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venerdì 30 giugno 2023

Il mistero del London Eye - Siobhan Dowd

Nella sua purtroppo breve esistenza (1960-2007) la scrittrice inglese Siobhan Dowd ha pubblicato una breve serie di bellissimi libri per ragazzi che in Italia sono stati tutti pubblicati dalla casa editrice uovonero, che prende il nome da una fiaba di Luigi Capuana ed è specializzata in libri per ragazzi che utilizzano strumenti di comunicazione aumentata e alternativa - insomma, una roba stranissima anche se molto rispettabile dove i romanzi di Dowd, che sono proprio romanzi normali che raccontano delle storie con un inizio, una fine e divisi in rispettabili capitoli, spiccano nel catalogo come un quadro di Botticelli in un museo di pittura d'avanguardia russa.

Passiamo a presentare il Mistero: lunghezza intorno alle 250 pagine, copertina non priva di eleganza ma soprattutto pertinente alla storia (ebbene sì, in un romanzo che parla del London Eye la copertina raffigura proprio il London Eye. Ammettiamolo, è abbastanza insolito. Ma non solo: il London Eye è inquadrato con una prospettiva particolare e la chiave del mistero si troverà proprio guardando le cose da una prospettiva diversa da quella consueta). Prezzo accettabile. 
La storia si ascrive al genere mistery, come per altro dichiarato apertamente già nel titolo. La vicenda è raccontata in prima persona dall'investigatore, che rientra nel classico filone degli investigatori inglesi à la Sherlock Holmes. Palatabile dagli undici anni in su, è anche un libro adattissimo per la lettura in classe e anche per essere ascoltato mentre lo legge l'insegnante, sia per la seconda che per la terza media (forse anche per una prima, ma meglio dalla primavera in poi, quando sono un po' cresciuti).
Quale sia il mistero del London Eye viene indicato già dal primo capitolo: dopo una affascinante descrizione sia del London Eye* che del viaggio dentro la capsula, il narratore racconta di come un tal Selim, suo amico, salì sulla cabina ma quando la capsula atterrò nuovamente sulla terraferma il suo amico non c'era più, e passa poi a spiegare che sta per raccontare la storia di come è riuscito a capire cosa è successo, e di esserci riuscito perché la sua testa funziona con un sistema operativo diverso da quello degli altri.

Alla fine delle tre pagine che compongono il primo capitolo sappiamo già diverse cose, dunque: che la storia riguarda la scomparsa di tal Selim, che alla fine del libro il mistero sarà risolto, e che sarà risolto proprio grazie al narratore che è una persona con un cervello che funziona in modo particolare - con un sistema operativo diverso, secondo la splendida definizione che ricorre più e più volte.
Il narratore è Ted, un ragazzo con la sindrome di Asperger, che non viene mai nominata nel libro ma che il lettore riconosce facilmente già dalle prime pagine dal fatto che Ted, nel raccontare la sua colazione, dà un numero ai cheerios che inzuppa nel latte.
Il lettore la riconosce facilmente? E parliamo di un lettore inglese o italiano? Come funzionavano le cose nel 2006, quando il libro venne pubblicato?
C'era già stato nel 2003 Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, dove il protagonista era un ragazzo piuttosto geniale ma strano, che si ritrova a indagare sul caso di un cane (il suo!) trovato ucciso nel giardino, e dalle indagini ricaverà, oltre alla soluzione, un sacco di scoperte, non tutte e non solo spiacevoli, sulla sua famiglia. E' un romanzo crudo e piuttosto angoscioso, e ho faticato abbastanza a leggerlo. Prima ancora, nel 1995 Oliver Sacks aveva descritto molto dettagliatamente l'autismo in Un'antropologa su Marte dove racconta la storia di Temple Grandin.
Il mistero del London Eye però è un libro per ragazzi, ed è stato scritto con l'intenzione di presentare le potenzialità positive che possono esserci nei disturbi dello spettro autistico proprio ai lettori più giovani - una operazione molto intelligente, in effetti, e condotta con grande abilità.
Ted vive in un contesto familiare molto affettuoso e ragionevole: la famiglia non fa nulla per rimuovere la sua, chiamiamola diversità, anche se lo maneggia un po' con i guanti, e d'altra parte Ted segue da tempo un percorso medico per imparare a convivere con la sua sindrome. E' un po' disorientato e abbastanza preoccupato dalle molte cose per lui incomprensibili, ma è un ragazzo intelligente e cerca di limitare i danni. Di fatto viene presentato al lettore come uno dei tanti adolescenti più o meno in difficoltà a trovare il loro posto nel mondo - un problema, questo, che accomuna tutti gli adolescenti indipendentemente da qualsiasi eventuale sindrome si ritrovino in sorte ad avere - e che in qualche modo se la cava, pur con qualche scossone. Sa di essere diverso, ogni tanto (...ogni poco) ha la sensazione di essere circondato da dei perfetti idioti e che nessuno lo capisca - come tutti, insomma, e non soltanto a quell'età.
Alla fine del romanzo, dopo aver risolto il caso e aver impedito che si concludesse in una tragedia, si ritroverà ad aver aumentato in modo cospicuo la sua autostima e questa è senz'altro una buona cosa. Inoltre avrà anche constatato come la sindrome di Aperger non sia certo l'unica problematica in cui un ragazzo può inciampare - solo per dirne due, ci possono essere anche le difficoltà di rapporto con i coetanei e avere dei genitori troppo accentrati su sé stessi per riuscire ad ascoltare i figli.
Il romanzo si snoda come un perfetto racconto giallo assai ben costruito, della tipologia più classica; personalmente ci ho trovato un bel po' di Agatha Christie: il tema della prospettiva diversa da cui guardare le cose, per esempio, e gli elementi apparentemente discordanti che compaiono per caso ma invece non sono affatto delle casualità. Hercule Poirot poi avrebbe senz'altro apprezzato la lista delle otto possibili spiegazioni che Ted stila: Selim non è mai salito sulla capsula del London Eye, è andato in autocombustione, è stato rapito dagli alieni... nessuna possibilità viene eliminata a priori, ma solo dopo attenta verifica e qualsiasi letture che abbia frequentato le storie di Sherlock Holmes** ritorna col pensiero al celebre adagio una volta eliminato tutto l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere per forza la verità; ma cosa è effettivamente impossibile, a parte l'autocombustione, che non avrebbe certo potuto passare inosservata agli altri passeggeri?
Una delle otto possibilità elencate da Ted si rivela in effetti valida, ma non in grado di spiegare tutto, e sarà dunque necessario scovarne una nona che possa completare il quadro.
Come sempre succede nei gialli in questi casi, buona parte dei personaggi rifiuta ostinatamente di ascoltare la lista - dal che il lettore si rende conto che in quella lista qualcosa di buono c'è per forza. La sorella Kat invece la lista la esamina con pazienza e la discute con Ted, in base al principio che, se non si muovono loro, gli adulti ben difficilmente combineranno qualcosa di valido - e questo è invece un principio universalmente valido nei romanzi per ragazzi, e che porta inevitabilmente alla soluzione del problema, qualsiasi esso sia.
Con un lento e paziente carotaggio la soluzione arriva, portando una serie di colpi di scena e un momento decisamente drammatico che comunque si risolverà per il meglio. La catarsi porta un deciso miglioramento della situazione e molti spunti di riflessione.
Agli adulti il romanzo piace perché è molto politically correct oltre ad essere scritto bene. Ma soprattutto, e questo è l'importante, piace molto ai ragazzi.
Caldamente consigliato.

