Il mio blog preferito

giovedì 30 maggio 2019

Suave alterius spectare laborem

L'eccellente Lucrezio apre il secondo libro del De rerum natura descrivendo la dolce sensazione che si prova quando, da un tranquillo rifugio, si osservano gli sventurati in preda alla furia degli elementi. Non è un sentimento dei più nobili ma temo accomuni anche le anime più sensibili: anche se sei tra quelli che all'alba si alza per portare la colazione ai barboni della stazione, passa il Natale facendo volontariato al gattile o tribola assai portare assistenza medica a chi soffre nelle zone più povere e inospitali del pianeta, tuoni, fulmini e ghiaccio hanno un fascino tutto particolare visti da una stanza ben calda e riparata da cui nessun impegno o dovere minaccia di strapparti a tempi brevi.
Allo stesso modo si sente chi, come me, in queste settimane sta a scuola lavorando rilassatamente a fare le pulci alla biblioteca scolastica mentre intorno a lui i poveri colleghi sovraccarichi di lavoro vagano come anime in pena tra una relazione, quaranta verifiche in fila per sei col resto di quattro, giudizi da ricopiare, competenze da assegnare, tornei da completare, saggi da preparare, esami da imbastire, classi sempre più effervescenti e scalpitanti, infinite relazioni da preparare, voti da calcolare e rogne di tutti i tipi che spuntano fuori da ogni dove.
E', la mia, una situazione particolarissima che molti insegnanti non provano mai per tutta la loro carriera: perché la Fine dell'Anno non è particolarmente difficile per alcune categorie, ma proprio per tutti e se nei primi anni tutto è nuovo e quindi più difficile, una migliore salute e forma fisica ti assistono più di quanto possa succedere ai colleghi più stagionati. Chiusa in un pudico silenzio li guardo combattere, azzardando solo qualche paroletta di comprensione quando si lamentano e mi guardo bene dal raccontare quanto mi sento rilassata mentre si arrabattano variamente. Qualche volta porto un po' di frutta da qualche mercatino locale (è norma di buona educazione portare ogni tanto un po' di frutta ai carcerati, si sa).
Anzi, un po' per solidarietà e molto per perversione, ho deciso di fare nonostante tutto anche quest'anno la Mostra del Libro, nell'ultima settimana di scuola in modo che coincida con la mitica Festa di Fine Anno Scolastico - del resto, superato il trauma del primo anno, la Mostra è una di quelle cose che si incammina molto presto su rotaie tutte sue e procede da sola con poco sforzo da parte del bibliotecario, senza contare che quest'anno non ci sono nemmeno i turni da organizzare per la vendita dei libri, perché me la sobbarcherò tutta dal momento che sono sempre libera e mi hanno promesso di non darmi sostituzioni in quei giorni.
Può darsi che si riveli una cosa abbastanza faticosa, comunque: lo è sempre stata, non c'è motivo che proprio quest'anno diventi improvvisamente riposante. Ma se non posso stare tra torme di scolari resi quasi isterici dall'avvicinarsi della tanto agognata libertà, potrò almeno stare tra mucchi di libri, problemi di resto da spicciolare, liste da riempire e da spuntare passo passo e altre amenità che quasi nessuno apprezza ma che mi riportano alla mente la mia brevissima stagione di bibliotecaria. Del resto, è il primo anno (e suppongo che sarà anche l'ultimo) in cui posso prepararla dovendo pensare solo a quello perché solo occasionalmente sono in qualche classe a fare qualche pigra sostituzione a passo da crociera (dove peraltro di solito li porto in biblioteca "a prendersi un libro per l'estate").


venerdì 24 maggio 2019

Questa biblioteca non è una libreria! (ma dovrebbe diventarlo)

Per dieci mesi, durante la mia assenza, la biblioteca della scuola media di St. Mary Mead è rimasta allo stato brado non avendo chi la badava, la coccolava e le portava il caffellatte con i biscottini tutte le mattine e la tisana di equiseto, malva e melissa tutte le sere per calmarle i nervi; ogni tanto qualche classe o qualche insegnante ci si avventurava e qualche anima buona a volte perfino registrava i prestiti avvenuti (ma non sempre il programma si degnava di prendere atto della cosa, perché sta diventando piuttosto lunatico). Non con le nuove prime, naturalmente, perché Jorge si è dimenticato di inserirle e chiedergli di farlo adesso, a fine anno, quando come tutti ha trecento diverse cose per la testa delle quali duecentonovantadue vanno badate in contemporanea, sarebbe veramente fuor di luogo. 
Oltre a prendere libri in prestito molti li hanno pure riportati, lasciandoli in pile sempre più alte sul tavolino a ciò preposto. Strano ma vero, a nessuno è venuto in mente di rimetterli nella loro legittima collocazione nonostante essa collocazione sia disposta secondo uno schema assai logico e chiaro e illustrata con chiarezza in due grossi tabelloni che avevo appeso alle pareti della stanza.
No, non è vero che a nessuno è venuto in mente. A giudicare dalla spaventosa quantità di libri fuori posto (a Giugno avevo risistemato tutto in perfetto ordine) in parecchi ci hanno provato, con tanta lodevole buona volontà e risultati assai scadenti.

