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martedì 12 novembre 2019

Il complotto demoplutogiudaicomassonico ai danni di Tolkien (post ad alto contenuto cultural-filologico)


Abstract: è uscita la prima parte della nuova traduzione del Signore degli Anelli. Do anch'io il mio parere senza averla letta, come fanno tanti. E anch'io come tanti cito Cannarsi, ma solo di striscio.

Cominciamo dalle basi: la prima parte de il Signore degli Anelli è stato tradotto nel 1967 per lo sconosciutissimo (da me) editore Astrolabio senza gran successo commerciale dalla giovanissima Vicky Alliata di Villafranca. Poco dopo, credo nel 1971, uscì una traduzione completa, sempre di Alliata ma rivista da Quirino Principe e pubblicata da Rusconi. Nel 1973  Adelphi pubblicò la traduzione dello Hobbit ad opera di Elena Jeronimidimis Conte. In seguito la traduzione del Signore degli Anelli subì alcuni ritocchi (per esempio gli Gnomi tornarono Elfi, con mio grande sollievo).
Nel 1978 arrivò in Italia la versione a cartoni animati del film tratto dal Signore degli Anelli (più esattamente dalla prima parte, poi finirono i soldi), a partire dal 2002 ci furono i film di Peter Jackson, in seguito Bompiani rilevò i diritti editoriali e pubblicò una versione ritoccata della traduzione Alliata-Principe correggendo alcuni errori, dal 2012 arrivarono i film di Peter Jackson tratti da Lo Hobbit e Adelphi rivide un po' la traduzione. Nel doppiaggio dei film furono adottati nel complesso i nomi delle traduzioni italiane, con qualche ritocco (per esempio i troll de lo Hobbit dopo essere stati sia Uomini Neri che Vagabondi tornarono appunto troll) oppure fu scelta la versione Alliata-Principe che non era sempre uguale a quella di Jeronimidimis (per esempio Gran Burrone invece che Forraspaccata, Pungolo invece di Pungiglione).
A questo punto, e siamo ormai ai giorni nostri, Bompiani decide di fare una nuova traduzione de Il Signore degli Anelli. 
E fu grande festa nell'universo tolkieniano dove da tempo si diceva che la traduzione Alliata-Principe non era cosa, traboccava di errori, praticamente un cimitero di croci più che una traduzione.
Poi la traduzione, ad opera di Ottavio Fatica, ha cominciato a uscire - per adesso è arrivata solo la prima parte, ovvero La Compagnia dell'Anello, e il fandom tolkieniano è letteralmente impazzito. No, non di gioia. Improvvisamente quasi tutti hanno cominciato a dire un gran bene della versione Alliata-Principe, descrivendola come un vero capolavoro a parte alcuni trascurabili errorucci di cui nemmeno metteva conto parlare. In compenso la nuova traduzione è un vero cesso - più esattamente una serie di water chimici sotto usura di quelli che si trovano a qualsiasi grande fiera - l'orrore fatto traduzione, l'abominio degli abomini. Addirittura, sembrava essere stata fatta dal mitico Gualtiero Cannarsi, una sorta di creatura mitologica la cui fama al momento è legata soprattutto ad alcuni adattamenti di anime che si sono distinti per una impronta piuttosto personale, tanto che gli è stato dedicato un gruppo su Facebook*. Insomma, una traduzione così brutta, ma così brutta che non si era ancora mai vista.

All'inizio ho seguito la discussione con blando disinteresse: bella o brutta che sia, la versione Alliata-Principe mi tiene compagnia da quasi mezzo secolo con una buona ventina di riletture e il suono che ho nelle orecchie ormai è quello. 
Tuttavia poche settimane di ardenti polemiche sono bastate per ammorbidire le mie posizioni, tanto da farmi decidere che, non appena la traduzione sarà stata pubblicata per intero e acquistata da una delle biblioteche del mio circuito le dedicherò una lettura completa e accurata. 
Nell'attesa continuo a seguire i thread con il tradizionale sacchetto di pop corn in mano, il quale sacchetto è ormai diventato una gigantesca balla, di quelle che si usano per trasportare grandi quantità di patate, e a forza di seguirli mi è venuta voglia di dare anch'io il mio augustissimo parere;  cosa importa se della traduzione conosco solo qualche frasetta sparsa e qualche diatriba sui nomi? Un parere gratuito non si nega a nessuno e anche se non ho letto la traduzione io so. E dunque è giusto che parli, o meglio che scriva.
Fine della premessa.

Due sono i temi a cui ho deciso di dedicare questo lungo post (so già che sarà molto lungo, anche se ancora non l'ho scritto, allo stesso modo con cui so come criticare una traduzione che non ho ancora letto): il primo è il complotto demoplutogiudaicomassonico dal quale questa traduzione è generata, allo scopo di reclutare politicamente Tolkien, e l'altro sono naturalmente i nomi, argomento principale della maggior parte delle diatribe.
Partiamo dal Perfido Complotto: una bieca macchinazione al cui confronto il leggendario piano Kalergi per sterminare la razza europea è una ragazzata e nulla più; perché la nuova traduzione si dice che sia stata fatta per spostare a sinistra Tolkien e sdoganare il suo romanzo in direzione LGBT. Dietro a questa traduzione ci sarebbe la sinistrissima mano del collettivo Wu Ming che, oltre a varie altre tematiche, si interessa effettivamente da tempo anche di questioni tolkieniane e dei curiosi rapporti che la politica italiana ha avuto con Tolkien sin dai tempi in cui il Signore degli Anelli fu tradotto in italiano la prima volta. Qui potrei infilare una giungla di link sulla questione, ma mi rifiuto. Una stringa di ricerca del tipo "Signore degli anelli nuova traduzione" oppure "Tolkien e Wu Ming" fornirà facilmente a chiunque passi di qui e non sia ancora scappato urlando "Mai più e mai poi!"  materiale più che sufficiente a riempire un fine settimana passato forzatamente in casa per colpa di un raffreddore. Mi limito a segnalare un articolo di due anni fa, appunto di Wu Ming 4, dove viene effettivamente ammessa senza mezzi termini la ferma intenzione di disincrostare dal santo nome di Tolkien le interpretazioni della destra più estrema (ma senza alcun riferimento alle tematiche LGBT, di cui onestamente si fatica assai a trovare traccia in un testo dove nessuno fa sesso e gran parte dei personaggi non mostra di pensarci nemmen di striscio) - proponimento tutto sommato legittimo quanto qualsiasi altro del genere - e una sintesi sulla complessa nascita della traduzione e i misteriosi ma intricati rapporti tra Tolkien e politica italiana fatto da Cardini, che è persona sensata e soprattutto informata dei fatti perché c'era, oltre ad essere un buon medievista assai esperto di guerre sante.
Personalmente non sono molto interessata alla questione se non, moderatamente, sul piano storico. Le reali opinioni politiche di Tolkien contano fino a un certo punto: ha pubblicato il Signore degli Anelli e così facendo lo ha messo a disposizione di tutti, e ognuno può trovarci quel che meglio crede. "La letteratura è un fiume, e il lettore ci pesca la sua cena" diceva un personaggio di Erica Jong, e io la penso nello stesso modo. D'altra parte siamo in un periodo in cui va assai di moda indinniarsi moltissimo su qualunque cosa, soprattutto per partito preso e senza curarsi troppo di sapere su cosa effettivamente ci si stia indinniando. La cosa mi irrita alquanto, ma indinniarmi perché gli altri si indinniano mi sembra sport troppo faticoso e troppo poco fruttifero perché ai miei occhi valga la pena di praticarlo, e d'altra parte è forse meglio che chi sente l'inderogabile necessità di indinniarsi almeno tre volte al giorno lo faccia a spese di un presunto complotto tolkieniano piuttosto che screditando i vaccini o il parto assistito - dopo tutto Tolkien dispone di uno zoccolo di ammiratori abbastanza duro da permettergli di superare anche questa tempesta, credo.
Detto questo, ammetto senza riserve che ai miei occhi si tratta di "una quantità di chiacchiere degne degli orchetti", per citare il saggio Sam, e non nego che leggere le grida straziate di chi lamenta che la nuova traduzione sia il mezzo per sfregiare una cosa troppo bella, anzi bella al punto di causare solo rabbia e invidia negli indegni che non sono in grado di capirla nella sua purezza e suprema bellezza e piange perché d'ora in poi, più se ne parlerà e più il mondo di Tolkien perderà quell'aura di sacralità che a ragione lo contraddistingueva, lungi dal ricavarne nuova dignità con chi aveva preteso di dargliene** mi fa  un po' male al cuore - non già per la perdita di sacralità cui il mondo di Tolkien rischia di andare incontro, ma per l'evidente (ai miei occhi) perdita del raziocinio in chi parla del mondo di Tolkien con accenti che a malapena Bernard de Clairvaux avrebbe riservato al culto della Madonna.
In questi casi non viene criticata dunque la nuova traduzione (non sia mai che ti toccasse addirittura leggerla, o almeno dargli una scorsa) ma il fatto stesso che essa esiste e i biechi scopi con cui Big Pharma e le lobby ghei ce l'hanno inflitta, sperando di dannare le nostre anime a colpi di Forestali.