* poniamo che tra i lettori di questo post ci sia qualche povero diavolo che versa nello stesso stato di patetica ignoranza in cui versavo io quando per la prima volta mi han parlato di questo libro: il London Eye è una grande ruota panoramica posta a Londra sulla riva del Tamigi e inaugurata nel 2000. Dietro pagamento di un non risibile biglietto, si fa un giro della ruota in una piccola cabina che può contenere fino a una ventina di persone. Il giro dura più di mezz'ora e permette una bella visualizzazione di Londra. Imperdibile per i turisti, anche gli indigeni lo frequentano molto volentieri.
** che in effetti molti sospettano essere stato un caso non diagnosticato di sindrome di Asperger

giovedì 29 giugno 2023

L'arte della descrizione

Per i compiti di descrizione scelgo spesso immagini molto pucciose
La Seconda Sfigata viene quasi universalmente ritenuta nel Consiglio una classe di livello medio-basso con forte tendenza al basso-basso. In cuor mio la penso molto diversamente e a dirla tutta li considero molto bravi, o meglio potenzialmente molto bravi. Evito comunque di esternare cotal mio eretico punto di vista anche perché sono consapevole che nasce dall'incondizionato amore che nutro per tutti loro, senza distinzione - ma se non fossero almeno potenzialmente così bravi dubito che li amerei tanto; comunque di questo mio profondo amore evito di parlare perché alla fine sono affari miei, non chiedo mai di alzargli i voti perché secondo me sono in grado di alzarseli da soli con un onesto e operoso impegno (di cui alcuni in verità sono davvero parchi) e nemmeno sono particolarmente generosa nelle mie valutazioni, ma trovo che tutti loro abbiano un fondo di solidità cui dovrebbero attingere più spesso. 
In ogni caso, in quella classe mi sento come un topo nel formaggio e già mi sto tapinando perché l'anno prossimo dovrò assistere al volo di partenza, perché ormai da Seconda son diventati Terza.
Verso la fine dell'anno ho fatto la solita Prova di Descrizione, che consiste nel piazzargli davanti una immagine e chiedergli di descrivermela, individuando anche nei limiti del possibile il momento dell'anno, l'ora e il luogo. Normalmente vivo questa prova come un tentativo di rendere gli alunni più sistematici nell'esposizione - e tra l'altro l'esposizione al momento non è esattamente il loro forte. Tuttavia stavolta ci sono state diverse sorprese.
Sono partita dall'immagine sull'autostima che, come ho raccontato anni fa, a suo tempo riuscì a mandare in tilt una intera classe e che ho assegnato ad Akela:
Akela la guarda. "C'è un gattino che si guarda in una pozza e si vede come pensa di essere".
La classe annuisce, convinta. Risolto il problema.
D'accordo, l'autostima ad Akela non ha mai fatto difetto, comunque mi sembra una sintesi davvero buona.
"Dove siamo e che ora è?" chiedo.
"Dentro un edificio..." pausa "In un bagno. C'è il tappetino, il radiatore a scala, e quella sembrerebbe una vasca. Direi che l'ora è il tardo pomeriggio, perché la luce non è molto forte".
Sono anni che uso questa immagine, ma non avevo mai capito che si svolgeva in un bagno. Non avevo mai fatto caso al tappetino e col cavolo avevo immaginato che quella a sinistra fosse una vasca da bagno. Ma in effetti, in quale altra stanza una pozza d'acqua sarebbe così a suo agio?