Riordinare una piccola biblioteca (meno di duemila volumi, per il momento) non è un lavoro complicato. Mentre andavo su e giù come una spoletta sull'ordito provavo a riflettere.
Come mai in quella scuola nessuno viene a capo della disposizione dei libri nella biblioteca? A me sembra semplicissimo e assolutamente logico, ma se nessuno riesce a rimettere al suo posto un libro è chiaro che qualcosa là dentro non va.
Passi per i ragazzi - anche se quell'ordinamento è stato studiato apposta per loro - ma gli insegnanti?
C'è un catalogo per autori e uno per titoli, che assai raramente mi risulta essere stato consultato da qualcuno. Ma in biblioteca, come in libreria, si va anche per trovare qualcosa che non sappiamo di voler leggere. E sia le biblioteche comunali che le librerie, ai miei occhi, sono disposte proprio come la piccola biblioteca scolastica della scuola media di St. Mary Mead: scaffali aperti, cartellini indicatori e utenti che vagano qua e là spulciando quel che gli interessa.
Allora qual è il problema?
Forse è proprio nel mio ordinamento logico, che magari tanto logico non è.
E vado nad illustrarlo.
Ci sono delle sezioni dedicate a matematica, scienze e tecnologia. Piccoline, ma ci sono, e sono in crescita. E c'è una sezione di storia, nemmeno tanto piccolina ma, garantisco, di gran lunga insufficiente.
Poi c'è una piccola sezione di fumetti, anche quella in crescita e una sezione mignon per la poesia. Una piccola sezione di libri in lingua originale, anche.
Poi c'è il calderone dei classici, libri scritti prima del 1950, uno scaffale dedicato alle raccolte di fiabe.
Una buona metà della biblioteca però è dedicata ai libri scritti negli ultimi settanta anni, e naturalmente i ragazzi vanno a pescare soprattutto lì.
All'epoca in cui eravamo in tre a organizzare la disposizione dei libri fu deciso di dividerli per "generi". Non da me, che lasciata a me stessa li avrei divisi come faccio da sempre per paese per poi mettere gli autori in ordine cronologico. Ma all'epoca stetti zitta perché dividere per generi mi sembrò una buona idea. Tuttora sono convinta che lo sia stata. O meglio, che lo sarebbe stata se la divisione per generi fosse stata applicata con criterio.
Il problema è che i "generi" non sono così facili da individuare.
Abbiamo elaborato dieci generi diversi.
Prima di tutto la letteratura fantasy e fantastica, e lì non ci sono (quasi) problemi, e infatti è uno degli scatoloni da cui i ragazzi pescano più volentieri.
Poi c'è Avventura, e va già meno bene. Dove la mettiamo La gabbianella e il gatto? Ci sono gli animali parlanti, ma è una storia di avventura, anche. Se mettiamo nel fantasy tutti i libri con qualche elemento fantastico quasi tutto diventa fantasy, nella letteratura per ragazzi. Tra l'altro, c'è anche il piccolo particolare che buona parte del fantasy è letteratura di avventura (e di formazione).
Seguono i gialli, che sono la terza sezione; ma sia i gialli scritti per ragazzi che molti dei gialli scritti per adulti hanno spesso e volentieri dei tratti avventurosi. Comunque lì un certo criterio di fondo si trova: ove c'è investigazione, fosse pure sul colore delle cartine da caramelle, ivi c'è un giallo.
Poi c'è la sciagurata sezione diari, lettere e autobiografie che ho accettato in un attacco di idiozia ma che temo ormai sia troppo tardi per cambiare. Il difetto principale di questa sezione, che è rimasta molto piccola, è che diari, lettere e autobiografie non sono generi, sono forme. Nella forma del diario ci puoi raccontare tranquillamente storie di mistero, dell'orrore, di avventura e via dicendo. E anche fantasy, si capisce.
Segue la sezione dedicata alla mitologia. Un tempo comprendeva anche le fiabe, ma poi le ho tolte per questioni logistiche (= non ci stavano tutte) - e anche perché spesso ci sono delle raccolte originali che andrebbero in realtà tra i classici. Ma se comincio a mettere Perrault e i fratelli Grimm tra i classici e le Fiabe italiane di Calvino nella mitologia i ragazzi ci diventano scemi e finisce che non trovano più nemmeno l'acqua in Arno.
Le sezioni successive sono fantascienza e horror, che al giorno d'oggi sono generi piuttosto scivolosi: la fantascienza comprende ormai anche le distopie; beh, le comprendeva anche prima, ma la fantascienza scritta per ragazzi di solito si basava soprattutto su astronavi, alieni in visita sulla Terra eccetera; senza contare poi che libri come Extraterrestre alla pari sono fantascienza all'incirca quanto una torta alla panna. L'horror, anche quello, un tempo ci aveva i suoi tratti ben definiti e di tendenza doveva far paura e finire male, racconti di fantasmi compresi. Ma ormai abbiamo vampiri affettuosi, fantasmi amichevoli, licantropi che si mettono insieme con la compagna di banco, mutaforma giocherelloni... insomma, a parte i Piccoli Brividichi vuole un po' di autentica letteratura da paura conviene che punti verso i classici (dove comunque manca Lovercraft, il che è una vera vergogna).