Grande scontento han suscitato anche le traduzioni delle poesie, e  sono polemiche in cui ho molta difficoltà a prendere posizione. Personalmente ritengo le poesie di Tolkien quasi intraducibili, o comunque la versione Alliata-Quirino non mi è mai piaciuta e quella Jeronimidimis mi ha sempre fatto accapponare la pelle. In effetti ho comprato lo Hobbit e il Signore degli Anelli in inglese soprattutto per vedere com'erano le poesie in lingua originale e mi son piaciute molto di più che leggendole in italiano, tanto che parecchie me le sono pure mandate a memoria. Quel po' che ne ho visto nella nuova traduzione onestamente non mi è piaciuto, ma in effetti è roba che mi piace solo in inglese e quindi per conto mio tendo ad assolvere chiunque provi a fare una buona traduzione delle suddette poesie e non cavi un ragno dal buco perché mi sembra molto difficile che qualcuno possa riuscirci.

Ma veniamo al grave problema dei nomi, dove di posizioni sempre ne ho prese e sempre ne prenderò. Sui nomi discutono, con assoluta parità di astio, fan di destra, di sinistra, di centro e pure quelli che votano solo occasionalmente o non votano affatto non entusiasmandosi per alcuna formazione politica, oltre a etero e gay, sovranisti e europeisti, bianchi e neri, carnivori e vegani, giovani e anziani, cattolici e agnostici; e quasi tutti deprecano assai. E depreco anch'io, naturalmente. E perché mai non dovrei deprecare? Ma mi rendo conto che la questione è davvero complessa.
Prima di tutto: detti nomi tengono compagnia all'immaginario italico ormai da decenni, e quindi sarebbe stato forse il caso di lasciarli proprio stare secondo come si erano variamente stratificati. Col tempo si è sedimentata nell'immaginario collettivo una bizzarra miscellanea di nomi italiani, nomi stranieri e adattamenti vari. Il cuore ha le sue ragioni, e sono ragioni che della fonetica e della linguistica se ne sbattono alla stragrande. Vale la pena cercare di intervenire rischiando di spezzare il cuore a tanta brava gente? Personalmente penso di no. Trent'anni fa, forse, avrebbe potuto scivolar via senza troppi danni. Ma ormai...

