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venerdì 15 gennaio 2021

Praticamente innocuo - Douglas Adams


Nel 1992, a otto anni di distanza dal quarto volume della sua trilogia, che sembrava a tutti gli effetti una vera e propria conclusione, con la morte e redenzione del robot depresso Marvin e il messaggio di Dio all'umanità (peraltro credibilissimo), ecco che Adams decide di scrivere il quinto volume, che dà una nuova conclusione alla storia - ma forse non quella definitiva.
Comunque è un libro molto triste.

No, non "deprimente": anzi, come sempre il romanzo si avvale di una scrittura brillante, un intreccio fascinoso ed eccellenti dialoghi, oltre che di una complessa struttura che va compiutamente rivelandosi nell'ottimo finale (ho scritto ottimo, non lieto. Tuttavia perfino io sono disposta ad ammettere che non sempre un lieto fine convenzionale è il migliore dei finali possibili in una storia).
E così cominciamo con Tricia McMillan, ormai lanciatissima giornalista televisiva a New York. La carriera brillante però non basta a lenire il rimpianto per una occasione persa quando era molto giovane. Per tanti di noi arriva un momento che può rivelarsi decisivo, l'occasione da cogliere ora o mai più, e lei non l'ha colta: a una festa in maschera aveva attaccato discorso con un giovane affascinante, che si è poi rivelato essere un alieno, e lei si era detta disposta a seguirla MA doveva andare a riprendere la sua borsetta - e quando era tornata con la borsetta, il giovane era scomparso.
Qui il lettore comincia a guardare con sospetto le pagine: perché i quattro romanzi precedenti si basano anche sul fatto che Tricia, con o senza borsetta, aveva seguito eccome il suo alieno, e ci aveva intrecciato una storia ricca di alti e bassi (finita con lei che se ne andava per sempre piantando l'alieno, ci pare di ricordare) e dunque... e dunque...
Del resto la New York descritta sembra una normalissima New York dei primi anni 90, dunque la Terra non è stata distrutta e... boh?
Lasciamo Tricia con i suoi struggenti rimpianti e troviamo Arthur Dent triste e solo. Un triste giorno infatti, durante un volo interstellare, la sua amatissima Fenchurch è sparita, inghiottita in un salto iperspaziale. Da allora lo sconsolatissimo Arthur cerca di ritrovarla, o di ritrovare almeno la Terra, una delle Terre del multiverso che non sono saltate in aria; ma niente, non c'è verso.
Lo ritroviamo anni dopo, parcheggiato su un simpatico pianetino di periferia, dove gestisce un chiosco che produce eccellenti panini. Anche fare panini può essere un processo artistico, o una via per la contemplazione, e lui è avviato su questa strada. Finché un giorno arriva Patricia, che è passata da lui per lasciargli per un po' la loro figlia. E se il lettore si sorprende che Tricia e Arthur abbiano una figlia, figurarsi Arthur, che sa benissimo che giammai ha fatto niente di riproduttivo con Tricia.
Il romanzo procede e si snoda, con un lettore sempre più stranito che cerca non solo di seguire la storia, ma soprattutto di capire come la storia che conosceva, o credeva di conoscere, si sia potuta evolvere in sì incomprensibile modo. Pian piano però tutto si spiega - in modo non troppo rassicurante ma si spiega.
C'è anche una profezia, o qualcosa di molto simile, che dovrebbe servire a rassicurare Arthur. Come tutte le profezie di tutti i tempi, si rivelerà proprio nelle ultime pagine una colossale presa di giro, e con un mirabile doppio salto mortale carpiato e avvitato la vicenda si concluderà quasi dove è cominciata. E' un bel finale, comunque, e Arthur lo accoglierà con un certo sollievo e la convinzione che tutto si è sviluppato nel modo più adatto.
Così si chiude la complessa e multiversica vicenda legata alla Guida galattica per gli autostoppisti (sì, anche la Guida avrà una sua parte non piccola in tutta la vicenda). 

E con questo terzo finale della trilogia in cinque volumi la storia sembrerebbe giunta una terza volta a conclusione. Ma...

L'autore in seguito dichiarò che aveva scritto un romanzo così triste a conclusione della sua storia perché in quel periodo era triste anche lui. Ma poi pensò che gli dispiaceva, e cominciò ad elaborare un quarto finale, e nel contempo avviò un finale diverso anche per la serie (televisiva? Radiofonica? Non ricordo). Quello arrivò effettivamente a conclusione, e Arthur ritrovava la sua Fenchurch che faceva la cameriera nel Ristorante al termine dell'universo.