L'ottava sezione è quella dei romanzi storici, dove probabilmente ho fatto una bella sciocchezza a non separare sezioni distinte per i vari periodi limitandomi all'ordine alfabetico per autori - ma, se non altro, quella è una sciocchezza che si può rimediare in un pomeriggio, basta armarsi di pazienza e aggiungere un numero alla collocazione. Certo, anche lì c'è il non trascurabile dettaglio che buona parte di quei romanzi sono di avventura, di formazione o entrambe le cose, ma è un problema che il romanzo storico si porta indietro dagli anni della sua nascita: qualcuno se la sentirebbe di negare che I tre moschettieri  o Ivanhoe non siano a tutti gli effetti romanzi di avventura? E vogliamo parlare della categoria dei gialli storici, che oggi vanno assai di moda? Dovevo o non dovevo metterci le indagini di  fratello Cadfael o sarebbe stato meglio lasciarle tra i gialli?
Si arriva infine alla vera zona tossica: storie di formazione e storie di adolescenti. Ogni volta che le riguardo mi domando cosa mi è preso quando ho accettato sì balordo suggerimento. Insomma, eravamo tre insegnanti di Lettere, maneggiavamo libri da una vita, ci eravamo lette e rilette sterminate quantità di libri per ragazzi, nessuna delle tre aveva un problema con l'alcool... come è stato partorito quel mostro singolare? Che dio se c'è abbia pietà di noi, in quella biblioteca praticamente TUTTO il settore moderno è costituito da storie di adolescenti, che  non possono essere altro che storie di formazione visto che l'adolescenza è, per l'appunto, l'età in cui i giovinetti prendono forma!
Insomma, queste due sezioni comprendono in sé tutti quei libri che per un qualsiasi caso sono finiti in quella biblioteca, scritti negli ultimi settant'anni, che non sono fantasy né fantascienza né storici né scritti in forma di diario né polizieschi... e che non abbiamo messo nel settore "avventura" per chissà quale bislacca ragione.
Cosa distingue le "storie di adolescenti" dalle "storie di formazione"? Ce l'avevamo, un qualche criterio, quando abbiamo partorito questa duplice polpetta avvelenata?
Mettiamola così: se per un qualche caso il protagonista è adulto il libro viene sbattuto nelle "storie di formazione"; altrettanto dicasi per le storie che vanno a finire male. Tuttavia ci sono anche vicende tutt'altro che tragiche, mentre le non meglio definite "storie di adolescenti" possono essere assai drammatiche e tutt'altro che a lieto fine. Di fatto, le due sezioni sono quasi intercambiabili e alla fine la scelta di mettere un libro nell'una o nell'altra è legata soprattutto all'umore e al capriccio del giorno della bibliotecaria, che magari il giorno o il mese dopo cambia idea e corregge la catalogazione... per poi convincersi il mese ancora successivo che la sua prima intuizione era quella giusta.
Naturalmente esistono delle pubblicazioni dedicate alle biblioteche scolastiche, e in un lampo di stakanovismo me ne sono perfino procurate un po'. Come tutte e pubblicazioni del settore biblioteconomia (e archivistica) si trattava di roba di una pesantezza senza pari dove in un gran profluvio di Massimi Sistemi e di seghe minimali, in un gergo che non esito a definire barbaro* si parla soprattutto di come attrezzare una bella biblioteca scolastica (specialmente per le scuole elementari, superiori o financo materne; perché le scuole medie, è risaputo, non esistono) ricca di tecnologie avanzatissime (ai tempi della pubblicazione; ma già cinque anni dopo a leggerle sembra di andare per dinosauri) e fornita di un Bravo Bibliotecario professionista, non di roba gestita con mezzi minimali da insegnanti che ci lavorano solo nei ritagli di tempo come è da gran tempo la maggio parte delle biblioteche scolastiche. D'altra parte una biblioteca è anche una espressione d'ambiente e quel che va bene per una biblioteca scolastica di Milano non è detto che funzioni anche per quella di St. Mary Mead, senza contare che i ragazzi, che pur mi ostino a dire che sotto molti aspetti sono assai simili a quelli che mi ritrovavo come compagni quando le medie le frequentavo da allieva cambiano molto rapidamente gusti e inclinazioni, com'è sempre stato e com'è giusto e anche salutare che sia.
Ma, soprattutto, io sono una bibliotecaria-fai-da-te e, tra quei quattro gatti che insegnano nella mia scuola** sotto questo aspetto mi ritrovo piuttosto sola e non ho alcuna decana cui chiedere informazioni, consigli o anche solo appoggio morale - per tacere del fatto che ho passato gli ultimi due anni a farmi una cultura su malattie e cure nel settore gastroenterologico, che con i libri c'entra davvero il giusto.

