finisce e di fatto è una gran lagna. Contiene però il gran volano di Giovanna d'Arco, che si può spendere in vari modi, e se il manuale aiuta mi sembra che ci siano diversi spunti interessanti anche per l'evoluzione delle armi. 
Soffermarsi sulla guerra in sé mi è sempre sembrato tempo perso, ma è interessante scoprire quel che succede dopo o nei dintorni: fallimenti bancari, per esempio, e la Guerra delle due Rose. E ancor più è interessante ricordare che, dopo più di cento anni, la guerra si chiude senza un vero vincitore - il che volendo significa che nessuna delle due parti in causa l'ha persa, anche se entrambi ci han perso davvero parecchio tempo.

Ultima, la caduta di Costantinopoli. Si può puntare sul fascino della città impossibile da conquistare e che poi stavolta è stata conquistata oppure sull'ascesa della potenza ottomana, che assai grattacapi darà all'Europa nei primi capitoli del libro seguente.

Questa è la mia personale scaletta (di quest'anno), ma la cosa si può organizzare in tanti modi diversi, e con altri episodi.
Per esempio, siccome ci ho una certa fissazione sulle crociate, non manco mai di farle nel dettaglio perché riesco ad attaccarci un sacco di cose; ma alla fine si possono anche riassumere in dieci minuti scarni per dedicare più tempo a qualche altro avvenimento più appetibile per l'insegnante o per gli alunni.
Oppure i Vespri siciliani, che pure loro sono citati nell'inno d'Italia e si possono segnalare se non altro per la rapidità con cui una popolazione scocciata fece pulito dello straniero seccatore.
Oppure quel gruppetto di tre rivolte popolari del Trecento che da qualche anno va tanto di moda.
Eccetera eccetera eccetera.
L'importante è non impuntarsi a fare tutto perché non se ne esce vivi, e comunque è troppa roba per sperare che resti impressa.
L'ideale, mi sembra, sarebbe prevedere un po' la programmazione degli anni seguenti e impostarla in quella funzione: per esempio io li tormento sempre parecchio con la costituzione inglese, e quindi insistere sulla Magna Charta ha un suo perché.
Si tratta insomma di isolare un gruppetto di argomenti ben spendibili e per ognuno organizzarci su una lezione con l'aiuto di materiale esterno. 
L'essenziale è fare poco, ma spettacolarizzato al massimo. Per una volta, il quadro d'insieme non è molto importante perché tanto l'anno dopo cambierà tutto - ma volendo è 
una modalità che si può applicare fino a prima dell'Illuminismo.

E con una classe meno capricciosa e un manuale fatto meglio?
Si può lavorare a livello più approfondito, certo.

Se qualcuno si stesse domandando "Eh, ma il passaggio da Comune a Signoria?".
Dieci parole in croce per spiegare che, appunto, con gli anni ci fu questo passaggio: prima Comune Grosso mangia Comune Piccolo, poi nasce la Signoria. Nel mio caso, si fa l'esempio di Firenze e via. Son passaggi che succedono, e nel medio evo succedevano ancora più spesso del solito.
E se qualcun altro chiedesse "Ehi, e la nascita dello stato nazionale?" Ma è solo una moda storiografica recente. Ogni stato nasce a modo suo, e nessuno di loro sa di essere uno Stato Nazionale, a parte, forse, un pochino, l'Inghilterra.
Comunque, volendo, niente impedisce di approfondire nel dettaglio la nascita dei cosiddetti stati nazionali.

Si tratta insomma di riorganizzare il programma rassegnandosi a non farne una buona parte. Naturalmente se trovassi un manuale organizzato con criterio e che non perde tempo con insulsi concili e amenità come la rinascita ottoniana*, sarei disponibilissima a seguirlo pagina per pagina.Nell'attesa di quel giorno, credo che anche in futuro mi atterrò alla tecnica di cui sopra.