Ad ogni modo, se decidi di prendere in mano la situazione e riponderare i nomi uno per uno, il disastro è garantito: perché ogni nome deve tenere conto di infiniti fattori ed è impossibile usare un criterio omogeneo dato che ogni caso è diverso e in più c'è l'affetto per la tradizione che fa velo e induce a prediligere cose francamente indigeribili rifiutando magari di accettare eventuali miglioramenti. Sul momento comunque l'effetto è atroce e tutti si lamentano e ululano come tante banshee. In cuor mio, devo dire, davanti a certe scelte ululo un po' anch'io.
Prendiamo i Forestali, oggetto di disapprovazione quasi universale (e che personalmente  mi piacciono, ma a quel che sembra sono un caso unico).
L'originale è Rangers. Tradurlo con Raminghi mi è sempre parso una sciocchezza: già quando venne scelta questa traduzione, negli anni 60, era parola decisamente aulica, da libretto d'opera, per intendersi. "Ramingo ed esule, in suol straniero", roba di questo tipo; d'altra parte l'originale Ranger all'epoca evocava irresistibilmente l'ombra dell'orso Yoghi; adesso dopo non so quanti anni di Texas Ranger è ancor meno proponibile. Ottavio Fatica l'ha tradotto con "Forestali" riscuotendo una disapprovazione davvero universale, anche se a me non dispiace: mi evoca l'immagine di persone serie e ben formate professionalmente, che proteggono l'ambiente loro affidato  avendo cura di intervenire il meno possibile e addirittura di non farsi notare. Ma tutti erano abituati ai Raminghi e tutti ululano alla luna come tanti coyote. Che dire? Magari hanno torto, ma ormai è fatta. Anche se la tua mamma si chiamava Ruodperta era la tua mamma, e non si tocca, inutile dire che chiamarla Roberta suona meglio in italiano.
Ancor più se ti metti in testa di dar retta alle istruzioni dell'autore - che magari aveva le sue buone ragioni, o faceva finta di averle quando dava certi suggerimenti a eventuali traduttori, ma era anche piuttosto biforcuto e prendeva in giro i lettori alla grande.
Nelle appendici per esempio il nostro caro professore universitario J. R. R. Tolkien,  filologo nonché buontempone, finge che il romanzo sia stato tradotto da una lingua ormai scomparsa parlata un tempo nella Terra di Mezzo, dove a sua volta alcuni dei nomi erano stati tradotti dalle più varie lingue. Uno dei risultati di tutto questo gran tradurre e ritradurre nomi è... Brandywine, tradotto assai sennatamente in maniera assai letterale da Alliata-Principe in "Brandivino" - una roba assai alcolica e inebriante, insomma. Ebbene, non si tratta né di brandy né di vino bensì di Baranduin, che vorrebbe dire acqua di confine MA gli hobbit amavano chiamarlo"Braldahim" ovvero "birra inebriante" perché tal fiume aveva le acque di un bel colore bruno-dorato, proprio come la birra.
Ma tu guarda che coincidenza, non è brandy né vino, ma una bella birra un po' scura.
Tolkien quindi non intendeva assolutamente tirare in ballo né il vino né il brandy, giusto?
Ma no, certo. Perché mai pensare a una cosa così terraterra come il colore del brandy?
Il nome del Brandivino significa "acqua di confine", brandy, birra e sidro non c'entrano assolutamente nulla. E del resto tutti sappiamo che Tolkien era astemio e che gli Inklings quando si ritrovavano bevevano esclusivamente camomilla e tisane di equiseto. 
Qualcosa del genere deve essere successo con Samwise, che la prima traduzione traslittera con un semplice e innocuo "Samvise". Di fatto, per quasi tutto il tempo Samwise è semplicemente Sam, un comunissimo Sam. Poi Tolkien ci spiega che in antico sassone e in antico inglese Samwise vuol dire più o meno "sempliciotto". Ma Tolkien sapeva benissimo che il lettore medio, anche quello abbastanza acculturato verso cui puntava, di antico inglese e di antico sassone di solito non sa molto mentre conosce benissimo la parola wise, che vuol dire "saggio" (nel senso di "savio" e non di "trattato, dissertazione"). Abbiamo così un nome a triplo fondo: il personaggio apparentemente sempliciotto e un po' sprovveduto, che si rivelerà molto saggio e che al momento giusto prenderà decisioni assai accorte anche se passerà le milleduecento pagine del romanzo a darsi continuamente di scemo e a guardare con occhi tondi tutti quei grandi saggi che incrocia continuamente e che senza di lui sarebbero andati tutti a ramengo, Ramingo compreso. Tradurlo Samplicio ci può stare, come non tradurlo affatto e affidarsi a quell'infarinatura di inglese che tutti noi abbiamo grazie alla scuola pubblica e che ci permetterebbe comunque di fare il passaggio "wise = saggio". Di fatto, salvo pochissime volte, Sam rimane Sam. E perché proprio Sam?
Omaggio letterario: a Charles Dickens, per la precisione, e ai suoi Documenti postumi del Circolo Pickwick dove il giovane Sam Weller, di umile condizione, uso a citare sempre suo padre che a sua volta si esprime per detti e modi di dire, servo fedele e devoto, si dimostra abilissimo nello spaniare il suo amato padrone Pickwick dai più vari impicci e a fine romanzo si sposerà con la cameriera Mary con cui ha flirtato per numerose pagine. 
Ma c'è anche un altro omaggio dickensiano: Pipino (che nella nuova traduzione mantiene il nome Pippin) che a un certo punto ci racconta che "gli amici a volte lo chiamano Pip". In realtà nel corso del romanzo, dove con i suoi amici passa parecchio tempo, nessuno fa niente del genere. Ma Pip, guarda caso, è il nome del protagonista di "Grandi speranze": giovane, ingenuo, con una buona educazione alle spalle. Batte qualche cornata ma alla fine, come tutti i protagonisti dickensiani, se la cava abbastanza bene. Ma tu guarda che coincidenza.
Sui nomi del quartetto hobbit c'è poi un altro giochetto, che mi è sempre piaciuto molto: il servo ha un nome abbastanza comune, mentre i tre hobbit possidenti hanno tutti e tre nomi regali, ma di diversa origine. Fino a Pippin, giustamente lasciato com'era in inglese nella nuova traduzione (ma altrettanto giustamente tradotto con "Pipino" nella prima traduzione) ci arriviamo tutti: nella stirpe di Carlo Magno ce ne sono ben due, entrambi molto abili a destreggiarsi in politica come nel campo di battaglia - mentre lo hobbit Pippin a destreggiarsi in politica non ci prova neppure né gli interessa. Ma in realtà anche Pippin è un soprannome, perché il vero nome è Peregrin - nome abbastanza raro ma che si trova senza troppa difficoltà nei romanzi inglesi con protagonisti aristocratici, o almeno io ne ho incrociati almeno due. Volendo proprio tradurlo comunque non sarebbe "Peregrino", come avevano messo nella Alliata-Quirino, bensì "Pellegrino" (sì, proprio come il santo e la magnesia bisurata). Giusto per completare il quadro suo padre si chiama Paladin, nientemeno (che sì, si traduce "paladino", pari pari, con tutte le sue implicazioni ciclocarolineggianti).
Meriadoc (Merry per gli amici) è invece un antico e semileggendario re di Bretagna - la Bretagna francese, quella di Asterix e di Lancillotto. La voce di Wikipedia che ne parla mi forza ad ammettere una volta di più la mia immensa ignoranza sulle fonti dell'alto medioevo inglese, però i due testi che ne parlano di più li ho almeno sentite nominare: Gilda era un monaco inglese che scriveva in un bellissimo latino che nessuno mi ha mai fatto la gentilezza di tradurre in italiano**, mentre del gallese Sogno di Macsen conosco almeno la trama grazie ai romanzi di Mary Stewart su Merlino.
Frodo infine richiama apertamente Frotho, semileggendario re di Danimarca le cui gesta sono narrate da Saxo Grammatico*** e che in gioventù uccise un drago per recuperare un tesoro che detto drago gli aveva rubato, guarda un po' la combinazione.
Dunque abbiamo un personaggio che fa riferimento all'epica carolingia, uno che richiama quella arturiana o comunque anticoinglese, e un rappresentante dell'epica norrena. 
E di nuovo: ma tu guarda la curiosa combinazione.
Dopo questo ignobile sfoggio di cultura nozionistica di terza mano si impone una domanda: di tutto ciò, quanto conosce il lettore medio inglese? E quello italiano?
Immagino che nel primo caso la risposta sia "qualcosina certamente. Almeno l'origine dei nomi". Per quello italiano darei per sicuro che la risposta giusta sia "ben poco, se non rientra nella ristretta categoria di quelli che son diventati medievisti perché hanno letto Tolkien".
Vanno tradotti? Non tradotti? Va ignorata la questione? Lasciamo starte, ché tanto la storia si leggerebbe bene anche se i protagonisti si chiamassero Luca, Claudio, Antonio e Bertoldino? Recuperiamo qualcosa? Come lo rendiamo visibile, questo qualcosa? Tolkien avrebbe voluto che lo recuperassimo, questo qualcosa?
La nuova traduzione (che, ripeto, non ho ancora letto e per un bel pezzo ancora non leggerò) sarà anche sponsorizzata dalla sinistra ma i problemi che Fatica si è trovato davanti non erano né di destra né di sinistra, erano problemi e basta, e anche parecchio rognosi.
Personalmente, non trovo poi così strano che non li abbia risolti tutti nel più soddisfacente dei modi.

*"Gualtiero Cannarsi, cambia lavoro!!!" https://www.facebook.com/groups/132361799200/
** giuro che lo scrivono davvero, e anche di peggio. Controllate pure su una qualsiasi pagina tolkieniana su Facebook, se non ci credete. O su un qualsiasi altro social, perché temo che le cose non migliorino bussando ad altre porte.
*** anche se potrei pur sempre darmi una mossa e leggermelo in inglese o, meglio ancora, in latino visto che il governo ha la gentilezza di pagarmi perché mi aggiorni.

domenica 2 settembre 2018

Considerazioni in libertà sui "personaggi femminili" del Signore degli Anelli

Dama Galadriel a Calas Galadhon

Siamo sinceri: non c'è dubbio che i personaggi femminili di Tolkien siano interessanti, ricchi di personalità, originali e quant'altre note positive possano venirci in mente. Detto questo, se ci fanno su delle singole conferenze o delle singole trasmissioni di scarsa durata, non c'è dubbio che tra le loro più salienti caratteristiche si possa includere a pieno titolo quello di essere pochi: rari e scarsi ircocervi seminati con molta parsimonia nei due romanzi, e abbastanza sporadici anche in Silmarillion e Racconti incompiuti.

Partiamo dallo Hobbit, che si fa davvero in fretta: in tutto il romanzo troviamo citata ben due volte di sfuggita la madre di Bilbo, Belladonna Took, già defunta, e una volta verso la fine del libro Dis, la madre di Fili e Kili nonché sorella di Thorin. 
In effetti Dis è l'unica nana di cui sappiamo qualcosa, ovvero il nome e qualche parentela. Chi desiderasse sapere qualcosa di più sui suoi gusti e inclinazioni, la sua vita e il suo aspetto è costretto a rivolgersi alle fanfiction. Lo stesso vale per chi desidera conoscere qualche altra nana: Tolkien ci ha fornito un discreto campionario di nani, ma con un nano femmina non sembra aver mai sentito il desiderio di confrontarsi. In compenso la questione dell'identità femminile nanica è stata esaminata in modo brillante da Pratchett, che ci ha regalato il personaggio di Felice Culetto* - che probabilmente avrebbe lasciato Tolkien quantomeno un po' perplesso, in quanto ai suoi tempi di certe tematiche non si parlava, soprattutto nei romanzi eroici.  