E' il turno di Pisola, una fanciulletta abbastanza indietro con la crescita e che il Consiglio sospetta fortemente di ritardo mentale - la diagnosi però segnala una leggera dislessia e la dichiara normodotata, e personalmente concordo con la diagnosi almeno per la parte sul normodotata, mentre avanzo diversi dubbi sulla dislessia. Di fatto nutre un disinteresse cosmico per qualsiasi materia studiereccia e sembra più interessata a disegnare unicorni che a sviluppare un qualsivoglia argomento matematico, ma è anche molto simpatica e questo tende a influenzarmi. Dopotutto, chi sono io per criticare qualcuno a cui non interessa la matematica? A me piaceva molto, ma mi è piaciuto molto anche studiare il latino medievale, che non è in cima agli interessi della maggior parte delle persone. E insomma le servo la sua immagine a draghi, che è quella che apre questo post.
"Dunque siamo al mare, d'estate, e c'è una mamma drago che ha portato i suoi piccoli su uno scoglio, dove ci sono anche delle piante, probabilmente per insegnargli a volare. In questo modo riesce a farli partire da una certa quota, ma se cadono, cadono in acqua e non rischiano di farsi male. Sta per lanciare uno dei piccoli, l'altro ha già fatto il primo tentativo e adesso si sta arrampicando sullo scoglio per raggiungerla".
Anche se nel mio archivio di foto questa è segnata come "Gruppo Vacanze Draghi" non avevo mai e poi mai pensato che si trattasse di una vacanza-studio per imparare a volare - ma in effetti l'atteggiamento protettivo e insieme incoraggiante della draghessa rende il tutto molto credibile.
La classe interviene, suggerendo che si tratti di una costa scogliosa del nord-Europa perché i colori non fanno pensare a una zona mediterranea. Si discute a lungo sul tipo di cespugli ma se ne conclude che non sembra macchia mediterranea.

Da lì è stata tutta in discesa. Prima il legittimo interrogato descriveva l'immagine, poi la classe si lanciava in esercizi di deduzione analizzando i più vari dettagli. Viene discussa a lungo la stoffa del cappello dove staziona il gatto 
e si dibatte se il cappello è tenuto sollevato da un qualcosa (si opta per il no perché non se ne vede traccia) e se le nuvole siano vere nuvole di un cielo azzurro o piuttosto una tappezzeria (viene data per probabile la tappezzeria, perché nuvole così uniformi non è facile vederne;  questo fa saltare l'ambientazione in un bel giorno di tarda primavera per optare piuttosto per una stanza).
Viene altresì a lungo questionato se la ragazza al centro dell'immagine qui sotto stia volando in alto sopra l'aereo o se l'aereo sia un giocattolo poggiato sulla trapunta (si decide di no, perché ormai la trapunta patchwork si è trasformata in uno sfondo di campi ben coltivati. A quel punto però resta da capire come mai nella stanza è ormai sera, visto che la luce è accesa e dalla finestra si vede il cielo ormai scurito, mentre fuori è un tardo pomeriggio).
Si questiona poi su dove finisca il pavimento e cominci il fiume e su quanti letti ci siano nella stanza.
Tutto ciò allunga di molto il tempo dell'interrogazione, ma è molto divertente.
Quanto a me, tendo a chiudermi in un dignitoso silenzio, perché la Seconda Sfigata riesce ad analizzare quelle immagini molto meglio di quanto abbia mai fatto io.
E d'accordo, osservano molto più accuratamente di me - che pure, ricordo, alle elementari ero stata assai lodata per il mio acuto senso dell'osservazione, ma da allora devo aver perso parecchi colpi. 
Di sicuro però hanno anche molto più senso dell'osservazione delle due classi cui avevo servito molte di quelle immagini in tempi passati - e che nessuno aveva mai definito di livello men che medio.

Voti buoni per tutti, si capisce. E gli faranno comodo perché sull'ortografia c'è ancora qualcosa da ridire e no, non solo su quella dei DSA.