*la chiamo Prima Capricciosa in nome del politically correct. Il suo vero nome dovrebbe essere Prima Viziata, meglio ancora Prima Gnégnégné.
**tema rispettabilissimo, se svolto bene in un manuale delle superiori o meglio ancora all'università. Sperare che riesca a interessare dei ragazzi di undici anni mi sembra davvero un eccesso di ottimismo.

venerdì 16 luglio 2021

Il libro di tutti i libri - Roberto Calasso (Haeretica, nel vero senso della parola)

Nel 1988 uscì Le nozze di Cadmo e Armonia, che aveva tra l'altro una copertina deliziosa. Gli diedi una scorsa in libreria, me lo feci regalare e lo lessi con grande piacere. Oh che bello, un vero manuale di mitologia greca che non si limita ai raccontini ma prende la cosa sul serio! 
Scoprii in seguito che l'autore, Calasso, era il fondatore della casa editrice Adelphi (ai miei occhi è un gran titolo di merito). Questo mi spiegò il suo atteggiamento di riguardo verso gli dei falsi e bugiardi: era stata proprio Adelphi infatti che aveva pubblicato La sapienza greca di Colli, che in famiglia a suo tempo avevamo tanto apprezzato.

Due anni fa, prima del lockdown, intravidi anche questo libro.
La Bibbia? Un libro sulla Bibbia? Magnifico! Bastava aspettare che arrivasse in biblioteca. Non lo volevo comprare a scatola chiusa perché non ero sicura che l'argomento  i piacesse quanto quello delle Nozze (e poi, con i prezzi che hanno, gli Adelphi van sempre comprati con criterio); quindi prima leggere, in seguito decidere se acquistarlo o no.
Ma poi le biblioteche chiusero e il mondo cambiò. Però Il libro di tutti i libri restava nel quadernetto con i progetti di lettura (sì, ho un quadernetto con i progetti di lettura. Divisi pure per tematiche) e quest'anno, finita la scuola, ho pensato che fosse il momento giusto. Estate, tempo di letture sostanziose. Sono perfette quando non riesci a dormire per il caldo.
Leggendo il risvolto ho anche scoperto che si tratta dell'undicesimo volume di una serie, di cui Le nozze era il secondo, e che si occupa di... mah, non ho capito bene di cosa si occupa, ma credo che assaggerò qualcos'altro.
In più, navigando in rete, ho scoperto anche qualcosa che mi ha molto sorpreso: Calasso per molti è indigesto. Troppo colto, troppo raffinato, non si capisce mai dove va a parare, sembra molto uno sfoggio di erudizione fine a sé stesso, se la tira davvero troppo... il tipo di autore, in teoria, che mi dà l'orticaria solo a sfiorarlo come un dito.
Invece no, come a suo tempo con Le nozze mi sono piacevolmente lasciata trascinare, e forse non è nemmeno vero che non ho capito dove vuole andare a parare ma in tutti i casi mi sembra una questione secondaria.
Quindi: a me è piaciuto moltissimo, ad altri ha fatto venire l'orticaria e dunque non mi attento a suggerirlo ad alcuno. Però ne parlerò molto bene.

