Il mio blog preferito

domenica 31 ottobre 2021

Che sia un Halloween migliore dell'ultimo. Non importa che sia bellissimo, basta che sia migliore, anche di poco.


Come sarà Halloween quest'anno?
Avremo fantasmi con la mascherina e mani guantate che porgono dolci osservando il distanziamento sociale?
Oppure piccoli vampiri casalinghi tenuti in casa da genitori ansiosi e streghe di malumore che guardano la loro Nimbus 2000 dicendo "meglio in casa"?
O ci saranno scheletri festaioli e zombie in cerca di un posto per ballare?
Di sicuro sarà meno deprimente e impaurito di quello dell'anno scorso e i pasticceri stan lavorando da almeno due settimane.
Auguri a tutti e possano le vostre zucche riempirsi di dolci!
 

sabato 30 ottobre 2021

La decana sono me? - Guida per l'aspirante Bravo Insegnante

La prof. Murasaki, giunta ormai a completa fioritura

Viene uno strano momento, nella vita dell'Aspirante Bravo Insegnante, in cui improvvisamente costui si accorge che la disciplina da tenere in classe non è più un problema. Entra in classe e anche se fino a un attimo prima l'impressione era che stesse per scoppiare una nuova Rivoluzione d'Ottobre, tutti si calmano come per incanto. I ragazzi smettono di urlare, si siedono, tirano fuori il libro e aspettano.
Magari in quella classe succedono cose indicibili, ma mai mentre c'è lui.
Classi note per la loro turbolenza diventano almeno gestibili, classi un po' vivaci si calmano come agnellini.
E cos'ha fatto per produrre sì gran miracolo, l'Aspirante Bravo Insegnante?
Niente, è soltanto entrato, magari dicendo cortesemente "Buongiorno ragazzi" (a volte in lingua straniera, se appunto insegna una lingua straniera).
Non ha urlato, non ha strepitato, non ha minacciato rapporti e sospensioni, è soltanto entrato. 
Le prime volte l'Aspirante Bravo Insegnante si congratula con sé stesso per aver finalmente trovato il modo giusto per rivolgersi alla classe, poi col tempo la cosa si fa del tutto abituale, tanto che finisce per trovarla del tutto ovvia.
Ai consigli di classe i giovani colleghi (e non di rado anche taluni colleghi anziani) criticano la classe perché fan questo e quest'altro e pure quest'altro ancora, e spesso si tratta effettivamente di cose che in una classe non dovrebbero affatto succedere. L'Aspirante Bravo Insegnante, dopo aver tentato una blanda difesa d'ufficio di quella che a lui sembra una classe perfettamente ragionevole, finisce per chetarsi e meditare in cuor suo sullo strano fenomeno. 
Forse la classe ha una speciale preferenza per lui?
Forse solo lui, in tutto il Consiglio, è riuscito a toccare le giuste corde del cuore di quei  giovinetti invero un po' vivaci?
Forse si tratta di una di quelle strane alchimie che nascono principalmente da una gran fortuna, di quelle che cominciano con la lettera c?
Forse la sua materia è l'unica in grado di interessare e tenere buona quell'orda di belve scatenate che i colleghi descrivono con sì accorati accenti?

Tutti questi fattori possono naturalmente concorrere. Ma la spiegazione più probabile è che l'Aspirante Bravo Insegnante sia diventato, non certo da un giorno all'altro, un Insegnante Decano. E tra le prime caratteristiche dell'Insegnante Decano c'è appunto quella di "saper tenere la classe" senza far niente di particolare a parte il fatto di esistere.
Naturalmente ogni classe può essere "tenuta" nel migliore dei modi se è lei a deciderlo, e ci sono classi di animo gentile che lo decidono molto, molto spesso. Incontrarne qualcuna nei primi anni di insegnamento può cambiare la vita di un insegnante, e fermare nell'insegnamento persone che avevano accettato quel lavoro solo come toppa temporanea in un particolare momento di magra.
E ci sono insegnanti simpatici che sin dall'inizio riescono a fascinare gli alunni con il loro entusiasmo da novizi e col loro calore umano. Sono tanti i supplenti alle prime armi che hanno cambiato la vita e le prospettive di certi loro allievi grazie a un tocco magico che non sempre sapranno conservare con gli anni. Ma con i novellini è la classe che sceglie se farsi tenere o no.
Con i Decani, la cosa viene da sé. Si lasciano tenere perché non riuscirebbero a fare diversamente. Si crea una misteriosa corrente che tiene i ragazzi a bada.
I Decani dispongono esattamente degli stessi strumenti che hanno i colleghi più giovani per tenere i ragazzi in riga: richiami verbali e richiami scritti. Sì, è vero che i giovani insegnanti hanno spesso un po' di remore a usare gli uni o gli altri, ma usarli non fa la differenza - e il Decano, tra l'altro, abbastanza raramente ricorre agli uni o agli altri. E nemmeno è vero che i colleghi sono disposti a fregarsene del fatto che il nuovo arrivato viene trattato come un cencio per pulire il pavimento, mentre probabilmente è vero che un po' di decisione da parte di certi Dirigenti Scolastici potrebbe troncare certe deplorevoli abitudini in certi allievi particolarmente amanti dell'odore del sangue. Ma sono comunque questioni complesse e trovare risposte o rimedi è davvero difficile.

