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sabato 30 settembre 2023

La prof. Murasaki avanza trionfalmente tra due ali di alunni plaudenti (feat. Primo Giorno di Scuola)

Il mio trionfale Primo Giorno di scuola. Peccato non essermi presentata a cavallo.
Aiutata da un orario con dei tratti piuttosto insoliti* il mio primo giorno di scuola è consistito in una singola ora, che era anche l'ultima - insomma la quinta, perché i primissimi giorni siamo partiti con cinque ore. Sono comunque arrivata prima perché avevo svariate decine di cose da fare e così ho vagato sin dalla prima ora per i corridoi, incrociando svariati gruppetti di allievi.
"Bentornata, prof!
"Che bello rivederla, prof!"
E fin qui, che i tuoi alunni siano contenti di rivederti fa senz'altro piacere e non è poi una cosa tanto insolita, nell'atmosfera un po' festosa del primo giorno. Ma:
"Buongiorno, lei è la prof. Murasaki?"
"Ehm, sì"
"Siamo davvero contenti di conoscerla!"
"Mi fa davvero piacere, ma io non vi..."
"Sì, non siamo suoi alunni ma abbiamo sentito parlare tanto bene di lei".
"Oh?"
"Un applauso per la prof. Murasaki!"
E così mi sono ritrovata a passare in mezzo a due file di alunni che mi applaudivano. 
Piccolo particolare: molti non mi avevano mai avuto come insegnante, nemmeno per una sostituzione volante.
D'accordo, il mondo è pieno di prese di giro e la scuola ne trabocca in modo particolare; ma, a parte il fatto che sembravano convinti, che senso avrebbe avuto? E che senso aveva invece applaudire una insegnante che non conosci?
Poi sono entrata in classe, la Terza Sfigata mi ha raggiunto e anche loro mi han fatto gran festa e pure abbracciato, ma a quel punto la cosa era quasi normale: abbiamo un buon rapporto, mi hanno avuto per dieci ore a settimana per due anni, che ci sia un certo feeling ci può anche stare.
Ho intascato il tutto e sono tornata a casa di ottimo umore pur con qualche perplessità interiore.
E comunque fa piacere che i tuoi alunni dicano bene di te ai loro amici.

Stabilito che ho un gran carisma e suscito un entusiasmo degno dei più famosi cantanti, il secondo giorno di scuola è apparso un barlume di spiegazione. Mentre stavo in classe a riordinare sono entrate tre ragazze che non sono mie alunne ma che per tutto l'anno passato mi avevano sempre salutato con grande slancio. Mi han chiesto com'era andata l'estate, io l'ho chiesto a loro eccetera. Poi la conversazione ha deviato su Dotto, uno dei ragazzi della Terza Non Troppo Sfigata. Una ragazza ne ha indicata un'altra e mi ha spiegato che era innamorata di Dotto, appunto.
"Mi raccomando, prof, non lo dica a nessuno".
"No, non lo dirò a nessuno" ho assicurato "Io non vado a raccontare in giro i fatti degli altri, e altrettanto dovresti fare tu. Capisco che possa sembrarvi un punto di vista antiquato, ma secondo me certe cose le dovrebbero raccontare solo i diretti interessati".
Il mio punto di vista gli appare insolito, ma dopo breve discussione convengono che sembra ragionevole.
"Pensa che dovrei dirglielo?" mi chiede l'innamorata.
"Potrebbe essere una buona idea, io però non so in che termini siete. E' una decisione che puoi prendere solo tu. Sia chiaro comunque che apprezzo la scelta".
Dotto si presenta bene, in effetti, e non è la prima volta che sento dire che qualche ragazza gli sta dietro. In effetti tutta la Terza Sfigata si presenta assai bene all'occhio, e non sarò io a non trovarli simpatici, visto che li amo teneramente dal primo all'ultimo.
Mi ringraziano del parere e se ne vanno.

