Il mio blog preferito

domenica 31 dicembre 2023

Il 2023 sta finendo...


 E' ormai tempo di spalmare tartine.
Il fagiano alla Marengo sta dorando in pentola,
il soffritto per le lenticchie sta dorando pure lui,
i ravioli riposano in attesa di finire in pentola,
la padrona di casa stappa la prima bottiglia per le gentili amiche che sono venute ad aiutare (ma soprattutto a spettegolare), 
per fortuna il dolce lo portano gli ospiti.
C'è la tavola da sgomberare per apparecchiare a dovere.
Dove sono finite le perle dorate?
I piatti rossi sono asciutti?
Mettiamo due calici o tre?
Le solite Grandi Domande.
Intanto brindiamo.
Felice ultima notte dell'anno a tutti!


Il divario generazionale (post confuso e inconcludente ma scritto con tanto sentimento)

I ragazzi di oggi non sono strani, sono solo un po' imprevedibili

Ho cominciato a insegnare quando avevo trentotto anni. Tra me e i miei alunni c'era una generazione abbondante* ma all'epoca ero più giovane di buona parte dei genitori con cui parlavo. 
Conoscevo buona parte delle loro letture, con loro ho vissuto la seconda parte, quella più drammatica, della saga di Harry Potter e con loro ho parlato dei film del Signore degli Anelli. Ho condiviso anche una parte dei manga che leggevano; guardavano Inuyasha, Ranma e Gundam che era finalmente ritornato sugli schermi dopo una lunga serie di diatribe legali; ci scambiavamo battute sui Super Sayian. Conoscevo le canzoni che ascoltavano.
Non ero una di loro, naturalmente, e non ho mai cercato di esserlo, ma eravamo relativamente vicini. In tanti non avevamo il cellulare. Gli davo consigli su come navigare in rete - questo, in effetti, lo faccio ancora. Il canone della letteratura era ancora quello con cui ero cresciuta io.
Gli anni sono passati. Le canzoni che girano oggi non le capisco più - credo sia un fatto genetico, la musica si evolve e le frequenze cambiano, anche i miei facevano fatica a capire perché certe musiche mi piacevano, e non per partito preso. I classici per ragazzi dell'Ottocento non fanno più parte delle letture quasi obbligatorie i bambini, i mangaka hanno cambiato tratto e solo di recente mi ci sto riconciliando (in compenso è diventata estremamente di moda la favola dello Schiaccianoci, tanto che la quantità di principi Schiaccianoci che ho trovato in giro questo Natale mi ha quasi dato il rigetto). Il cambiamento è arrivato gradualmente ma me lo sono trovato davanti con più evidenza dopo quel gruppo di anni che per me comprende prima la mia malattia e poi il tempo della pandemia.
In mezzo a questo gruppo di anni ci sono state anche altri fattori: la guerra in Ucraina, che ha cambiato il modo di vedere il mondo, le alleanze e perfino gli eserciti, ma anche il tema dell'ecologia - che siamo d'accordo che circolava già quando facevo le elementari, ma che adesso ha una presa molto diversa - per esempio un gruppo non minimale nella Terza Sfigata è vegano e i ragazzi sanno una infinità di cose sulle tematiche ambientali e sulla transizione energetica.
Questo influisce anche sui programmi: è diverso l'approccio alla geografia ma anche il modo di interpretare la storia, e non solo quella dell'ultimo secolo; il canone letterario sta scivolando in direzioni imprevedibili - e non parliamo della mitica questione dell'LGBT+, dove sono ben più istrutti di me, laddove fino a pochi anni fa mi ritrovavo a spiegare pazientemente a taluni che essere gay non era una malattia né una criticità. Inoltre la disastrosa esperienza del lockdawn ci ha assai più informatizzati, accelerando molto un processo che era già in atto da diversi anni.
Concludendo questa colossale vasca di acqua calda, dopo vent'anni passati a dire che in sostanza non vedevo tutta questa differenza tra le nuove generazioni e quella in cui ero cresciuta io, adesso la differenza la vedo eccome. Probabilmente è stato un progressivo scivolare che i due anni della malattia, in cui ho avuto una strabordante quantità di tempo per pensare ai massimi sistemi, mi hanno aiutato a mettere a fuoco, ma ci sono stati anche dei discreti scossoni dal mondo esterno.
E poi ci sono stati anche gli anni che passavano: quando sono salita in cattedra per la prima volta avevo smesso di studiare da pochi anni (mi sono laureata con comodo, ma poi ho anche fatto due anni di scuola archivistica). Adesso sono quasi venticinque anni che insegno e più di quindici che ragiono sul fatto di fare l'insegnante da questo blog; quando ricordo i tempi andati in cui ero alunna di solito esordisco con un "quando facevo questo e questo, cinquant'anni fa, era tutto diverso" per poi partire con i racconti accanto al fuoco e un nemmeno tanto vago tono da "tanto tempo fa, in una galassia molto lontana".

