Il mio blog preferito

venerdì 27 marzo 2020

Papà Gambalunga - Jean Webster


Quello che vado oggi a presentare è un classico intramontabile - anche se, a dire il vero, non conosco una singola persona che l'abbia letto a parte me.
Quando l'ho letto la, prima volta? Sono quasi sicura che sia stato alle elementari, quando avevamo la biblioteca di classe. Non posso averlo preso in biblioteca perché quando ero ragazza le biblioteche di quartiere non c'erano - eppure sono sicura che mi è passato almeno tre o quattro volte tra le mani, in edizioni diverse, e probabilmente la prima che ho letto era la più completa.
Infatti questo classico per ragazzi che non è affatto nato come tale e al più, forse, si potrebbe ascrivere alla misteriosa categoria che va sotto la generica etichetta di "letteratura femminile" (di fatto è un onesto "romanzo per tutti") in Italia è sempre stato relegato tra i classici della letteratura per l'infanzia, o meglio per ragazze, e sempre è stato sforbiciato in tutte le sue edizioni.
Forse per la sua eccessiva lunghezza?
Ma no, in questa edizione ben spaziata, con i disegni dell'edizione originale e una serie di note tutto sommato quasi tutte superflue si fanno 260 pagine circa. Qualsiasi ragazzina di dodici anni (e forse anche di dieci, se ha un po' di inclinazione per la lettura) ne viene a capo in un paio di giorni.
Forse per le scenate scene di sesso estremo che contiene?
No. Raramente è dato trovare un romanzo dove il sesso abbia sì picciola parte.
Forse per scene di dissolutezza, dissipazione e vizio?
Neppure. Niente droga, non sono sicura che l'alcool nemmeno sia nominato, nessuno gioca d'azzardo, nessuno viene maltrattato, non c'è ombra di violenza né alcuno sprezzo per la religione.
L'America è un paese felice, vien da pensare, dove il peggio che ti possa capitare è finire in un orfanatrofio - dove non soffrirai fame, freddo o percosse, solo una notevole inedia intellettuale dal momento che ti è sottratto ogni stimolo intellettuale - beh, quasi, perché comunque nessuno può privarti della possibilità di pensare e ci sono cervelli che riescono a sopravvivere anche se privi di ogni nutrimento esterno.
Ad ogni modo questo povero libro, più maltrattato di un orfanello in un libro di Dickens è stato finalmente onorato di una traduzione completa e integrale e pubblicato l'anno scorso dall'editore Caravaggio in un rispettabile formato tascabile con copertina cartonata al prezzo tutto sommato accettabile di circa 16.00 euro. L'ho riletto con gran piacere e ho scoperto che avevano tagliato la parte più interessante: quella in cui la protagonista impara a costruirsi una certa indipendenza.
Una ragazza che vuole essere indipendente economicamente, pur avendo un benefattore alle spalle che le offre tutto quel che le interessa su un piatto d'argento? Addirittura che vuole restituire i soldi che costui ha speso per la sua istruzione?
Immagino che l'abbiano trovato sconveniente. 
Dove andremo a finire, signora mia, se le donne decidono di guadagnarsi da vivere pur avendo la possibilità di risparmiarsi tal fatica mantenendo il decoro?

La storia è abbastanza nota e oggetto di una discreta serie di film sin dai tempi della sua prima pubblicazione (1912) e nel 1991 anche di un anime di cui non ricordo di avere mai visto nemmeno un fotogramma ma che gode di buona reputazione nel giro:
Jerusha Abbott è una povera orfanella, cresciuta in un istituto di carità. Nessuno l'ha mai adottata ma la bambina andava bene a scuola e così il consiglio direttivo dell'ente benefico gli ha pagato un po' di studi per poi tenerla nell'orfanotrofio come donna di fatica, bambinaia, ripetitrice eccetera, insomma una tuttofare senza stipendio che si può usare a piacimento.
Uno dei benefattori, però, colpito dal senso dell'umorismo che ha mostrato in un tema a scuola ha deciso di pagarle gli anni del college. In cambio la ragazza dovrò scrivergli delle lettere dove racconta la sua vita - e appunto le lettere sono quelle che compongono il romanzo, un romanzo epistolare del tipo più classico, dove la storia è vista solo attraverso gli occhi della protagonista.
Papà Gambalunga è il nome che lei decide di dare al suo sconosciuto benefattore, che non le scriverà mai una riga ma che, alla fine il lettore si accorge, è entrato in scena piuttosto presto nel romanzo.
Al momento dell'agnizione ci accorgiamo così che il benefattore ha tentato un esperimento simile a quello di uno dei personaggi de La scuola delle mogli di Molière: allevarsi una ragazzina lontano da possibili concorrenti per poi prenderla in moglie. Ma siamo in America e anche da un college femminile è possibile che una ragazza impari a costruirsi la sua vita e riservi qualche sorpresa al suo "benefattore" uscendo di sua volontà dall'incubatrice.
Papà Gambalunga, nella sua versione misteriosa e fantomatica fa un po' i capricci, li fa anche nella sua versione più reale, ma Jerusha (che decide quasi subito di cambiarsi il nome in Judy) lo smonta con grande candore, una logica inappuntabile e una calma fermezza. Alla fine le cose andranno come voleva Papà Gambalunga, ma Judy nel frattempo si sarà costruita una vita a modo suo.
Judy è un carattere solare, giocoso, allegro, affamata di vita e soprattutto di letteratura. Al college impara le buone maniere, il programma dei corsi, si costruisce una cerchia di amicizie e soprattutto una cultura, partendo dai classici che si leggono da bambini e che nessuno le ha mai dato in mano e placando così la fame accumulata in tanti anni di bigio orfanotrofio. Per tutto il tempo però non dimentica di essere una orfanella che dovrà imparare a vivere con le sue forze. Il piacere con cui vive tutte le scoperte e i divertimenti di cui l'orfanotrofio l'aveva privata si trasmette al lettore trasmettendogli una visione solare dl mondo. È uno di quei romanzi che cura e guarisce senza impegnare troppo il lettore anche quando, come in questo periodo, è un po' depresso per circostanze esterne.
Consigliato sempre e comunque.