martedì 27 giugno 2023

Il racconto del mese di Giugno - La classe soddisfatta

Si racconta che, sul finir della carriera, molti insegnanti di Lettere manovrino abilmente per avere gli elementi migliori nelle loro classi - e per migliori di solito si intende quelli delle famiglie più colte e benestanti e, in teoria, quelli che non daranno problemi - evitando con cura i casi più notoriamente conclamati come critici.
Naturalmente in una scuoletta di provincia con tre sezioni non sempre è possibile manovrare più di tanto, e la cosa si ottiene più facilmente nelle scuole da cinque sezioni in su, dove non è raro vedere autentiche classi-ghetto formate con i casi più deprimenti dell'intero comparto.
I risultati però non sono sempre quelli previsti, così come non lo sono nelle scuole dove ci si ingegna al contrario a distribuire equamente rose con le spine, rose senza spine, azalee, cardi e cavolfiori (in quest'ultimo caso però, se non altro, le coscienze saranno immacolate e la scuola potrà onestamente dire che ha provato a fare del suo meglio).
Ci sono infatti due grosse varianti che sfuggono completamente al controllo umano. La prima è che solo Dio* nel massimo del suo fulgore è in grado di prevedere l'evoluzione che un giovinetto può compiere nei misteriosissimi anni dell'adolescenza, dove molti gigli si trasformano in acacie e molti cardi diventano begonie o gelsomini (per poi magari cambiare non meno di altre quindici specie floreali prima di assestarsi, detto e non concesso che un essere umano riesca mai a stabilizzarsi davvero); ma ancor più imprevedibile è l'effetto che la classe e i docenti avranno su di lui e l'insieme delle reazioni alle reazioni.
Capita così che una classe che all'inizio si presentava assai gradevole e ricca di potenzialità si trasformi in un micidiale nido di vipere (ed è stato il caso della Terza Capricciosa) ma anche che una classe si sintonizzi, entri in armonia e proceda felicemente per la sua strada.
Tanto per fare un esempio, la mia prima supplenza consisté nel portare all'esame una Terza caratterizzata da una bravura davvero singolare; quando andai dalla titolare prima dell'esame per avere qualche lume su quel che dovevo fare, esordii con una serie di apprezzamenti; la collega mi raccontò molto divertita che il primo anno era stata una classe molto faticosa, dove tutti litigavano con tutti per i motivi più assurdi e dove lei ogni tanto si vedeva costretta a ricordargli che l'asilo era dall'altro lato della strada e che quella in teoria era una scuola media dove ci si aspettava da loro un minimo di impegno in qualcosa che non fosse solo becchettarsi con il compagno di banco. Quella che trovai io due anni dopo invece era una classe di fulmini di guerra caratterizzata da rapporti interni assai virtuosi. Succede.
Sulla carta la 1 C che venne formata tre anni fa, subito dopo il lockdown, era una vera collezione di poveri diavoli. Abbondavano i casi di famiglie decisamente critiche, e gran parte dei componenti si era segnalata alle elementari per varie e numerose prodezze. I primi mesi accoglievamo spesso in Sala In segnanti colleghi affranti in cerca di conforto. Le cose però cominciarono a migliorare quasi subito: la classe di Poveri Diavoli diventò in seguito una classe di Livello Modesto ma dotata di Una Certa Disponibilità, poi una classe Tutto Sommato Gradevole, poi una classe dove Non Si Lavorava Male e infine una classe molto rispettabile. Le lezioni si fecero via via sempre meno addomesticate, i lavori diventarono più complessi e già a fine anno la classe si caratterizzava per una sua giocosità non disgiunta da un certo impegno. 
Il miglioramento proseguì, e mentre la Seconda Capricciosa sprofondava in una  spirale sempre più cupa loro vivevano serenamente il loro percorso scolastico, affrontando le difficoltà invece di cercare di aggirarle e mantenendo un certo buon umore di fondo. Ci ho fatto qualche sostituzione e rimasi piacevolmente colpita dalla loro ragionevolezza e dalle buone vibrazioni che si percepivano nel gruppo.
Ieri mattina ero a scuola per sistemare una immane quantità di robe da fine anno quando ho sentito un festoso rumore. 
Mi affacciai dalla Sala Insegnanti e vidi una fila di tavoli allestiti nell'atrio con tovaglie, vassoi di dolcetti e salatini e bibite di ordinanza. Un gruppetto di genitori presiedeva. Gli alunni giravano con graziosi sacchettini infiocchettati. 
Avevano appena finito gli esami e avevano preparato un piccolo ma grazioso rinfresco per i loro professori e un regalino per ognuno di loro corredato da un biglietto.
"Ne ho viste tante, ma la festa di fine esame mi mancava" dissi ai custodi.
"Anche per noi è la prima volta" mi rispose compiaciuta la custode, che è lì da trent'anni.
Pandemia o non pandemia, la classe si era fatta il suo percorso, si era divertita e si era goduta questi tre anni e insieme con qualche genitore aveva allestito un piccolo ringraziamento per chiudere il ciclo festeggiando tutti insieme.
Sono quelle cose che ti riconciliano con la vita.
(Sì, c'era stata anche la consueta cena di fine anno, ma questa era un di più. E sì, ho mangiato qualcosa anch'io, ma solo dopo essere stata invitata formalmente. E mi sono molto congratulata con loro per la bella idea).

* se esiste, certo. La questione è da sempre oggetto di grandi discussioni e non sarà qui che approfondiremo il tema.

mercoledì 21 giugno 2023

Arriva il solstizio d'estate!

Sir Joseph Noel Paton - The Quarrel of Oberon and Titania (1849)

Oggi il Sole fa gli straordinari, lavorando più del solito; addirittura, mi dicono, in certe zone non tramonta affatto e resta a illuminare il mondo artico, anche se è una luce un po' alternativa:
molto suggestivo, davvero.
Là dove invece tramonta, apre la notte più corta dell'anno; ma è una notte molto, molto magica. Fate, folletti, litigi a livelli astrali e possibilità davvero insolite che si offrono agli innamorati. Per esempio sei la regina delle fate e ti ritrovi innamorata di un asino. 
E qualcuno magari osserverà che non importa scomodare addirittura il solstizio, che avviene due volte all'anno e non di più, perché ogni giorno si vedono bellissime e valenti donne innamorate di perfetti asini (e splendidi uomini di gran bellezza e valore innamorati di asine di primo grado) indipendentemente dall'ora in cui si alza (o non si alza) sua maestà il Sole. 
D'altra parte nel caso del Solstizio per raccontare la non insolita vicenda si è scomodato niente meno che Shakespeare, e dunque la cosa ha avuto una sua particolare rinomanza.
Inoltre occorre ricordare che gli asini, per quanto non sempre brillino per la profondità della loro cultura umanista o scientifica, sono comunque animali di grande intelligenza e trovare un partner intelligente è sempre una cosa buona, anche se molto rara.
Dopo una notte tanto breve quanto magica, dove si possono facilmente scambiare i partner e indulgere a relazioni alternative, magari assaggiando nuovi gusti e valutando eventualità mai considerate prima, si può godere di un risveglio altrettanto magico: il Sole infatti sorge molto presto ma, dove sorge, spesso illumina punti molto particolari.
Per esempio a Stonehenge
luogo forse dall'architettura un po' approssimativa, ma non certo privo di fascino. Dice che ci si può danzare durante la notte, dice che le pietre sono state immobilizzate da un incantesimo mentre stavano anche loro danzando. 
Di sicuro l'insieme è stato allestito dal più celebre dei maghi, Merlino - personaggio assai solenne, ma che tutti amiamo ricordare così, appunto mentre danza:
Auguri a tutti per una notte breve ma intensa, un'alba luminosa e un giorno solare e piacevole.
Con o senza gelato, come preferite (personalmente opterò per il gelato. Possibilmente alla frutta, perché io lo preferisco così).