In mezzo a tutto questo, com'è cambiato il rapporto con i ragazzi?
Sostanzialmente in meglio - anche perché quando gli anni passano, si portano dietro anche quella santa cosa che è l'esperienza, che è sempre un grande aiuto per chi insegna, e quindi se una situazione si presenta all'apparenza nuova, ho comunque un archivio ormai abbastanza ricco da consultare. Nessuno si bagna due volte nello stesso fiume, ma con l'andare del tempo ogni fiume presenta qualche tratto di somiglianza con altri fiumi conosciuti e anche se sei cambiato, da ognuno di quei fiumi hai imparato qualcosa - almeno, si spera. Inoltre dalla malattia sono uscita molto più scivolosa e ho imparato molto sull'arte di ammorbidire il terreno prima di intervenire. Inoltre il fatto di avvertire i ragazzi come ormai tanto diversi da me mi ha reso molto più prudente ma anche più pronta a cogliere le atmosfere. 
Come si gestisce una classe di cui potresti essere la nonna? Molto semplicemente si fa la nonna. Le nonne, è noto, sono diverse da te ma sono indulgenti e comprensive e sanno tante cose (non tutte, certo. Ma nessuno sa tutto, giovane, vecchio o mezzano che sia). Inoltre i nonni hanno una loro autorità tutta particolare, un po' diversa da quella dei generici adulti
Per loro sono diventata una figura fuori dal tempo. La loro vita non sarà con me, sarà con i loro compagni o con chi ha l'età dei loro genitori. Io sono una specie di terra franca con cui possono essere sé stessi senza preoccupazioni. I nostri mondi sono diversi, ma possiamo sempre incontrarci in molti punti, e io so raccontare un sacco di storie che loro non conoscono.

In sintesi, come si gestisce il divario generazionale?
Non si gestisce, si vive. Si prende atto che le cose sono diventate diverse ma senza cercare di cancellarle, queste differenze, e senza cercare di forzare nessuno in un canone che non funziona più.
Poi ci sono i pronomi, certo. Le nuove generazioni devono, anche loro, soprattutto loro, saperli usare bene. C'è l'ortografia, che un po' sta cambiando ma non quanto credono loro - per lo meno, non ancora. E ci sono anche gli inevitabili cambiamenti lessicali e pure grammaticali che ci ricordano che magari l'Italia è un paese in decadenza (ma chissà, lo siamo già stati tante e tante volte...) però evidentemente è vivo e lotta insieme a noi, visto che la lingua cambia.**
E poi, da chi è diverso da noi, c'è sempre tanto da imparare. Vale per me e vale per loro.
Buon anno a tutti, e possano gli inevitabili e spesso auspicati cambiamenti essere positivi per tutti.
"Little Balls of Purr" by Dragarta.
(sì, mi identifico molto con la Nonna Draga)

* o forse due, adesso le calcolano in modo diverso, dieci anni invece di venti, mi sembra.
** fermo restando che, cambiamento linguistico o no, i pronomi s'hanno a usare bene per riuscire a farsi capire.

venerdì 29 dicembre 2023

In ciabatte nel locale (di nuovo sull'abbigliamento decoroso da indossare a scuola)

La questione di come debbano vestirsi gli alunni per venire a scuola è assai antica e ogni anno che passa mi ritrovo a prenderla sempre meno sul serio.
Sonvi infatti taluni che ritengono che le fanciulle debbano portare solo vestiti inadatti a suscitare il più vago desiderio carnale nei loro compagni di classe onde non distrarli dalle nostre belle lezioni con pensieri impuri - ma a me sembra che chiunque dei miei alunn* sarebbe capacissimo di distrarsi anche se intorno a lui vi fossero solo fanciull* vestit* di sacco, e dunque tanto vale.
Essevi pure altri che deprecano abbigliamenti che scoprono troppa carne, anche se la carne che scoprono è quella dei piedi in estate, e le ciabatte vengono grandemente censurate come esempio di deplorevole straccuraggine. Non io, che depreco invece con forza che in certi periodi la temperatura delle aule sia troppo alta, e quella sì che distrae, e parecchio.
Altri deprecano i vestiti troppo costosi - non io, che non conosco una firma che sia una e distinguo solo tra vestiti che mi piacciono e indosserei pure io volentieri (pochissimi) e tutti gli altri, che sopporto con cristiana rassegnazione nonostante cristiana non sia.
Di fatto l'unica cosa che mi interessa dell'abbigliamento dei miei alunni sia che li metta a proprio agio e li lasci liberi di concentrarsi (se proprio non hanno niente di meglio da fare) sul processo di apprendimento. Anzi, ho finito per sviluppare una teoria, che mi guardo bene dall'esternare ai colleghi per non essere presa a sassate, secondo la quale un abbigliamento informale abbia in sé una valenza educativa perché a scuola non si viene per essere in un dato modo, ma per essere sé stessi o comunque proiettare l'immagine che in quel momento ci sembra la nostra e ci aiuta a crescere.
I miei colleghi sembrano convinti che la scuola sia un posto da rispettare; io invece coltivo la stravagante opinione che sia la scuola a dover rispettare i ragazzi consentendogli di essere il più possibile liberi in un momento in cui sono occupati nel lavoro tanto complesso quanto delicato di formarsi. Insomma, per me la scuola è un laboratorio alchemico che deve lavorare con tutti gli elementi che ha a disposizione, e se c'è l'atmosfera giusta il processo avverrà.
Ognuno ha le sue illusioni, la mia è questa; di fatto, so benissimo che il processo avviene nonostante tutto e sperare di poterlo guidare è pura follia perché ci sono troppi elementi in gioco.