Copn questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro serenità e forza d'animo a chiunque passi di qua.

giovedì 26 marzo 2020

À la guerre comme à la guerre (Primi passi nellaTerra Oscura delle Videolezioni)

Come molti insegnanti, anch'io sono rimasta piuttosto scossa dopo le prime lezioni in videoconferenza
D'accordo, giocare con la piattaforma era divertente. 
Facevo le domande e i ragazzi rispondevano.
"Chi ha detto che la rivoluzione non era un pranzo di gala?".
E tutti a spiegarmi che era stato Mao Zedong (che ai miei tempi si chiamava Mao Tse Tung) e che l'aveva scritto nel Libretto Rosso.
Avevo controllato con cura, prima di pubblicare la domanda, e avevo visto che Google forniva subito la risposta.
Un modo come un altro per introdurre la Cina.
Bene, c'è qualcuno che sa cercare le risposte su Google. Non è poi così scontato.
E hanno risposto solo i ragazzi che controllano tutti i giorni la piattaforma.
Ma era pur sempre un modo di cominciare.
E poi ho chiesto tante altre cose.
Ho pubblicato i simboli dell'Irlanda il giorno di san Patrizio, la foto dell'attentato di Sarajevo, le acque del mar Baltico che si incontrano con il mare del Nord, un'immagine di Lady Oscar e così via.
Ho pubblicato nella piattaforma video su Tienanmen e la Nuova Via della Seta e li hanno guardati.
Ho assegnato compiti a base di ricerche varie e sono stati perfino fatti (quasi da tutti).
MA c'erano ancora le lezioni da fare in diretta.
Mi sono fatta fare un po' di tutoraggio da una collega e poi da una cara amica, ho imparato come proiettare una immagine per fargliela vedere - sono cose che fanno comodo a Geografia, specie se quello che vuoi proiettare è una carta geografica.
Ho bucato ben due appuntamenti perché avevo scritto l'ora sbagliata sul registro Argo, e una è stata recuperata all'ultimo momento perché tanto ero comunque in casa - e tutto ciò servirà per rimpinguare il mio già cospicuo Album delle Figurine. Mi sono scusata col capo cosparso di cenere.
E alla fine ho ho fatto le mie lezioni, interrompendo per aprire alla gatta di turno (due volte), facendogli vedere la gatta che camminava sulla tastiera (una volta, e ha riscosso un certo successo di pubblico), scoprendo che il collegamento andava e veniva e che c'era gente che usciva e rientrava cinque o sei volte nel vano tentativo di avere una linea migliore e alla fine si rassegnava ad avere soltanto l'audio e gente che vedeva la figura che proiettavo sempre con due minuti buoni di ritardo - il che mi ha portato a decidere che, se volevo proiettare una presentazione sarebbe stato meglio farlo in una lezione registrata.
La Prima Asserpentata ha fatto un gran casino ma siamo riusciti lo stesso a mettere insieme una buona descrizione del settore primario.
La Seconda Invasata ha retto singolarmente bene la lezione in cui gli ho raccontato la storia dell'assemblaggio e poi della dissoluzione della Iugoslavia (che ai miei tempi si chiamava Jugoslavia) e alla fine hanno assicurato che non gli sembrava poi così difficile. Mi fa piacere perché io, per fare quella lezione, ci ho messo circa quattro ore (ma nel frattempo ho anche imparato a fare i documenti su Drive, con o senza immaginette).
La Seconda Industriosa ha svolto diligentemente i suoi compiti preparatori e ha ascoltato tranquilla la prima parte della rivoluzione francese facendo domande pertinenti e sennate.
La Terza Soddisfatta ha seguito con la consueta, educata e apparente attenzione una lezione (da me preparata con gran cura) sulla Cina e le sue trasformazioni negli ultimi cinquant'anni, e immagino che la dimenticherà... no, che l'abbia già dimenticata da un pezzo, perché ormai sono passate quasi dodici ore.
Insomma, se proprio, col coltello puntato alla gola,  dovessi fare un bilancio complessivo dopo questa prima e turbinosa settimana, la mia impressione è che ogni classe abbia mantenuta intatta la sua identità nonostante in questo momento i suoi componenti vivano vite separate - un fenomeno interessante, visto che sono stati separati ormai da più di tre settimane, che a quell'età sono un tempo lungo.
Qualcuno non segue? D'accordo, qualcuno non segue. Ma non è che quando siamo in classe seguano tutti, in verità.
C'è però una categoria che rischia di restare tagliata fuori: i ragazzi più silenziosi, quelli che anche in classe intervengono raramente ma che seguono sempre tutto con attenzione. In classe alzano la mano e in quel caso vengono subito fatti parlare, anche solo per rendere onore alla eccezionalità dell'avvenimento. Qui però non si azzardano ad accendere il microfono e intervenire, mentre i più estroversi non mostrano alcun problema. Sarebbe bello che potessero avere un pulsante da accendere quando vogliono parlare o qualcosa del genere, e allora l'insegnante sceglie se sciropparsi la 823sima osservazione di Cicerone o ascoltare il commento di Terenzio, che di tendenza ne fa mezzo al mese.

Non ho ancora fatto lezioni registrate. Non mi ci immagino, non mi ci vedo, non so figurarmici... del resto, a ben pensarmi, non sono io che devo vedermici ma loro.