Dicevamo, la Bibbia. Anzi, più precisamente, il Vecchio Testamento. Che è una raccolta di libri scritti in varie epoche, raccolti in vari periodi e con vari criteri, con autore ufficiale il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe ma con altri autori materiali accreditati ed è uno dei testi sacri per gli ebrei.
Su quando e come sia stato effettivamente scritto e assemblato, Calasso non dà grandi spiegazioni (anche se qua e là qualcosa dice) e di questo non so se essere dispiaciuta o riconoscente - forse prevale la riconoscenza, visto che in tanti anni non sono mai andata a informarmi di persona.
Il Vecchio Testamento lo conosco abbastanza: mi feci regalare una Bibbia dai miei genitori quando facevo le medie, assai meravigliata che in una casa sì piena di libri proprio quello mancasse. Ripensandoci però non era così strano: i miei erano liberi pensatori ma cresciuti nella confessione cattolica preconciliare, e un buon cattolico  all'epoca faceva bene a non impicciarsi troppo nella Bibbia, al massimo poteva tenersi in casa i Vangeli.
Comunque i miei non stettero a discutere: comprarono e basta. Edizione con l'imprimatur, si capisce (e proprio in quell'occasione mia madre mi spiegò cos'era l'imprimatur) perché all'epoca trovare una bibbia di altro tipo non era molto facile.
E io lessi. Lessi parecchio, ricordo, e facendomi un sacco di domande, specie quando arrivai alla lista degli insetti leciti da mangiare e di quelli che non andavano toccati, e in quell'occasione mi trovai a considerare che ci dovevano essere diverse cose che non conoscevo della storia dell'alimentazione. Scansai con cura quasi soltanto i profeti, che mi sembravano un po' troppo lugubri e allucinati. E tutto questo gran leggere mi fu molto utile quando, molti anni dopo, mi incontrai con gli esegeti medievali, ma davvero non potevo prevederlo. Ero solo curiosa.
Per dirla molto in sintesi, trovai grandi motivi di interesse e di riflessione, ma anche parecchie stranezze; solo leggendo Calasso si è però affacciato nella mia anima innocente il dubbio che qua e là ci siano state manipolazioni, omissioni, censure e si sia elegantemente sorvolato su parecchie cose. Niente di strano, per carità, con i testi antichi succede spesso (e anche con quelli moderni, in effetti). Ma sul piano storico la Bibbia è davvero difficile da interpretare perché di riscontri esterni ce ne sono pochini, anche quando hanno scavato per cercarli. In pratica, il Vecchio Testamento ci racconta una storia parallela, diciamo alternativa, del Medio Oriente.

Altra cosa con cui durante la lettura del Libro di tutti i libri per la prima volta mi sono confrontata a livello consapevole è che il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe è di una antipatia davvero singolare. D'accordo, gli dei greci erano lunatici, capricciosi, irritabili e piantagrane, ma davvero niente a paragone dell'insopportabile titolare del Vecchio Testamento - un Essere opprimente, oppressivo, colpevolizzante e sempre scontento, il cui scopo principale nella sua eterna esistenza era non lasciare all'umanità mai e poi mai uno spiraglio di luce e speranza che fosse uno. 
Calasso ci ha messo del suo? Mica tanto. Come dicevo, io il Vecchio Testamento l'ho letto, e l'impressione di fondo che dà è proprio quello: "Ricordati che sei colpevole, sempre e comunque. E che io sono molto, molto, molto insoddisfatto di te".
"A quell'epoca gli ebrei erano l'unico popolo monoteista" spiegano sempre nei libri di storia. E ci credo, con quello lì. Niente di strano che il Cristianesimo invece abbia avuto tanto successo.
"Perché noi crediamo in un solo dio che..."
"FUORI DI QUI! Raus! Sparire!"
"Sì, ma il nostro dio è un po' più simpatico, se mi permetteste di spiegare..."
"Mh? Ok, proviamo a sentire. Ma niente scherzi".
Se l'alternativa fosse stata il dio di Abramo, Isacco e Giacobbe i vari goti, burgundi e marcomanni si sarebbero tenuti ben stretti i loro dei, e pazienza se poi arrivava il Ragnarok - tanto di qualcosa si deve morire, giusto?
E stima assoluta a Gesù che fece davvero un gran lavoro di sintesi e di rielaborazione; tra l'altro, questo spiega anche perché i sacerdoti ebrei lo volessero morto (ma non chiarisce perché i romani decidessero di impicciarsi della questione, di cui ben poco gli avrebbe dovuto calere).