Tuttavia mi rendo conto che negli ultimi anni sono cambiate molte cose, soprattutto a causa della pandemia che ha dato una bella scossa a tutti, e non solo in senso positivo.
Molti insegnanti si sono lamentati durante la Didattica a Distanza che taluni alunni assistessero alle lezioni in pigiama e perfino (orrore!) facendo colazione. Io non lo trovavo poi molto strano perché erano a casa, e l'unico vero motivo per cui durabnte la lezione non facevo colazione nemmeno prendendo il caffè era che tutte le mie energie ed entrambe le mani erano impegnate nel duro lavoro. Quando invece seguivo le riunioni on line mangiavo eccome, coccolavo i gatti, e facevo un bel po' di altre cosette - non per questo non seguivo, esattamente come il fatto di stare spolverando o stirando o cucinando non mi impedisce affatto di ascoltare una qualche conferenza o concerto alla radio o su YouTube, che anzi mi intrattiene più o meno piacevolmente allietando quei momenti di lavoro meccanico che sono un po' una palla.
Comunque sia mi rendo conto che associare la scuola al pigiama può essere pericoloso; d'altra parte quella disgraziata esperienza ha finito col portare la scuola nelle case, e anche per altri versi le case nelle scuole. Pigiami e caffellatte compresi.

Una mattina Pisola mi dice trionfante "Prof, oggi sono venuta a scuola in pigiama!".
Occupata a compilare il Malefico Registro Elettronico le lancio uno sguardo distratto. Indossava una felpa con pantaloni a ciliege (o forse erano orsacchiotti?).
"Oh?" commento svagata "Hai un pigiama molto carino, complimenti".
Era davvero un pigiama? Non ne ho la minima idea. Signori, era una felpa in pendant con i pantaloni. Forse un attento esame mi avrebbe disvelato l'arcano. Forse. Anch'io ho una felpa a renne e stelle, comprata per dieci euro a un banchetto e che porto come giubbino in casa quando fa fresco, come giubbino a scuola e altrove quando comincia a non fare più molto fresco e il piumino diventa pesante, e che talvolta ho usato anche come giacca da pigiama - e non credo di essere l'unica creatura a fare ciò.
Sono passati vari mesi, ho indossato la passata con le renne per le due settimane prima delle vacanze di Natale (levandomela solo quando sono venuti dall'Associazione Deportati a parlarci dei campi di sterminio) finché un giorno Bagheera mi ha chiesto se anche gli alunni potevano portare addobbi natalizi tra i capelli sotto Natale.
"Certo che sì" ho assicurato "L'ultimo giorno di scuola vale tutto". E in effetti l'ultimo giorno dell'anno scolastico e quello prima delle vacanze di Natale a scuola si vede di tutto e di più, e non soltanto a St. Mary Mead, dove ricordo che un anno abbiamo avuto anche dei re. Del resto, quando a scuola ci andavo come alunna, usava andare in costume l'ultimo giorno di Carnevale (a Natale vestivamo normali, ma penso dipendesse soprattutto dal fatto che non c'erano berretti con le stelline né passate con le corna di renna e nemmeno orecchini a forma  di addobbi natalizi, di cui ho un vasto assortimento accumulato negli ultimi quindici anni e che sfoggio a partire dal 1 Dicembre). Quello adesso non si fa più, ma negli anni Carnevale è molto cambiata ed è ormai riservata esclusivamente ai bambini più piccoli.
Mi raccontano una strana storia dell'ultimo giorno di scuola dell'anno scorso, quando la prof. Spini, all'epoca VicePreside, mandò via i ragazzi che erano venuti in ciabatte impedendogli di entrare.
Sarà vero? Mi suona strano, perché rifiutare l'ingresso di un minore a scuola è una di quelle responsabilità che nessun insegnante si prende a cuor leggero. L'unica possibilità di verificare sarebbe chiederlo direttamente alla prof. Spini, e se me ne ricordo un giorno lo farò; l'anno scorso l'ultimo giorno di scuola non ero in servizio alla prima ora ma ricordo che le poche ore della giornata scolastica furono passate all'aperto, dove le ciabatte non erano poi così fuor di luogo - e vista la temperatura di quel giorno, nessuno poteva ragionevolmente prevedere che le avremmo passate a bollire all'interno dell'edificio.