Indubbiamente esiste qualche Decano borioso che boriosamente osserva "Ma com'è che queste nuove leve non riescono a farsi rispettare?" con tono di repellente superiorità - denotando tra l'altro una scarsità di memoria che non è nel suo stesso interesse evidenziare; del resto gente così esiste in tutte le professioni, e gli alunni non sono i soli ad amare l'odore del sangue. Ma è indubbio che la gran parte dei Decani, se avesse un buon consiglio da dare al poverello di turno, di tutto cuore lo darebbe e glielo ricamerebbe pure a punto croce. E qualche volta ci provano pure, a darlo, ma i risultati sono scarsi.
Non è, questo, un sapere che si possa trasmettere, e ognuno deve arrivarci per la sua strada - mentre è vero che qualche fortunato impara in fretta ed esistono perfino rari casi di Eletti che non hanno quasi nulla da imparare in merito e a questo felice stadio della loro carriera arrivano in gran fretta; ma sono rari.

Comunque sia, viene un momento in cui le classi sono quasi sempre tutte gestibili, i colleghi si rivolgono a te per avere consigli sulle più strane questioni e quel che dici al Consiglio di Classe o perfino nelle commissioni viene considerato come fosse oro appena colato.
In quel momento ti accorgi che sei diventato un Decano della scuola (il che non significa affatto, per ovvi motivi, che le grane siano finite o che d'ora in poi tutto sarà in discesa). 
A questo curioso stadio della mia esistenza sono arrivata quando sono rientrata a scuola dopo la malattia, anche se ci ho messo un buon tre anni per accorgermene e ho realizzato completamente la cosa solo quando mi hanno spiegato che "con me la Seconda Capricciosa sta buona" (che poi, buona un cavolo. Diciamo che riesco a fare qualcosa di vagamente simile a una lezione).  E sono ancora qui a cercare di capire com'è successo.
Quando lo capirò, naturalmente, non mancherò di raccontarlo sul blog.

venerdì 29 ottobre 2021

Il fantasma di Canterville - Oscar Wilde

 

Quest'anno alla scuola media di St. Mary Mead siamo stati molto coscienziosi nel prepararci per Halloween con la mia Prima: Spagnolo ha dissertato a lungo sul Dia de Los Muertos facendo colorare in collaborazione con Arte molti teschi, Inglese ha preparato tre tabelloni arancioni con scritte e disegni, Religione ha evocato le varie feste che in questa festa sono confluite e io ho fatto vedere Nightmare Before Christmas dopo aver appurato che, come al solito, solo due l'avevano visto "molti anni fa". 
Molto di più mi ha sorpreso scoprire che assolutamente nessuno conosceva Il fantasma di Canterville,  racconto vittoriano pubblicato nel 1887 che ha bucato le generazioni e oggi fa gran mostra di sé in innumerevoli pubblicazioni per ragazzi, contando perfino un adattamento nell'infinita serie di Geronimo Stilton (dopo averne avuto anche uno nella Disney, naturalmente) e che le nuove generazioni ormai approcciano sin dalle elementari. Ma d'altra parte veniamo da diciotto mesi di pandemia: anche le maestre fanno quel che possono e per i miracoli non sono ancora attrezzate.