Dunque, un dio incontentabile, sempre e comunque. E in effetti è vero che il racconto del peccato originale ce l'ha solo la Bibbia. Il mito dell'età dell'oro è assai diffuso, ma la storia della caduta dell'Uomo sembra un unicum. 
Così giovane, e già così colpevole.
Il Divieto, l'Unico Divieto. Hai settecentomila permessi e un solo divieto. Una bella trama, in effetti, usatissima in tutte le fiabe e gli intrecci e che porta regolarmente a un solo esito: avviare la vicenda. La storia dell'umanità comincia quando Eva allungò la mano e colse il frutto. E siamo d'accordo che la vita è solo infelicità e dispiaceri e che meglio sarebbe non essere mai nati... 
Siamo d'accordo? Boh, insomma.
Dobbiamo guardare con riprovazione alla nostra comune antenata che scelse di conoscere invece di dire "Ah, OK, niente mele. Va bene, mangeremo albicocche" per poi rimettersi a ricamare a punto a croce? Ma sul serio?

Poi c'è il tormentone del popolo eletto, ovvero la più colossale fregatura della storia. Israele è scelta dalla sua arrogante divinità. E' lui che sceglie, mica chiede se a loro va bene. Sono qui, vi ho scelto come mio popolo, vi darò la mia legge e guai a voi se sgarrate - che è un po' la ricetta base dell'educazione tradizionale. 
I fortunati prescelti, in mancanza di una possibile alternativa, sopportano. E' dura essere gli eletti di un dio sempre scontento di te e che continua a rinfacciarti il suo scontento.
Siccome gli Eletti sono sempre colpevoli di qualcosa vengono sempre puniti, ma mai in modo definitivo. Qualche ebreo sopravviverà sempre, gli viene spiegato tra una punizione e l'altra. Del resto, sono intrinsecamente malvagi, cosa si aspettano?
E d'accordo, sono intrinsecamente malvagi. Ma non si sono mica fatti da soli. E poi, questa storia di continuare a punirli facendoli quasi estinguere ogni volta... e qui il lettore del XXI secolo ricorda l'ultima occasione in cui si sono quasi estinti... Cos'avevano fatto di male, quella volta?
Ma il gran tema del genocidio degli anni 40 non viene direttamente affrontato da Calasso. Solo lambito, in un paio di punti.
Li cito, ma non in ordine di comparsa.
La questione dell'olocausto. Il genocidio degli ebrei è oggi comunemente chiamato "l'Olocausto". Oggi si commemora l'Olocausto. Questa settimana facciamo la tradizionale gita al cimitero per ricordare la strage della famiglia X avvenuta nell'ambito dell'Olocausto. Salve ragazzi, eccovi un documentario sull'Olocausto. Eccetera.
L'olocausto, ricorda Galasso, in origine era il sacrificio che veniva fatto per riscattare la vita dei fedeli: ti sacrifichiamo il capretto e confidiamo che in cambio sarai così gentile da non sacrificare noi. Chiamare Olocausto il massacro di milioni di ebrei è un grande travisamento.
Sì, certo, pensa la lettrice. Poi riflette. Dal punto di vista degli ebrei chiamare così l'Olocausto è senz'altro assurdo, visto che... 
Visto che vennero sacrificati, appunto, gli ebrei.
Ma se la guardiamo dal punto di vista nazista?
Un Grande Sacrificio per allontanare le impurità dal mondo, fatto per la salvezza del popolo germanico. Qui gli ebrei hanno fatto la parte delle vittime sacrificali; e i nazisti, dopo aver spiegato che gli ebrei erano il Male incarnato, si sono improvvisati ebrei per l'occasione e hanno eseguito il loro rito più sacro dei tempi andati. Hanno celebrato il sacrificio dei maschi adulti perfetti, dei primogeniti (e anche di un sacco di femmine e figli minori, già che c'erano). Ma se gli ebrei erano il Male, come potevano i loro riti portare a qualcosa di buono?
Inquietante, davvero inquietante.