Così, visto che eravamo in argomento, una volta di più ricordo ai miei amati alunni che la legge, in materia di abbigliamento, è molto lasca quando non si fa un lavoro che richieda una divisa - per esempio negli ospedali o nella polizia.
"Ma ci hanno detto che il regolamento di scuola dice..."
"Non so cosa dica il regolamento della scuola, ma personalmente sospetto che qualsiasi regolamento di scuola sull'abbigliamento possa essere impugnato al TAR con esito praticamente sicuro, e per questo motivo i proclami sull'abbigliamento a scuola abbondano, ma non si arriva mai a nulla di fatto".
"Ma per esempio: perché non possiamo venire a scuola in pigiama?"
"In teoria credo di sì" azzardo domandandomi in cuor mio che accidente di tarantola possa mordere qualcuno sì da spingerlo a sì curiosa scelta per l'outfit.
"Pisola l'ha fatto" ricorda qualcuno.
Pisola il giorno di questa insolita conversazione però non era presente a scuola, e dunque non poteva né confermare né negare.
"Ha detto che era in pigiama" ho ammesso "Ma lo era davvero? Alla fine, era una felpa con i pantaloni che facevano pendant. Siamo sicuri che fosse un pigiama? Come faccio a distinguere con sicurezza quella tenuta da un pigiama?".
So che c'è la questione dei bottoni, mi pare che nel caso di un pigiama siano a destra (o a sinistra?). Ma, di nuovo, molti pigiami non hanno bottoni di sorta, e molte felpe nemmeno.
I ragazzi si guardano intorno. In classe le felpe abbondano, per lo più di toni scuri, ma ne abbiamo anche di decorate a vivaci disegni.
"In effetti" ammette qualcuno "Oggi i vestiti sono tutti uguali".
Non è esatto: i vestiti oggi sono diversissimi; ma il concetto di base era valido: la maggior parte dell'abbigliamento, soprattutto di quello per ragazzi, naviga in una zona grigia. Anche in modo all'apparenza insospettabile: molte delle alunne dell'attuale Terza Sfigata vengono a scuola con un toppino che scopre parte della pancia - e che è fatto con un tessuto che ai miei occhi è quello delle camiciole. Sì, proprio quelle che si portano sotto i vestiti. O che si portavano, chissà.
"Quindi, meglio non farsi troppe domande" taglio corto prima di fargli tirare fuori il libro di Storia.
E nell'attimo prima di avvisarli di andare alla pagina della Guerra di Secessione mi vengono in mente le mie scarpe.
Per molti anni mi sono gloriata di portare le uniche scarpe di cuoio della classe, e talvolta anche del Consiglio di Classe; e tuttavia tre anni fa ho scovato un paio di simpaticissime scarpe con la suola di gomma, l'interno imbottito di pelo artificiale, senza tacco e scamosciate all'esterno. Sono carinissime e comodissime e le porto, grosso modo, tra Novembre e Marzo.
Ne ho anche una versione da casa, che porto molto più di rado perché in casa di solito d'inverno fa più caldo che fuori.
E' un modello che va parecchio, in questi anni, e ce ne sono di tantissime qualità e colori.
Di fatto, sono delle pantofole alte.
E sì, le ho comprate in qualità di scarpe. Intendo dire, nella vetrina erano posizionate tra le scarpe, il vasto assortimento di pantofole di cui disponeva il negozio era posizionate nella vetrina accanto.
Ci vado anche a scuola?
Ma certo che ci vado a scuola, le ho comprate soprattutto per quello.
E non solo nessuno ci ha trovato niente da ridire, ma anzi parecchie colleghe me le hanno assai lodate trovandole carinissime.