Comunque sia, in qualità di insegnante di Lettere non potevo restare insensibile al richiamo del dovere e ho prontamente allestito una lettura in classe - nel senso che io leggevo con la mia voce più modulata ed espressiva e loro seguivano chi sul tablet e chi sul kindle di turno (molte famiglie ne hanno uno). Per i pochissimi che non disponevano né di kindle né di tablet ha provveduto la scuola con le fotocopie.
Trovare un Fantasma in rete senza violare i diritti d'autore è semplicissimo: oltre all'edizione di Liberliber, che contiene la prima traduzione italiana, ce n'è anche una che mantiene i nomi in inglese. Personalmente ho scelto la prima, anche se ho ritoccato la punteggiatura all'uso moderno e rimesso i nomi in inglese.
E niente analisi critiche o esercizi o dibattiti, semplicemente una bella storia da ascoltare seduti intorno al caminetto.

La trama è delle più note - quasi banale, se vogliamo, anche se scritta molto bene: una ricca famiglia americana compra un assai pittoresco castello inglese con tanto di fantasma incluso. All'esistenza dei fantasmi la famiglia in realtà non crede, ma ben presto è costretta a rivedere le sue opinioni in proposito. Però, di spaventarsi davanti al fantasma non se ne parla nemmeno: con un aplomb tipicamente inglese e quella gentilezza, un po' grossier ma costruttiva, che gli inglesi all'epoca attribuivano agli yankee, tutti si rapportano col fantasma senza farsi problemi: e chi offre digestivi quando il fantasma ulula, chi propone lubrificanti efficientissimi quando costui va in giro strascicando le sue catene rugginose eccetera, in una serie di gag assai celebri. Tutti, tranne i due giovanissimi gemelli, che al contrario non sono gentili né grossier, bensì molto perfidi. Costoro fanno del povero fantasma l'oggetto di quel tipo di scherzi feroci che oggi vengono classificati senz'altro come "bullismo", nonostante i genitori cerchino con blandi rimproveri di convincerli a relazionarsi con rispetto a quello che, dopotutto, è un abitante del castello a pieno titolo ormai da molte generazioni. In ogni caso, nessuno degli yankee ha la minima paura del fantasma, e anche la persona all'apparenza più impressionabile, ovvero la giovinetta di casa, sarà poi quella che avrà meno paura di tutti.

Il povero fantasma, pesto e maltrattato, si riduce a vivacchiare in modo molto infelice cercando di scansare le insidie dei ragazzini (senza mai riuscirci). Ma proprio dalla terribile famiglia americana arriverà un aiuto che permetterà al fantasma di dare una svolta decisiva in positivo alla sua, diciamo esistenza - perché parlare di vita per un fantasma sembra piuttosto fuor di luogo.
Sarà infatti proprio la giovinetta che, nonostante sia l'unica che dal fantasma ha subito dei danni (un reiterato furto di colori da pittura), si rivolgerà a lui con dolcezza e cortesia e lo redimerà: perché l'amore è più forte della morte, e proprio nel capitolo dove il fantasma e la fanciulla parlano il racconto ruota improvvisamente e diventa, appunto, una storia di redenzione di una bellezza struggente dopo essere stato un racconto assai brioso (e prima di tornare ad esserlo, nel finale).
Quasi banale, ho detto. Ma non quando fu scritto: Il fantasma di Canterville ha tracciato il canone di buona parte delle storie successive di fantasmi, ne ha fatto un genere di letteratura adatto anche ai bambini e ha instillato in tutte le generazioni che hanno preceduto Harry Potter il canone classico del fantasma che gira col lenzuolo e le catene, ululando e gemendo in attesa di una possibile redenzione in rasserenanti storie di solito a lieto fine; e anche le gag sul lubrificante, lo smacchiatore e il digestivo sono filtrate nell'immaginario comune fino a diventare a tutti gli effetti dei topi culturali, arrivando fino alla pubblicità degli sbiancanti per bucato:


Inoltre è un racconto scritto davvero bene, con un ritmo perfetto e la lunghezza esatta che deve avere, né un rigo in più né una parola di meno. E' sempre un piacere rileggerlo, ma leggerlo ad alta voce in classe a una platea attenta è ancora meglio. 
Anche se, come ho spiegato sopra, trovare una platea di undicenni che non conosce Il fantasma di Canterville è cosa possibile solo grazie ad un raro concorso di circostanze non sempre tra le più fortunate.