sabato 21 marzo 2020

Piattaforma, ti amerò


La Grande Proletaria si è mossa. Con il prevedibile rutilare  di 730 avvisi al giorno, più o meno discordanti tra loro (giusto per dimostrare che sappiamo perderci in una goccia d'acqua anche col salvagente senza che la Segreteria, per una volta, ne abbia la benché minima colpa) alfine qualche giorno fa la piattaforma su GoogleSuite è partita. Ma non per usarla, oh no, non ancora. Prima andavano mandati gli indirizzi mail a tutti gli alunni.
"Ecceccivorràmmai" penserebbe Chiunque.
Ma il signor Chiunque non vive evidentemente a St. Mary Mead e non sa che non tutti i nostri millenial hanno una casella mail, né loro né i genitori. C'era ad esempio un piccolo gruppetto che accedeva al registro elettronico solo attraverso terzi, o non accedeva del tutto - e sorvoliamo pietosamente sugli alunni di elementari e materne, che il registro elettronico ancora non ce l'hanno.
Murasaki si affaccia un attimo dal suo paravento e scopre due cose di cui aveva già vaga contezza, ma che non aveva mai realizzato appieno:
1) tutto il pianeta (tranne lei) naviga su What'sUp ma non tutti hanno una casella di posta elettronica e
2) un sacco di gente non ha un computer.
La seconda, ai miei occhi, è assolutamente lunare. Non ho automobile, non ho televisore, non ho smartphone ma non sono assolutamente capace di immaginare una vita senza un computer. Non dico un bel computer stabile da scrivania a schermo grande, come il mio, ma almeno un bel portatile?
Perfino il mio tablet formato A4 ai miei occhi è poco più di un complemento d'arredo: utile per la navigatina appena sveglia mentre sorseggio il caffè, compagno fedele nei mesi di ospedale e nei primi tempi della convalescenza, quando arrancare fino alla sedia e alzare gli occhi sullo schermo era una fatica improba, utile colonna sonora mentre stiro o mi preparo per uscire*, sì. Ma in condizioni almeno vagamente normali la mia ricca vita informatica passa attraverso il mio adorato computer fisso e, in alternativa, attraverso il fisso della Sala Insegnanti a scuola.
Mi ero fatta un po' fuorviare dal fatto che tutti quelli che conosco hanno un computer. Poi sono venuta a scoprire che non proprio tutti quelli che conosco hanno un computer, e qualcuno si arrangia a fare tutto con lo smartphone, cosa che a me sembra spaventosamente scomoda. Qual è il vantaggio di consumarsi gli occhi a compilare il registro elettronico, poniamo? O di guardarsi un video con la lente d'ingrandimento?
Ma in effetti anche navigare sulla piattaforma con lo smartphone è un vero strazio, mi assicurano in tanti. Prendo atto e non commento, in base all'aureo principio che "Esiste il silenzio".
Odio le piattaforme didattiche. Mi irritano. Mi suscitano sdegno misto a profonda pena. Non la voglio, la vostra pulciosa piattaforma didattica. È brutta, antipatica e irrita il mio aristocratico sentire. Non ne voglio nemmeno sentir parlare. Mi viene il latte alle ginocchia solo a pensarci. Uffa!
Tutto ciò lo penso con grande intensità, ma chiusa in un dignitoso silenzio e nel mio aristocratico isolamento mentre un gruppo scelto di docenti dei tre ordini del Comprensivo dà la caccia a tutti gli alunni, uno per uno, con trappole e mute di cani ed esche soporifere senza darsi pace finché tutti loro, volenti o nolenti, non sono muniti di un indirizzo mail. 
Parlo di "aristocratico isolamento" perché dalla scuola non mi chiama quasi mai nessuno, e quando mi chiamano scopro che ci sono una vera infinità di decisioni che non mi sono state comunicate. Nel silenzio della mia casetta, per compiti e lezioni mi sono basata esclusivamente sul mio buon senso in mancanza di direttive esterne e, strano ma vero, sembra che non abbia sbagliato quasi nulla.
Chi mi chiama esordisce sempre con "Oh quanto ti invidio, tu che non hai What'sUp! In questi giorni stiamo veramente impazzendo".
"Non è colpa di What'sUp, è colpa vostra che non lo sapete usare" penso in cuor mio "Beh, a questo punto comprarmi uno smartphone non è semplicissimo, temo. La verità è che mi sento molto inadeguata" mento spudoratamente prima di prendere atto delle istruzioni.
"C'è il problema dei compiti dati a casa. La preside dice che dobbiamo valutare anche quelli".
"Beh, mi sembra inevitabile" dico domandami dove mai sia il problema: allo stato dell'arte, solo quelli possiamo valutare, e se vogliamo dare una valutazione ai ragazzi converrà che in qualche modo li conteggiamo, ci piaccia o no.
In effetti mi sono ingegnata, dal mio paravento, a dare dei compiti un po' strutturati e un po' creativi, così magari si divertono a farli e non trovano dove copiarli. Forse.
"E poi adesso dovremo fare le lezioni in videoconferenza".
Beh, sì. Capisco che non sia il massimo nella vita, ma non vedo alternative. E sono talmente stufa di gente che si lamenta perché la lezione in videoconferenza non è la stessa cosa che la lezione dal vivo che ho finito quasi per adattarmi all'idea.

Infine dalla direzione centrale di St. Mary Mead aprono i cancelli. La piattaforma è pronta, possiamo cominciare e invitare i ragazzi.
Entro nella piattaforma, dominando il mio aristocratico disgusto, apro i corsi con l'aiuto di una gentil collega e comincio a invitare i ragazzi.
Poi entro nella piattaforma, vagamente schifata e comincio a spulciare qua e là.
Questo non mi riesce, questo non so che farmene, questo...
Vagolo, navigo, apro qua e là.
E comincio a divertirmi. 
Oh, si può personalizzare il banner?
Oh sì, magari ci sono cose più importanti da fare ma... non pretenderete mica che mi tenga un banner anonimo di colore uniforme? Nossignori, ne voglio uno diverso per ogni corso!
Impiego un tempo davvero assurdo per il primo, ma alla fine imparo quali immagini posso usare e come.
Gli argomenti. Comincio a preparare le cartelline con gli argomenti, e a dividere i compiti che mi arrivano per posta in cartelline, a seconda della classe. Ma poi scopro che possono arrivare direttamente sulla piattaforma, che al contrario dei programmi del mio computer apre quasi tutto. Wow!
Apro le tabelle per i compiti, scoprendo che posso restituirli corredati di commenti. Scopro che ci sono le domande. Scopro che ci posso fare un compito intero, con le domande. Scopro che...
In fondo io di piattaforme didattiche ho usato solo quella del corso dell'anno di prova, e non c'è dubbio che fosse davvero mencia anche per quell'epoca.
E insomma, per farla breve son qui che passo le giornate col giocattolino nuovo,  divertendomi come un bambino in pasticceria a caricare video sui temi più improbabili (canzoni comprese), immaginette di Lady Oscar, auguri per la festa di San Patrizio (nella classe in cui abbiamo appena finito l'Irlanda) e insomma ormai mi mancano solo i draghi - e se solo avessi avuto una classe di italiano non mi sarei fatta mancare nemmeno quelli.
Giusto stamani ho fatto il mio primo file a produzione autonoma, comprensivo di schemino e immaginetta. Ancora ieri li facevo con la videoscrittura, ma fatti sulla piattaforma vengono molto meglio.
Insomma, alla faccia di tutti e di tutto mi sto divertendo. Un sacco.

* perché un tempo uscivo. Sembra strano da ricordare, ma a volte lo facevo perfino due volte nello stesso giorno. E a volte, addirittura, rientravo tardissimo.

martedì 17 marzo 2020

17 Marzo - Festa di santa Gertrude, protettrice dei gatti (dice)



Considerando il periodo abbastanza delicato che tutti stiamo attraversando mi sembra giusto occuparmi di santi per chieder loro con garbo se non potrebbero dedicarci un pensiero speciale.
Per gran parte dell'umanità oggi si ricorda san Patrizio, patrono dell'Irlanda nonché santo molto verdeggiante e tra i primi inventori del Purgatorio.
Tuttavia il piccolo ma agguerritissimo gregge dei gattari oggi festeggia anche santa Gertrude di Nivelles, protettrice di gatti e giardinieri come ci spiegano nell'immaginetta di fabbricazione assai moderna con cui apro questo post.
Gertrude di Nivelles, per quel che ci è dato sapere, è una santa assolutamente autentica e attestata in svariate fonti altomedievali, strettamente imparentata con quella famiglia da cui nacque anche Carlo Magno (un bel po' di tempo dopo).
La sua breve ma devota esistenza trascorse a Nivelles, nell'attuale Belgio. Figlia di santa madre, proclamata santa dopo la morte, esimia badessa, donna di cultura e devozione, come usava all'epoca, Gertrude appare una figura molto rispettabile.
E i gatti?
Non c'è nessun gatto fino ad una miniatura del tredicesimo secolo dove un micio di non eccessiva bellezza (ma anche lei non è venuta benissimo, diciamo la verità) ma dolcemente dispettoso come ogni buon micio che si rispetti si industria a complicarle la filatura:
La versione vulgata tra i gattari spiega che era associata ai ratti in quanto proteggeva contro le invasioni di topi. Visto che nel suo monastero c'era un rispettabile scriptorium (e una dispensa, ovviamente) è chiaro che anche lì i topi costituivano un problema, ma miniature con monache e gatti ce ne sono diverse, anche perché nei monasteri i gatti andavano abbastanza di moda ed erano considerati molto adatti come animali da compagnia per le monache, come ho giù avuto il piacere di raccontare.
Insomma, la santa badessa Gertrude proteggeva contro i topi e di conseguenza, in un qualche tempo abbastanza moderno, le venne attribuita la protezione dei gatti, e così abbiamo un gran fiorire di graziose immaginette dove viene raffigurata circondata da splendidi mici
tutte decisamente moderne; quanto ai giardinieri, davvero non so quando e come siano entrati in scena, ma saranno arrivati anche quelli in tempi recenti, immagino.