*senza offesa per i barbari, naturalmente: è solo un modo di dire che io per prima disapprovo,. dall'alto del mio passato di medievista
**Miaow!

venerdì 17 maggio 2019

La gemma della corona - Paul Scott


Ed eccomi qui a presentare il primo volume di the Raj Quartet, ovvero una tetralogia di cinque romanzi composta di tre libri, almeno in Italia.
Ma andiamo per ordine perché la storia è un po' confusa. No, non la vicenda narrata, proprio la storia editoriale.
Tra il 1965 e il 1975 Paul Scott, scrittore inglese di una qualche rinomanza, pubblicò i quattro romanzi che formarono poi il ciclo detto "Il quartetto indiano": La gemma della corona nel 1966, Il giorno dello scorpione nel 1968, Le torri del silenzio nel 1971 e infine A Division of the Spoils nel 1975. Nel 1977 fu poi la volta di Staying On, che raccontava il seguito della vicenda e con cui Scott vinse il Booker Prize. Nel 1978 lo scrittore morì, e questo chiuse definitivamente la questione e il ciclo narrativo che a quel punto constava   di quattro, anzi cinque romanzi dedicati alla fine del dominio inglese in India. L'avvenimento principale soprattutto del primo romanzo accade nel 1942, ma la vicenda nel suo complesso comincia nei tardi anni 20 e sfuma negli anni Cinquanta. 
All'inizio i romanzi del Raj Quartet non suscitarono un grande entusiasmo, ma con il passare degli anni il successo dei libri montò e la critica ne parlò come di un capolavoro. Nel 1984 poi venne fatta una serie televisiva. 
A quel punto Garzanti decise di tradurre il Quartetto, e annunciò cotal mirabile evento con trombe e tamburi e striscioni trionfali. Spulciando la pagina culturale della Repubblica (che un tempo, incredibile ma vero, era un giornale di un certo pregio) trovai la notizia, fatta scivolare col tono di chi annuncia un evento di eccezionale portata. Forse fu proprio per questo che decisi di comprare quei libri, perché in effetti non avevo mai sentito nominare Paul Scott prima di allora né mi ero mai interessata granché dell'India o delle vicende degli inglesi in India e insomma dell'India sostanzialmente me ne fregavo.
Comunque comprai i libri, anche se li trovavo un po' cari. Comprai il primo, comprai il secondo, poi comprai il terzo... e no, non ho mai comprato il quarto perché il quarto non è mai uscito in Italia e figuriamoci se s'è visto il quinto, sia pure col binocolo. A quel tempo Garzanti aveva la simpatica abitudine di lasciare la pubblicazione dei cicli incompleti se così gli girava, o se detti cicli non vendevano abbastanza, o se cambiava politica editoriale oppure boh - sta di fatto che lo faceva spesso e io ci ho battuto le corna diverse volte.
Per fortuna Paul Scott scrisse dei romanzi autoconclusivi, anche se continuavano a rigirarsi gli stessi avvenimenti e gli stessi personaggi, pur visti in chiavi e sotto punti di vista diversi - ad ogni modo finito ogni volume avevo l'impressione che a quel punto la storia fosse completa e l'autore ci avesse già detto tutto quel che gli interessava dirci, quindi non passavo il tempo a domandarmi cosa sarebbe successo dopo e cose del genere. Con tutto ciò ho sempre trovato piuttosto scorretto il trattamento che Garzanti infliggeva a noi poveri lettori. Aggiungo che non mi è mai capitato di leggere qualcosa di Paul Scott in inglese, ma non lo trovavo facilissimo nemmeno in italiano e quindi non ho mai avuto la tentazione di provare a leggermi la versione originale - del resto, che c'era anche un quarto romanzo l'ho scoperto solo qualche anno fa, e sono venuta a conoscenza dell'esistenza di un quinto per puro caso la settimana scorsa, mentre spulciavo in rete per cercare qualche notizia sul quarto.
Per concludere questa contorta presentazione aggiungerò che il primo romanzo, quello di cui parlo in questo post, mi è sembrato il migliore ma anche gli altri due mi sono piaciuti molto.