Il ramo delle Entesse si presenta piuttosto curato, considerando l'esiguità del numero di pagine dedicate agli Ent, e sotto questo aspetto le quote rosa-verdi  vengono rispettate:  le entesse vengono presentate in modo indiretto, ma con ottimi motivi per non farle parlare in prima persona.

Orchi, orchetti e troll probabilmente si riproducono col classico sistema dell'accoppiamento, ma per quel che ne sappiamo potrebbero anche nascere sotto i cavoli (meno probabilmente dai cespugli di rose, dei quali peraltro non c'è grande abbondanza né a Mordor né a Isengard). In ogni caso siamo tutti molto grati a Tolkien di non averci fornito adeguata quota rosa di orchette perché quella celeste di orchetti maschi ci straavanza, grazie.

Il fronte delle hobbit è paurosamente sguarnito: a parte la buonanima Belladonna contiamo quattro personagge: Angelica, graziosa e un po' vanitosa, Mrs. Maggot che non mi sembra dica una sola parola (ma è brava ai fornelli), Lobelia Sackville-Baggins, che a sorpresa, dopo essere stata introdotta in modo piuttosto convenzionale si rivela una personalità abbastanza complessa e conoscerà perfino un riscatto finale, e, last but not least, Rosie Cotton, fidanzata, sposa e madre esemplare che sembra (e probabilmente è) presa pari pari da un romanzo di Trollope. Negli ultimi due capitoli, che sono anche gli unici dove compare, ha una parte piuttosto importante e addirittura le viene riservata la scena finale. Abbiamo anche una fugacissima menzione della madre di Frodo, Primula Brandibuck, che comunque all'epoca in cui inizia il romanzo è morta e sepolta da un pezzo.  

C'è poi Shelob, la Ragnaccia, che mostra che Tolkien era perfettamente in grado di creare anche personaggi femminili negativi - molto, molto negativi. Anche lei viene fortemente identificata nei ruoli prettamente femminili di sposa (gulp!) e madre (ri-gulp!) ma... insomma, anche lei ha poche pagine ma non risulta che nessuno se ne sia mai lamentata.

E veniamo infine agli Elfi, dove troviamo uno dei protagonisti principali, ovvero Lady Galadriel, donna di potere, Signora dell'Anello d'acqua, grande sovrana - potentissima e davvero ragguardevole, senz'altro, ma anche autentico ircocervo di cui l'autore non cessa di ricordarci quanto e come fosse la più notevole e potente tra le regine degli elfi - fermo restando che non solo non abbiamo in tutto il romanzo alcuna altra regina con cui fare un confronto, ma che in 1200 pagine circa non abbiamo alcuna elfa femmina a disposizione per confrontare alcunché salvo Arwen, che a volerla dire tutta è in realtà una mezzelfa, parla pochissimo, agisce ancora meno e neppure il lettore più perspicace è in grado di capire cosa le passa per la testa. 
Insomma, nel caso degli elfi la questione delle quote rosa è risolta in modo tutt'altro che soddisfacente.

Baccadoro invece... bene, Baccadoro è senz'altro una eccezione in questo panorama: nessuno ci spiega cos'è e chi è, ma lo stesso si può dire del suo compagno Tom Bombadil; l'unica cosa che risulta più che chiara è che entrambi sono estremamente potenti, almeno all'interno dei confini che si sono scelti, ed è anche possibile che lei sia più potente di lui; di sicuro comunque non fa parte di alcuna delle razze note della Terra di Mezzo. 

Ma veniamo alla razza che più popola le pagine del Signore degli Anelli, quella destinata a dominare la Terra di Mezzo a partire dalla Quarta Era, quando tutti gli Elfi l'avranno abbandonata: qui di personaggi femminili ne troviamo... (rullo di tamburi) ben DUE, con abbondanza davvero faraonica. La prima è l'adolescente destinata a maturare in donna, la vergine guerriera, la fanciulla presa dal solito romanzo di Trollope ma di cui ci viene detto apertamente e senza infingimenti cosa realmente pensa e sente dietro l'apparenza impeccabile, la ragazza che stufa di sentir parlare di obblighi e doveri decide improvvisamente di prendere per il collo la sua vita e  darle una svolta né ha alcun motivo di pentirsene - personaggio invero azzeccato sin nelle virgole e su cui tuttavia pare che qualche idiota a suo tempo abbia trovato da ridire.
La seconda invece non è una donna di potere propriamente detta, ma "solo" una abile e rispettata guaritrice, molto amante delle chiacchiere, forse non dotata in quantità sovrabbondante del dono della sintesi (al contrario di tuttissime le altre personagge, che non si lasciano mai sfuggire una parola di troppo che sia una) ma capace di portare un raggio di luce in un momento particolarmente buio: Ioreth, che sarà un tramite indiretto per la consacrazione di Aragorn come re, ricordando che i veri re erano anche guaritori.

Al termine di questo magrissimo elenco (che ignora le molte e non originalissime protagoniste del Silmarillion, che stanno comunque ad indicare che Tolkien scarseggiava di figure femminili solo quando scriveva cose destinate alla stampa) possiamo testimoniare che le figure femminili in Tolkien sono variegate, potenti, ognuna particolare a modo suo, talvolta malvage...  ma non interagiscono MAI tra loro: non abbiamo alcuna immagine che ci riconduca a quell'attività cui così di consueto le donne indulgono quando si trovano in coppia o in gruppo, ovvero fare conversazione. Sappiamo che Galadriel (come Arwen) ha delle damigelle, con cui tesse, ma non assistiamo ad alcuna conversazione tra loro, contrariamente a quel che avviene nei romanzi cortesi. Possiamo immaginare (ma senza nessuna certezza di azzeccarci) che Galadriel e Arwen abbiano parlato di Aragorn, visto che Lady Galadriel si presta volentieri al ruolo di candeliere della nipote. E sì, abbiamo perfino una scena dove Ioreth racconta alla cognata com'era andata la guarigione di Faramir e della parte non secondaria da lei avuta. E tuttavia, perfino lì sentiamo solo e soltanto le chiacchiere di Ioreth: la cognata non risponde una parola.
Che sembra confermare che il professore, pur conoscendo bene e a fondo la psicologia femminile, era del tutto incapace di scrivere una banalissima scena dove due signore parlavano tranquillamente tra loro, fosse pure del tempo o del futuro raccolto di orzo.

*In Piedi d'argilla e forse anche in qualche romanzo successivo del ciclo delle Guardie della Città, che nessun editore italiano si è ancora degnato di tradurre nonostante le suppliche di noi lettori.

martedì 28 agosto 2018

Uno hobbit per finirlo e alle stampe alfin mandarlo

Copertina della prima edizione del Silmarillion - che naturalmente mi precipitai a comprare, in quel lontano 1979