Ci metto due giorni a collegare il primo episodio con il secondo. In effetti era già successo che alunne a me abbastanza ignoti mi chiedessero notizie dell'uno e dell'altro dei fanciulli della Terza Sfigata. 
Che bella cosa l'amore, che finisce per illuminare di una luce radiosa perfino noi insegnanti!
E i ragazzi che mi applaudivano e mi hanno pure stretto la mano?
Come ho già detto, la Terza Sfigata si presenta davvero bene, e la cosa riguarda sia i ragazzi che le ragazze. I maschi sotto questo aspetto entrano meno facilmente in confidenza ma...
Potrebbe rivelarsi davvero un anno interessante.

* come sempre non ho chiesto niente, semplicemente è venuto così

venerdì 29 settembre 2023

Diario di Hiroshima - Michihiko Hachiya

Da bambina ho letto, minimo sei volte, Il gran sole di Hiroshima e per questo mi sono sempre considerata una grandissima esperta della bomba atomica senza mai approfondire la questione più di così. Quando arrivò il bonus per gli insegnanti però mi balzò tra le mani in qualche modo la segnalazione di questo libro: un autentico diario scritto da un autentico medico di Hiroshima che la bomba l'aveva conosciuta sia da essere umano bombardato e da essa malridotto, sia come medico curando infiniti pazienti pure loro assai malridotti. 
Potevo lasciarmelo sfuggire?
Assolutamente no, e infatti lo comprai già alla prima mandata di acquisti. Lo riposi diligentemente nello scaffale dei libri in attesa di lettura* e lì lo lasciai a riposare al calduccio.
Questa estate però Red Komet, uno dei miei YouTuber preferiti per seguire la guerra in Ucraina che un tempo, nelle intenzioni, teneva un rispettabile canale dedicato alla storia militare e qualche volta ci prova ancora, fece un video dedicato appunto al celebre lancio delle due bombe sul Giappone. In quel video tira fuori dal cassetto la celebre teoria che sostiene che gli USA lanciarono le bombe per costringere alla resa il Giappone, che pur avendo già chiaramente perso la guerra rifiutava con tutte le sue forze di arrendersi e quindi allo scopo di risparmiare molte vite sia giapponesi che, soprattutto, americane.
Nel video Red Komet cita statistiche, rapporti americani eccetera eccetera e ammetto che qualche dubbio in merito è riuscito a farlo scivolare perfino nel mio cuoricino pacifista e antibombarolo, anche perché nel corso dei decenni mi erano arrivati diversi accenni in merito dai vari esperti di Giappone che ogni tanto incrocio e che puntavano parecchio in quella direzione; tuttavia sospettavo, e continuo a sospettare, che quel lancio forse si sarebbe potuto e dovuto evitare.
Ad ogni modo, ormai che ero ritornata in argomento, mi decisi a tirare fuori dallo scaffale il Diario che, dopo un forte sbadiglio, si è aperto e reso disponibile alla lettura.
Il dottor Hachiya scrisse il suo diario nei primi due mesi dopo il bombardamento, partendo da quella mattina in cui stava facendo colazione dopo una notte di turno all'ospedale dove lavorava e dove tutto cambiò in un attimo. Il poverino si ritrovò nudo come un verme e con una serie di schegge nel corpo, sulle rovine della sua casa che poi prese fuoco. Lui e sua moglie riuscirono molto fortunosamente ad arrivare attraversando un inferno di fiamme, fumo e cadaveri più o meno spappolati e scorticati fino all'ospedale, che non se la passava per niente bene ma dove in qualche modo riuscirono ad occuparsi di lui e di svariati altri feriti. Venne operato, ricucito e messo in degenza in una camera senza vetri (come tutte le camere dell'ospedale) e naturalmente fece del suo meglio per rimettersi in piedi il prima possibile per aiutare gli altri medici a curare i feriti. Nel diario si racconta di come progressivamente arrivò la notizia che quella che aveva colpito la città trasformandola in un tappeto di macerie era stata una "bomba atomica", ovvero una roba stranissima mai sentita. Nei primi tempi si pensò che la bomba avesse anche lanciato dei virus, perché gli ammalati spesso annoveravano tra i sintomi una forte diarrea e un altrettanto forte vomito. Solo col passare delle settimane si insinuò il sospetto che non si trattasse di una epidemia ma di sintomi collaterali.
Essendo il diario scritto da un medico, vomito, diarrea, eritemi, problemi di smaltimento delle feci eccetera hanno una parte davvero notevole, e ciò è cosa buona e giusta. I problemi all'ospedale erano infiniti: occorreva procurarsi forniture di medicinali (in quantità industriale), disinfettanti, cibo, attrezzature mediche per sostituire quelle polverizzate dalla bomba. Alleluja, c'è un microscopio! Evviva, sono arrivati tamponi e disinfettanti! Che bello, oggi si mangia pesce e c'è anche della frutta! - insomma, le solite questioni legate a qualsiasi emergenza, per esempio un forte terremoto. 