Siamo nel 1942, nell'immaginaria città di Mayapore. Anzi no, siamo negli anni 60 quando un... insomma, qualcuno, fa un viaggio dall'Inghilterra a Mayapore per raccogliere le testimonianze che gli permetteranno di ricostruire il dramma avvenuto tanti anni prima, una storia di violenza - da intendersi proprio come violenza carnale - subita da una giovane inglese ad opera di alcuni indiani: il fatto del giardino del Bibighar, che è un palazzo assai cadente con una storia molto particolare. Caratteristica di questo giardino è che non ci va mai nessuno... beh, quella notte però ci andarono un sacco di persone. Ma siccome di solito non ci andava nessuno la giovane inglese, Daphne, lo usava volentieri per incontrarsi col suo amico indiano Hari Kumar. Perché, di fatto, nell'India coloniale le amicizie tra inglesi e indiani non erano in alcun modo incoraggiate. Certo, non erano proprio illegali ma una giovane inglese e un giovane indiano non avevano un posto dove potessero incontrarsi per fare una chiacchierata in pace: i locali accessibili agli indiani non lo erano per gli inglesi e viceversa; restavano le case, certo: in alcune case inglesi e indiani si incontravano in amicizia, ma erano poche e soprattutto le case hanno la strana abitudine di essere abitate e una cena formale in presenza di genitori e zie non era esattamente la stessa cosa di un posto dove stare insieme tranquillamente da soli, di quella solitudine che si trova solo nei posti frequentati da molta gente come ristoranti, sale da ballo eccetera.
Daphne è nata in India ma ha passato buona parte della sua vita in Inghilterra, come Hari. E' inglese, ma del tutto priva di quella spocchia verso gli indiani che è obbligatoria per gli inglesi in India. Insomma, non sa rapportarsi con gli indiani nel modo giusto e ha la stravagante tendenza a considerarli esseri umani suoi pari. Hari è cresciuto in Inghilterra, nei college inglesi, frequentando amici inglesi e famiglie inglesi. Finché è stato in Inghilterra la cosa era del tutto normale, ma arrivato in India è ridiventato indiano e i suoi rapporti con gli inglesi sono completamente cambiati - perfino con gli inglesi che in Inghilterra frequentava senza problemi. Il guaio è che lui si sente assolutamente inglese e quindi in India si trova malissimo. Per giunta il suo rapporto con Daphne è vieppiù complicato dalla gelosia che altri provano nei suoi confronti - perché ci sono inglesi che semplicemente non sopportano che lui si consideri a sua volta un inglese. In India Hari si trova malissimo e soprattutto è terribilmente solo.
Di fatto, lui e Daphne non sono nemmeno una coppia maledetta dalle stelle, come Giulietta e Romeo: sono una coppia che semplicemente non dovrebbe esistere. Anche se non fosse intervenuto il fatto del giardino del Bibighar, lui e Daphne non avrebbero mai avuto la possibilità di diventare una coppia "normale" - insomma, quelle che si conoscono, si frequentano, si mettono insieme e poi si sposano per iniziare una vita in comune. E' una coppia che non ha mai avuto una possibilità, e quel poco che i due han potuto fare hanno dovuto farlo di nascosto, a dispetto di tutto e di tutti, e sempre con la certezza di non avere un futuro come coppia davanti a loro.
Il romanzo si snoda in una lunga spirale. Ci vuole tempo perché il lettore si renda conto di quel che è successo - la storia all'inizio viene presa molto, molto alla larga attraverso lunghe testimonianze, che descrivono un India dove gli inglesi abitano da estranei, costretti a fare causa comune volenti o nolenti e senza mai darsi una sola, reale possibilità di incontrarsi e capirsi davvero con gli indiani in mezzo ai quali vivono, non importa quanto intelligenti, sensibili o ben intenzionati possano essere. Daphne prova a costruire un ponte, o almeno a traversare il fiume a nuoto. Ha coraggio sufficiente per mettersi in gioco, ma il coraggio e la disponibilità non bastano, per quanto siano forti. Proprio per questo, forse, decide di tenere il bambino, anche se sa che non basta essere forti, anche fisicamente: sarà il suo stesso cuore a tradirla - non in senso metaforico, ma proprio fisico: già dalle prime pagine sappiamo che quella giovane inglese così forte e un po' goffa non è sopravvissuta al parto, e che ha partorito nonostante sapesse benissimo che molto probabilmente non ce l'avrebbe fatta.
La particolarissima tecnica di narrazione, che sfrutta le testimonianze di chi già sa com'è finita la storia perché ormai è passato abbastanza tempo da saperlo con sicurezza, ci avvicina alla vicenda in modo graduale, con continui cambi di prospettiva, accostando sempre nuovi tasselli in un disegno che continua a cambiare sotto ai nostri occhi fino a solidificarsi in una immagine chiara e precisa, così come chiara e decisa è l'ultima voce che sentiamo, quella di Daphne, che contro ogni previsione riesce a dare la sua versione definitiva.
E' un bel libro, di quelli che continuano a tenere compagnia al lettore anche molti giorni dopo che l'ultima pagina è stata letta. Peccato però che ormai si possa trovare solo in biblioteca o, se si ha molta fortuna, su siti specializzati nella vendita di libri usati come  Maremagnum.
Una lettura ideale, per queste gelide serate di tardo autunno - ma, caso mai arrivasse finalmente un po' d'estate, può andare benissimo anche sotto l'ombrellone.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture a chiunque passi da queste parti.

mercoledì 8 maggio 2019

Ritorno a dosi omeopatiche e scoperte archeologiche (post meditativo)

Tutti gli anni, ai primi di Maggio, a St. Mary Mead c'è un giorno di mercato speciale con banchetti diversi dal solito, e  tutti gli anni la prof.Murasaki, che in questa stagione di solito viene a scuola in moto(rino) si ritrova ingarbugliata in un dedalo di sensi unici invertiti e divieti di transito nei punti più impensati che rendono una vera impresa raggiungere la scuola. Tutti gli anni la cosa per lei sarebbe molto facilmente  rimediabile parcheggiando alla stazione e affrontando la camminata di circa 400 metri che la separa dall'edificio della scuola media, ma tutti gli anni la detta prof. Murasaki casca dal pero come se mai tal mercato-fiera si fosse verificato in precedenza, e quando se ne accorge anche raggiungere il parcheggio della stazione è impresa ormai disperata, per cui tanto vale aggrovigliarsi nelle tre-quatto strade che formano l'impianto centrale del paese di St. Mary Mead finché in qualche modo misterioso la scuola appare.
E così ho fatto anche stamani, imprecando la ria sorte che ha voluto che il mio rientro dopo dieci mesi di assenza coincidesse con il mercato-fiera e approdando infine a scuola con dieci minuti secchi di ritardo che nessuno ha avuto il cuore di rimproverarmi, grazie alla bontà d'animo che ispira tutti nei miei confronti in questo periodo (all'uscita però, mentre giravo in lungo e in largo tutto il mercatino per fare shopping, imprecavo assai meno). 
La scuola era tranquilla, quasi silenziosa, e nessuno aveva niente di particolare da farmi fare.
Ho firmato il registro, scoperto che c'erano ben due scioperi in arrivo più una assemblea sindacale, guardato un po' di carte sul tavolo e accettato con bel garbo di fare una sostituzione di qui a due giorni, mi sono fatta fare una fotocopia del mio orario e mi sono infine accinta ad andare in biblioteca.
Prima però ho deciso di rimettere in ordine lo scaffale dei dizionari, che giacevano piuttosto affastellati - e sepolti tra i dizionari di inglese ho scoperto una pila di volumetti... sui parchi e le riserve in Toscana.
Nessuno ne sapeva nulla. 
Li ho esaminati. Erano bei volumetti, e l'editore Giunti li aveva prezzati sette e nove euro cadauno, che non risultava nemmeno un prezzo del tutto iniquo. Erano accurati, con bellissime illustrazioni e descrizioni accurate delle oasi protette e degli usi e costumi delle creature che li abitavano, piante o animali che fossero. 
Potevano essere un regalo per le scuole dalla Regione, un premio ottenuto in un qualche concorso, o il risultato di qualche iniziativa altamente didattica : molte e misteriose sono le vie con cui una pubblicazione arriva a scuola - ma era chiaro che nessun alunno né alcun docente li aveva mai degnati di una pur fuggevole attenzione, perché erano belli e intatti in quel modo che caratterizza solo le pubblicazioni intonse.
Così ho provato a chiedere alle custodi e ho così scoperto che quella roba - in effetti pubblicata nel 2006 e 2007 - era arrivata a St.Mary Mead poco prima di me. Alle custodi fu venne detto Di "metterle lì" e loro l'avevano messe lì, ovvero in un angolo ben riparato di un grosso armadio dove sta l'archivio delle carte della scuola, e dove mai sono arrivate le mie operazioni di riordino e dissepoltura. Da lì erano state poi spostate per far posto a non so quali fascicoli di carte, ed era stato detto loro di "lasciarli sugli scaffali".
Perché proprio sullo scaffale che dalla notte dei tempi era riservato ai dizionari di inglese?
Forse perché aveva qualche angolo vuoto (il grossi dei dizionari di inglese, comprensibilmente, nel corso dell'anno scolastico si trova nelle classi).

