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venerdì 14 giugno 2019
Evelina - Fanny Burney
L'immagine a sinistra è la copertina della prima edizione italiana di Evelina pubblicata da Fazi nel 2001, dove viene riprodotto il ritratto fatto all'autrice da tal Edward Frances Burney e conservato alla National Portrait Gallery. E' l'edizione che ho in casa e che mi costò ben 38.000 lire nonostante l'aria pudica da tascabile del volume. Fu un salasso cui mi sottoposi volentieri perché sapevo che si trattava di un romanzo molto famoso in Inghilterra e ricordavo che Jane Austen l'aveva citato ne L'abbazia di Northanger. La prima volta che lo lessi però non mi fece una particolare impressione; va detto però che la lettura avvenne nel corso di alcune notti insonni dovute a una broncopolmonite particolarmente memorabile e probabilmente le condizioni piuttosto malandate non mi permisero di gustarne appieno tutte le raffinate sfumature. Stavolta è andata meglio, probabilmente perché è più facile godersi un buon romanzo (o qualsiasi altra cosa) quando si respira senza particolari difficoltà.
L'immagine a destra invece è stata una piacevole sorpresa, perché proprio in queste settimane è uscita la nuova edizione (l'altra era ormai esauritissima da anni). Il prezzo rimane lo stesso o quasi (20 euro) ma è cambiata la copertina, che adesso riproduce lo stesso quadro di Fragonard che Feltrinelli ha usato per I legami pericolosi e che qui ci sta come il tradizionale cavolo a merenda perché mai, in nessun punto della storia, la protagonista ha motivo di ritrovarsi a leggere una lettera con quell'espressione furbetta e maliziosa, anche perché malizia e furberia sono del tutto estranee alla sua natura (il che le crea un sacco di problemi).
Tutto questo preludio in sintesi sta a dire che il libro è stato finalmente tradotto in Italia vent'anni fa e adesso l'hanno ripubblicato e quindi chi vuole può procurarselo senza fatica. Amen.
Fanny Burney era una donna di buona cultura e di condizione sociale piuttosto elevata e per un certo periodo fu anche dama di corte della regina d'Inghilterra; quando parla del bel mondo e dell'alta società dunque sa bene quel che dice. Evelina è il suo primo romanzo (pubblicato anonimo nel 1778, quando la signora aveva 26 anni) e porta come sottotitolo "l'ingresso in società di una giovane signora". Il romanzo ebbe un grande successo e l'autrice viene considerata una delle madri del romanzo inglese; inoltre tutti hanno sempre lodato l'umorismo del libro e il suo stile brillante. Non io.
In tutta sincerità, qua dentro mi sembra che l'umorismo non compaia nemmeno per una visita di cortesia, anzi devo dire che entrambe le letture mi hanno lasciato con un certo senso di oppressione.
Evelina è una cara e bellissima ragazza di origini nobili; ma il suo perfido padre a un certo punto negò di essere mai stato sposato con sua madre, che ne morì di dolore. In seguito il padre si pentì amaramente della sua cattiveria, ma a quel punto era davvero troppo tardi per rimediare perché la bambina, per preciso desiderio della madre, venne presa in carico da un amico di famiglia che la allevò in campagna sotto falso nome e si guardò bene dal cercare di contattare il vero padre. Per una serie di circostanze verso i diciassette anni Evelina fa un viaggio da amici e si ritrova così senza averlo previsto a Londra nel bel mezzo della stagione mondana. Il suo non è un vero "ingresso in società" quanto un ritrovarsi in mezzo alla suddetta società senza l'ombra di un apprendistato o uno straccio di guida che sappia consigliarla e proteggerla. Aggiungiamo che si tratta di una ragazza di eccezionale bellezza; succede così che numerosi esponenti del bel mondo decidano che una così bella ragazza, ingenua e senza protezione, è una preda eccellente e provino a catturarsela a pro loro senza ombra di ritegno o riguardo, ricorrendo ai peggiori espedienti. A peggiorare la situazione della poverina, che per giunta madre natura ha dotato di un carattere estremamente dolce e fiducioso, c'è il fatto che l'unico uomo che sarebbe tenuto a proteggerla, ovvero il suo ospite, è troppo occupato ad architettare scherzi di più che dubbio gusto per prendersi a cuore i suoi problemi, arrivando pure, per mettere in atto i suoi scherzi del menga, ad allearsi col più accanito dei persecutori della fanciulla. Sua moglie, per quanto più consapevole della situazione, non sembra avere la forza d'animo di intervenire in difesa della poveretta opponendosi al marito (che sinceramente sembra una grandissima ed esimia testa di cazzo dalla prima all'ultima pagina in cui compare*), il suo padre adottivo è lontano e pure impelagato in questioni legali legate appunto ad Evelina... insomma, la poverina è molto sola.