Molti pazienti morivano, qualcuno si riprendeva, qualcuno che arrivava assai malridotto alla fine si rimetteva in sesto e qualcuno che arrivava magari al seguito di un ferito e stava benissimo improvvisamente crollava nel giro di pochi giorni, e tutto ciò lasciava parecchio perplessi i medici che non si erano mai trovati ad avere a che fare con gli effetti delle radiazioni atomiche. In compenso per le forniture si ricorreva spesso al classico sistema delle cordate di amici perché il comando militare centrale aveva stabilito che a Hiroshima non c'era una vera emergenza.
E poi arrivarono anche i militari americani, che nella mente dei giapponesi erano una via di mezzo tra unni in grande spolvero e animali feroci di malumore, solo che molti non potevano scappare e quindi si ritrovarono costretti a subirne la presenza per poi scoprire che alla fine c'era di peggio e che non sembravano disponibili a violentare e uccidere qualsiasi cosa si muovesse, fosse pure un foglio di carta portato dal vento.
Col passare delle settimane e l'arrivo di qualche microscopio si comincia a capire che c'è un legame tra la bomba, l'aumento dei globuli bianchi e il calo a picco dei globuli rossi - cosa ai nostri giorni del tutto ovvia e nota a chiunque, ma naturalmente a quel tempo nessuno sapeva un accidente sugli effetti delle radiazioni atomiche.
Insomma è il racconto di un uomo coraggioso, forte, molto appassionato del suo lavoro, molto ragionevole, e anche molto affezionato all'imperatore - con una forza che nessuno dei nostri presidenti della repubblica ha mai suscitati nemmeno nei cittadini più attaccati alle istituzioni.
L'imperatore è uno dei personaggi nascosti del Diario; chiaramente non compare mai in scena ma anche le avventure per salvare e mettere al sicuro il suo ritratto nel bel mezzo delle infinite rovine di Hiroshima lasciano assai sorpresa la lettrice occidentale. No, non è il dottore a salvarlo, ma riporta dettagliatamente le peripezie di un funzionario che fece i miracoli per portare in salvo la preziosa imago.
Ma dove i miei occhi sono diventati davvero grandi come tazze da tè e forse anche come ruote da mulino è stato durante il racconto del celebre messaggio dove l'imperatore comunicava la resa alla popolazione - e siccome il celeste imperatore era un uomo saggio, la comunicò in un giapponese assai aulico e quasi incomprensibile, per far filtrare l'odioso contenuto un po' per volta, in modo omeopatico. Tutto il personale e i pazienti che riuscivano a muoversi si riunirono intorno alla radio e ci capirono il giusto, ma non appena il contenuto, evidentemente comunicato a funzionari e dirigenti anche in un giapponese più alla portata di tutti, arrivò dalla bocca del direttore tutti si disperarono. Medici e ammalati, in una città completamente devastata dalla bomba, piangevano a dirotto, minacciavano il suicidio e insorsero, compreso il nostro eroico medico autore del diario. Voglio dire, medici e infermieri non sono di solito categorie particolarmente guerrafondaie, e quanto ai pazienti vien da pensare che anche il più fedele dei sudditi del celeste imperatore della guerra ormai ne avesse fin sopra i capelli (che molti peraltro stavano perdendo per colpa delle radiazioni); e insomma ci si ritrova a pensare che forse la leggenda della determinazione giapponese a combattere comunque fino alla fine era qualcosa di più che una leggenda.
Comunque il pensiero dell'imperatore, che non aveva voluto la guerra ma gli era stata imposta dai generali, che poi avrebbe dovuto trattare con gli americani eccetera accompagna i pensieri dell'autore del Diario in una specie di contrappunto. Il suo caro, amatissimo imperatore che si trovava in quella orribile situazione...
E si capisce dunque perché, a dispetto di tutti, l'imperatore aveva deciso di comunicare la resa in un messaggio radio a tutta la popolazione, ma anche perché Hirohito fu l'unico capo di stato dell'asse che non solo mantenne la sua posizione, ma conservò la devozione dei giapponesi. Si trattava insomma di un uomo consapevole che il ruolo di un sovrano comporta anche una serie di doveri e di rischi - un concetto che non sembra essere stato molto presente nel re d'Italia.