Mentre li sfogliavo meditavo. Erano chiaramente libretti nati con delle pretese. Erano stati fatti, progettati ed eseguiti con cura. Un classico "sussidio scolastico". Poi erano arrivati alla scuola di St. Mary Mead e il loro destino era stato un malinconico letargo in un angolo buio di un armadio assai scarsamente frequentato. Potevano essere usati per Scienze o per Geografia, e pure per educazione civica - o almeno per decidere dove portare le classi in gita scolastica. Con un po' di buona volontà, perché erano un buon numero ma non sufficienti per una classe, nemmeno per le classi di St. Mary Mead che a volte sono davvero poco numerose.
Adesso che li ho trovati ne catalogherò una copia per la biblioteca dei ragazzi e una copia la metterò nella sezione locale della biblioteca per gli insegnanti.
Non è il primo caso che incontro di Cadavere da Progetto Didattico che lo Stato ci offre e che viene prontamente accantonato senza nemmeno guardarlo. Del resto, può essere molto utile a un insegnante che imposta un certo tipo di programmazione, ma può risultare abbastanza inutile per tutti gli altri che lavorano in altro modo (e di certo non può risultare di alcuna utilità per chi nemmeno sa che esiste). 
Come quella bella serie di DVD sugli etruschi che arrivarono quando già i programmi di storia delle medie partivano dalla caduta dell'impero romano da tre o quattro anni, e comunque all'epoca non avevamo nemmeno mezza LIM, anzi nemmeno sapevamo che le LIM esistevano.
Beh, certo, l'intenzione di chi li ha mandati era buona, ma forse l'arrivo andava un po' concordato.

Molti si domandano spesso come fa lo Stato italiano ad avere il deficit che ha, e ne conclude che i politici non fanno altro che rubare.
Senza voler dubitare della tendenza di molti politici a rubare, ecco, a volte penso che una delle risposte possa essere in quelle massicce donazioni di volumetti e DVD scarsamente ponderate. Certamente non sono state loro a darci il terzo debito pubblico del mondo, ma hanno pur sempre svolto una loro piccola ma indispensabile parte in tutto ciò.

venerdì 3 maggio 2019

La crociata dei gatti - Wilhelm Speyer

Il libro che vado a presentare oggi è una storia di pazzi e il lettore italiano del XXI secolo è portato a sgranare gli occhi sempre di più mentre lo legge.
Dire che è una storia di pazzi tuttavia non è lo stesso che dire che manca di un suo fascino, e aggiungo che il fascino è solo in piccolissima parte dovuto ai gatti, che nonostante il titolo e la storia fanno solo minime comparse - che forse è un peccato, ma l'autore probabilmente non ha avuto torto a regolarsi così.