domenica 18 giugno 2023

Di topi che ballano e di gatti industriosi (ultimo giorno di scuola)

Nell'ultimo giorno di scuola i topi ballano anche quando il gatto c'è ancora
Anni fa una qualche persona provvista di un po' di buon senso stabilì che l'ultimo giorno di scuola al Comprensivo di St. Mary Mead e Crifosso ci sarebbe stata la Giornata Breve sia nell'ultimo giorno prima delle vacanze di Natale che nell'ultimo giorno dell'anno scolastico.
Tale modesto ma utilissimo provvedimento era già regola quando frequentavo le scuole medie in versione alunna, almeno nella provincia di Firenze; quando approdai alle medie di St. Mary Mead scoprii invece che in quei giorni usava fare l'orario pieno, il che ne faceva d'ufficio i giorni più faticosi di tutto l'anno scolastico per gli insegnanti - perché quando un numero di ragazzi tra i dieci e i quindici anni che va dai 150 ai 200 vien lasciato a pascolare per cinque ore senza alcun freno, che cosa mai potrebbe andare storto?
Per nostra buona sorte a St. Mary Mead i ragazzi spesso si comportano in modo piuttosto ragionevole anche quando pascolano - ma spesso non significa sempre, e dunque talvolta succedevano eventi leggermente incresciosi, anche perché era ben salda la convinzione, per i nostri alunni ma anche in generale per molti alunni di molte altre scuole del Regno che nell'ultimo giorno di scuola si facevano i mitici gavettoni, ovvero palloni pieni d'acqua da tirare addosso ai compagni.
Cotale uso potrebbe sembrare tutto sommato innocuo, e anzi era dichiarato apertamente come lecito in talune sennatissime scuole dove ho avuto il piacere di lavorare a Firenze; e tuttavia, nella nostra tranquilla scuoletta di provincia si era col tempo radicata una variante invero assai incresciosa di tale passatempo, ovvero i gavettoni impreziositi da farina e altro - il che tra l'altro si traduiceva in un deplorevole spreco di risorse alimentari, perché la farina andrebbe usata solo per farne cialde, pan di Spagna, focaccine et similia, non certo per sporcare i vestiti dei compagni di scuola, o almeno così la vedo io (e qualcuno mi ha addirittura parlato di uova, ma spero che si tratti di una tipica esagerazione afferente al genere Questi Terribili Giovani d'Oggi).
Vietare i gavettoni in una scuola dove gli alunni sono convinti che i gavettoni siano uno dei diritti imprescindibili sanciti dalla Carta dello Stuidente non è però una cosa facile. Si è cominciato con circolari assai seriose - che hanno avuto un successo analogo a quello delle grida contro i bravi per poi proseguire con forti ammonimenti da parte degli insegnanti e infine con la chiusura del rubinetto centrale dell'acqua nelle ultime ore - un provvedimento, questo, che secondo me è del tutto illegale ma siccome nessuno ne chiederà conto a me ho deciso, una volta tanto nella vita, di non impuntarmi sulla questione.
E insomma col passare degli anni gli alunni han quasi rinunciato a fare gavettoni e financo ad arrivare a scuola l'ultimo giorno con zaini strapieni di bottiglie ricolme d'acqua.
La cosa si è vieppiù smorzata con la riduzione a tre ore della mattinata scolastica - in effetti tre ore di pascolo si riescono a reggere abbastanza bene e il tutto si limita a una grande bolgia in cortile dove gli alunni giocano e scherzano, temperata dal fatto che qualche insegnante tiene in classe o in qualche laboratorio gli alunni per fare non so quale attività di riordino.
Quest'anno l'ultimo giorno di scuola cadeva di Venerdì, quando avevo terza e quarta ora con la Prima Difficile e le ultime due ore con la Seconda Sfigata. Insomma, per me si è trattato di passare un'ora in cortile pascolando un po' con i ragazzi della mia Prima e parecchio conversando del più e del meno con varie maestranze della Seconda - un modesto atto di presenza e niente più.
Con mia grande delusione mancavano del tutto invece gli enormi vassoi di patatine e dolcetti che da sempre le classi portano per le cosiddette Feste di Classe - che sono, in effetti, una sorta di movimento migratorio in cui vari sciamo di alunni si recano in visita gli uni dagli altri, seminando briciole di patatine per ogni dove.
Niente patatine, dunque, e un po' di conversazione amena con allievi e colleghi. Una roba piuttosto tranquilla, nel complesso.
Alle un dici la campana è suonata e i ragazzi sono sciamati via in modo tutto sommato abbastanza ordinato. E gli insegnanti si sono ritrovati nella loro stanza a scambiarsi saluti e auguri...
...per poi avviarsi verso le Elementari dove si tenevano gli scrutini di fine anno delle Terze, dopo un lussuoso intervallo di ben quindici minuti.
Non io. Io sono rimasta a riordinare il cassetto e a dare gli ultimi tocchi al Registro perché quest'anno non ho Terze da portare all'esame.
In compenso il giorno dopo ho goduto una esperienza che non avevo più provato dai tempi del mio primo anno si scuola: gli Scrutini di Sabato. Disposti in modo piuttosto perfido, perché mi sono ritrovata a fare la prima classe del pomeriggio, all'una, e l'ultima e la penultima, tra le quattro e le sei - una degna conclusione per un anno che, a conti fatti, si è rivelato piuttosto faticosa - senza contare che, mentre di solito agli scrutini tutti arrivano carichi di dolci, salatini, bevande varie (rigorosamente analcoliche) e talvolta perfino gelati, stavolta a nessuno è venuti in mente di portare nemmeno un pacchetto di semi di zucca, e dunque gli scrutini si sono svolti nel più rigoroso digiuno.
Praticamente un fine anno scolastico degno di un circolo dietetico.