Evelina è un romanzo epistolare del tipo più classico, dove le lettere vengono usate quasi soltanto per illustrare al lettore i vari spostamenti dei personaggi. Gli autori delle lettere sono tutti amici di Evelina e la grandissima maggioranza delle lettere sono scritte da lei medesima al padre adottivo - una specie di diario di viaggio, insomma, in cui la ragazza lo tiene al corrente nel dettaglio di tutte le sue vicende per averne consiglio o per deprecare i pasticci in cui riesce regolarmente a infilarsi. Ne viene fuori il ritratto di una ragazza molto cara, molto buona ma quasi completamente sprovvista della capacità di reagire in modo aggressivo con i suoi numerosi persecutori. Certo, Elizabeth Bennet o Emma Woodhouse saprebbero rimettere tutte quelle colle di pesce al loro posto con grande facilità, ma sono ragazze molto protette e in posizione sociale molto alta nella loro piccola cerchia - e anche la dolce Fanny di Mansfield Park, che pure si distingue per dolcezza di carattere e fa la parte della parente povera, ha comunque alle spalle Mr. Bertram che è sì disposto ad appoggiare Henry Crawford anche se Fanny non sembra volerne sapere, ma solo come pretendente e Henry sa benissimo che qualsiasi tentativo di seduzione finirebbe decisamente male per lui.
Insomma, più che il racconto dell'ingresso in società di una giovane dama Evelina sembra un manuale sulle molestie sessuali e su quanto sia difficile evitarle se sei indifesa e c'è qualcosa di agghiacciante nell'impudenza con cui la quasi totalità dei personaggi maschili (e parecchi di quelli femminili). I molestatori inoltre, quando vedono che le loro intenzioni non arrivano a buon fine, lungi dallo scusarsi o ritirarsi in buon ordine rimproverano assai la poverina per la sua presunta durezza di cuore (un po' come succede in Pamela di Richardson), dimostrando a tutti gli effetti di considerarsi in diritto di ricevere una positiva accoglienza - un atteggiamento senza tempo, a quel che sembra, che nonostante certi tratti della trama, come dire, piuttosto romanzeschi ne fa una narrazione a tutt'oggi piuttosto attuale.
Il quadro generale che il cosiddetto bel mondo offre di sé (compresa la vivace tendenza agli scherzi idioti e alle scommesse ancora più idiote) non è dei più attraenti e non c'è niente di strano agli occhi della lettrice (almeno quando la lettrice sono io) se Evelina per gran parte del romanzo vagheggi un ritorno alla tranquilla campagna dov'è cresciuta; tuttavia ci sono tre personaggi maschili che mostrano di considerare la fanciulla qualcosa di più di una preda di cui approfittare senza farsi problemi o di cui Infischiarsi alla grande: il padre adottivo, un personaggio che sta attraversando una grave crisi depressiva dovuta a un concorso di circostanze altamente sfavorevoli e che Evelina aiuta, dimostrando così di avere un carattere dolce ma non debole quando si tratta di intervenire per aiutare qualcuno, e il principe azzurro di turno, un compito e nobile gentiluomo, che anche se inizialmente considera la ragazza una povera sciocca ben presto cambia idea e soprattutto, durante tutto il corso del romanzo, non compie una sola azione disonorevole ma anzi mostra di conoscere molto bene il significato di parole come "educazione", "discrezione" e simili. Con lui Evelina si sposerà alla fine del romanzo dopo averlo amato con grande ardore per più di quattrocento pagine e da quel momento non le mancheranno né la protezione né la libertà di andarsene tranquillamente in giro senza dover temere insidie ad ogni passo.