I tempi di produzione letteraria di Douglas però erano abbastanza particolari, e si racconta che l'editore, per ottenere che terminasse alfine i suoi romanzi lo doveva praticamente rinchiudere in qualche luogo isolato.
Stavolta non pensò a rinchiuderlo in tempo, e dopo aver traccheggiato per ben nove anni con il suo quarto foinale per la trilogia in sei volumi, Douglas morì per un attacco di cuore nel 2001 lasciando nel più nero sconforto editore, amici, fan e soprattutto la sua famiglia.
La quale famiglia però frugò nei suoi computer e trovò ampie tracce del quarto finale, e dopo avere a lungo ponderato la questione affidò la redazione di questo quarto finale a Eoin Colfer, che ne trasse un romanzo intitolato E un'altra cosa..., che uscì nel 2009.
A qualcuno piacque e lo trovò adeguato, qualcuno invece non riuscì ad entusiasmarcisi più di tanto. Quanto a me, non posso giudicare perché non l'ho letto.
Anche se forse, rifiutarsi di leggere un libro è pure quello, a modo suo, una specie di giudizio.
E dunque proverò a motivare il mio non-giudizio che si basa sul rifiuto di leggere il libro.
Ho apprezzato moltissimo la trilogia in cinque volumi, per il suo complesso intreccio, per questa sua struttura fluida che ti cambia in mano pagina dopo pagina, e certamente anche per i suoi risvolti religiosi (perché Douglas era dichiaratamente ateo, e ciò nonostante/appunto per questo/in parte per entrambi i motivi, questo suo ateismo aveva dotato di vari, mutevoli e cangianti riflessi assai religiosi la sua visione della vita, dell'universo e di tutto quanto come traspare nel ciclo) ma soprattutto avevo apprezzato il suo modo di scrivere, di raccontare e di sbalestrare continuamente il lettore - cosa, quest'ultima, che di solito detesto ma che nel suo caso mi è piaciuta molto. Secondo me però quel tipo di stile davvero personale lo poteva gestire un solo essere umano in tutto il multiverso: Douglas Adams, appunto.
Di Eoin Colfer ho letto un po' di cose, e non posso dire che mi siano dispiaciute, ma non ne ho tratto l'impressione che fosse in grado di gestire un lavoro così personale. Per scrivere un romanzo à la Douglas Adams secondo me non basta riprendere lo stile di Douglas Adams, ma è necessario essere Douglas Adams. Magari sbaglio, si capisce.
Ma dubito che farò il tentativo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, finalmente ricomparso dopo lunghe settimane di assenza, e concludo senza davvero concludere (o concludendola davvero, chissà) la mia serie di recensioni su questo bellissimo ciclo che consiglio caldamente a tutti, soprattutto a chi desidera rivedere la sua concezione della vita, dell'universo e di tutto quanto. 
E ringrazio sentitamente per tutto il pesce.

venerdì 18 dicembre 2020

Addio, e grazie per tutto il pesce - Douglas Adams


Pubblicato nel 1984, due anni dopo La vita, l'universo e tutto quanto, quarto volume di una trilogia, il romanzo che vado oggi a presentare è essenzialmente una bella storia d'amore, che contiene anche una delle migliori e più originali scene di sesso da me mai lette - e posso dire in tutta onestà e senza tema di vantarmi che ne ho lette parecchie e di vario genere, non di rado annoiandomi assai e assolutamente non perché l'argomento fosse privo di fascino ai miei occhi.
Un romanzo d'amore, dunque, e la storia di una ragazza. Un ragazza già citata nelle prime pagine del primo romanzo, che aveva appena avuto una perfetta intuizione su come sistemare tutto nel mondo, e in modo semplice e per niente aggressivo, ma che non aveva avuto tempo di comunicarlo a nessuno perché l pianeta era esploso, e lei con esso.
Ma il romanzo non comincia con lei. Comincia con Arthur Dent, il protagonista quasi principale di tutto il ciclo che, poverino, fino a questo romanzo non aveva avuto occasione di pensare molto né all'amore né al sesso, e quand'anche gli era capitato di pensarci non aveva avuto (stando alle apparenze) modo di combinare alcunché, vuoi perché lo catapultavano subito in un altro pianeta/astronave/universo spaziotemporale, vuoi perché il perfido autore lo piantava lì senza raccontare niente al lettore, che a detta dell'autore non doveva impicciarsi più di tanto in questi affari. Un po' meglio, va detto, gli andava nel film, dove Trillian sceglie lui al posto di Zaphod (da notare che la sceneggiatura del film l'ha scritta Adams ed è stata rispettata. Ma Adams non è mai stato persona che avesse paura delle contraddizioni, specie in questo ciclo).
Di fatto, l'unica cosa in tutto il ciclo in versione scritta che poteva somigliare a una storia d'amore era il legame tra Trillian, l'altra terrestre sopravvissuta all'esplosione e Zaphod Beeblebrox, l'affascinante ma a tratti insopportabile alieno a due teste nonché comandante dell'astronave Cuore d'oro. Nel romanzo precedente però ad un certo punto Trillian si stufa e lo lascia, non sappiamo se per sempre o no (lo scopriremo solo nel quinto libro, ma senza esserne davvero sicuri).