Tutti noi abbiamo sentito parlare di molte crociate: la prima crociata, la crociata contro gli albigesi, la crociata bizantina, la crociata dei bambini, le crociate contro Internet eccetera. Di crociate dei gatti però credo che nemmeno il più esperto di storia abbia mai sentito dire niente - e a ragione, perché non c'è stata. Sarebbe magari più esatto parlare di una crociata per i gatti, ma comunque storicamente non è attestata nemmeno quella.
Il libro tra l'altro nell'originale tedesco avrebbe un titolo diverso, che fa riferimento alla lotta sostenuta da una classe di liceo. La vicenda ivi narrata è inventata di sana pianta - insomma si tratta di un racconto di fantasia, scritto da un tedesco di origini ebraiche nel 1928, tradotto in italiano per la prima volta nel 1930 (con in copertina un fantastico gatto certosino che guarda il mondo con aria sognante) e purtroppo completamente dimenticato per molto tempo. Nel 2006 è stato pubblicato dalla casa editrice Medusa con lo stesso titolo e una nuova traduzione,  e a quel che ho capito è tuttora in commercio per chi avesse voglia di comprarlo - che non sarà operazione indolore perché spennano l'acquirente con ben 16,50 euro per un volumetto di 172 pagine che oltretutto contiene una non scarsa quantità di errori di stampa. Il quadro in copertina, dipinto da tal George Cruiksbank nel XIX secolo,si intitola Pioggia diluviana immagino si riferisca al celebre detto inglese "piovere a cani e gatti" che sta ad indicare una pioggia molto intensa.
Siamo alla fine degli anni 20, in Germania, in un liceo classico e quindi ci sono tutte le caratteristiche di ogni liceo classico dell'epoca: rivalità tra le classi, precise gerarchie sociali anche all'interno delle classi in questione, rapporti talvolta conflittuali con gli insegnanti e una popolazione in gran prevalenza maschile. Come tutti i licei dell'epoca è diviso in un ginnasio di due anni e in un liceo di tre (quindi la prima liceo è il terzo anno delle superiori e via scorrendo; mi pare che ora invece in Italia anche il classico sia diventato una normale scuola in cinque anni dove il primo anno si fa la classe prima, il secondo la classe seconda eccetera - che non mi sembrerebbe poi una cosa così illogica).
Il liceo però afferisce a una particolare scuola di pensiero sull'educazione, diffusasi tra la fine del XIX secolo e la prima metà del XX in diverse zone d'Europa, che richiede grandi spazi aperti intorno alla scuola (boschetti, laghetti, campi coltivati e via dicendo) e fa passare ai ragazzi la maggior parte della giornata all'aperto, a contatto con la natura e li coinvolge anche in lavori manuali. Troviamo così i nostri liceali che riparano staccionate, tengono con sé animali da compagnia (che rispondono soprattutto ai loro padroni umani anche se appartengono a tutta la classe) assai ben tratteggiati nella loro natura canina e felina (ahimé, in realtà il gatto è uno solo), coltivano campi aiutando i contadini del luogo e insomma fanno un sacco di cose che noi al liceo non saremmo mai stati capaci di fare nemmeno se ci avessero sparato. A proposito, c'è anche una ragazza nella Prima, Daniela: è una sorta di leader spirituale della classe, tenuta in una considerazione che somiglia molto all'adorazione e che come arma ha arco e frecce, mentre i ragazzi si contentano di spade di legno (no, noi al liceo non avevamo né arco né frecce e nemmeno spade di legno e ripensandoci è un vero peccato).
L'ambientazione dunque è piuttosto particolare. Ma che dire dello stile della narrazione? E' epico, assolutamente epico e molto, molto omerico. Più che giusto perché a un liceo classico, e in particolar modo in un liceo classico tedesco di inizio secolo, nella letteratura greca ci si vive, inzuppati come tante madaleine nel tè e il linguaggio omerico finisce per essere la lingua di tutti i giorni. Daniela per esempio per buona parte del romanzo... è Achille, ritiratasi sotto le tende, pardon, in un suo territorio personale nel bosco, a seguito di un torto che le è stato fatto (o che ritiene le sia stato fatto?) e i compagni non osano avvicinarla per chiederle di tornare tra loro anche se lo vorrebbero più di ogni cosa al mondo.
Mentre il lettore arranca sempre più stranito in una realtà assai particolare e descritta in tono epico, la trama si avvia - perché c'è una trama per quanto epica e un po' delirante, e riguarda un pellicciaio a caccia di pelli di cane e di gatto che la classe è decisissima a non fargli avere perché convinta che le pelli dei cani e dei gatti stiano bene addosso ai cani e ai gatti cui appartengono per diritto di nascita. Decidono perciò non soltanto di intervenire in difesa dei loro animali, ma anche di quelli che abitano la città lì vicino, che siano randagi oppure abituati a vivere in famiglia. A tal scopo si organizzano con gran cura, elaborando un piano complesso e ben ramificato, cercano di ottenere la complicità o almeno il silente appoggio degli insegnanti, affrontano con grande coraggio ma anche con mirabile dialettica le autorità civili della del luogo...
Se lo spunto non è poi molto insolito nella narrativa per ragazzi dell'epoca, la trama che lo sviluppa è assai originale e lo stile di narrazione è decisamente folle, di quel tipo di follia che affascina oltre a far sgranare gli occhi.
Non so quanto possa essere appetibile per un ragazzo normale di oggi, salvo le solite eccezioni che più gli dai un libro particolare e più li fai contenti. Di sicuro non è il classico libro dove il lettore non deve fare altra fatica che quella di compitare le parole una dopo l'altra e tutto gli si squaderna davanti con grande chiarezza e senza tanti giri di parole; certamente non è scritto in uno stile asciutto e piano. Ma c'è dentro parecchio, e il lettore contemporaneo che sa cosa successe in Germania qualche anno dopo gode di un vantaggio rispetto ai primi lettori e ci trova una serie di spunti che fanno decisamente riflettere. Ad ogni modo ho deciso di comprarlo per la biblioteca di scuola e probabilmente anche per la mia, perché voglio rileggerlo.
La narrazione è corale e non c'è un vero protagonista. Due personaggi però spiccano tra la folla: Daniela, che compare pochissimo (ma sempre in momenti determinanti) pur essendo molto spesso evocata, nei pensieri più che nelle parole; e Borst, il più giovane, il più ingenuo, il più sprovveduto e il più imbranato dei protagonisti possibili, che come tutti i protagonisti imbranati più di una volta risolve le situazioni più aggrovigliate in modo apparentemente pasticciato ma in realtà molto acuto e  che nel corso della storia vive una sua personale iniziazione.