Ad ogni modo faccio abbastanza spesso un approfondimento di storia dedicato al cambio dell'abbigliamento durante la rivoluzione francese, quando gli uomini improvvisamente cominciarono a vestirsi solo con pochi e scuri colori e, per un breve periodo, i vestiti da donna erano più semplici e comodi di quelli degli uomini. I tempi di Lord Brummel, per intendersi.
Il quale Lord Brummell di sicuro avrebbe disapprovato con tutte le sue forze l'idea di venire a scuola in pigiama, e forse anche di venire alla scuola pubblica inclusiva.

martedì 26 dicembre 2023

Il Natale si addice ai re (e agli imperatori, anche)

In questo autenticissimo & assai filologico dipinto dell'epoca si illustra una festa 
molto importante per re Artù: il Natale.
Da notare come all'epoca non vigesse la sfida tra pandoro e panettone perché i cavalieri della Tavola Rotonda prediligevano già allora il tipico dolce di Natale inglese.

Il 25 Dicembre è la data in cui ogni buon medievista festeggia gioioso l'anniversario dell'incoronazione di Carlo Magno a imperatore, avvenuta in quel di Roma e che ha dato il via alle incoronazioni imperiali come siamo abituati a immaginarle.
Se pure è teoricamente possibile che in quella cerimonia ci fosse una parte di improvvisazione - ed è noto che Eginardo, biografo di Carlo e a lui contemporaneo, racconta che il suddetto Carlo non ne sapeva niente e anzi rimase piuttosto contrariato - tutto fa pensare che dietro all'avvenimento ci fosse una certa organizzazione.
Prima di tutto la data: si sa che la data di Natale è stata scelta a tavolino perché niente nei racconti evangelici stabilisce un mese e un giorno precisi per la nascita di Gesù. Ai tempi di Carlo però già da molto tempo vigeva la consuetudine di commemorare la Nascita per eccellenza della chiesa cattolica appunto il 25 Dicembre. Ma cosa c'entrava con l'incoronazione a imperatore?
Si potrebbe rispondere che era una data importante e una festa fissa, che tutti gli anni cadeva lo stesso giorno; e poi che Gesù è sempre stato il Re per eccellenza per i cristiani - in fondo glielo scrissero anche sulla croce, che era un re: INRI, Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum. Esiste anche una festa, per Cristo Re - il 25 Novembre, ed è una festa che chiude l'anno liturgico, ma è una roba decisamente posteriore.
Quindi, una data facile da ricordare e che non creava problemi.
"Lo sapete? Adesso abbiamo di nuovo un imperatore, come ai tempi dei romani".
"No, non ne sapevo nulla. Quando l'hanno incoronato?"
"Il 7 Febbraio... o era il 9? Era una domenica, immagino. Oppure è stato il 15 di Marzo?".
Molto meglio il 25 Dicembre, in effetti.
Il 25 Dicembre, che è Natale, si ricorda bene: e infatti non manco mai di spiegare ai miei alunni che Carlo Magno era una persona gentile di animo perché scelse una data tonda e un giorno molto facile da tenere a mente per qualsiasi studente. Evviva Carlo Magno.
Casualmente, in quei giorni Carlo re dei Franchi si trovava a Roma. D'accordo, era una persona che viaggiava volentieri, ma guarda caso in quei giorni era proprio a Roma, ovvero una città che poteva facilmente fornire un papa per le cerimonie importanti, e per tutta una serie di interessanti circostanze storiche quel papa era molto disponibile a fare un favore al sovrano franco.
E, tu guarda i casi della vita, mentre recitava la messa questo papa si trovò una corona a portata di mano. Da lì a farsi venire l'idea di incoronare Carlo imperatore mentre era inginocchiato a pregare il passo fu breve.
Insomma, d'accordo le coincidenze, ma secondo me la scena fu un pochino preparata.
Ad ogni modo Carlo Magno è personaggio storico di notevole rinomanza e l'incoronazione di Carlo Magno a imperatore è un fatto storico e nessuno dubita che sia stato incoronato imperatore, per caso o a sommo studio. E' un argomento molto studiato, e rientra senz'altro tra gli avvenimenti storici.
Abbiamo però un altro re, molto medievale e con tratti storici molto meno definiti di Carlo Magno (che pure ci ha le sue belle zone d'ombra) e che mostra anche lui un legame  molto forte con il Natale: re Artù.
So che molti storici ritengono possibile che Artù abbia un fondo storico e lo hanno infilato tra la fine del V e l'inizio del VI secolo. Non ho la minima opinione in merito** ma è certo che a partire dall'XI secolo re Artù venne sottoposto ad un notevole lifting e fece una trionfale entrata nella letteratura medievale. Guarda caso nello stesso periodo anche un Carlo Magno pure lui assai liftato entra nella letteratura, con un ciclo di chanson de geste legato alle crociate. La mia personale teoria, che vale quel che vale esattamente come quella degli altri studiosi perché in questi casi si scrive parecchio sull'acqua, è che qualche inglese si lesse qualcuna di queste chanson e si disse "Perché non facciamo lo stesso anche noi con uno dei nostri re?".
La moda, si sa, spesso parte dalla Francia per tradizione molto antica e non di rado l'Inghilterra si accodava; tanto per fare un esempio, quando i Franchi cominciarono a raccontare che anche loro, come i romani, discendevano dai Troiani, i Britanni stabilirono che anche loro discendevano da un troiano, tal Brutus. Allo stesso modo, sospetto, decisero che anche loro dovevano avere un re ganzo come Carlo Magno - con la differenza che re Artù ha sempre potuto contare su leggende molto più suggestive. A queste leggende sospetto che i francesi abbiano a volte attinto. C'è per esempio la storia dell'incesto con la sorella: Artù ebbe una breve liason con una fanciulla che poi risultò sua sorella, e che partorì un bambino di cui l'onnipresente Merlino annunciò che una volta cresciuto avrebbe ucciso suo padre. Sembra anzi che Artù abbia cercato di sopprimerlo organizzando una specie di strage degli innocenti nel corso della quale morirono diversi bambini ma naturalmente non il bambino destinato un giorno ad uccidere suo padre (finisce sempre così, quando spari nel mucchio invece di lavorare con criterio.
A sorpresa, si diffuse anche l'improbabile storia di un amore incestuoso di Carlo Magno con sua sorella Berta, che avrebbe prodotto Rolando (che peraltro ad ammazzare suo padre non pensò mai nemmeno per sbaglio). Di fatto però non abbiamo notizie di sorelle di Carlo Magno, e tanto meno di incesti del medesimo, fino appunto al ciclo delle chanson de geste. Intendiamoci, magari qualche sorella c'era e nessuno può escludere che il re dei franchi abbia avuto una storia con una di loro - semplicemente, gli storici contemporanei di questa Berta non dicono niente di niente, nemmeno per sbaglio.