Per combinare una storia d'amore che non sia solo spirituale, è necessario che i due protagonisti si trovino l'uno in prossimità dell'altro. E così avviene. Sulla Terra.
Se qualcuno dei pazienti lettori che mi han seguito fin qui si starà domandando come fa la Terra ad essere teatro di una storia d'amore dopo essere stata polverizzata dai Vogon, ecco, questa domanda se la fanno anche i due protagonisti, fino a trovare la risposta. Ma andiamo per ordine.
Siamo sulla Terra. Sulla Terra sbarca Arthur Dent, da una astronave cui ha chiesto un passaggio in autostop, e ritrovandosi a poca distanza da casa sua resta comprensibilmente perplesso. Ma tutto è come lo ricordava, compresa casa sua, che a quanto pare non è stata distrutta per farci passare una autostrada.
Naturalmente il suo non è un ritorno felice: piove a dirotto, nessuno si ferma a dargli un passaggio... tranne un tipo che ha a bordo la sorella, ben drogata perché è un tipo strano e ha una malattia mentale non meglio definita. Ma Arthur la trova comunque molto attraente e soprattutto avverte con lei una forte risonanza perché...
Arthur la rincontrerà poco dopo, dopo qualche tempo che si è reinstallato a casa e ha ripreso una vita tutto sommato tranquilla (ma priva di delfini, perché sulla Terra i delfini sono improvvisamente scomparsi tempo addietro e nessuno sa come ciò sia accaduto).
Sono passati alcuni anni da quando Arthur Dent è scomparso. Al suo ritorno inventa un po' di storie, cui gli amici e i conoscenti credono fino a un certo punto - ma naturalmente non prova a raccontare a nessuno che in quegli anni ha viaggiato per lo spazio e la Terra su cui tutti loro stanno vivendo attualmente è esplosa. Perché, comprensibilmente, teme di non essere creduto.
Dicevo: Arthur e la ragazza, che si chiama Fenchurch, si incontrano di nuovo e Arthur si ritrova in seria difficoltà a gestire in contemporanea le conseguenze di un colpo di fulmine e il desiderio di condividere con la ragazza la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato in un pianeta che notoriamente è esploso anni prima, eppure c'è ancora. Questa, di fatto, è la causa della malattia mentale di Fenchurch: una sorta di scollamento spaziotemporale che deriva dalla consapevolezza di stare in un pianeta che non è il suo, perché il suo non c'è più.
Siccome l'autore era di umore felice mentre scriveva, e anche innamorato a sua volta (non è una mia illazione, è cosa nota nell'ambiente e ammessa anche dal diretto interessato), lo sfortunatissimo Arthur Dent riesce a spiegarsi con la ragazza, e i due avviano una felicissima storia d'amore che lascia talvolta perplessi i vicini (chi legge scoprirà perché. No, non si tratta di vicini particolarmente pettegoli, o meglio, anche se lo sono la cosa non c'entra con la loro perplessità).
Bene, la storia è tutta qui, salvo due piccoli particolari. Il primo è che verrà spiegato come mai la Terra c'è ancora (c'è e non c'è, per la verità. Ma sorvoliamo). Il secondo piccolo particolare è che la coppia di innamorati lascia la Terra per andare a viaggiare nello spazio, e troverà il posto dove è custodito il Messaggio Finale di Dio al Creato. Con loro ci sarà anche Marvin, il robot depresso che abbiamo incontrato nel primo libro della trilogia ma di sfuggita anche negli altri romanzi, e che alla vista del messaggio morirà, alfine sereno. Questo messaggio... beh, secondo me è molto valido e pertinente e racchiude in sé alquante spiegazioni - ma naturalmente ogni lettore è libero di pensarla a modo suo, ci mancherebbe.
Forse in virtù di questo messaggio, forse perché le storie d'amore mi sono sempre piaciute, specie quando sono a lieto fine, forse perché si tratta di un romanzo felice scritto da un autore felice (e per i libri felici e le persone felici io sempre avuto una certa inclinazione) questo per me è il libro preferito dei cinque della trilogia, e il finale che preferisco.
Sì, perché a questo punto la storia è finita. Forse. Può essere. Chissà.
A proposito, nonostante la frase del titolo sia quella con cui i delfini salutano la Terra ormai destinata alla distruzione, tutto il romanzo si segnala per una malinconica assenza di delfini.