Lettura consigliata, istruttiva, interessante, piacevole... ma non così divertente come la raccontano di solito, a mio avviso.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti buone letture, finalmente sotto un albero, in un giardino in fiore, o magari perfino al mare, con un po' di cautela per chi ha la pelle delicata e sensibile perché il sole finalmente arrivato scotta alla grande, con tutto il calore e lo sfolgorìo che ci si può aspettare a metà Giugno.
*senza offesa per le teste di cazzo, è solo un modo di dire: anch'io, come Evelina, ho un carattere dolce e cerco di moderare il mio linguaggio perché ben di peggio avrei da dire su quell'uomo come su quasi tutti i personaggi maschili del romanzo.
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domenica 22 ottobre 2017
#metoo
La metamorfosi di Atteone (Parmigianino, 1524)
Perché Diana sapeva come affrontare certe questioni. Del resto, sappiamo farlo tutti quando siamo i più forti.
Alfin tornata in rete dopo crudelissimo e del tutto involontario esilio, nella navigatina sui blog che frequento e che finalmente posso di nuovo leggere scopro dalla 'povna di essermi persa l'onda di #metoo, cui avrei partecipato molto volentieri, e senza remore di sorta, perché non ho mai avuto alcuna difficoltà a definirmi femminista - del resto, quando ero ragazzina era abbastanza scontato che tutte le donne lo fossero e di solito nessuno ci trovava da ridire. So che oggi è diverso, anche se non sono sicura di aver capito perché.
Porto volentieri la testimonianza dei miei ricordi; niente di drammatico (tranne nell'ultimo caso, che non mi riguarda direttamente) e tutto senza sensi di colpa (tranne nel caso di cui sopra).
Perché, devo aggiungere, la mia buona mamma, rispettabile e borghesissima madre di famiglia che non ha mai fatto alzare un piatto a mio padre, femminista anche lei ma di un femminismo quieto e casalingo, senza cortei e che mai mi risulta aver bruciato un reggiseno in piazza (ma che non mi risulta nemmeno aver disapprovato i cortei né taluni slogan piuttosto accesi), pur impartendomi una educazione piuttosto convenzionale per quegli anni si dimenticò completamente di trasmettermi alcun senso di colpa verso le molestie sessuali - forse perché a sua volta non ne aveva mai sofferto, a giudicare da come raccontava taluni episodi della sua tranquilla e rispettabile gioventù.
La mancanza di senso di colpa e l'implicita legittimazione della rabbia con cui reagire a un sopruso - qualsiasi tipo di sopruso, non solo le molestie sessuali - ha reso tutto molto più facile da gestire. Aggiungo che anche mio padre ha sempre mostrato di condividere questo insolito punto di vista, e a occhio mi vien da dire che anche lui l'aveva ereditato da suo padre, che ho conosciuto poco ma che risulta essere stato quel che si usava un tempo definire "un gentiluomo". Perché, e anche questo va ricordato, i gentiluomini ci sono sempre stati, e per esserlo non era necessario aver ricevuto una particolare istruzione o aver frequentato giri particolarmente raffinati. Bastava e basta esserlo.
Ero una brava ragazza, dall'apparenza tranquilla. Vestivo in modo piuttosto stravagante ma senza la tendenza a scoprirmi troppo; del resto, ai miei tempi non usava scoprirsi molto.
Bastava questo a preservare una fanciulla dalle insidie?
Ma nemmeno per idea, come sappiamo tutte benissimo.