Siccome su questo blog ogni scusa per parlare di gatti viene accolta con piacere, dedico volentieri questo post a Gertrude, fermo restando che dubito che in vita si sia mai occupata molto di gatti.
E dunque auguri a tutti i gatti, auguri a santa Gertrude e auguri a tutti noi.
Senza dimenticare san Patrizio (che con i gatti, mi dicono fonti autorevoli, non c'entra granché, anche se immagino che li trattasse con gentilezza essendo un bravo santo:

venerdì 13 marzo 2020

Le avventure di Murasaki nel multiforme paese delle videolezioni (di cui non ho niente da dire, e allora si parla d'altro)


Ci sono scuole e ci sono insegnanti che hanno semplicemente acceso skype o qualche grandiosa piattaforma e sono andati avanti come se niente fosse. Costoro riempiono blog e social descrivendo la loro frustrazione per non avere più con i ragazzi la stessa empatia che avevano nelle lezioni in presenza, e qualcuno lamenta che i suoi alunni,  fino al giorno prima autentici lupi di rete, si siano improvvisamente trasformati in una schiera di analfabeti digitali lamentando computer inadeguati, problemi col collegamento in rete, cellulari antiquati e contratti in scadenza.
Li leggo con profonda irritazione e grandissima invidia. Non scenderò nei dettagli, mi limiterò a dire che al momento siamo ben lungi dalla fase in cui potremo lamentarci della riottosità dei nostri alunni, e che anzi ci farebbe gran piacere poterlo fare.
Oggi sono entrata nello scheletro della nostra piattaforma, dove una parte della Terza si è iscritta, e dopo avere un po' combattuto sono riuscita a caricarci un piccolo file di istruzioni per dei compiti e due carte geografiche della Cina.

Per me non è cambiato molto rispetto all'anno scorso in questo periodo, se non che vedo meno gente. Passo le mie giornate a leggere e a navigare col tablet. Rispetto all'anno scorso sono più autonoma - per esempio posso andare a fare la spesa da sola e salgo senza problemi sulla scaletta per pulire la parte alta delle librerie. Posso stirare, se voglio (per ora non voglio). In compenso nessuno mi viene a trovare mentre l'anno scorso venivano tutti a controllare come stavo e a portarmi fiori e dolcetti (senza pasta di mandorle perché non potevo ancora mangiarla). E nessun medico mi chiama per chiedere notizie della mia salute: hanno tutti ben altro a cui pensare.
Come l'anno scorso passo del tempo a riflettere su tutte le cose che vorrei fare quando sarà passato questo periodo: andare al cinema, a teatro, a trovare gli amici, al ristorante cinese e indiano, a guardare vetrine e fare acquisti.
Ascolto rispettabili trasmissioni sull'economia e i conflitti internazionali - insomma, mi sto dedicando all'autoformazione e all'aggiornamento.
Il fatto di essere già passata per un periodo del genere in tempi ancora piuttosto vicini mi dà un curioso senso di déjà vu ma mi permette anche di riadattarmi con molta maggior facilità.
Come l'anno scorso a tratti medito e rifletto sull'insegnamento ed elaboro nuove strategie e tecniche - che tutte, inevitabilmente, prevedono una classe ciarliera con cui confrontarmi.
Ho anche elaborato una serie di compiti altamente creativi con delle istruzioni piuttosto complicate.
Insomma, li ho messi a fare l'autoapprendimento.
Io mi autoformo e loro autoapprendono.
Al momento mi sembra l'unica cosa sensata da fare. E anche loro, povere stelle, dovranno pur passare il tempo in qualche modo, giusto?

Oggi è il giorno in cui avrebbe dovuto finire la Mostra del Libro della scuola. 
Avevo scelto la data con molta cura, in una settimana in cui tutte le classi sarebbero state presenti tutte le mattine - praticamente l'ultima dell'anno senza gite, tornei sportivi ed escursioni varie. E mi ero già portata molto avanti con l'organizzazione già ai primi di Febbraio, appena prima che la tempesta si annunciasse: avevo preso accordi con la libreria e la Segreteria, discusso con le custodi dove mettere i tavoli e fatto stampare i manifesti, che come sempre erano venuti molto bene.
Adesso l'idea di una Mostra del Libro sembra assolutamente lunare. Tutta quella gente ammassata intorno ai tavoli, e toccherebbero persino i libri!
Impensabile.

La casa dei sogni di Anna - Lucy Maud Montgomery

Anni fa avevo pubblicato la presentazione di alcuni libri del ciclo di Anna dai capelli rossi e per l'esattezza del primo, del secondo, del terzo e del quinto. A quel punto però avevo esaurito le possibilità non solo del circuito delle biblioteche di Firenze ma anche di quelli di tutta la regione e quindi rimasi senza gli altri due (o tre? O quattro?).
Da allora le cose sono cambiate e l'editore Gallucci sta curando una nuova traduzione del ciclo, in edizioni integrale, in volumi non destinati specificamente ai ragazzi quindi non troppo enormi - e con copertine che c'entrano il giusto, come sempre succede per i libri di Anna:




Sono arrivati al quinto volume e ho fiducia che prima o poi arrivi anche il sesto. Ogni volume va sui quattordici euro, che non è poi un prezzo improponibile.