Con questo post partecipo, temo per l'ultima volta quest'anno, al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro quindi felici - per quanto assai casalinghe e intimistiche - feste a chiunque passi da queste parti.

venerdì 11 dicembre 2020

La vita, l'universo e tutto quanto - Douglas Adams


Terzo romanzo della serie della Guida Galattica, e il tema stavolta è assai vasto: nientemeno che "la vita, l'universo e tutto quanto".
Proprio questo picciol argomento era stato proposto a un grande computer per averne la risposta definitiva, tanto e tanto tempo fa; ma il tempo, abbiamo ormai imparato dopo il pranzo al ristorante al termine dell'universo, è un concetto assai scivoloso perché tutto avviene contemporaneamente, è già avvenuto e deve ancora avvenire - il tutto senza contare che la cosiddetta risposta definitiva (che era il numero 42) non appariva molto convincente perché, di fatto, la domanda era stata posta male, ma formularla meglio si era rivelato davvero problematico.
Comunque il terzo romanzo comincia dove abbiamo lasciato Arthur Dent e Ford Prefect, ovvero nella Terra preistorica, ma nel frattempo sono passati cinque anni (per lui, ma non per i lettori che si vedono arrivare il terzo romanzo nel 1982, due anni dopo il secondo). 
Senza sorprenderci troppo apprendiamo che nella Terra della preistoria la vita è scomoda, l'alimentazione tutt'altro che raffinata e procurarsi un abbigliamento elegante non è affatto facile - e del resto si sa che, davvero ,"il tempo è il posto peggiore per perdersi".
Come sempre, è inutile stare a raccontare la trama: che senso avrebbe narrare come un divano volante proveniente da una diversa dimensione passi a prendere i due protagonisti per poi riportarli nell'Inghilterra quasi contemporanea, nel bel mezzo di una partita di cricket, due giorni prima che la Terra venga distrutta?
Oppure le vicissitudini che due uomini appena piombati da un altro tempo trovano...
In realtà non ci sono particolari vicissitudini da vivere, su quel campo da cricket, in quel momento (ben diversa sarà la situazione alla fine del romanzo, quando Arthur salverà due volte l'intero universo in meno di un giorno e la partita di cricket risulterà molto più animata; ma forse non dovrei dirlo perché questo tipo di anticipazioni, dette spoiler sono molto criticate in certi ambienti). I due vengono prontamente soccorsi e teletrasportati da un progettista di pianeti che avevano già incontrato nel corso del primo romanzo, e si ritrovano così su una astronave molto particolare, arredata come... un ristorante italiano degli anni 70. No, non un raffinato ristorante italiano di quelli che han fatto la gloria del nostro paese fra i turisti di tutto il mondo e dove il jet set si contende i tavoli, ma uno di quei ristoranti di media tacca che pullulavano nella nostra penisola, veri trionfi della plastica e del pessimo gusto, pieni di tovaglie a quadretti e di "vari oggetti di ottone non bene identificabili", con colori che andavano dal verde scuro al marrone scuro. La mia età mi permette di riconoscerli e di apprezzare la descrizione, che è esatta al millimetro - e siccome ne ho frequentati parecchi, soprattutto quando andavo in vacanza con i miei genitori, garantisco che erano assolutamente come Adams li descrive;  va detto anche che in molti di questi ristoranti si mangiava bene, a volte anche molto bene, ma erano effettivamente brutti al di là del comprensibile (va aggiunto però che le case e gli uffici di quegli anni erano perfino peggio).
All'interno dell'astronave, una cabina di vetro racchiude il ristorante vero e proprio: una tavola lunga circondata da una dozzina di sedie di legno, con una tovaglia a scacchi bianchi e rossi sporca e alcune bruciature di sigarette... Vabbé, non è necessario abbondare nei dettagli, comunque ribadisco che la ricostruzione è impeccabile; e naturalmente certi aspetti dei ristoranti, come il Gran Mistero del Conto, sono intatti in tutti i ristoranti di tutti i tempi del multiverso indipendentemente dall'arredamento e dai suoi orridi colori.
Va aggiunto però che nel multiverso della Guida un ristorante non è mai un normale ristorante, e questo nello specifico è un raffinatissimo centro di calcolo che descrive (o determina? Descrive più che determina, direi) il corso dell'universo, e la nave viaggia grazie alla Propulsione Bistromatica, ovvero la nuova frontiera della matematica dopo il calcolo dell'improbabilità.
E da lì è possibile vedere la Storia dell'Universo.
E scoprire che un tempo la Galassia era un luogo felice, prospero e pacifico prima che i Krikkit, che erano sempre vissuti felici, prosperi e in pace con sé stessi e il loro mondo, scoprissero che l'universo non era limitato al loro pianeta.
Da questa scoperta, drammatica per loro ma ancor più per gli Altri, nacquero grandi affanni per la Galassia, ma ancora di peggiori stanno per sopraggiungere. E abbiamo la risposta - che non è una vera risposta, perché è difficile determinare la domanda - sul perché nascono il razzismo e la xenofobia. Dalla paura, forse? Ma no, non è così semplice; però la teoria di Adams - che non è una vera teoria - è davvero affascinante.