La seconda considerazione che è andata prendendo forma nelle spaziose pareti eccetera eccetera (vedi post precedente) riguarda le vicende editoriali di Tolkien, che fin da ragazzo scrisse ampie e dettagliate storie delle Ere Antiche della Terra di Mezzo, partendo dalla sua creazione attraverso la musica e raccogliendole pazientemente nel Silmarillion, che non diede mai alle stampe.
Tolkien morì nel 1973, ovvero diciotto anni dopo la pubblicazione del Signore degli Anelli. Il romanzo gli portò in cassa qualche soldo e lui andò in pensione. Quali circostanze più favorevoli per riordinare infine la sua opera di una vita, quella cui in teoria aveva sempre lavorato? Ma così non avvenne: quando infine Il Silmarillion venne pubblicato ad opera del figlio Christopher, costui dovette pasticciare non poco per sistemare una materia che era ancora allo stato fluido. Non solo, ma molti dei testi che compongono Il Silmarillion esistevano in più versioni, talvolta lunghe e dettagliate e in contraddizione o in contrasto tra loro. Fino alla fine Tolkien aveva continuato a giocare col suo giocattolo preferito, evitando con cura di dargli una forma stabile che gli permettesse di andare in giro per il mondo incontro a un destino editoriale.
Insomma, la mia personale teoria è che, vivente Tolkien, Il Silmarillion non sia stato pubblicato perché al professore non importava, e voleva tenere aperto il laboratorio fino all'ultimo - oppure, a scelta, che a quel punto le storie del Silmarillion lo interessavano fino a un certo punto perché ormai sapeva come andava a finire la storia. 
C'è un altro fattore da considerare: nel frattempo, nell'eroica Terra di Mezzo colma di gioielli magici e cupidi nani e nobilissimi e sanguinarissimi (e talvolta stupidissimi) elfi e uomini usciti di peso, loro sì, da saghe celtiche e germaniche di quelle dove il destino si comporta sempre in maniera scorretta, era entrato in scena un popolo anarchico e disciplinato, gaudente e resiliente, disinteressato a gioielli magici, alle spade incantate e spesso perfino agli spocchiosissimi elfi, che commerciava con i nani comprando soprattutto giocattoli e fuochi d'artificio... insomma, gli hobbit, con le loro doppie colazioni (una delle quali a base di bacon e uova), i loro pub, i loro campi ben arati, indifesi in modo patetico ma capaci di sbrogliarsela nelle situazioni più assurde.
In presenza degli hobbit le storie assumono un senso, e pretendono a gran voce di essere portate a una conclusione. Non ci sono hobbit nel Silmarillion, se non appiccicati con lo sputo nell'ultimissimo capitolo che in sintesi è solo un rapido riassunto per infilare il Signore degli Anelli in tutta la vicenda. 
Non ci sono hobbit, ma soprattutto: come potrebbero esserci? Cosa potrebbero fare, in tutte quelle storie nobili ed eroiche e pure un po' convenzionali? 
Beh, magari potrebbero farci molto, ma col loro intervento le storie avrebbero avuto una conclusione, un senso, una dimensione precisa: sarebbero insomma diventate vere storie. Oppure, più probabilmente, le storie si sarebbero snaturate perdendo sapore.
Resta il fatto che di tutte le storie della Terra di Mezzo Tolkien è riuscito a completarne e stamparne due (la prima delle quali non era nata per stare nel ciclo della Terra di Mezzo) ed erano quelle con gli hobbit. Guarda caso, sono anche quelle secondo me letterariamente più valide e con i personaggi più interessanti. 
Coincidenze? Personalmente ne dubito.

lunedì 27 agosto 2018

What are we Tolkien about?


Di recente Gaberricci mi ha dedicato un post. La cosa mi ha fatto molto piacere, non solo perché sto attraversando un periodo in cui, sentendomi piuttosto giù di morale, attestazioni di stima e simpatia mi fanno particolarmente piacere - ma anche perché il post in questione tratta di Tolkien e letteratura fantasy. 
In mezzo a tutta una serie di considerazioni (temo piuttosto valide) sulla funzione di buona parte della letteratura fantasy, Gaberricci ricorda anche come Il Signore degli Anelli abbia cristallizzato per decenni il canone della letteratura fantasy col risultato di inchiodarla ancora in culla ad un modello e a una formula ineludibili, anche se via via sempre più slavati.
La cosa è abbastanza nota e chi ha provato ad assaggiare un po' di fantasy degli anni 70 e 80 conosce benissimo il fenomeno (e l'orchite quasi inevitabile che ne deriva al lettore maschio, mentre nelle lettrici si creava spesso uno spiacevole flusso di latte alle ginocchia). Tuttavia, a forza di ripensarci - perché ho tantissimo tempo per pensare alle cose più strane, in questo periodo - si sono concretizzate un paio di considerazioni che da qualche anno frullavano pigramente tra le deserte pareti che dovrebbero in teoria custodire quel po' du cervello che mi è toccato in sorte.
Prima considerazione: la letteratura fantasy nata a imitazione di Tolkien deriva da Tolkien meno di quel che sembra, ed è in realtà figlia soprattutto di una serie di stereotipi culturali attraverso i quali Tolkien è stato filtrato e che sono stati usatissimi per costruire i giochi di ruolo.
Tanto per cominciare, il Medioevo. Qualcuno ha deciso che Il Signore degli Anelli era ambientato nel medioevo perché c'erano un po' di spade famose e i cavalieri di Rohan, e siccome c'era l'ambientazione medievale erano necessari un po' di re, molti cavalieri... e i monaci, di cui in effetti in Tolkien non c'è traccia per precisa e ben determinata scelta dell'autore.
Altri elementi molto gettonati sono stati maghi, orchetti, unicorni, draghi, incantesimi e soprattutto nani ed elfi. Qualche sacerdotessa e qualche strega, anche.Tutto ciò farà magari parte dell'immaginario legato al medioevo (anche se si tratta di roba che continua fino almeno a tutto il Cinquecento e in molti casi risale alla letteratura classica) ma certamente NON del medioevo storico che conosciamo. Molti autori stanno comunque ben attenti a scansare patate, tabacco e spaghetti e pizza al pomodoro, finendo spesso per nutrire i propri personaggi soprattutto di pane e formaggio e cacciagione alla brace o allo spiedo. C'è anche una certa abbondanza di belle ragazze con la spada, in percentuale assai maggiore di quella impiegata dal Professore - ma anche lì, il tema viaggia dalle Amazzoni greche fino alla Clorinda di Tasso e la storia e le tematiche legate a Eowyn non ricordo che vengano mai chiamate in causa.
Elfi e Nani sono molto gettonati ma finiscono spesso per appesantire inutilmente la narrazione: gli elfi sono molto nobili d'animo e pallosi, i nani molto ruvidi e spicci e tutto suona decisamente stereotipato.
Gli orchetti (o i loro equivalenti) e le terre maledette dominate dalle tenebre naturalmente abbondano. Due palle da non dirsi, garantisco. Di solito si tratta di una malvagità di superficie, ottenuta lavorando con effetti speciali su cartongesso, in modo assai convenzionale. 
Qualche storia d'amore qua e là un po' accennata, leggermente più esplicita di quelle di Tolkien. Sesso a malapena intuibile, a volte qualche bacio o una scena un po' affettuosa. Qualcuno ha stabilito che nel fantasy non ci va il sesso e il tabù dura tuttora, se Martin è riuscito a scatenare il vespaio che ha scatenato facendo trombare i suoi protagonisti a volte direttamente sulla pagina (ma niente di più di quanto non sia più che accettabile ormai da decenni nei romanzi  di avventura, e non parliamo di quelli di azione).

In compenso mancano gli hobbit, protetti dalle leggi sul copyright ma anche da qualche meccanismo più potente (forse magico?) che fa sì che non esistano comunità umane che si rifanno al modello della Contea. Ma soprattutto mancano i boschi tolkieniani, che sono qualcosa di molto diverso dalle solite foreste incantate dove a volte si nasconde qualche eremita e che costituiscono uno degli elementi più affascinanti del Signore degli Anelli. Immagino che creare una foresta con una sua personalità sia più complesso che sbattere sulla carta qulche nobile elfo molto saggio e dall'aria assai malinconica (ma bellissimo). 
In pratica: nel rifare Il Signore degli Anelli coloro che hanno... diciamo tratto profonda ispirazione dal romanzo di Tolkien, hanno trovato maggior facilità di utilizzo per gli elementi più commerciali - anche se talvolta hanno trovato loro specifico dovere intrattenere il lettore con soporifere descrizioni di paesaggi costruiti con lo stampino e battaglie simil-medievali (che però, contrariamente alle vere battaglie medievali, facevano un sacco di morti), a rischio di addormentarlo senza pietà.
Abbiamo così una vasta produzione letteraria molto stereotipata, che si è volontariamente rinchiusa in un recinto piuttosto stretto dove l'eventuale inventiva degli autori non ha avuto modo di esprimersi adeguatamente ma anzi è stata repressasenza pietà, probabilmente anche per influenza degli editori, e un genere letterario che non è fiorito se non in mano a quegli autori che hanno deciso di raccontare quel che gli pareva rinunciando volontariamente alla gabbia in cui Tolkien, del tutto involontariamente, li aveva costretti.
In pratica, una grande quantità di ciarpame.