Nel frattempo si è mosso anche l'editore Lettere Animate, che sta pubblicando una versione non solo integrale, ma pure annotata, quindici euro a volume, però per adesso hanno stampato solo i primi due volumi più una raccolta di racconti. In un modo o nell'altro dunque avrò la possibilità di concludere la lettura del ciclo.
Quello che vado a presentare è il quarto, che in originale si intitola Anne's House of Dreams, dedicato al matrimonio di Anne e ai suoi primi due anni di vita coniugale, tutti trascorsi in quella che lei chiama da subito "la casa dei sogni", scelta dall'accorto consorte che la conosce bene. 
La precedente traduzione di Mursia lo aveva intitolato La baia dei sogni, non senza qualche ragione: la casa dei sogni di Anne infatti dà su una bellissima baia e si trova anche piuttosto vicina al faro della zona, attentamente sorvegliato da un capitano di lungo corso ormai in pensione che ha avuto una vita assai avventurosa. La copertina però non presenta alcuna traccia di baia, di mare, di fari e insomma di qualsivoglia elementi marini, e chiunque potrebbe pensare, guardandola, che le vicende si svolgano in qualche rispettabile territorio all'interno del Canada dove di mare non c'è traccia, quando invece l'intreccio è legatissimo ai mari, anche esotici, ad avventure marine, a questioni di pesca e a navi a lungo attese (talvolta invano).
Come tutti i romanzi del ciclo è una lettura davvero piacevole. Dei personaggi che hanno popolato i tre volumi precedenti non c'è quasi traccia se non nei primissimi capitoli, quelli dedicati al matrimonio.
In realtà non ci sono tracce troppo vistose nemmeno di Gilbert, l'affettuoso quanto accorto marito di Anne: la felicità coniugale di una unione basata su una reale affinità di spiriti è molto piacevole da vivere ma offre pochi spunti ai romanzieri. Il marito è senz'altro un coniuge affettuoso e anche un bravo medico, aggiornatissimo e pronto ad applicare terapie innovative e a quel che risulta gode di una considerevole quanto meritata stima nella cittadina, ma anche se prende un paio di decisioni assai importanti ai fini della trama di fatto compare pochissimo.
Anna è felice e fa quel che deve fare una brava sposa: tiene in ordine la casa e si riproduce - e va detto che le pagine riservate ai due parti sono veramente belle e risolte entrambe con molta abilità. Ma, alla fine, la vera protagonista del romanzo è Leslie, una donna malmaritata ingabbiata in una situazione davvero infelice, che a un certo punto si innamora - che, in quelle condizioni, è praticamente la cosa peggiore che possa capitare ad una signora virtuosa.
Il lettore a questo punto non sa che pensare: il tono del romanzo è tale da fargli sperare un lieto fine per la poverina, ma sembrerebbe che ci si possa arrivare solo col consueto incidente in cui il marito toglie il disturbo - una soluzione banale, di quelle che lasciano  un retrogusto amaro. L'abile autrice però riesce a risolvere il tutto con una giravolta a sorpresa davvero originale e degna di ammirazione: perché Lucy Maud Montgomery lavora così, seminando gioia e felicità in quasi tutte le sue pagine ma all'occorrenza sfoderando soluzioni impreviste per problemi comuni e prospettive originali per scene consuete.
Dunque un romanzo a lieto fine davvero per tutti i protagonisti, che lascia un retrogusto molto gioioso e molta fiducia nella vita. Esattamente quel che fa la vita, a ben guardare.
Insomma, una lettura davvero raccomandabile per questo periodo così complesso per tutti noi.

Col presente post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e consiglio lunghe sedute di lettura ai molti che come me sono tappati in casa, col caldo augurio che al più presto possano farne qualcuna anche gli operatori del servizio sanitario, che al momento sono davvero sovraccarichi di lavoro.

lunedì 9 marzo 2020

Lezione frontale; chi sarebbe costei?

Sì, le lezioni frontali possono conciliare il sonno.
Che a volte è un pregio, giusto?
Su certe cose la didattica moderna non transige: la lezione frontale è il male assoluto, il demonio, l'anticristo dei canoni di apprendimento. 
Vade retro, Satana! Anathema sit!
E poi è una roba da antiquariato. Andava forse bene per Carducci, forse per i nostri bisnonni. Ma ai giovani d'oggi non vorrai mica rifilare la lezione frontale?
Come raccontava la povna tempo addietro in un commento su questo blog lo spiegarono anche a lei, in una compatta serie di lezioni frontali. E anche a me lo hanno spiegato, alla SSIS, in un paio di lezioni frontali.
Sempre alla SSIS, mi spiegarono anche che la didattica moderna si basava sui moduli - che sono, in pratica, un gruppo di lezioni frontali seguite da una verifica.
D'accordo, la SSIS non è una roba di cui far conto - almeno quella che ho fatto io, in Toscana. E posso anche essere d'accordo che in certi casi possa sembrare una roba un po' antiquata; ma forse sarebbe il caso di mettersi prima d'accordo su cosa si intende esattamente per lezione frontale.
La definizione più o meno ufficiale sarebbe esposizione continuata fino alla conclusione del discorso, con spazio finale riservato alle domande di chiarimento dei partecipanti.

In realtà una roba così non si vede spesso, in una scuola per ragazzi. Io stessa che scrivo, e che la scuola l'ho frequentata diversi decenni fa, prima dell'università l'ho vista solo ai tempi della prof. Picchia, che faceva la sua lezione e poi accettava domande; e alle Settimane di Studio sull'Alto Medioevo di Spoleto, anche, dove le conferenze infatti sono chiamate "lezioni" - nel senso, suppongo, di lectio magistralis.
Però anche sull'università, calma e intendiamoci: il mio primo seminario, quello su Francesco d'Assisi, è stato quasi tutto una gran chiacchierata, noi decina di allievi e le due insegnanti, mancava solo il tè con i pasticcini - e tutti a rivoltare Francesco come un guanto nemmeno ci avessimo giocato insieme da piccoli; ma anche alle altre lezioni chi aveva una domanda bastava che alzasse la manina e lo facevano subito parlare. L'unica differenza era che su Francesco d'Assisi tutti avevamo qualche idea avendolo già fatto a storia, a letteratura e magari avendo pure visto un film su di lui, mentre quando parlava l'insegnante di filologia romanza per spiegarci la spirantizzazione parlava soprattutto lui. Cosa mai avremmo potuto dire per intervenire sulla spirantizzazione, visto che eravamo lì appunto per farcela spiegare? (in realtà anche lì c'era qualcuno che interveniva, nemmeno a sproposito: quelli, appunto, che la spirantizzazione l'avevano giù studiata, magari per qualche altro esame, e portavano esempi da stranissimi testi di stranissimi autori altomedievali).
Quanto al liceo, alla prima lezione di letteratura italiana la prof. De Divinis ci dettò una poesia di Ungaretti e ci chiese di spiegargliela (mandandoci discretamente nel pallone, va detto, anche se poi ci abituammo). Non proprio una classica lezione frontale, ammettiamolo.
Non so come funziona con le lezioni di estimo - a occhio, immagino che parli soprattutto l'insegnante, almeno agli inizi del corso. Con la grammatica, di qualsiasi lingua, conviene giocarsela in altro modo se vogliamo che gli alunni imparino davvero ad applicare le varie regole. A grafica e a informatica puoi chiedergli di progettare una casa, un logo, una campagna pubblicitaria, un programma per gestire gli incassi di un bordello. A geografia si fanno facilmente e senza sforzo magnifiche lezioni interattive e laboratoriali e le idee zampillano senza nemmeno cercarle. Ma a storia cosa fai, gli chiedi di progettare una guerra dei Seicento o una eresia del Trecento? Se non sono a un livello abbastanza avanzato da consultarsi e gestirsi le fonti per conto loro non vedo come possano venirne a capo (per tacere del rischio abbastanza consistente di scatenare le ire delle famiglie, nel non improbabile caso che ti ritrovi dei figli di fondamentalisti in classe). E allora gli racconti la rivoluzione francese, poi gli fai studiare la rivoluzione francese, poi gli risenti la rivoluzione francese e al massimo gli fai leggere qualche documento e ascoltare la Marsigliese, mi sembra. E se sei alle medie e non gli fai più che bene la lezione frontale non è affatto detto che vengano a capo da soli del libro di storia, che ogni tanto anche quando è buono ha la deplorevole tendenza ad avvitarsi su sé stesso al grido di "Intendami chi può, che m'intend'io".