Il libro è scorrevole, ben scritto, offre amplissima gamma di spunti di riflessione e a modo suo è a lieto fine, per quel che un libro su questo argomento possa essere a lieto fine. Lettura consigliatissima per chiunque sia interessato a vedere la guerra dal punto di vista giapponese o ne voglia sapere di più su quel disgraziatissimo lancio.

* ovvero tre palchetti tre regolarmente strapieni

Come bonus chiudo con una delle mie canzoni preferite, dedicata appunto al lancio della prima bomba atomica nel 1982.

sabato 16 settembre 2023

Sull'infinita perversione del correttore automatico

Ebbene sì, è proprio il Cenacolo di Leonardo        
Per motivi che sfuggono alla mia debole mente, quando entro sui social il micidiale correttore automatico, che di solito si rivela uno strumento nemmeno privo di una sua certa utilità, si trasforma in una vera scheggia impazzita. In particolare insiste per farmi sempre scrivere c'è al posto di ce, pronome personale di cui evidentemente ignora l'esistenza, e non parliamo della congiunzione e che trasforma regolarmente nella terza persona del verbo essere rendendomi colpevole di frasi davvero sconvenienti e disdicevoli per una persona che si guadagna il pane correggendo gli errori ortografici altrui. 
Tuttavia, questo correttore ha anche dei difetti.
Un giorno stavo rispondendo ad un postatore che aveva espresso una previsione ai miei occhi tanto ottimistica quanto improbabile, e mi venne l'incauta idea di scrivergli, al posto del normale "Buona fortuna!", un non molto più originale "Good luck!".
Non rilessi prima di inviare, perché era, appunto, un commento molto breve. Solo dopo averlo pubblicato mi accorsi con orrore che ne era uscito fuori un God lunch, e come fosse venuto in mente al correttore di inventarsi quella strana specie di imprecazione di cui non avevo mai sentito parlare, proprio non so.
Naturalmente mi affrettai a correggere, ma dovetti insistere non meno di tre volte perché l'augurio di buona fortuna continuava a trasformarsi nel misterioso Dio Pranzo.
Così cancellai il commento raccontando tutta la storia e chiedendo se secondo quelli con cui discutevo "Dio pranzo" rischiava di essere considerata una bestemmia, seppure annacquata.
Mi risposero che no, assolutamente: in realtà il "Dio pranzo" poteva interpretarsi come un riferimento all'eucarestia, che lungi dall'essere una bestemmia era anzi il momento più elevato e importante della messa.
Convenni con loro che avevano assolutamente ragione.