martedì 28 novembre 2017

Haeretica - AVTI ovvero Associazione Vecchi Tolkieniani Iperspocchiosi

Personaggio assai spocchioso, Thranduil era interpretato da Lee Pace, attore non troppo propenso a prendersi eccessivamente sul serio

A torto o a ragione, sono sempre stata convinta di essere una tolkieniana con un curriculum molto rispettabile e soprattutto lungo: ho letto una delle prime ristampe della prima edizione integrale in italiano del Signore degli Anelli, pasticciavo con l'edizione inglese quando i librai mi chiedevano ancora "Tolkien chi?", ho in casa la primissima edizione italiana del Silmarillion, conosco i nomi dei personaggi e di molti luoghi in più lingue (lingue della Terra di Mezzo, intendo), ricordo senza difficoltà i capitoli dove si trovano le singole scene e le singole conversazioni dei due romanzi, non devo preoccuparmi se l'edizione italiana delle Lettere di Tolkien è esaurita perché tanto io ci ho quella in inglese e qui la pianto per pietà verso chi legge, anche perché a tutto ciò ho dedicato già un post.
Ma con i tolkieniani non mi sono mai trovata molto bene; non solo ora, anche quando incontrai all'università il primo tolkieniano della mia vita, che mi diede un paio di fanzine fotocopiate ai tempi in cui le fotocopie erano una roba pesantissima su carta chimica. Me le lessi con santa religione, ma non ci trovai traccia di quel che Tolkien era stato per me: era tutta roba molto seriosa sulla filosofia di Tolkien, il cristianesimo di Tolkien (un lato su cui ho sempre cercato di sorvolare, anche se in verità nelle sue lettere, quando a parlarne era lui, non mi aveva affatto infastidito), la Grazia in Tolkien... boh.
Molti anni dopo, quando ero ormai entrata in rete, aprirono un newsgroup dedicato a Tolkien. Lì non mi trovavo male, ma alla fine non postavo quasi mai: era tutta gente specializzatissima che conosceva tutte le stirpi elfiche elencate nel Silmarillion e faceva un sacco di domande su come tradurre in elfico questo e quello. Tolkien li avrebbe apprezzati molto, ma io non sono una linguista e le lingue immaginarie mi interessano il giusto anche se ho tentato di studiare un po' di quelle vere (con scarsi risultati) e due esami di filologia romanza mi permettono di leggere un po' di francese - o almeno me lo permettevano ai tempi della tesi

Poi arrivarono i film.
Chi non c'era non può nemmeno lontanamente immaginare lo starnazzìo e il gran volar di piume. Mancava questo, non c'era quello, quell'altro non andava bene... cominciarono sin dai primi trailer e non lasciarono pietra su pietra. I tolkieniani della mia età per lo più diventano idrofobi, se gli parli dei film.
Io facevo parte dell'ala moderata alcune cose mi piacquero, altre no, ma vedere quei luoghi che avevo sempre e solo immaginati trasformati in realtà (beh, diciamo in reali scenografie) mi  lasciò una impressione fortissima. Ci misi dei giorni a riprendermi dalla visione della Compagnia, nonostante tutta la mia disapprovazione per l'interminabile  lotta nei sotterranei di Moria con un insulso mostriciattolo e l'rritazione per come erano stati trattati alcuni personaggi. C'era tanto che non mi piaceva, ma anche tanto che mi aveva colpito e tuttora disapprovo che, nonostante tutte le statuine date a Jackson si siano dimenticate di dargli la più meritata, quella "Complimenti per il coraggio"; perché, oggettivamente, aveva fatto un lavoro immane, oltre che non privo di buoni risultati.
Con gli anni, ma questo non lo sapevo, crebbe la generazione che considerava la trilogia dei film come Sacra e Inviolabile. Li incrocia su Facebook e - sorpresa! - li trovai altrettanto esasperanti. Nel frattempo avevano cominciato a pubblicare libri su Tolkien, e ogni tanto riuscivo a mettere le mani su qualcosa, tramite biblioteca: gli elfi in Tolkien, la Grazia in Tolkien, il Cattolicesimo in Tolkien, morte e resurrezione in Tolkien... tutti temi molto rispettabili, ma non mi piaceva come venivano trattati. A dirla tutta, mi annoiavano.
Ammettiamolo: quando si parla di Tolkien divento un vero impiastro. 
Il problema per me era ed è che nessuno vedeva Tolkien a modo mio, e il mio è l'unico modo giusto di vederlo - e credo sia il problema di ogni drogato da Tolkien, nonché di tutti i nerd.
Poi uscì la trilogia dello Hobbit, che mi è piaciuta moltissimo. Mi dissi che, forse, nel frattempo il mio gusto era cambiato, e andai a guardarmi un po' della vecchia trilogia; ma, niente, continuavo a trovarla irritante... tranne quando mi piaceva. Così mi trovavo in completo e viscerale disaccordo sia con chi la esaltava che con chi la denigrava - e naturalmente ero ancor più in disaccordo con chi la trovava migliore della seconda. E si sa che il cuore ha le sue ragioni eccetera eccetera.
Il problema, compresi alla fine, era ancora più raffinato: c'era una intera generazione di Tolkieniani che era cresciuta con l'imprinting della prima trilogia e ormai vedeva la Terra di Mezzo e tutta la storia dell'Anello solo come Jackson gliel'aveva mostrata; ed erano perfino più impiastri di me. Il punto era che io avevo avuto un imprinting molto diverso - ma naturalmente il mio era quello giusto.
Con l'aiuto di qualche barlume di ritegno imparai a tenermi per me il mio giustissimo punto di vista. Lo trovavo qua e là espresso nei forum stranieri - ma vacci a intervenire, in un forum straniero. Proprio non ci avevo il coraggio, col mio povero inglese pasticciato (e non sanno, nei forum stranieri, che fortuna hanno avuto!).
Scoprii poi che esisteva un blog dedicato alla trilogia dello Hobbit e, pur disapprovando in cuor mio quasi tutto quello che ci trovavo scritto, non mancavo mai di visitarlo (per disapprovarlo meglio, si capisce). 
Per molto tempo mi limitai a leggerlo con profonda disapprovazione, poi cominciai a intervenire - e fu così che incrociai per la prima volta Eva e Acquaforte. Era, dobbiamo ammetterlo, un vero forum di discussione, e quanto a discutere nessuno si faceva mancare nulla. C'erano un po' di ragazzini - vabbé, arrivata a questa età per me sono quasi sempre ragazzini - e anche un po' di ragazzine che venivano costantemente massacrate per la gravissima colpa di apprezzare Fili e Kili (cosa che mi irritava perché piacevano moltissimo anche a me, e infatti intervenivo a difenderle). C'era un sacco di gente che odiava la povera Tauriel, qualcuno arrivò perfino a definirla un'elfa di facili costumi perché, molto opportunisticamente, si dedicava a Kili solo dopo che Thranduil le aveva fatto capire che non voleva che sposasse Legolas (un punto molto discusso, e anche piuttosto antitolkieniano a mio avviso: quando mai nel canone a una ragazza, per di più elfica, era importato qualcosa che papi non volesse?).

Poi c'erano quelli che si lamentavano che Lo Hobbir non fosse abbastanza epico e la carica dei Rohirrim lo era di più, ma a me la carica dei Rohirrim della prima trilogia non era piaciuta molto e soprattutto avevo un concetto più esteso del termine "epico".
Insomma, seghe su seghe che nemmeno in una falegnameria canadese che lavorasse a pieno regime.