Al termine di questo mio lungo sproloquio sorge spontanea al lettore la domanda: "Ma in questo libro c'è una trama?".
Come sempre c'è, anche se è complicata da ricostruire; ma soprattutto c'è un Complotto, di quelli iniziatici e perseguiti per generazioni e generazioni da complesse società segretissime: uno di quei complotti dove si deve ricostruire un Oggetto mettendo insieme Tre Oggetti ognuno dei quali racchiude immenso potere, ma che riuniti insieme raccoglieranno in sé una tal strabordante quantità di potere da consentirgli di fare qualcosa di Grandioso e Tremendo, mai fatto prima - e che dopo, ovviamente, non sarà mai più possibile fare dopo perché...

La storia è divertente, a tratti anche angosciosa - soprattutto quando ti accorgi che la conosci già, che l'hai vista accadere e letta e studiata e che davvero rappresenta una delle possibili spiegazioni per la Vita, l'Universo e Tutto Quanto.
La descrizione della società e della cultura del popolo di Krikkit da sola vale il prezzo del libro. Se siete appassionati di cricket comunque avrete un bonus extra di metafore e parabole, e non solo grazie alle due partite (che in realtà sono una sola).
Se vi piacciono le Storie di Complotti, questo è il vostro libro. Se ai complotti non credete, ma ogni tanto vi domandate perché l'umanità ama tanto complicarsi la vita fino all'inverosimile, questo è altrettanto il vostro libro.
Se avete sempre desiderato imparare a volare (a volare, non a guidare un aereo o un elicottero o un deltaplano) questo è vieppiù il vostro libro e potrete scoprire la migliore delle tecniche per impadronirvi di questa complessa arte anche se la sorte vi ha privato del possesso di due ampie ali  - e se poi avete visto il film La gabbianella e il gatto avrete comunque già ricevuto una piccola infarinatura che vi renderà più facile comprendere la tecnica. 
Se siete pieni di domande sulla vita, l'universo e tutto quanto e vi interessano le domande più che le risposte, di cui dubitate per principio, questo è assolutamente il vostro libro e diventerà il vostro preferito della saga.

Quella della Guida è una trilogia, questo è il terzo volume e dunque la trilogia è finita e le ultime pagine sono quelle conclusive della storia. Arthur Dent prende definitivamente stanza su un bel pianeta pacifico, dove d'ora in poi vivrà una vita piacevole e rilassata (volando moltissimo). Le domande restano senza risposta, ma appunto per questo ci sono molte cose su cui riflettere, con la piacevole convinzione di fondo che riflettere sulle Grandi Domande è un passatempo abbastanza fine a sé stesso (e che appunto per questo utilissimo).
Ma approfitto di questa temporanea conclusione (ebbene sì, ci sono altri due volumi. No, non sono dedicati alla Next Generation, né sono finali alternativi. E  si tratta di una trilogia in cinque volumi, come non manco mai di spiegare) per una piccola considerazione.
Ufficialmente il ciclo della Guida è ascrivibile al genere della fantascienza umoristica, anzi qualcuno sostiene che proprio da Adams questo sottogenere è stato inventato. La cosa non mi convince affatto; non solo perché, pur avendo letto poca fantascienza, sono già incappata in altri testi che possono (e vengono) classificati in questo senso, e tutti precedenti al ciclo, nonostante l'autore abbia più volte dichiarato che per lui all'inizio è stato molto difficile piazzare il prodotto perché i vari editori, finanziatori eccetera sostenevano che "fantascienza" e "comico" non andavano bene insieme; ma anche e soprattutto perché, sì, si ride o si sorride, in alcuni punti, ma la colonna portante di questo ciclo non è l'umorismo. Secondo me è la filosofia.
Ce n'è un sacco, sparsa a piene mani in tutti i romanzi, di quella abbastanza complessa. Filosofia matematica, filosofia scientifica, filosofia sociologica. Davvero si parla della vita, dell'universo e di tutto quanto, in modo decisamente complesso, e in molti punti non solo il ciclo, ma lo stesso Adams per come appare in certe interviste mi riporta in mente quei testi mistici orientali che non sono né religiosi né filosofici ma pure loro parlando della vita, dell'universo e di tutto quanto.
Alla fine (alla fine di tutti i cinque romanzi) mi sono ritrovata a guardare il mondo che mi circonda con occhi diversi e una certa inquietudine, e a dubitare praticamente di tutto - una sensazione che mi spiazza parecchio perché amo molto la rassicurazione delle cose concrete e della mia amata linea cronologica sulla quale imposto rigorosamente l'insegnamento della storia.
Ci vorrà del tempo prima che riesca a calarmi di nuovo nella mia ordinaria esistenza, e anche quando riuscirò a farlo un filo di dubbio mi resterà sempre, sospetto.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e dal mio salotto molto, molto natalizio auguro buone letture e un tranquillo Dicembre a tutti.