Carlo Magno può contare su una traccia storica molto più attendibile di Artù - in pratica, sul fatto che sia esistito non ci sono dubbi - ed è nato, molto banalmente, da un rispettabile matrimonio in cui la madre, per quanto ne sappiamo, lo concepì in legittimo amplesso con il suo legittimo consorte. E fu incoronato a Roma da un papa.
Artù nacque, con l'aiuto di Merlino, da un amore extraconiugale dove però la sposa era del tutto ignara di star tradendo il marito, e il suo concepimento richiese un discreto lavoro a base di incantesimi. Ma quello fu solo l'inizio di una serie di storie dichiaratamente basate sulla magia. Alla corte di re Artù non succede mai niente di normale.
E dunque il legame di Artù con Natale è decisamente più leggendario di quello di Carlo Magno, che alla fine si limitò a scegliere quella data per farsi incoronare imperatore.
Artù invece, cresciuto in incognito per ordine di Merlino (non fosse mai che si sapesse in giro che c'era un erede legittimo al trono e la successione era assicurata) si ritrova la mattina di Capodanno a cercare una spada per portarla al suo fratello adottivo, che senza spada non può partecipare al torneo organizzato per quel giorno. E la trova: una spada infissa in una roccia (oppure in una incudine, secondo altre versioni) e apparsa nel cortile di una delle più importanti chiese di Londra la mattina di Natale. Com'è noto, una scritta sulla spada avvisava che chi fosse riuscito ad estrarla sarebbe diventato di diritto re d'Inghilterra.
E fu così che Artù diventò re d'Inghilterra, anche se non è affatto chiaro in che periodo sia successa quella storia - certo non all'inizio del VI secolo, quando i baroni di corte scarseggiavano e anche i cavalieri in armatura non davano grande mostra di sé.
Il legame tra Artù e Natale comunque continua anche in altre storie, quando la corte di Camelot si riunisce e compare qualche essere magico che avvia regolarmente qualche avventura. Succede più spesso a Pentecoste, ma capita anche a Natale.
E dunque Natale è la festa regale per eccellenza, soprattutto nel medio evo.