Ma mai quanto il secondo riferimento, dove entra in campo Freud.
Che era ebreo e nel 1940, dopo essere scappato a Londra, scrive un saggio su Mosé. Un piccolo saggio, non so quanto famoso - personalmente non l'avevo mai sentito nominare, e dubito che lo cercherò perché la notte mi piace dormire tranquilla. Calasso comunque ne riferisce dettagliatamente e racconta che è stato scritto, secondo quanto detto dallo stesso Freud in una lettera, per rispondere a una domanda.
"Di fronte alle nuove persecuzioni ci si chiede ancora una volta che cosa è diventato l'Ebreo e perché si è attirato quest'odio perenne".
Domanda meritevole di attenzione, senza dubbio; ma ancora più meritevole dell'attenzione è la risposta azzardata da Freud: come tutti, gli ebrei hanno ucciso il loro padre primordiale; ma al contrario di tutti gli altri popoli, non hanno coperto le tracce di questo oscuro delitto avendo cura di non lasciare nemmeno un accenno di accenno di questa loro colpa collettiva; al contrario hanno seminato nella Bibbia alcuni indizi che potrebbero riferirsi alla morte di Mosé. Il fatto che loro osino far capire che hanno consapevolezza e ricordanza di questa originaria colpa collettiva li ha resi odiosi all'umanità intera, dunque.
Questo è stato forse il punto più suggestivo per me, anche perché mi ha svelato la teoria del senso di colpa collettivo, di cui non avevo mai sentito parlare ma che ho trovato molto convincente.
E non c'è dubbio che Freud abbia scritto un sacco di cose strane, alcune delle quali davvero inquietanti, quasi sempre parlando di sé; ma sappiamo anche che molte di queste cose strane meritano quanto meno una certa considerazione.
Senso di colpa collettivo? E ci credo, con un dio di quel tipo alle origini della nostra cultura.
Ma il dio in questione si è fatto da solo?
Viviamo sotto l'ombrello del senso di colpa perché siamo stati allevati da un dio colpevolizzante, oppure ci siamo creati un dio colpevolizzante a nostra immagine e somiglianza, magari proprio perché ci sentiamo in colpa per aver ucciso il nostro padre primordiale? O magari non siamo affatto riusciti ad ucciderlo e ci sentiamo in colpa sia per non esserci riusciti sia per aver cercato di farlo?
In tutti i casi dopo aver letto questo libro ho capito come mai la psicanalisi l'ha inventata un ebreo - il quale ebreo ufficialmente non era religioso, ma proprio lui ci ha insegnato che l'inconscio lavora ben al di sotto delle nostre convinzioni razionali. Per un inglese o un turco penso che sarebbe stato più difficile scavare così a fondo nel concetto di colpa.

In questo libro ci sono molte altre cose oltre a quelle di cui ho parlato (e in cui temo che Calasso faticherebbe assai a riconoscere il frutto delle sue fatiche): la complessa questione della  regalità in Israele, i rapporti  ambivalenti con le culture che la circondavano, Gerusalemme e il tempio distrutto due volte e che non si trova più, angeli (creature che nel Vecchio Testamento appaiono molto meno amichevoli di come siamo abituati ad immaginarcele oggi, anche per merito dei pittori italiani), David e Salomone, Abramo Isacco e Giacobbe (pochissimo Abramo, comunque), le molte storie che vengono narrate due o anche tre volte... C'è anche Kafka - citato sempre in modo assai pertinente, poi il mio amato Nachman di Breslav (pubblicato da Adelphi, guarda un po' i casi della vita) e qua e là qualche autore medievale. 
Aggiungo, per chiudere, che tra i molti pregi del libro c'è quello di non dare una risposta che sia una ma di lasciare in sospeso molte domande, alcune delle quali nemmeno espresse.

Con questo post partecipo, in forma autonoma, all'ormai fantomatico al Venerdì del Libro di Homemademamma, che dispero di veder tornare alla luce, e auguro buone letture a chiunque passasse da queste parti.