Resta da capire come sia venuto in mente al micidiale T9 di farmi evocare il nobile rito dell'Eucarestia in un contesto in cui non si parlava nemmeno di striscio né di sacramenti né di questioni religiose in generale.

sabato 9 settembre 2023

Verranno i ladri nella notte, e verranno come ladri nella notte

Questo bel volatile è chiamato "gazza ladra", non so se a torto o a ragione.
A fine anno alla scuola,di St. Mary Mead la professoressa Iron, responsabile delle attrezzature informatiche si aggirava un po' perplessa.
"È difficile ritrovare tutto... Murasaki, per caso sai dov'è finito il computer dell'Aula 9?"
"Spiacente, ma nell'Aula 9 non entro praticamente mai".
"Proverò a fare un controllo con l'inventario".
"Niente paura, la scuola è come la casa: nasconde ma non ruba".
"Il problema però è che quando nasconde, nasconde bene".
Ignoro se poi la collega abbia effettivamente proseguito le ricerche, e tanto meno se ha effettivamente ritrovato il computer che stava nell'aula 9.

Ma una mattina verso la metà di Agosto improvvisamente mi sono ricordata che da almeno dieci giorni non aprivo più la posta della scuola.
Niente di strano, dato che sono ufficialmente in ferie, ma visto che in rete comunque ci sono ho preso l'abitudine, anche d'estate, di dare una scorsa ogni tanto. Di solito a vuoto, ma in fondo che mi costa? Cinque secondi a dir tanto.
Stavolta però c'è posta: una mail, che titola "Elenco dei computer mancanti".
"Ah, alla fine Iron l'ha poi fatto il controllo... ma perché proprio a ridosso di Ferragosto? D'accordo che lei abita a St. Mary Mead e a scuola ci arriva a piedi in due minuti ma insomma..." - mi sono detta distrattamente mentre aprivo l'allegato per dare una scorsa ai poveri dispersi.
Ma tosto ho sgranato gli occhioni: all'appello mancavano 17 computer 17. Nientemeno.
Giammai avrei creduto che sì gran vuoto si fosse aperto nelle nostre attrezzature. Certo, contando tutti i PC che nel corso di questi anni si sono rotti magari a diciassette ci si arriva: si sa che in mano nostra si logorano in fretta, e soprattutto nei primi due anni di pandemia con queste sventurate macchine abbiamo fatto davvero di tutto...
Accantonai il problema: qualsiasi cosa mancasse o non mancasse alla media di St. Mary Mead certo non l'avevo presa io, né avevo la minima idea di dove potesse essere finita.
Ma passato il ponte di Ferragosto di nuovo aprii la casella della posta. E di nuovo trovai una mail che titolava "Nuovo elenco di materiale mancante", e dentro c'era una nuova e lunga lista.
E la miseria, ma quanta roba era sparita dalla scuola? E da quando?
Ho scritto a mia volta una piccola mail "Scusa, ma questa roba quando è stata data per presente l'ultima volta?". 
La risposta arriva in tempo quasi reale "E' la lista completa: a Ferragosto sono tornati i ladri".
Tornati? Avevamo avuto dei ladri, alla media di St. Mary Mead, che poi erano addirittura tornati?
E che...
Faceva caldo, ero impegnata a fare tutt'altro e così ho deciso di rimuovere la questione. A Settembre tanto mi avrebbero spiegato tutto.