lunedì 12 giugno 2023

Miracolo nel penultimo giorno di scuola

Scolari negli ultimi giorni di scuola

Viene alfine quel momento, negli ultimi giorni di scuola, in cui ti rendi conto che non riuscirai a fare questo, quello e nemmeno quell'altro che ti eri ripromessa di fare e ritenevi del tutto indispensabile perché, come ho già avuto occasione di raccontare,  le ultime settimane dell'anno scolastico somigliano più a un groviera che a un normale calendario scolastico e Maggio scivola via con una rapidità inimmaginabile a chi non lavora nella scuola.
A quel punto, quando infine hai tirato i remi in barca e ti sei rassegnata alla tua ria sorte, spuntano un paio di giornate tranquille e a orario pieno che avrebbero fatto un gran comodo dieci giorni prima ma che a quel punto servono davvero il giusto. E proprio allora, naturalmente, scoppia il caldo; e già devi ringraziare che non è scoppiato prima e che le classi siano comunque riuscite a combinare qualcosa nei ritagli di tempo miracolosamente scampati alle infinite attività sbucate fuori dal nulla.
Dunque, niente lezione normale. E allora?
Quest'anno con le prime ho deciso di darmi alla cinematografia. 
Miyazaki, per le prime, è sempre una soluzione perfetta. Così ho optato per Il mio vicino Totoro per la Prima Turbolenta e La città incantata per la Prima Brava. Con la Seconda invece avevo una quantità sterminata di cose da concludere e sistemare, quindi il mio progetto di fargli vedere Romeo+Juliet come introduzione al romanticismo è andato purtroppo a farsi benedire, e lo rimpiango molto. Ma tant'è.
La mattina del Penultimo Giorno di Scuola - un'entità particolare che nel mio caso era quasi un Ultimo Giorno perché nel vero Ultimo Giorno di Scuola non sarei stata in classe - mi sono ritrovata con quattro ore filate su tre classi diverse. Niente di male, in apparenza, perché era quel che avevo fatto per tutto l'anno in quel giorno della settimana - ma presentava l'inconveniente assai serio di non avere nemmeno l'ombra di un buco libero per sistemare alcuni inconvenienti.
Che erano, in sintesi, il fatto che rischiavo di sforare, anche se di pochi minuti, con entrambi i film, entrambi rimasti a mezzo. Tutto ciò non avrebbe creato inconvenienti di sorta quando le classi stavano fisse nella stessa aula per tutto il giorno - bastava fermare il collega in entrata e avvisare "Devono finire di vedere il film", il collega annuiva ed entrava in classe in silenzio. Stavolta invece, con la didattica DADA, le classi passavano al piano inferiore e occorreva dunque avvisare il collega di cui sopra che sarebbero arrivate in ritardo, ma c'era l'ulteriore problema di avvisare la classe che mi aspettava che sarei arrivata dopo. Inoltre avevo anche tre pile di libri da portare nella Seconda Sfigata perché...
C'è di buono comunque che a scuola tutto si sistema in qualche modo, ma ero assai inquieta perché i film sanno essere davvero dispettosi, soprattutto a St. Mary Mead.
Invece.
Prima ora: miracolosamente non ci sono stati problemi ad avviare il film, ritrovare il punto in cui eravamo arrivati e continuare la visione. I titoli di coda sono arrivati trenta secondi dopo il suono della campana. La classe ha ringraziato e si è avviata al piano di sotto.
Siccome nel cambio delle ore c'è il Passaggio Agli Armadietti la classe entra sempre nell'aula qualche minuto dopo, quindi al loro arrivo mi han trovato ad aspettarli. Spiego il problema dei tempi all'insegnante di Sostegno che scende giù ad avvisare la collega che forse faranno tardi.
Tutto ciò però non si rileva necessario: con due minuti di anticipo sul suono della campana scattano di nuovo i benefici titoli di coda. La classe si rassetta, chiede di andare in cortile per l'intervallo e passa dall'aula a prendere gli zaini. Quando suona la campana siamo già fuori, loro giocano a palla e io, accasciata sulla panca, ringrazio in cuor mio quel gran genio di Miyazaki che con tanta benevolenza ha vegliato su di me riuscendo perfino a sconfiggere la Maledizione di St. Mary Mead con i suoi immensi poteri.
In cortile trovo la Seconda Sfigata che fa l'intervallo fuori pure lei. Al suono della campana nomino tre Portatori per le pile di libri che passiamo a prendere in Sala Insegnanti e poi saliamo.
Nel giro di due ore riesco prima a portarli nell'aula video per esaminare l'ultima esposizione rimasta per strada, quella della Polonia; poi a rimproverare le tre malcapitate perché l'esposizione era stata preparata male e fatta peggio, poi a riportare tutti in classe per dare i compiti di Geografia per l'estate: le Tre Malcapitate dovranno rifare l'esposizione sulla Polonia, una coppia dovrà preparare una piccola esposizione sulla Transnistria per scontare taluni suoi peccati e tutti quanti dovranno portarmi una notizia che li ha colpiti su un paese extraeuropeo.
"Se poi durante l'estate non succede niente di notevole, né guerre né conflitti né inondazioni né colpi di stato, allora venite senza notizie e insieme festeggeremo il mirabile prodigio di una intera estate trascorsa in pace senza drammi né tragedie". Tutti scuotono la testa, ritenendo la cosa assai improbabile, ma chissà? La vita a volte ti sorprende con effetti speciali.
Poi restituisco e commento l'ultimo pacchetto di verifiche, ovvero l'alfabetiere sulla Costellazione illuminista (illuminismo e rivoluzione francese, americana e industriale). Si sono divertiti a farli e questo è importante, però a qualcuno ho dovuto spiegare che di solito la lettera iniziale si prende  dal cognome e non dal nome, a meno che non si tratti di un re: Luigi XVI va benissimo per la L, Maria Antonietta con la M ci sta a meraviglia ma Benjamin Franklin va sotto la F e non sotto la B.*
Passo poi alla consegna dei libri: come l'anno scorso ho scelto dalla biblioteca della scuola un libro per ognuno. L'anno scorso è stato un trionfo del fantasy, quest'anno la scelta è stata finalizzata non tanto al puro piacere della lettura quanto al lugubre programma che ci aspetta a storia. In tutti i casi dovranno riferire e dire cosa ne pensano, e staremo a vedere; c'è comunque il vantaggio che quest'anno sono volumetti piuttosto corti, visto che il loro rapporto con l'italiano è decisamente migliorato.
E basta, abbiamo finito. Tutto è stato detto e fatto, e manca ancora un quarto d'ora alla campana dell'intervallo.
Miracolo! Prodigio! Giorno da segnare con la pietra bianca!
Avevo un'infinità di cose da fare in queste quattro ore e le ho fatte tutte. Se nel frigo della scuola ci fosse una bottiglia di champagne la stapperei.
Purtroppo non c'è ma pazienza, non si può pretendere di avere proprio tutto dalla vita.
Ovviamente li porto giù in cortile per un lungo intervallo.