Ci sono molte teorie su come nasce l'epica. Quando ero bambina andava di moda spiegare che la letteratura epica era la voce collettiva dei popoli che romanzavano fatti realmente avvenuti. In cuor mio ho sempre pensato che nascesse a tavolino, quando per motivi di propaganda si decideva di costruire qualche storia che desse lustro a un popolo e soprattutto a qualche re, e a questo scopo si spulciava talvolta nelle antiche carte o si inventava di sana pianta qualche vicenda atta allo scopo, e l'inventore o il narratore non erano un generico popolo ma persone con nome e cognome che di solito avevano cura di restare nell'ombra.
Ma vai a sapere.

si tratta comunque di una roba recente, istituita da Pio XI nel 1922
** quando avrò letto i quattro volumi che i Millenni di Einaudi ha dedicato alla letteratura arturiana ne saprò di sicuro molto di più, ed è assai probabile che darò fuoco al presente post o quanto meno che lo ritoccherò pesantemente. In attesa di quel giorno faccio con il niente che so sull'Artù storico, sulla cui esistenza al momento nutro caterve di dubbi.

lunedì 25 dicembre 2023

Buon Natale a tutti!


 Auguri a tutti 
per un Natale vivace e pieno di energia
(con un tocco nostalgico abilmente mascherato)

domenica 24 dicembre 2023

Sta arrivando Natale

                                                          Richard MacNeil Christmas Eve

 L'albero è preparato, le luci sono accese e la sera sta scendendo.
In casa fervono i preparativi per la cena, ma la persona più saggia è fuori ad aspettare l'arrivo più importante.
Auguri a tutti per la notte più magica dell'anno

martedì 19 dicembre 2023

Amor che a nullo amato amar perdona (Talvolta. Sembra. Si dice)

Come ho raccontato qualche tempo fa, un bel mattino di primavera Teodora e Rachele, due fanciulle dell'allora Seconda Sfigata mi chiesero di essere da me unite in legittimo matrimonio e furono da me accontentate con gran tripudio delle compagne. Classificai la cosa tra le tante stranezze della vita e non ci pensai più fin quando Eola non mi portò un racconto da leggere.
In cotal racconto si leggeva appunto la storia, assai romanzata, dell'amore tra Rachele e Teodora, con l'accorata richiesta di non parlare di cotal racconto ai genitori delle due innamorate. Promisi senza porre alcuna difficoltà o convinzione: davvero non esista che vada a spiattellare in giro i fatti personali dei miei alunni, tanto più se li conosco per speculum in aenigmate; e una volta letto il racconto commentai qualcosa su un paio di buchi della trama ma osservai che l'autrice aveva qualche incertezza nell'uso di certi pronomi, che risolsi con un piccolo approfondimento grammaticale in classe qualche tempo dopo. Tuttavia, nel corso del tempo, da circa seicento e passa piccoli accenni captati qua e là ho finito per convincermi che tra le due c'è* effettivamente un legame sentimentale in corso.
Di nuovo, racchiusi questa convinzione in cuor mio e mi cucinai dei grandiosi sformati di cavoli miei, come ho sempre fatto: è noto che questi legami vanno e vengono, meno ci si intromette meglio è - tanto più che la Seconda Sfigata, adesso Terza, sembra avere una vita sentimentale tanto fiammeggiante quanto mutevole.
Qualche giorno fa, mentre preparavo lo schema per la nuova disposizione dei posti, mi dissi tuttavia "ma in effetti non ho mai messo vicino le due colombelle di classe. Ormai è passato un anno, e la relazione sembra piuttosto stabile: Mettiamole vicine, così Teodora aiuta un po' Rachele per Storia".
E così feci.
I nuovi posti sono in vigore da questo Lunedì. Stamani, durante l'intervallo e prima che si mettessero a sedere è arrivata Eola, con le due sposine al seguito.
"Prof, potrebbe separare Rachele e Teodora? Si sono lasciate ieri sera e forse sarebbe meglio se...".
Le guardo. Male. Le guardo ancora.
"Cioè. Proprio ieri sera dovevate lasciarvi? Con i posti appena assegnati?".
Le due colombelle mi guardano vagamente contrite e accennano un mezzo sorriso di scusa.
Spostare qualcuno in quella classe è sempre un problema, perché ci sono infiniti paletti: e quello non ci vede bene, e quell'altro sta sempre a questionare, e così no, e così nemmeno...
Prendo il pennarello e sposto non meno di cinque persone.
"Sappiate che vi odio. Profondamente" proclamo.
Di nuovo un vago sorrisetto di scusa.
Ciò che una donna giura all'amante / scrivilo sul vento, o sull'acqua che scorre.
Non l'ho detto. L'ho soltanto pensato.
Magari più avanti potrebbero riconciliarsi.
Chissà.