venerdì 4 dicembre 2020

Ristorante al termine dell'Universo - Douglas Adams


Il secondo romanzo della trilogia in cinque volumi intitolata alla Guida galattica per gli autostoppisti comincia dove si è fermato prima, con i quattro protagonisti del ciclo che vorrebbero andare a cena al Ristorante al termine dell'Universo - facile a dirsi, ma molto, molto meno a farsi. Per esaudire questo rispettabile quanto legittimo desiderio occorreranno infatti non meno di quattordici capitoli (metà libro, in pratica), e il povero Zaphod rischierà seriamente la morte per inedia a forza di aspettare un pranzo che non arriva, anche se un occasionale compagno di avventure gli offre un po' del suo asciugamano da succhiare (e naturalmente Zaphod incappa al primo assaggio nella parte più amara).
Del resto anche ottenere una tazza di tè con i requisiti minimi della decenza si rivela complicatissimo, e quando il buon Arthur Dent cerca di convincere in tal senso la macchina megagalattica tarata per distribuire esclusivamente una sola insipida bevanda, ottiene all'inizio solo il risultato di ingolfare l'ancor più megagalattico computer dell'astronave Cuore d'Oro, rischiando seriamente il naufragio spaziale.

Dicevo del ristorante. Non si tratta, come magari si potrebbe pensare, di un ristorante posto ai lembi più esterni dell'universo, ma di qualcosa di più complicato.
O di più semplice, forse: un normale ristorante di lusso, magari un po' eccessivo nella sua esibizione di oro e gemme e oggetti preziosissimi e di squisita fattura. Il servizio svolto dai camerieri verdi è impeccabile, i tavoli hanno una bella vista sullo spazio circostante e c'è anche la musica dal vivo, di eccellente qualità.
Ti siedi, ordini i tuoi piatti preferiti e, se lo vuoi, puoi conoscere il piatto del giorno - nel caso specifico, un simpatico bovino molto disponibile che si offre decantando la sua bontà, l'accuratezza della sua dieta e la salubrità del modo con cui è cresciuto: vita sana, molto movimento eccetera.
"Non voglio mangiare una bestia che mi sta davanti agli occhi viva e che mi invita a mangiarla" dice Arthur. Ma la questione non è così semplice, e infatti Zaphod osserva che "E' sempre meglio che mangiare un animale che non vuole essere mangiato". Ma Arthur decide di pranzare con una insalata, nonostante l'animale lo rimproveri.
"Non vorrà dirmi per caso che faccio male a prendere un piatto di insalata?" si difende Arthur.
Ma il bovino ribatte che conosce "molte piante di insalata che non esiterebbero a rispondervi di sì". Perché ogni questione comprende molti punti di vista, e il fatto che Adams fosse effettivamente vegetariano rende la pagina vieppiù interessante.
Ma sto divagando.
La caratteristica saliente del ristorante non è la sua squisita cucina, ma la sua posizione temporale: un ristorante che è-sarebbe-fu-sia-sarà, racchiuso in una bolla temporale  e proiettato avanti nel tempo fino all'istante preciso della Fine dell'Universo. 
Un ristorante sospeso in mezzo a un incrocio temporale particolarmente frequentato; e anche se è piuttosto caro, pagare il conto non è un problema: giocando sui paradossi temporali basta che il cliente versi una somma minuscola nel suo tempo, e per il momento della fine dell'universo la piccolissima somma avrà maturato interessi sufficienti a pagare il salatissimo conto.
Per descrivere l'esperienza del ristorante in questione occorre una grammatica particolare, naturalmente: quella dei viaggi nel tempo, che dispone di un manuale apposito. La mia anima di insegnante si è incantata sentendo parlare dell'aoristo plagale (ovvero il passato indeterminato armonico) e del congiuntivo futuro intenzionale invertito in condizionale multiplo imperativo e mi sono anche ricopiata un bel passo relativo a questa grammatica che sarò lieta di propinare ai miei sventurati alunni nei prossimi anni, al momento di affrontare i tempi composti dei verbi.

Comunque non c'è solo il ristorante anche se gli sono dedicate molte pagine, a lui e al suo animatissimo parcheggio. C'è anche molto altro: ad esempio una piccola comparsa di dio in un ruolo minore: un simpatico vecchietto molto filosofico che vive una vita tranquilla insieme ad un grazioso micetto che ha chiamato Geova, solo soletto salvo alcune persone che vengono ogni tanto a trovarlo per fargli domande, e che nega risolutamente non solo di conoscere la realtà, ma di sapere se effettivamente un qualche tipo di realtà esiste. A quel che sembra, l'universo è in buone mani (e il fatto che Adams fosse dichiaratamente ateo rende vieppiù interessante il piccolo sipario).
Una grossa astronave, anche, carica di architetti, parrucchieri e consulenti di vario tipo che dovrebbero ripopolare un nuovo pianeta - almeno così gli è stato raccontato. E che alla fine del romanzo approderanno sul pianeta loro assegnato, insieme ad Arthur e a Ford.
E il pianeta dove atterreranno è tranquillo, grazioso, ospitale, ricco di risorse e vagamente familiare, tanto che Arthur finisce per riconoscerlo.