E dunque, adesso che ho difeso a spada tratta le lezioni frontali sostenendo che
1) non ci sono, non le fanno mai e anzi non sono mai esistite e
2) che esistono eccome, anzi a volte non è possibile far senza
dove sto cercando di andare a parare?

Alla grandissima frustrazione dei poveri insegnanti di tutta Italia che 
- non hanno alcun modo di fare lezione perché non dispongono di adeguate strutture, e perciò sono frustratissimi, oppure
- hanno tutte le attrezzature e si ritrovano a far lezione al vuoto e sono frustratissimi perché gli manca qualsiasi forma di ritorno oppure
- riescono a insegnare in videoconferenza e gli alunni scappano per ogni dove esattamente come quando erano a scuola e quindi i poveri docenti sono vieppiù frustratissimi oppure
- hanno le attrezzature, fanno la lezione in videoconferenza, la classe li segue con attenzione e viva partecipazione ma tutti quanti sono comunque frustratissimi perché "non è la stessa cosa".
A tutti loro va il mio più caldo saluto e la mia più completa solidarietà, specie considerando che le notizie si fanno sempre più lugubri ad ogni giorno che passa*.

*(sì, ovviamente io sono nella prima fascia, con un improbabile futura speranza di lavoro su GoogleSuite, sul quale al momento non punterei nemmeno il tradizionale centesimo bucato e pure falso).

domenica 8 marzo 2020

8 Marzo - Festa della Donna (in reclusione)

Quest'anno la Festa della Donna è un po' diversa dal solito, almeno qui in Italia: poche mimose perché fa freddo, niente cene tra amiche, niente commemorazioni, annullate a tutti i livelli: dal grazioso spettacolo della scuola organizzato con tanta cura da Sary e che ormai vantava una tradizione pluriennale al solenne evento che tutti gli anni la Presidenza della Repubblica non manca di allestire, tutto è andato rigorosamente in vacca. E perfino su Facebook scarseggiano sia gli auguri che i soliti immancabili post sarcasticheggianti che tanti esponenti del genere maschile si sentono sempre in dovere di ammanirci e che talvolta suscitano una certa irritazione in molte di noi:

(a me comunque hanno mandato via mail una esortazione a prendere farmaci che migliorino le mie erezioni, e anche la pubblicità di un rimedio contro l'infiammazione della prostata. Me ne hanno sempre mandate a pacchi, non so perché).
Finora non ho nemmeno visto post nei gruppi tolkieniani in cui ci veniva regolarmente spiegato che Tolkien era in realtà un esagitato femminista che in gioventù era stato più volte arrestato per aver partecipato ai cortei che chiedevano il voto per le donne.
Comunque abbiamo personaggi di Tolkien che svelano talvolta un inaspettato lato femminista. No, non sto parlando solo di Eowyn:
Ma a quanto pare di droghi femministi ne abbiamo più di uno, e del resto, si sa:

Ma insomma, a parte i draghi, questo è un 8 Marzo in tono decisamente minore, nonostante l'impegno del buon Google.
E allora non rimane che sedersi accanto al focolare e riflettere.
È un giorno in cui usa lamentarsi perché c'è ancora molto, troppo da fare per assicurare alle donne di tutto il mondo pari opportunità per accedere al mondo del lavoro e decidere liberamente di quando e come accoppiarsi e con chi.
È vero, c'è ancora molto da fare. Ma anche se oggi è un giorno consacrato alle (legittime) lamentele, vorrei per una volta ricordare che, oggettivamente, molto è stato fatto, e non solo nel mondo occidentale.
In Italia per esempio siamo seriamente sulla strada per raggiungere il punto della parità perfetta in politica, ovvero quello in cui una donna incapace avrà le stesse possibilità di un uomo di accedere alle cariche più alte. Per ora abbiamo solo ottenuto di avere un buon numero di donne incapaci in ministeri minori e un buon numero di deputate e senatrici all'altezza del più stupido dei loro colleghi maschi, ma credo che sotto questo aspetto il soffitto di cristallo sia assai prossimo a crollare in un gran fragore di schegge iridescenti.
Un po' meno bene va nella finanza, dove le imprenditrici sono assai abbondanti, ma raramente guidano gruppi di una certa consistenza. Tra l'altro non abbiamo ancora avuto nessuna donna, né capace né incapace né mediamente funzionale, nei ministeri dedicati all'economia. Ci sono però state alcun e sindacaliste arrivate ai livelli massimi, e anche presidenti donne della Confindustria - ma lì, anche se posso avere opinioni personali in merito, non sono comunque in grado di stabilire se erano arrivate fin lassù perché incapaci o nonostante fossero capacissime.
Anche alla Corte Costituzionale abbiamo ormai una rappresentanza, ma non credo faccia testo perché per arrivare fin lì devi comunque avere notevoli capacità, uomo o donna che tu sia.
Anche nella ricerca abbiamo ormai conseguito una parità quasi perfetta, almeno per quanto riguarda le giovani generazioni, perché le nostre giovani e brillanti ricercatrici sono maltrattate e vessate (fino a scappare all'estero a gambe levate, dove se la passano molto meglio) né più né meno dei loro colleghi maschi; ma devo dire che non mi sembra una cosa di cui rallegrarmi, né come donna né come cittadina.
Inoltre mi sembra che le nuove leve maschili abbiano assai cambiato l'atteggiamento verso i cosiddetti "lavori di casa", perché prendono in mano la ramazza senza protestare quando l'insegnante lamenta che la classe somigli troppo a uno stalletto da maiali e puliscono proprio bene. Tuttavia, dal mio piccolo osservatorio, mi sembra che siano i maschi quelli che sporcano di più - ma magari è solo una impressione o una serie casuale di circostanze, non so.
Rimane tuttora una drammatica carenza di idraulici ed elettricisti donne (e di idraulici in generale): la gran parte dei genitori di ragazze non eccezionalmente amanti dello studio a tavolino trova normalissimo parcheggiare la loro prole femminile a qualche vago istituto con "scienze umane" nel nome invece di mandarle a qualche professionale che ne faccia una elettricista o una idraulica o una addetta alla riparazione di elettrodomestici.
"Ma chi mai si fiderebbe di un elettricista donna?" è il lamento che segue sempre questa mia banale constatazione.
No so davvero chi se ne fiderebbe. Ma mettetemene qualcuna a disposizione e poi ci possiamo ragionare su.