E infatti a Settembre, quando ci siamo ritrovati non troppo festosamente al primo Collegio dei Docenti - il primo in presenza dopo ben due anni e mezzo - mi han disvelato la cruda realtà: i ladri erano arrivati non due ma ben tre volte e avevano accuratamente ripulito la scuola di tutti i computer portatili pelandoci anche un microfono e una telecamera. E così il primo Collegio è stato fatto senza microfono - che in una grande aula a porte spalancate può essere un problema, soprattutto se il Preside ha una voce chiara, ma di tessitura piuttosto bassa e qualora avesse deciso di esercitare altro mestiere, mai e poi mai avrebbe potuto proporsi come banditore per la pubblica via.
I ladri ci hanno però lasciato le LIM (che senza computer sono utili come la proverbiale bicicletta per il pesce) e gli schermi, che dovrebbero vivere di vita propria ma nessuno si ricorda come attivarli nonostante un tecnico esterno ci abbia istruito in merito non una ma due volte nel corso dell'anno.
Tutto ciò non ci è sembrato un gran presagio per l'inizio dell'anno scolastico, e ci sentivamo tutti piuttosto straniti. 
I nostri portatili, raccattati con i punti delle raccolte dei supermercati, con le collette dei genitori, con i più vari finanziamenti e lasciti e offerte, spariti nel nulla. 
Che poi, intendiamoci, non mi sembra uno di quei bottini con cui i ladri si sono garantiti una lunga e felice esistenza alle Bahamas. Di fatto erano tutti oggetti piuttosto fragili e con la tendenza a piantarsi o a entrare in sciopero da un momento all'altro. Però va pur detto che abbastanza spesso funzionavano, e noi non siamo la NASA, un modello semplice ci bastava. Almeno, in tanti ce lo facevamo bastare - poi c'erano gli insegnanti sciccosi che usavano solo il loro portatile perché ci si trovavano meglio. Ecco, per loro non è cambiato molto, continueranno a fare con quel che avevano, con nostra grandissima invidia.
C'è comunque un parzialissimo lieto fine: giusto ai primi di Settembre è arrivato un gruppetto di sette portatili che ci siamo guadagnati partecipando a non so quale progetto. Non è molto, ma ci garantisce quasi un computer per aula.
Nel caso che qualcuno che passa di qui e legge si stia domandando se con tutta quella batteria informatica non avevamo nemmeno un allarme la risposta è che l'allarme c'era ma è stato aggirato perché i ladri sono entrati da finestre laterali di cui da tempo chiedevano la messa in sicurezza. Adesso il Comune di St. Mary Mead ha avviato grandiosi lavori e promette di trasformare tutta la scuola in una sorta di bunker a tutta prova - peccato però che non sia rimasto molto da rubare, a questo punto (inutile dire che il celebre proverbio che parla di buoi, stalle e chiusure delle medesime è stato citato una quantità di volte davvero spropositata).
Nel frattempo il Comitato Genitori si è attivato, e l'incasso della prima serata alla Festa dell'Unità è stato devoluto tutto al nostro triste caso. Un pensiero carino, senza dubbio.
Altrettanto sta probabilmente succedendo nel comune di Crifosso, la cui scuola è stata parimenti pelata, e in una piccola scuola di Hobbiton, un comune anch'esso molto vicino a noi, dove guarda caso durante l'estate erano stati fatti lavori per migliorare la fibra, proprio come da noi. 
I nostri cuoricini feriti covano sospetti di ogni tipo ma sono sospetti senza l'ombra di una prova concreta.