- il mio primo (e unico) pedofilo:
passeggiavo tranquilla tornando da una commissione, tipo comprare il latte. Era pieno pomeriggio. Mi accostò con una rivista - che solo anni dopo ho capito essere porno. "Guarda che roba ho trovato per terra. Ma guarda che roba. Che faccio, la butto via?" "Beh, direi di sì" (sì, mi esprimevo proprio così, con tutti i condizionali precisini). Tornai a casa, riferii lo strano episodio ai miei e assistetti al curioso spettacolo di due tigri che, dopo essersi informate dettagliatamente sul posto esatto e avermi strappato una descrizione dell'individuo, uscirono a gran velocità per la battuta di caccia. Non trovarono nessuno - o così mi dissero. Credo che avrei completamente dimenticato l'episodio, senza quella loro reazione che cercarono di soffocare in mia presenza ma che percepii benissimo.
- il sorvegliante della colonia, che mi fece oggetto di uno stranissimo corteggiamento molesto. Cercai di scansarlo con cura (sono bravissima a scansare chiunque) ma davo assolutamente per scontato che mi stesse prendendo in giro, rifiutandomi per principio di credere che un uomo sulla trentina potesse provare un qualsiasi tipo di interesse per una ragazzina che stava per compierne dodici - d'altra parte non capivo perché stesse sempre tra i piedi, visto che mostravo chiaramente di non apprezzare la sua viscidetta compagnia. Solo molti anni dopo, ricordando casualmente quelle tre settimane, fui assalita dal forte sospetto di averla scampata bella. La mia natura spinosa, che lui tanto criticò, si era rivelata la miglior difesa - ma non sarei stata affatto spinosa se lui non mi fosse stato così antipatico - e naturalmente non mi sarebbe stato antipatico se non avesse avuto qualcosa di viscido inside.
- gli Incontri d'Agosto. Anche se sono cresciuta col mito che la notte per una ragazza fosse pericoloso andare a giro da sola, quelle poche volte che mi trovai da sola di notte per circostanze imprevedibili non mi successe niente di niente di niente, salvo un gruppetto di giovani (suppongo abbastanza ubriachi) che cantavano in coro "Te violentiamo! Forza la fregna!" ma che non mi si accostarono nemmeno, restando a cantare sull'altro lato del marciapiede. In compenso, fare una passeggiata da sola in Agosto, fosse mattina o pomeriggio o ora di pranzo, prevedeva quasi inevitabilmente qualche approccio, a volte decisamente esplicito. Vabbé, in centro a Firenze c'era comunque gente. Diciamo che imparai ad evitare quelle belle passeggiate nei pittoreschi viali sulle colline verso Fiesole che durante il resto dell'anno erano così piacevoli. A quel punto avevo ormai compiuto i vent'anni e, anche se restavo salda nella mia determinazione a non pensare male di nessuno per principio, sapevo riconoscere una sega quando la vedevo, specie se chi se la faceva camminava all'indietro appunto perché la vedessi. In quella specifica occasione finii per fermare una macchina e chiedere un passaggio. Disgraziatamente chi guidava era un uomo. Fortunatamente si limitò a darmi il passaggio e quando capì cos'era successo ("Ehm, sa, c'era un uomo un pochino esibizionista") si chiuse in un dignitoso silenzio e mi lasciò su mia richiesta appena raggiungemmo una strada mediamente frequentata. Lo ringraziai molto.
- L'episodio più spinoso, a diciassette anni. Diciamo un amico di famiglia, diciamo il marito di una persona a me molto cara che frequentavo con una certa regolarità. Mi veniva a prendere alla fermata del tram e mi riaccompagnava alla fermata dopo la visita a sua moglie. Una volta (l'ultima volta, in effetti, perché dopo, con vari pretesti, diradai alquanto le visite alla moglie e andavo in folta compagnia) mi saltò addosso, e dovetti usare una reazione decisamente brusca per levarmelo di dosso. Per tutto il tempo di quella visita, mentre chiacchieravo piacevolmente (beh, mica tanto piacevolmente, per una volta) con la signora, due Grandi Interrogativi invadevano i miei pensieri: cosa mai poteva aver spinto quel perfetto idiota a pensare che fossi disponibile? Aveva quarant'anni buoni più di me, e sono sicurissima di non aver lanciato alcun segnale di incoraggiamento. Ma soprattutto: e come pensava che dopo, qualsiasi "dopo" avesse potuto esserci, avrei affrontato una chiacchierata con la sua consorte? Il viaggio di ritorno fu punteggiato da aperte lamentele sulla mia mancanza di generosità, alle quali risposi con un cupo silenzio.La moglie ci sarebbe rimasta decisamente male se avesse immaginato alcunché, questo era sicuro. Così tacqui l'accaduto con chiunque, ma un anno dopo lo raccontai a tre compagne di scuola, che ne rimasero più che sbalordite, ma che a quanto so osservarono a loro volta un rigoroso silenzio. Almeno spero, perché una conosceva anche il protagonista della vicenda.