giovedì 5 marzo 2020

Gran disordine sotto il cielo (ma soprattutto alla scuola media di St. Mary Mead)

Così alla fine le scuole hanno davvero, chiuso, in tutta Italia, e noi poveri insegnanti siamo ancora piuttosto straniti. Per il momento nessuno pretende da noi di St. Mary Mead che facciamo lezioni in videoconferenza, anche in considerazione del fatto che una buona metà delle famiglie non ha ancora capito come funziona il registro elettronico - ma in compenso tutti i ragazzi sembrano sapere usare benissimo YouTube, visto che due giorni fa la Terza Soddisfatta ha provato a convincermi che c'è chi mangia i polpi vivi*.
Vedremo se effettivamente tutto ciò si limiterà a questa decina di giorni o se avrà un seguito, e di quale entità.
La giornata di ieri era iniziata in modo piuttosto ordinario, ma è stata ben presto avvolta in un gran rifrullo di circolari.
Prima di tutto il leggendario Grande Sciopero del 6 Marzo. Era stato indetto una settimana fa, avevamo compilato il foglio che indicava se sì, lo facevamo, no, non lo facevamo o, terza colonna, "col cazzo che vi diciamo se lo facciamo o no" riassunto in un sobrio "non comunico".
Poi lo sciopero era stato cancellato, e il foglio era rimasto sul tavolo della Sala Insegnanti a prendere aria e luce per essere infine tolto.
Poi l'hanno stampato di nuovo e rimesso sul tavolo perché, ci hanno spiegato le custodi vagamente scocciate, solo una parte dei sindacati l'aveva annullato, mentre altri continuavano a proclamarlo.
E di nuovo avevamo compilato le colonnine del sì, del no e del "ma saranno cazzi nostri se lo facciamo o non lo facciamo?". Poi di nuovo era stato annullato anche dai sindacati che insistevano a farlo.
Ieri era ricomparso un nuovo foglio perché i sindacati avevano deciso di spostarlo al 9 Marzo.
E di nuovo abbiamo compilato il foglio, in un fiorire di frasi e di commenti decisamente inadeguati al contesto scolastico.
Poi era arrivata la circolare che raccontava come qualmente, in base alle istruuzioni del Ministero, erano stati banditi fino al 15 Marzo anche i consigli di classe e i collegi dei docenti e non so che altro. Però, aveva stabilito la Dirigenza, avremmo fatto ugualmente le riunioni per dipartimento e financo i PEI**, compreso il leggendario PEI della fanciullina dei Servizi Sociali che finora, per i più vari e incomprensibili motivi non legati a noi insegnanti, non era ancora stato fatto anche se se ne parlava dall'inizio dell'anno.
E ieri, prima dalla ASL, poi dai Servizi Sociali, avevano mandato a dire che loro non avrebbero partecipato, trasformando gli insegnanti di Sostegno in una muta di cani rabbiosi.
"E allora lo faremo tra noi, per amore o per forza!" aveva proclamato Sostegno Major.
"E noi ci saremo, a dispetto di tutto" avevo solennemente promesso a nome del Consiglio di Classe. E avremmo dovuto farlo oggi.
Poi è arrivata la comunicazione della Dirigenza che ci spiegava che i corsi di recupero erano sospesi fino al 15 Marzo. 
In verità non è esatto dire che i corsi di recupero erano sospesi, in quanto dovevano cominciare oggi. Così nella stessa mattinata i ragazzi si sono visti recapitare prima l'orario, poi la comunicazione che non se ne faceva di nulla.
Poi è arrivata la notifica di una assemblea sindacale per docenti, seguita dalla smentita della suddetta assemblea sindacale. Così, nella stessa ora.
Poi la Segreteria ci ha mandato a dire che chiudeva al pubblico e avrebbe ricevuto genitori e insegnanti solo previa appuntamento, e a distanza di due metri.
"Sarà un piacere smettere di avere a che fare con quei cretini" è stato il caritatevole commento di un docente, che interpretava il pensiero di tutti noi.
Poi è passata per le classi la consueta circolare da sciopero per dire che il 9 non era garantito il regolare svolgimento delle lezioni.
Poi è arrivata la voce che il Governo stava per proclamare la chiusura di tutte le scuole del regno.
In Sala Insegnanti il sarcasmo fioriva rigoglioso.
"Questa però non è una bufala, dice che è scritta sull'ANSA".
Vado a guardare l'ANSA e scopro che il governo deve ancora pensarci su e ha convocato una riunione con gli esperti per decidere.
La diffidenza fiorisce ancor più rigogliosa del sarcasmo.
Poi è arrivata la convocazione di una assemblea degli ATA, ovvero personale scolastico non docente.
"Ma se sono sospese tutte le assemblee, perché hanno autorizzato quella degli ATA?".
Infatti arriva prontamente anche la smentita dell'assemblea ATA.
"Sarà perché in Segreteria si annoiano, tutti soli e senza niente da fare" commenta qualcuno.
Poi è passata la rettifica del sindacato che annullava lo sciopero del 9 Marzo.
Vivaddio, vado in classe a fare l'ultima ora. E scappo a casa.
Dove scopro che stanno davvero per chiudere le scuole. Forse. Sembra. Pare.
E restiamo in attesa fin verso le sette di sera.
Niente PEI, mi dicono i colleghi di sostegno. E in cuor mio cova il sospetto che proprio la nostra dissennata ostinazione nel fare ad ogni costo questo PEI a dispetto della volontà di dio e degli uomini sia responsabile dell'emergenza nazionale che ha portato a chiudere le scuole di tutto il paese.

Non ho la minima opinione in merito al provvedimento, quindi mi limito docilmente ad eseguirlo. Non sono immunologa né ministro, mi sono laureata non già all'Università della Vita bensì a quella di Firenze, dopo un rispettabile percorso di studi tutt'altro che scientifico, e non mi sento medica nel cuore.
Ma non posso fare a meno di pensare che l'ANSA si sia comportata piuttosto male vendendo la pelle di un orso ancora in salute e rischiando di prendere in giro una volta di più tanti bravi giovani innocenti, annunciando a titoli di scatola e con foto a effetto una chiusura delle scuole che alle undici era ancora in piena discussione e che è stata dichiarata in modo ufficiale solo otto ore dopo, comportandosi come un qualunque giornale sensazionalistico.
E ho trovato inqualificabili i sindacati che, in un momento così particolare, han passato le giornate a fare e disfare scioperi e assemblee che tutto annunciava come impraticabili.