E niente, si prospetta un anno davvero interessante.

venerdì 1 settembre 2023

L'anno in cui imparai a raccontare storie - Lauren Wolk


Anche questo è stato un acquisto della Mostra del Libro, comprato dopo aver dato una scorsa al riassunto della fascetta - ma proprio una scorsa, e molto distratta - ma confidando molto nell'editore Salani, che sceglie sempre con gran cura e di solito anche con ottimo gusto. 
Nella mia mente era un romanzo che raccontava come il personaggio principale avesse scoperto il gusto di raccontare storie ben congegnate - un gruppo di persone che si ritrovano intorno a un caminetto a sbucciare castagne e arriva la solita richiesta "Qualcuno ha una storia da raccontare?". E succede così di improvvisarsi raccontastorie e di scoprire che è una cosa che ti riesce bene.
Il realtà "storie" qui sta nell'accezione di "balle", ma si vede che la Salani ha preferito ingentilire un po' la questione. Il centro della vicenda è, appunto, legato al fatto che talvolta è opportuno mentire, o almeno raccontare solo parti scelte della verità. Non lo fa solo Annabelle, la protagonista; lo fanno anche gli adulti. Quasi tutti. E naturalmente lo fanno anche gli altri ragazzi, talvolta per interesse, talvolta per disinteresse - insomma, come succede spesso.
Il titolo originale è Wolf Hollow, ovvero la buca dei lupi. Ce ne sono parecchie, su una collina intorno al villaggio dove vive la protagonista, e il luogo è indicato con la forma al singolare. Buche scavate per intrappolare i lupi, che a un certo punto erano davvero troppi - si tratta di un villaggio di contadini, ognuno con la sua brava fattoria dove viene tenuto un bestiame abbastanza variato: polli, conigli, mucche, pecore...
Insomma, i lupi restavano intrappolati in quelle buche camuffate e non potevano più uscire. La mattina dopo i contadini passavano col fucile a sparargli, ed è un sistema di cattura che mi ha ricordato vagamente le foibe - dove però chi ci finiva dentro non lo faceva per imprudenza o distrazione, ma perché ci veniva buttato - qualche volta dopo che gli avevano sparato, ma ben di rado usando la cortesia di passare poco dopo a finirti caso mai il primo colpo non fosse bastato a completare l'opera.
Una partenza lugubre, dunque, per un romanzo bello, interessante, coinvolgente ma che certo non si può definire allegro come atmosfera. 
Annabelle è una ragazza di dodici anni di notevole sensibilità, capace di percepire le atmosfere e immedesimarsi in alberi, pietre, animali e quant'altro. In seguito a una determinata serie di avvenimenti si accorge che ci sono cose che vanno dette (o che non vanno dette) e responsabilità che vanno prese. Non se ne accorge in forma teorica, lo scopre un pezzetto per volta mentre un gruppo di eventi si aggroviglia intorno a lei. 
La cosa davvero notevole, e che ne fa un romanzo particolarissimo, è che non viene seguita la tipica trama in cui il giovane protagonista (o la giovane protagonista, quando si tratta di un romanzo di chicken literature) si immerge sempre di più in un groviglio inestricabile di bugie da cui non sa più come uscire finché non arriva una qualche crisi finale in cui si scopre che la cosa più comoda è comunque dire sempre la verità, soprattutto ai genitori. Il romanzo ha in sé molta tensione, ma questa tensione non è dovuta all'ansia messa al lettore dalla protagonista che si complica sempre di più la vita in modo sempre più assurdo, bensì nasce dallo svolgersi degli eventi  e quando Annabelle racconta via via ai genitori quel che ha taciuto (il che non avviene in una singola crisi catartica ma un po' a puntate) la cosa avviene sempre al momento giusto e in modo molto naturale.
Ma per quanto il rapporto della ragazza con la famiglia, con i nonni e con i fratelli sia buono, valido e solido (è il ritratto di una famiglia molto solidale ma, come dire, solidale nel modo giusto) la storia è molto complessa e anche molto triste perché la vita a volte si aggroviglia senza possibilità di uscita, e i genitori non sempre hanno in tasca la possibilità di sistemare tutto anche se lo vorrebbero.
Dunque è un romanzo che finisce male? No, non proprio. Ma non si può onestamente dire che finisce bene, e d'altra parte se finisse bene nel modo più convenzionale suonerebbe falso come suonano spesso falsi molti dei finali dei racconti per ragazzi al giorno d'oggi, preoccupati di essere educativi più che di mostrare, come in questo caso, di come spesso si finisce per educarsi da soli anche se sempre con molto aiuto dagli altri.
Lunghezza media, può riempire un pomeriggio o un paio di serate, e l'unico problema è che una volta partiti è molto difficile interrompersi - che è di per sé un pregio, ma può essere di intralcio al momento in cui intervengono le consuete circostanze che scandiscono le giornate.
Volendo, è anche una critica molto feroce verso la guerra - anzi, in effetti uno dei temi principali è proprio quello.