Ogni tanto postavo. Beh, probabilmente ogni poco, anche se a me sembrava di essere assai parca e morigerata nei miei interventi (probabilmente lo ero, dal mio punto di vista, perché a volte avrei preso volentieri un bel lanciafiamme per fare pulito, specie con quelli che postavano per la settecentesima volta qualche osservazione sulla computer grafica che nella prima trilogia era fatta meglio, o su come sarebbe venuto meglio il film in due parti invece che in tre - e volevano sempre tagliare quelle parti che mi erano piaciute di più). 
Borbottavo e sobbollivo come una pentola di stufato, ogni tanto traboccavo ma ripulivo velocissimamente il piano di cottura e nessuno si accorgeva di niente. Per fortuna c'era Eva, che aveva sempre una buona parola per tutti, altrimenti quel blog sarebbe finito in autocombustione già ai tempi della Desolazione di Smaug, e non solo per colpa mia.
Finirono i film e, ahimé e doppio e triplo ahimé, finì anche il blog.
In seguito Linda mi iscrisse al gruppo tolkieniano per eccellenza su Facebook, quello gestito nientemeno che dalla Associazione  Italiana Studi Tolkieniani, dove si entra solo su invito.
Lì sono in mezzo a gente seria, preparata e informatissima: gente che fa domande profondissime sulla Grazia in Tolkien, il Cattolicesimo in Tolkien, la Spiritualità di Tolkien, il Bene, il Male, l'Amore e la Morte in Tolkien, la traduzione del sesto rigo della quinta pagina del terzo capitolo... roba seria, insomma, talvolta un po' esasperante.
Scherzano poco. Una domanda sulla possibilità di un coinvolgimento omoerotico tra Sam e Frodo provoca una pioggia di frecce che gli orchetti se la sognano, al grido di "A queste sozzerie Tolkien non ci pensava nemmeno!" (il che è anche vero, tuttavia tra i due hobbit c'è un legame che meriterebbe una analisi più accurata, perché non è dei più consueti, e non scordiamo che a tratti abbiamo perfino un triangolo dove Gollum ha la sua bella parte).
Il sesso è visto male, anche quando ne parlano altri autori. No, non altri autori che vogliono parlare di sesso riguardo ai libri di Tolkien, bensì autori che mettono i protagonisti dei loro romanzi a accoppiarsi variamente. Martin, per esempio. Oh, il cattivissimo Martin! E guai se il maledetto si azzarda a dire che nei due romanzi di Tolkien ci sono delle consistenti zone d'ombra sulla parte economica e politica. Come osa criticare, quell'infimo esserucolo?

Come dicevo, nel gruppo ci sta gente seria, che scrive testi e articoli su Tolkien, la regalità in Tolkien, le fonti norrene in Tolkien, la filosofia tomistica in Tolkien. Qualche volta qualcuno sembra anzi convinto di avere scritto parole definitive e incontestabili sulle varie questioni, ma ho notato che chi insiste troppo sul fatto che lui ha ragione e gli altri hanno torto perché lo dice lui finisce di solito per essere allontanato dal gruppo in quanto rompiballe (i moderatori si esprimono naturalmente in modo più compunto, ma il succo è questo).
Ad ogni modo, per quanto si tratti in gran parte di persone serie e preparate (e di solito anche molto cortesi) spesso mi accorgo che la mia opinione su qualsiasi tema di discussione circoli è diversissima da quella degli altri, e dunque finisco per starmene zitta.
Insomma, non mi trovo bene nemmeno lì. Ma sono tutti troppo colti e preparati perché abbia voglia di usare il lanciafiamme, o almeno di ammettere  con me stessa che a volte vorrei tanto usarlo

Qualche giorno fa sulle pagine tolkieniane di Facebook è piombata come un fulmine una Grande (o forse ferale?) Notizia: sembrava, pare, correva voce, si raccontava, che stessero per fare una serie televisiva dal Signore degli Anelli.
"Magari è la volta che riusciremo finalmente a vedere anche Tom Bombadil e gli spettri dei Tumuli" commentai giuliva & festosa; di fatto c'erano altre cose che mi sarebbe assai interessato vedere - un vero Gimli, per esempio, o un Aragorn e un Frodo che avessero qualche rapporto con i personaggi descritti nel libro; o addirittura una Eowyn che non preparava lo stufato - ma soprattutto una storia meno frenetica dove la gente all'occorrenza si mettesse anche a chiacchierare e soprattutto a riflettere sui tempi passati, con più boschi e un po' meno combattimenti con gli orchetti,  o anche dove il lato horror sia gestito in modo più inquietante e il rapporto tra Frodo e Sam sia centrato meglio e lo spettatore non sia tentato di risolvere tutto pensando che sia una storia d'amore con Gollum che fa da terzo incomodo... insomma, qualcosa fatto più a modo mio (che, come mi sembra di avere già delicatamente accennato qua e là in questo post, è l'unico valido).
Intorno a me si scatenava la furia dello scontento - non già rivolta al mio piccolo e innocuo commento, che nessuno si è filato né tanto né poco, bensì tesa a deprecare la catastrofe incombente.
Ma come, a che serviva un nuovo lavoro preso dal Signore degli Anelli? Non esisteva ormai l'Unica e Veridica Trilogia, specchio di tutte le perfezioni? Oppure, a scelta: non erano bastate quelle due infami trilogie, specchio di ogni perversione? Del resto era noto che Tolkien odiava i film tratti dalle sue opere; e c'era pure il precedente della serie di Shannara che era venuta malissimo, l'orribile Trono di Spade (quello tratto dai romanzi dell'immondo Martin), e come poteva lo spettatore ormai figurarsi un Aragorn diverso da quello della Trilogia e che diamine potevamo farcene di un lavoro fatto male e inutile? Davvero non se ne vedeva la necessità, e l'unico effetto che avrebbe sortito sarebbe stato quello di commercializzare ulteriormente Tolkien*.
Giuro che per giorni e giorni tutti gli italici tolkieniani presenti su Facebook si sono stracciati le vesti deprecando l'orrore di una nuova interpretazione del loro romanzo preferito (in seguito è emerso che può darsi che non sarà una serie televisiva, e forse nemmeno tratta dal Signore degli Anelli, o comunque non solo dal Signore degli Anelli, ma a tutto questo ho rifiutato di interessarmi in attesa di notizie più concrete).
Tutto ciò, invero, mi ha lasciata piuttosto perplessa: siamo sicuri che la prima reazione alla notizia di una nuova, ennesima, riduzione per lo schermo di Orgoglio e Pregiudizio porterebbe tanto sconforto e disperazione tra i cultori di Jane Austen? O non si aprirebbe piuttosto nel giro di trenta secondi un totoDarcy e un totoElizabeth e un totoOgniAltroPersonaggio con accanitissime discussioni?

Io con i tolkieniani non mi ci trovo molto bene. Li trovo strani.
E li guardo molto dall'alto in basso, con grandissima spocchia
Dopotutto, sono o non sono la Custode dell'Unico Valido Modo di Interpretare Tolkien?

*beh, non so se è questo l'effetto che sortirebbe questa fantomatica serie, ma sono sicura che è l'effetto che i produttori cercheranno di ottenere. Va riconosciuto onestamente però che sarebbe strano il contrario, perché raramente si fa una serie televisiva (o un film) allo scopo precipuo di rendere più ignota e meno diffusa una storia.