- L'episodio più doloroso: una ragazzina che frequentava casa mia e che confidò al mio compagno di essere stata violentata dallo zio. La madre, alternativissima di sinistrissima e femministissima, si era limitata a scrivere al cognato una letteraccia ma non aveva sporto denuncia sostenendo che la sua (di lei e della ragazzina) famiglia aveva un rapporto un po' particolare con la polizia (qualche fermo per disordini nei cortei) e che quindi non era il caso. Francamente ci sembrava una bieca scusa. Lui mi riferì l'episodio perché voleva sapere se conoscevo un qualche tipo di circolo o collettivo di aiuto per vittime di violenza - e in verità c'era, godeva ottima reputazione e lo conoscevo piuttosto bene per interposta persona. Mi precipitai lì il giorno dopo per raccontare il triste caso. Ebbero calde parole di solidarietà e promisero aiuto e assistenza psicologica professionista gratuitissima per la giovane vittima se appena si fosse fatta viva, e del resto era appunto un centro contro la violenza alle donne nato per quello. La ragazzina ringraziò molto... ma a conti fatti non ci andò e rimase impastata nel suo vischio familiare cercando di assorbire il trauma da sola. Deprecammo molto, ma non ce la potevamo certo portare di peso (...o sì?). Rimanemmo entrambi sbalorditi per la reazione della femministissima madre davanti allo stupro familiare della figlioletta - che a conti fatti sembrava più che altro una forma di rivalsa verso la madre, oltre che a un modo di marcare il territorio, il tutto alle soglie del 2000. Ci domandammo a lungo se potevamo fare di più, ma non vedevamo come. Però in qualche modo la coscienza ci rimordeva.
- L'episodio più recente: quando vennero a trovarmi due colleghe durante la convalescenza, e mi raccontarono del corso di educazione sessuale che stavano facendo a scuola. Chiacchierando variamente gli raccontai che proprio in quei giorni avevo letto di una attrice molto famosa (Jane Fonda, forse) che aveva parlato di una violenza subita da ragazzina. Osservai che erano tante, ma proprio tante, le attrici che a distanza di decenni raccontavano storie del genere. "Evidentemente succede spesso, molto più spesso di quel che si pensa" commentò una delle colleghe "Conosciamo quel che è successo alle più famose, ma a quante altre sarà capitato?".
- L'episodio più recente: quando vennero a trovarmi due colleghe durante la convalescenza, e mi raccontarono del corso di educazione sessuale che stavano facendo a scuola. Chiacchierando variamente gli raccontai che proprio in quei giorni avevo letto di una attrice molto famosa (Jane Fonda, forse) che aveva parlato di una violenza subita da ragazzina. Osservai che erano tante, ma proprio tante, le attrici che a distanza di decenni raccontavano storie del genere. "Evidentemente succede spesso, molto più spesso di quel che si pensa" commentò una delle colleghe "Conosciamo quel che è successo alle più famose, ma a quante altre sarà capitato?".
A cosa serve questo amarcord fuori tempo?
Non ne ho idea, comunque anch'io ho portato i miei due centesimi. Posso solo ringraziare la mia buona sorte che siano stati appunto due centesimi e non due dobloni d'oro. A proteggermi c'è stata una certa dose di fortuna, un buon rapporto con la mia aggressività ma anche, credo fermamente, un forte aiuto da parte dei miei genitori, insieme alla sicurezza che da loro avrei ricevuto solo aiuto, appoggio e solidarietà se qualcosa di più grave ci fosse stato. E', quella, una grossa protezione che aiuta molto contro la paura e i sensi di colpa - di cui in effetti non ho mai sofferto.
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