Meno frenetico e più riflessivo del primo, tutto sommato anche molto più strano, il secondo volume del ciclo della Guida Galattica mi ha conquistato molto più del primo. Più sostanzioso e più filosofico, contiene moltissime domande e nemmeno l'ombra di una risposta ma diverse possibilità fatte intravedere per un istante e poi tirate indietro - insomma un perfetto romanzo di fantascienza.
Purtroppo, siccome è molto scorrevole anche questo, come tutti i romanzi del ciclo, finisce molto in fretta.
Comunque si può sempre rileggerlo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e mi preparo ad un lungo ponte che passerò a riposarmi, a leggere e forse a passeggiare - ma di sicuro non a fare le compere di Natale, visto che siamo ancora in zona rossa.

venerdì 27 novembre 2020

Guida galattica per gli autostoppisti - Douglas Adams


La Guida galattica entrò nella mia vita solo verso la fine dello scorso millennio, quando entrai in rete e cominciai a frequentare ragazzini con dieci o quindici anni meno di me appassionati di letteratura fantastica. Scoprii quindi questo famosissimo oggetto di culto, lo presi in biblioteca e lo lessi con modesto, non so come e non so perché. Storia complicata, piuttosto frenetica, nessuno si fermava mai a prendere una bella tazza di tè - anche se qualcuno, a dire il vero, ci provava con tutte le sue forze - e niente conversazioni tranquille e introspettiche. O quasi.
Tuttavia ho continuato a sentirne parlare, sono inciampata in qualche video del film e alla fine ho deciso di riprovare. Stavolta però mi sono comprata l'intero ciclo, in un comodo volumone di poco più di 800 pagine per la modica cifra di 17.00 euro - altri infatti, al contrario di me, lo apprezzavano assai e dunque viene periodicamente ristampato. Con la riapparizione della micidiale Didattica a Distanza, quando una lettura brillante si imponeva ci ho riprovato, con risultati decisamente migliori. E dunque eccomi qui a presentare un libro per volta l'intero ciclo di una trilogia in cinque volumi più un raccontino.
Il vantaggio di comprare l'intero ciclo, oltre al risparmio di soldi e di spazio, consiste in una deliziosa prefazione della buonanima dell'autore che ne racconta le origini, invero complicate.
Il ciclo della Guida galattica infatti non si limita ai cinque romanzi più raccontino, ma comprende anche una serie radiofonica, una serie televisiva, un film e un videogioco.
"Mbeh?" si dirà "Anche da Orgoglio e Pregiudizio  sono stati tratti tre film e uno sceneggiato più svariati fumetti e chissà quante edizioni radiofoniche, e non c'è niente  di complicato nelle sue origini". 
Vero, ma nel caso della Guida Galattica tutta questa roba è stata fatta quasi contemporaneamente.
In principio era la serie radiofonica, poi arrivò il primo libro che in parte la contraddiceva, poi la seconda serie radiofonica, e insieme i vari libri più il progetto del film e... ripeto, è una storia complicata e non starò a spiegarla perché in fondo io mi limito a presentare i libri. Tuttavia almeno il film (uscito nel 2005, ormai a palle ferme, ma in progetto da più di venti anni) l'ho visto e garantisco che qualche piccola discrepanza c'è, a partire da uno dei protagonisti che ha una sola testa, ed è difficile non rendersi conto che i singoli libri sono collegati tra loro con - ehm - diciamo qualche lieve contraddizione interna. D'altra parte la buonanima dell'autore dichiara con fermezza nella sua introduzione che grazie all'edizione completa del ciclo adesso il tutto si contraddice come vuole lui e solo con l'autorizzazione dell'autore che è poi lui stesso medesimo. E vallo a contraddire, se ti riesce.
D'altra parte non si tratta certo di cinque romanzi appiccicati con la colla: non solo i protagonisti sono e rimangono sempre gli stessi dall'inizio alla fine, ma vediamo spesso piccoli inserti, dettagli di contorno, graziosi intermezzi che un romanzo o due dopo si rivelano in tutta la loro importanza e diventano la trama portante - caso classico i delfini che appaiono e scompaiono e a metà del quarto libro sto ancora aspettando che facciano qualcosa di rilevante per guadagnarsi i loro salmoni.
A proposito dei delfini, eccoli in apertura del film (unico momento in cui compaiono ma è una comparsa davvero spettacolare):