Riuscire a fare tutto quel che ci siamo proposti di fare in un determinato intervallo di tempo è una esperienza rara per tutti, ma per un insegnante ha davvero del prodigioso. In effetti, in ventiquattro anni che insegno non credo mi sia mai successo.
E adesso non lo dico più.

* colpa mia che non li avevo avvisati, ma è la prima volta che vedo fare un alfabetiere con i nomi di battesimo, lo ammetto.

venerdì 2 giugno 2023

Blackbird. I colori del cielo - Anne Blankman


Il romanzo è stato scritto nel 2020 e tradotto in Italia nel 2021, ovvero prima della guerra in Ucraina; io però ne ho appreso l'esistenza solo quest'anno, alla Mostra del Libro che finalmente a scuola abbiamo rifatto. Mi sono precipitata a comprarlo perché, appunto, la storia parte dall'Ucraina, ma soprattutto perché racconta un avvenimento che mi ha sempre molto interessato, ovvero lo scoppio della centrale atomica di Chernobyl. Inoltre è la storia di un'amicizia al femminile, che è sempre stato uno dei miei generi preferiti.
Prima di presentarlo, una nota filologica: il titolo originale è The Blackbird Girls, ovvero "Le ragazze merlo". Mi rendo conto che tradotto così non aveva molto senso, e sembrava puntare sul fantasy evocando fanciulle mutaforma. Va detto però che il titolo originale non aveva molto senso nemmeno per un lettore americano (l'autrice è una purosangue americana e vive a New York) ma in qualche modo gli americani sembrano essersene fatti una ragione perché l'hanno assai apprezzato. Ad ogni modo il titolo italiano non è filologicamente corretto ma è molto attrattivo, e la copertina mi sembra bellissima - tra l'altro di colori del cielo si parla abbastanza, almeno nelle prime pagine. 
L'autrice è americana, ma una sua cara amica, incontrata a scuola, veniva appunto da Chernobyl e l'idea del romanzo nasce dai racconti suoi e dei suoi nonni.