Con questo post che nonostante le apparenze ha scarso contenuto felino partecipo al Venerdì del libro di Homemademamma e auguro felici letture in questo fine settimana che promette pioggia e gelo e che quindi alle letture sembrerebbe adattissimo - anche se, immagino, prima o poi anche quest'anno la primavera si degnerà di arrivare.

giovedì 2 maggio 2019

Murasaki torna a scuola per prova (post a bassissimo contenuto scolastico)


Passato il primo periodo in cui si comincia pallidamente a riaversi la convalescenza diventa un affare piuttosto faticoso, soprattutto quando si riparte da una base molto, molto bassa. Il primo giorno che mi sono vestita normalmente invece di buttarmi addosso una vestaglia sulla camicia da notte infilarmi le calze è stata impresa lunga e laboriosa. Il primo giorno che sono uscita semplicemente per fare un giro a piedi (per qualche settimana mi ero limitata ad andare, appunto in camicia da notte e vestaglia, a portare la spazzatura ai cassonetti del condominio, in un gran tubare di mirallegri dei vicini che mi vedevano finalmente riaffiorare alla luce del sole) barcollavo come un ubriaca e facevo dei gran giri per evitare anche il minimo gradino. Il primo giorno che ho salito il gradino per entrare nella corriera che mi doveva portare in paese mi sono dovuto aggrappare ai pali della corriera medesima e sono pure stata aiutata da un gentile passeggero. La prima volta che ho preso un treno ho ringraziato la mia buona sorte che fosse un treno che arrivava al livello del marciapiede, e non sto a dire che impresa è stata fare le prime rampe di scale.
Pian piano gli orizzonti si sono allargati e ho cominciato a fare le prime spesucce di pane e latte al negozio a 500 metri dal condominio, sono arrivata in paese a piedi, sono andata in biblioteca a cambiare i libri, ho fatto il mio primo pranzo al ristorante sushi (wow!).
Negli ultimi giorni ho affrontato tre prove molto ambiziose. La prima è stata andare alla Mostra dell'Artigianato a Firenze (che è una delle attività più faticose che ci siano), poi ho accompagnato Dolcezze e famiglia a visitare Santa Croce e relativo chiosco più il Museo del Bargello (e anche il turismo è davvero faticoso!) con relativa pausa pizza e oggi infine sono tornata a scuola - perché l'ultimo certificato scade Domenica, ma uno vorrà pur provare se riesce a fare tutto il complicato tragitto, giusto?
In realtà quest'ultima prova è stata di gran lunga la più leggera perché, complice una rara giornata di bel tempo, ho fatto il tragitto in moto, ben avvolta in uno spesso piumino - che il due di Maggio, magari, non è la tenuta più consueta, ma d'altra parte questa è una primavera di quelle che fa quel che vuole, cambiando idea anche quattro volte al giorno. 
Ho così potuto finalmente vedere il mio supplente - o, per meglio dire, colui che quest'anno ha fatto tutto il lavoro che lo Stato aveva assegnato a me e continuerà a farlo fino alla fine dell'anno, salutare i colleghi... e rientrare nella Biblioteca della scuola, che durante la mia assenza è diventata una stanza decisamente disordinata perché i ragazzi hanno continuato a prendere libri in prestito, com'era giusto, ma nessuno ha pensato a rimetterli a posto; e così so già come passerò la mattinata di Lunedì.
Durante la mia assenza naturalmente molte cose sono cambiate, in particolare in Sala Insegnanti: i due divani sono stati disposti in modo nuovo e più pratico,  è stata acquistata una macchinetta per fare il caffè con le cialde e l'armadio che avevo quasi vuotato con grande dedizione e pazienza ha un intero palchetto occupato da tazze, cialde, cucchiaini e altre indispensabili attrezzature. E' sempre bello accorgersi che qualcosa che hai fatto è servito a qualcuno, e dopotutto a Sostegno rimangono altri quattro palchetti.
Prima di tornare a casa ho pure fissato l'appuntamento dal parrucchiere: i miei poveri capelli, che durante l'estate se n'erano andati quasi tutti, hanno infatti ricominciato a spuntare e poi a crescere ognuno per conto suo*, col risultato che adesso ho un grazioso look da ananasso, e in parecchi mi hanno esortato a darci un bel taglio per permettergli di ricrescere in modo più assennato anche se meno originale; e dopotutto sono d'accordo anch'io che le creste punk hanno sì i loro lati positivi, ma stan bene solo ai ragazzini.
Ma non è detto che sarà l'unico cambiamento: strane nubi vanno infatti assemblandosi minacciose nel quieto cielo di St. Mary Mead...
Ma di ciò parlerò più chiaramente solo quando tutti noi avremo cominciato a capirci qualcosa, o meglio quando finalmente ci sarà qualcosa da capire - insomma, quando il Comune si sarà infine dato una svegliata.

* mio padre un giorno guardandomi mi citò un personaggio di Boccaccio che "non aveva un capello che ben si volesse con l'altro" (citazione a memoria) - ed è davvero una descrizione perfetta!