* e magari i polpi saranno anche vivi, all'inizio, ma chi prova a iongoiarseli in un boccone difficilmente resterà vivo a lungo, considerando che le dimensioni di un esofago umano sono quelle che sono.
**trattasi di riunioni dedicate agli alunni certificati, dove di solito partecipano insegnanti, medici della ASL, educatori e assistenti vari e famiglie allo scopo di stabilire una Piano Educativo Individuale.

domenica 1 marzo 2020

Genitori incomprensibili, e dove trovarli

Com'è noto e viene ripetuto assai spesso, i Genitori sono la maledizione del genere umano nonché la causa di ogni male, nella scuola come nella società (la quale società peraltro, senza genitori sarebbe destinata ad assai rapido dissolvimento, e la prima ad andarsene sarebbe proprio la scuola).
Ciò viene assai spesso ripetuto e dunque deve essere vero, e solo ad una specialissima coincidenza di circostanze mirabilmente fortunate devo la curiosa occorrenza di essermi trovata, nella stragrande maggioranza dei casi, ad avere a che fare con genitori sennati e disponibili; ma siccome c'è pur sempre un limite all'umana fortuna, anche a me è successo di imbattermi in qualche caso particolare.
Qualche tempo fa nella Terza Molto Soddisfatta di Sé abbiamo fatto il Messico. Siccome il libro riusciva a trattare questo nobile stato senza nemmeno citare di straforo la parola "droga", che pure in Messico riveste una certa qual importanza, mi è venuto in mente di assegnare ai ragazzi una ricerchina sull'argomento.
"Portatemi quello che trovate, anche notizie sparse" ho chiesto. 
Non è la prima volta che li cimento in una attività del genere e i risultati sono sempre stati piuttosto buoni: anche i più pigri per l'occasione cercano di darsi una mossa e così riesco a dare un voto a tutti onde poterli in qualche modo classificare (cosa tutt'altro che scontata, in quella classe). 
C'è poi un abbondante ritorno didattico: perché non solo mettendo insieme le varie ricerche si ricostruisce in qualche modo un quadro complesso, ma anche perché i ragazzi si abituano a usare la rete anche come fonte di informazioni, il che è per loro molto più utile che ascoltare un mio discorsetto sulla questione (anche perché ci sono un sacco di questioni di cui so molto poco, ad esempio il commercio della droga in Messico, fino a qualche settimana fa, mentre adesso sono piuttosto informata).
Nel complesso i ragazzi hanno fatto un buon lavoro e sono stati ricompensati con voti più che generosi. Inoltre tutti quanti abbiamo imparato un sacco di cose sull'argomento.
Una delle alunne - una creatura piuttosto spersa, e che passa la maggior parte del suo tempo in qualche corridoio interdimensionale, ha portato invece una ricerca sulla droga in generale; "Non avevo capito cosa dovevo fare" si è scusata.
Come giù altre volte in questi casi le ho messo quattro, assicurandole che se mi avesse portato qualcosa di pertinente la volta successiva il voto sarebbe stato cambiato (il fatto di impegnarsi a capire una consegna chiara e scritta in perfetto italiano è un altro dei ritorni didattici cui miro con questo tipo di lavori).
La volta successiva mi ha portato un lavoro piuttosto buono. 
Disgraziatamente c'erano un periodo in sospeso e una frase assolutamente improponibile sul piano sintattico. Succede, quando fai copia&incolla, ma quando sei in terza media il copia&incolla lo devi saper fare bene. Così l'ho garbatamente rampognata e le ho detto che ero costretta a darle solo sei e mezzo anche se il lavoro avrebbe meritato almeno un punto in più. E non era certo l'unica che si era vista abbassare il voto per quel motivo.

Dal mio punto di vista la cosa era finita lì e quando, alla riapertura dei colloqui con i genitori, mi sono ritrovata davanti la madre ho faticato assai a ricordarmi la vicenda.
"La ragazza è seguita da una signora che l'aiuta a fare i compiti" ha spiegato la madre "Il lavoro l'hanno fatto insieme. Devo dire che quando ho visto il quattro mi sono un po' arrabbiata".
Faccio per aprire bocca ma la madre prosegue "La bambina mi ha spiegato che era colpa sua che non aveva capito cosa c'era da fare, poi ha fatto la ricerca da sola" (me lo ripete tre o quattro volte che la ricerca l'ha fatta da sola, tanto da finire per farmi dubitare che il lavoro sia effettivamente stato fatto dalla ragazza da sola; ma in effetti, se fosse stata aiutata, non ci sarebbe stato niente di male visto che viene seguita abitualmente da qualcuno per i compiti).
"Poi ha preso sei e mezzo su quel compito, ma mi ha spiegato "Mamma, è stato perché ci avevo fatto degli errori di italiano".
Mi taccio, perché non ho nulla da dire: sia per il primo compito che per il secondo la ragazza ha riferito le cose esattamente come stavano alla madre, precisando inoltre che in entrambi i casi che "era stata colpa sua".
"Però, devo dire, quando ho visto il quattro mi sono un po' arrabbiata" mi ripete la madre.
In certi casi il povero insegnante si trova arreso. 
"Vede, signora, quando do quattro è perché il compito non è stato fatto oppure perché è stata fatta una cosa completamente diversa da quella che avevo chiesto" provo a spiegare, dall'alto dell'enorme punto interrogativo su cui sono seduta "perché a quel punto per me è come se non fosse stato fatto. Se invece è stato fatto male, o soltanto avviato, do comunque un voto più alto di quattro". Che non è poi una pratica così insolita, alla scuola media: qualcuno usa anche il tre e perfino il due, ma nella scuola media di St. Mary Mead il voto più basso è quattro, ed è anche usato con molta parsimonia.
"Io questo non lo sapevo" è la sconcertante risposta.
"Signora, pensava che le avessi dato quattro perché era un compito fatto bene?" è tutto quello che mi viene da dire.
Non ho avuto risposta. La madre mi ha di nuovo raccontato tutta la vicenda, compresi gli interventi della figlia che si era presa la colpa sia del quattro che del sei e mezzo, poi ci siamo lasciate con grandi sorrisi e amichevoli saluti.
Faticosamente sono discesa dall'enorme punto interrogativo e l'ho lasciato lì, nella saletta dei colloqui. Servirà ben presto a qualche collega, immagino.

Da questo colloquio ho tratto la confortevole informazione che la ragazza è molto meno immersa nel suo corridoio interdimensionale di quanto crediamo e che non è animata da alcun livore nei miei confronti, ma anzi che ha trovato tutto sommato ragionevole il mio comportamento; ma non ho assolutamente capito che accidente volesse la madre da me e perché fosse venuta a parlarmi. Sperava che togliessi il quattro? Ma l'avevo già fatto, senza sollecitazione alcuna, solo in base alle regole che io stessa ho stabilito in classe. E lei aveva visto il nuovo voto.
Voleva che alzassi il sei e mezzo? Ma non me lo ha chiesto, e comunque sei e mezzo non è poi un voto ignobile - di fatto, era la prima sufficienza più che piena che riuscivo a dare alla fanciulla.
Oppure voleva solo fare due chiacchiere? Nel qual caso, naturalmente, era la benvenuta, ma perché raccontarmi due volte una storia che già conoscevo benissimo e dove non aveva da apportare alcun elemento nuovo?

Strana gente, i genitori. Ma è bene ricordarsi che senza di loro tutti noi dovremmo cercarci un altro lavoro - meno divertente, con tutta probabilità.