* o meglio dovrei scrivere c'era

lunedì 18 dicembre 2023

Natale a scuola

La prof. Murasaki in versione natalizia
Due anni fa al pranzo di Natale le due padrone di casa avevano un delizioso berretto di Natale, di quelli rossi con il bordo bianco ornato di stelline e un soffice ponpon. Le guardai con assoluta invidia, tanto che alla fine un cugino riuscì a scovare in un angolo della casa un berretto non altrettanto carino ma almeno un po' glitter, che tenni trionfalmente in testa per tutto il pranzo per poi restituirlo a malincuore ai legittimi proprietari prima di andarmene.
Decisi tosto di procurarmene uno per il successivo Natale, con il proposito di portarlo a scuola l'ultima settimana. Ma, ahimé, tutti i negozianti cui mi rivolsi speranzosa mi giurarono di avere avuto sì tonnellate di berretti di Natale di varia foggia, ma di averli anche venduti tutti.
Così mi ripromisi di provvedermi per tempo l'anno successivo.
Ahimé, l'anno scorso tutto il periodo prenatalizio fu fagocitato da una lunga e dolorosa influenza e riuscii a malapena a trascinarmi alla farmacia di St. Mary Mead per raccattare quei pochi regali che speravo di fare, e che vennero malamente distribuiti durante le feste tra una ricaduta e l'altra. Un vero strazio. Quanto al pranzo di Natale, se io avevo l'influenza, i miei ospitali parenti avevano addirittura il Covid, e quindi lo passammo in dignitosa solitudine e, nel mio caso, pasteggiando malinconicamente a tisane perché per l'occasione il mio leggendario appetito se n'era andato a ramengo, tanto da farmi addirittura pensare a una ricaduta della mia lunga malattia.
Quest'anno le cose sono andate molto meglio e sono riuscita a fare ben tre giri di shopping, comprando non soltanto regali per amici, parenti e conoscenti ma anche una serie di regalini variamente demenziali per me - una cosa, questa, cui ho sempre tenuto particolarmente. Dei berretti di Natale mi ero completamente dimenticata ma girando da Flying Tiger ho trovato una graziosa passata da renna con le corna:
Probabilmente, cercando bene, è possibile trovare accessori ancor più demenziali; io, comunque, mi sono contentata così e ho provveduto prontamente ad acquistarle l'8 Dicembre, scalpitando in cuor mio per tutta la settimana perché l'atmosfera natalizia nella scuola non mi sembrava ancora abbastanza adeguata.
Nel frattempo le custodi hanno provveduto a montare un bell'albero nell'ingresso e un albero più piccolo al piano di sopra, e la stampante a 3D del laboratorio di informatica ha provveduto a sfornare una graziosa serie di stelle rosse che hanno ingentilito le pareti davanti all'Aula Magna, oggi chiamata Polivalente perché lì dentro ci facciamo di tutto.
Così Lunedì scorso ho infilato la mia poassata e atteso la Terza Sfigata, che non ha mancato di apprezzare. 
Per tutta la settimana ho girato per i corridoi e interrogato e restituito compiti e pure fatto un paio di partacce, ma sempre con la mia passata con le corna non troppo saldamente infilata sulla testa (è un po' scivolosa, ho scoperto). Qualche alunna di altra classe mi ha chiesto se avevo messo quella passata perché avevo le corna. Ho risposto che la portavo perché ero ricolma di spirito natalizio, e che per una renna avere le corna era cosa normale e per la quale davvero non c'era motivo di formalizzarsi. Le ho viste un po' perplesse, ma se uno fa una domanda idiota, mi sembra, non può pretendere di ricevere una risposta intelligente - detto e non concesso che io sia in grado di elargire risposte intelligenti anche in periodo non natalizio, il che è davvero tutto da dimostrare.
Stamani, mentre stavo per uscire di classe (regolarmente munita di corna) per sorvegliare i corridoi durante l'intervallo nella zona a me assegnata, è arrivata una custode.
"Professoressa!" ha chiamato.
Alzando gli occhi ho visto che portava un berretto di Natale di un bel rosso, con le stelline luminose sulla fascia bianca di similpelliccia.
"Una foto, una foto!" ho squittito "Facciamoci una foto insieme. Chi ci fa una foto?".
"No, professoressa, venga giù che le faccio vedere una cosa".
Con un codazzo di alunne al seguito (armate di cellulare per fare le foto) abbiamo sceso le scale, per poi incrociare le due custodi, anche loro munite di berretto rosso.
"Una foto, una foto tutte insieme!" chiedevano a gran voce le ragazze.
Bene, fare la foto non è stato semplice né veloce perché una delle custodi è stata chiamata su per fare non so cosa e l'altra ha dovuto allontanarsi lungo il corridoio, mentre io e le ragazze aspettavamo. Ma alla fine eccoci lì, in fila, munite di sorrisi sgargianti, e ci è stata fatta la foto. Tre foto, in effetti: una seconda per sicurezza, e una mia personale con una delle allieve - e va sinceramente riconosciuto che sono venuta proprio malino in tutte e tre. Fa niente, in foto vengo sempre male.
Natale sta arrivando, evviva il Natale.