E per concludere, un bel poster di Jim Cauty, che lo disegnò a 19 anni, nel 1976 - il che vuol dire che due anni dopo mi misi in camera in pianta stabile un poster disegnato da un quasi coetaneo. Si possono discutere alcune cose ma... quello è Gandalf, senza alcun dubbio.

mercoledì 10 agosto 2016

Boschi della Terra di Mezzo - 5 - Le Entesse


Anche se tendenzialmente gli Ent possono vivere all'infinito, sono una razza in via di estinzione. Qualcuno si sta alberizzando, sì, e qualcuno è morto per gli accidenti della vita. Ma il vero problema è che non hanno germogli ent: ne hanno avuti alcuni, in epoche molto lontane, ma poi perdettero le entesse.
"Quando il mondo era giovane, e i boschi vasti e selvaggi, gli Ent e le Entesse camminavano e vivevano insieme. Ma i nostri cuori non svilupparono i medesimi sentimenti"
racconta Barbalbero "gli Ent si erano affezionati ai grandi boschi selvaggi. Ma le Entesse si occuparono delle piante più piccole, dei prati illuminati dal sole ai margini delle foreste; videro le prugnole sugli alberi, i meli ed i ciliegi selvatici fiorire in primavera, l'erba verde crescere in estate nelle terre irrigue, ed i semi germogliare nei campi in autunno.

Entwife - Natalia Nikitin
Esse non desideravano parlare con queste cose, ma volevano essere ascoltate e obbedite. Le Entesse ordinarono loro di crescere secondo i propri desideri, e di produrre frutti e di portare foglie a volontà; le Entesse infatti volevano ordine, abbondanza e pace, e ciò per loro significava che ogni cosa doveva restare al posto che esse avevano stabilito. E crearono giardini, per abitarli. Molti uomini appresero l'arte delle Entesse e furono estremamente riconoscenti".
Insomma, mentre gli Ent si concentrarono sulla loro alberità, le Entesse inventarono l'agricoltura e la insegnarono agli uomini, mettendo le piante più piccole al loro servizio. Si potrebbe dire che, per amore di dominio, domarono le piante e le legarono alla catena della produzione agroalimentare, oppure che cercarono di produrre qualcosa che fosse utile anche alle altre specie - quelle che camminavano liberamente su due gambe, verso cui non provavano alcun rancore e a cui anzi elargirono un dono senza prezzo: prima dei loro utili insegnamenti, infatti, uomini (e hobbit, si suppone) vivevano allo stato di cacciatori e raccoglitori, insomma carne arrosto o bollita e  bacche, radici e funghi (come si alimentassero gli elfi, che da millenni imperversavano per il mondo, non è dato sapere).
Quello dell'agricoltura è il più antico mestiere del mondo, nella nostra storiografia: caccia,  raccolta di bacche e perfino allevamento sono infatti praticati anche dagli animali, mentre l'agricoltura è una caratteristica esclusivamente umana. I campi biondeggianti di grano e i frutteti carichi di pesche e susine segnano l'inizio della civiltà umana, ma portano con sé la fine della libertà delle piante, rinchiuse in giardini e condannate a produrre, produrre e ancora produrre. Ordine, pace e abbondanza: piatti pieni su tutte le tavole, frutteti e orti ben strutturati e curati, bellezza e rigoglio ovunque.
Chi aveva ragione?
Dal punto di vista umano le Entesse, senz'altro. Dal punto di vista vegetale non so, ci sarebbe parecchio da discutere e sarebbe interessante sentire cosa ne pensavano gli Ucorni.
Quel che è certo è che la separazione degli Ent maschi dalle Ent femmine si rivelò un disastro per la razza degli Ent nel momento in cui le Entesse... scomparvero. 

Gli Ent maschi erano rimasti nelle foreste, ma andavano ogni tanto a trovare le loro Entesse. Non risulta che le Entesse facessero altrettanto, perché erano assolutamente soddisfatte della loro scelta. Coltivare la terra le aveva cambiate anche fisicamente: erano diventate più curve e brune "avevano i capelli riarsi dal sole e del colore del grano maturo, e le guance rosse come mele. Eppure gli occhi erano ancora come i nostri".

Fimbrethil, consorte di Barbalbero

Ad ogni modo i giardini delle Entesse cambiarono più volte locazione, dopo ognuna delle venute dell'Oscurità, rifiorendo ogni volta più belli e fertili. Eppure ci fu un triste giorno in cui gli Ent trovarono solo terre bruciate: "era tutto un deserto, ogni cosa bruciata e sradicata dalla guerra devastatrice" e niente più tracce delle Entesse. Gli Ent le cercarono, e chiesero loro notizie. Seppero solo vagamente che erano andate a sud, oppure a est, oppure... insomma, le cercarono e non le trovarono mai più. 
Per confortarli, gli Elfi scrissero delle canzoni. Che altro potevano fare?
Barbalbero ne canta una, una specie di contrasto dove nell'ultima strofa i due rami della razza si riuniscono dopo aver perso entrambi le loro dimore:
Insieme allora nella bufera fianco a fianco ad ovest ce ne andremo
Ed una terra dove i nostri cuori riposar potranno troveremo.
Tuttavia niente di tutto ciò è avvenuto nel tempo in cui Barbalbero incontra gli hobbit, e l'Ent sospira che le canzoni, come gli alberi, portano frutti solo a tempo giusto e a modo loro; e a volte appassiscono anzi tempo".

Dove erano finite le Entesse? Esistevano ancora, nella Terra di Mezzo?
Un affascinante teoria  sostiene che, almeno per un certo tempo, hanno avuto cura dell'Ithilien, che non a caso veniva chiamato il giardino di Gondor, e trova le loro tracce... in una ciotola di pietra piena d'acqua, simile a quelle che c'erano nella casa di Barbalbero visitata dagli hobbit. In tutti i casi Tolkien non ha lasciato tracce molto esplicite - ma va pur considerato che il Signore degli Anelli  pullula di leggeri accenni abilmente nascosti nelle pieghe del testo.

La storia ha un tono squisitamente vittoriano, a partire dalla teoria (nata, mi sembra, proprio in quegli anni) che vuole le donne come inventrici dell'agricoltura: senz'altro un bel titolo di vanto per il nostro sesso, e tuttavia mi sono sempre chiesta se esiste un qualche elemento oggettivo su cui basarla, al di là dell'opinione che gli uomini avevano in quell'epoca sulla natura femminile: i maschi rincorrono l'infinito, i misteri, studiano la natura alberesca, mentre le femmine sono portate verso le piante più piccole e produttive, vogliono un piccolo regno dove comandare ed essere obbedite, cercano la regola, la pace, l'abbondanza e si occupano di ciò che ha un utilizzo pratico. Una volta passato l'entusiasmo della giovinezza, quando i sogni e i sentimenti sono gli stessi, i cuori di maschi e femmine prendono direzioni diverse, anche se l'affetto nella coppia permane immutato. 
E' la crisi della coppia, un tema molto presente nella letteratura degli anni di Tolkien: non la coppia che si separa per contrasti o perché nuovi interessi sentimentali han preso il posto dell'antico amore - tutte cose cui un divorzio potrebbe porre rimedio - ma la coppia che si continua ad amare ma che ha interessi in gran parte separati perché maschi e femmine, maturando, sviluppano interessi diversi essendo diversi per natura (Tolkien stesso visse un matrimonio assai felice dove però i coniugi, pur continuandosi sempre ad amare, avevano interessi in larga parte divergenti. Per coltivare i suoi, del resto, Tolkien preferì sempre la compagnia maschile).
La separazione degli Ent dalle Entesse non avviene per leggerezza, motivi futili o scarsità di sentimento, ma perché i due rami della razza sono intrinsecamente diversi, e davanti a questa differenza naturale l'autore non riesce a trovare altro che la possibilità di una riunione "dopo" che la vita ha seguito il suo corso.
Resta un ultima osservazione da fare: in questa storia le Entesse sono mute, come spesso le controparti femminili delle razze di Tolkien. Pochissimo sappiamo delle signore hobbit, poco delle donne, le Entesse appaiono solo di riflesso nel racconto di un Ent malinconico, quasi nulla viene detto delle nane, nulla del tutto delle orchette. Solo la voce delle Elfe risuona con una certa chiarezza.