La storia comincia a Pripyat, ovvero la cittadina nata intorno alla grande centrale di Chernobyl, in Ucraina che all'epoca era in Russia ma soprattutto in Unione Sovietica, e che oggi è diventata una specie di museo deserto a cielo aperto. E' il 1986, mese di aprile, e si parte proprio descrivendo il colore del cielo ddi Pripyat, che in quella mattina non è azzurro bensì con un bagliore rosso a sfumature scarlatte. Dalla zona della centrale vengono nuvole rosse, nell'aria c'è uno strano odore e soprattutto i merli neri, che ogni mattina venivano a fare colazione sul davanzale della prima protagonista che incontriamo, Valentina, quel giorno non ci sono. Nemmeno uno.
Inoltre il padre di Valentina, che quella notte era di turno alla centrale, non è ancora rientrato. Tutto è normale, a parte questi pochi ma non secondari dettagli, e la giornata si snoda tranquillamente nella solita routine scolastica. Nessuno fa domande, e chi le fa non si vede dare risposte. C'è (stato?) un incendio alla centrale, ma si sa che la centrale è sicura...
Il lettore occidentale di una certa età ricorda benissimo come dalla Russia cercarono di negare fin quando fu materialmente possibile farlo, ma si resta dolorosamente sorpresi scoprendo come in Russia furono informati ben dopo rispetto a noi.
Il racconto si snoda alternando la storia delle due protagoniste, Valentina e Oksana, due ragazzine coetanee, compagne di classe e legate da una profonda inimicizia. Valentina è ebrea e dunque abituata da sempre ad essere oggetto di antipatia e diffidenza e a mettersi in mostra il meno possibile. Oksana è di famiglia più ricca e antisemita, abituata da sempre a diffidare degli ebrei, notoriamente infidi e ingannatori. Nel giro di pochi capitoli però le ragazze si ritroveranno ad avere solo loro due su cui contare. 
Pripyat viene evacuata, i pullman trasportano gli sfollati fino a Kiev per poi scodellarli nel centro della città e questo è quanto, alla faccia dell'organizzazione. Su quei pullman comunque sono salite solo le due ragazze e la madre di Valentina: i due padri  e la madre di Oksana, contaminati dalle radiazioni, vengono ricoverati. Certamente è questione di poco, certamente si ricongiungeranno presto con le figlie, sta di fatto che i padri le ragazze non li vedranno mai più e, quanto alla madre di Oksana, riuscirà a tornare da sua figlia solo dopo molti mesi.
E' solo l'inizio di una complessa odissea: il primo rifugio (una parente della madre) durerà ben poco, alla stazione ferroviaria i biglietti del treno sono razionati e infine le due ragazze si ritrovano da sole, dirette a Leningrado, dall'ignara nonna di Valentina, che per buona sorte delle due si rivelerà molto ospitale ma che è estremamente ebrea, molto più della figlia, e ogni settimana continua di soppiatto a celebrare lo Shabbat. 
La permanenza dalla nonna è lunga e felice, nonostante le notizie dall'esterno siano tutt'altro che confortanti; se Valentina ne approfitta per ricostruire un po' di storia di famiglia, e sua madre le raggiungerà relativamente presto, anche se con tristi notizie, Oksana si ritroverà costretta a rivedere tutte le sue convinzioni e i suoi progetti, con un processo piuttosto doloroso. La sua storia è la più complicata, perché la riunione con la madre porterà molti e nuovi problemi e solo un abile colpo di coda della nonna di Valentina le permetterà infine di trovare la sua giusta collocazione.
Cosa c'entrano i merli con tutto questo? E cosa sono le ragazze-merlo? 
Sono le amiche unite da un legame profondo e duraturo, tanto profondo da superare agevolmente anni di separazione. Troveremo nel romanzo due coppie di ragazze-merlo: la prima è quella di Valentina e Oksana, che col tempo e le vicende imparano a superare pregiudizi e antipatie e si legano per tutta la vita in un legame di eterna amicizia. Ma c'è un'altra coppia di ragazze merlo:la nonna di Valentina e una sua amica, che vive all'altro capo dell'URSS e da cui Oksana infine si rifugerà, accolta come una figlia perduta e finalmente ritrovata.
La storia dunque è complicata e molto ben costruita. Per chi ama le storie di resilienza femminile c'è un pascolo nutrito e abbondante, ma il romanzo ha, per noi europei, un valore aggiunto tutto particolare perché ci mette in contatto con la realtà dell'URSS pochi anni prima della sua caduta: abitudini, cibi, problemi economici e abitativi, gerarchia sociale e soprattutto quella sottile (neanche tanto sottile, a volte) paura che in una dittatura ti accompagna dappertutto, e impedisce sia le domande che le risposte. A conti fatti, la vita nell'URSS per noi rimane ancora abbastanza misteriosa perché l'unico arco di tempo in cui c'è stata una certa libertà di narrazione è durata poco, e in quegli anni chi viveva lì era troppo occupato a vivere il presente per rielaborare il passato in una narrativa domestica, mentre dal canto nostro c'era (e per certi versi c'è ancora) una sorta di filtro ideologico che ci rende difficile approfondire certi dettagli.
Dal mio punto di vista dunque i sedici euro di questo libro sono stati spesi molto bene perché, oltre a leggere una bella storia di formazione al femminile (ma anche di violenza domestica) mi sono ritrovata come bonus una specie di romanzo storico che mi ha raccontato qualcosa che si svolgeva molto vicino a me ma che conoscevo solo in modo molto indiretto - sì, certo, il mondo è pieno di reportage giornalistici, ma un bel romanzo è tutta un'altra cosa.
Lettura piacevole, di quelle che sei contenta di ritrovare quando torni a casa; mi ha regalato tre serate molto affascinanti (erano giorni in cui non avevo molto tempo per leggere). Consigliato a chiunque, soprattutto alle donne dagli undici anni in su.