e per la versione in lingua originale della canzone basta guardare qui.
Stabilito che i delfini ci sono (forse) solo per fare un po' di scena, parliamo invece della Guida. No, non del romanzo, ma del libro che dà il titolo al romanzo: uno strumento davvero essenziale per ogni il viaggiatore dello spazio, ma soprattutto per chi vuole girare per la galassia in... no, autostop non è una buona parola, e temo che il traduttore abbia fallato nel tradurre la parola hitchhiker, che è parola che sta ad indicare chi viaggia grazie a passaggi ottenuti gratis - i quali passaggi, chiaramente, per viaggiare nello spazio non sono su automobili o camion; e allora è più esatto dire che la Guida si rivolge a chi sceglie di girare la galassia spendendo poco e risparmiando soprattutto sulla spesa dei biglietti. Il pubblico di questo libro è vasto, e il libro ancor più vasto, tanto che passa il milione di pagine ed è dunque contenuto... sì, oggi lo chiamiamo tablet,  ma quando uscì la serie radiofonica, nel 1978, il tablet non c'era nemmeno nei telefilm di Star Trek. E dunque abbiamo questa amplissima pubblicazione che tratta un argomento invero assai vasto ed è composta e costantemente aggiornata da molti redattori, che accompagna il ciclo fornendo informazioni sui più vari argomenti - e, come capita molto spesso nelle guide, raramente sono informazioni di rilievo.

Dicevo, siamo nel 1978 (più o meno) e la galassia vive e brulica di infiniti pianeti abitati da infinite specie. Di tutto questo la Terra nulla sa, anche se ospita un redattore della Guida che è bloccato lì da svariati anni e smania di andarsene via (in astronavestop, si capisce) per ritornare nell'universo civile.
La Terra, oltre a non sapere molto della galassia sa poco anche di sé stessa, e gli uomini poi sono a uno stato di ignoranza addirittura patetica. Molto più esperti del viver dell'universo sono i delfini, e tuttavia anche loro sono solo la seconda specie più evoluta. La prima la scopriremo abbastanza avanti nel romanzo, ed è quella che la Terra l'ha fatta costruire, per un complesso esperimento di gran portata, ovvero scoprire una domanda (no, non la risposta. La risposta non serve, se non  hai la domanda giusta). Proprio cinque minuti prima di avere la domanda però la Terra viene distrutta, per far posto a una strada speciale per astronavi - giusto un attimo prima che una nuova grandiosa scoperta scientifica rendesse del tutto inutili le strade per astronavi. 
Si salveranno solo due terrestri: una bella e saggia ragazza, che incontreremo solo dopo diversi capitoli,  e il protagonista principale, Arthur Dent, interpretato nel film dal mio amato Martin Freeman e che è un eroe abbastanza simile a Bilbo Baggins, prima tra tutte una singolare capacità di ritrovarsi portato dalla piena. I due si incontreranno, dopo qualche galattico incidente, su una astronave di nome Cuore d'oro che ha una caratteristica davvero speciale: un motore ad improbabilità assoluta che permette viaggi particolarmente veloci e spericolati. Tra gli altri membri dell'equipaggio contiamo un robot vagamente antropomorfo di grandi capacità intellettive ma assai portato alla depressione e all'autocommiserazione, un computer terribilmente giulivo e ciarliero e, naturalmente, il capitano, tal Zaphod Beeblebrox, che in sintesi è il classico personaggio apparentemente frivolo che riserva grandi sorprese, e che è il capitano dell'astronave... perché l'ha rubata il giorno del varo. E ha due teste.
Da sinistra: Zaphod, la fanciulla, il robot depresso, il compilatore di guide e Arthur Dent.
Non è un caso se gli ultimi due hanno grossi asciugamani.
Dunque abbiamo un gruppo di personaggi apparentemente un po' di maniera e uno sfondo avventuroso. Non è che per caso magari c'è anche una trama?
Sì che c'è, ed è anche complessa. Si sviluppa in modo abbastanza diverso dal solito, con una tecnica narrativa particolare che dopo Adams ha avuto una certa fortuna tra gli scrittori di letteratura  fantastica, ma che richiede una particolare abilità per non lasciare il lettore confuso, stordito o annoiato per il troppo rumore di fondo. Al contrario di molti suoi colleghi Adams azzecca il ritmo giusto e la lettura scorre molto bene, col solo inconveniente che non sempre si memorizza a dovere quel dato essenziale che servirà di lì a cinquanta pagine perché questo dato importante non è preannunciato da trombe, timpani e tamburi e segnalato da cinquanta frecce illuminate ma, come nei migliori gialli, inserito in silenzio col più sornione dei modi.
Per dirla in sintesi: la Terra viene distrutta e si scoprirà che distruggerla è stato un grave errore che rischia di avere ancor più gravi conseguenze. Alla fine del romanzo poi tutti vanno a cena, in un ristorante al termine dell'universo. Che guarda caso è il titolo del romanzo successivo.
Consigliato nelle quarantene e nei lockdown, ma anche nei momenti in cui si desidera una lettura vivace ma diversa dal solito che sia nel contempo piuttosto profonda.

Con questo post ritorno con gioia a partecipare al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture e un totale stato di negatività a chiunque passi da qui.