Con questo post partecipo in autonomia al Venerdì del libro di Homemademamma (che questa settimana non c'è) e auguro a chiunque passa da queste parti buone letture e una grossa zucca piena di dolcetti da sbocconcellare tra una lettura e l'altra.

martedì 26 ottobre 2021

Non v'è cosa che dia più tormento / del ricomincio del ricevimento

Come ad ogni autunno, ecco che ritorna la stagione del ricevimento - un Orrido Evento che non si sa se è guardato con maggior spavento dai genitori o dagli insegnanti da quando si svolge on line.
Quest'anno, devo dire a mio grandissimo disonore, l'ho approcciato con una certa serenità: dopotutto la Classroom del Ricevimento (con immancabile banner che evoca un salottino decorato da gatti) l'avevo già preparata l'anno prima, e ormai mi consideravo esperta in materia.
E così molto per tempo ho aperto apposita scheda sul registro Argo, mostrando benevolmente ai nuovi colleghi come fare altrettanto, e invitato la mia nuova classe e predisposto tutto, da brava veterana. E con incosciente ottimismo mi sono approcciata stasera alla piattaforma dove mi aspettavano tre colloqui: il primo con un caso piuttosto critico della mia nuova prima, al quale avevo riservato ben venti minuti, gli altri due per due bravi alunni della Terza.
E all'ora stabilita entro serenamente nella Classroom a gattini e aspetto. Ma non arriva nessuno.
In un lampo di ispirazione vado a controllare se tutti gli inviti sono stati ricevuti e no, il Caso Critico non aveva accettato l'invito, vai a sapere perché.
Allora prendo in mano il telefono e chiamo la madre. Che mi spiega che non ha ricevuto alcun invito e di conseguenza non riesce a entrare nella Classroom a gattini.
Pasticciamo un po', poi lei mi suggerisce di invitarla in un evento a parte. Ma nell'evento a parte lei non riesce a entrare perché le dicono che sta già partecipando a un incontro. Pasticciamo un altro po' e alfine la madre arriva, con un buon contatto e una immagine decisamente ballerina.Ma insomma parliamo.
E poi torno a controllare e scopro che nel frattempo, non si sa come, si è iscritta nella Classroom. Misteri della rete.
A questo punto aspetto il secondo colloquio, ma chissà perché non arriva nessuno. Finché mi accorgo, con orrore, di essere rimasta nell'Evento a Parte, mentre i genitori del secondo colloquio mi aspettavano nella Classroom circondati da gattini.
Per fortuna ci ho una tale sviolinata da fargli, sul loro pregiatissimo figlio, che alla fine del ritardo non gliene può fregar di meno.
Il terzo colloquio, molto banalmente, si svolge nella Classroom con i gattini e tutti arriviamo puntuali e sorridenti per poi scambiare due chiacchiere amichevoli sull'alunna di turno - una cara e brava ragazza che non ha mai creato problemi e giustamente non ne crea nemmeno ai colloqui in rete ai quali non partecipa.
Infine chiudo, ormai stremata.

Siamo solo al primo ricevimento, ce ne sono altri trenta in arrivo.
Non ce la posso fare.
(Murasaki piange accasciata sul divano del salotto a gattini della Classroom).

domenica 24 ottobre 2021

Una classe da incubo, un incubo di classe

(fonte: facebook.com/morireconnoncuranza/photos/a.346047412644707/840990973150346)
 
Cerchiamo di capire: di chi è stata la colpa se la Prima Pucciosa, piena di cari ragazzini con gli occhi stellati e il sorriso amichevole, tutti pronti e diligenti, si è trasformata in una Prima Capricciosa e poi in una Prima Insopportabile? Eravamo partiti assai Soddisfatti&Compiaciuti: le altre due Prime infatti erano oggetto di continue lamentele da parte dei loro insegnanti, ma la Prima Pucciosa era brava ed obbediente, faceva sempre i compiti...
Sì, le ragazzine chiacchieravano (anche i ragazzini, per la verità, e spesso proprio con le ragazzine. Ma a St. Mary Mead per le ragazzine è più grave chiacchierare, mai capito perché).
Sì, ogni tanto era saltato fuori qualcosa. Un giorno, durante l'intervallo, le ragazzine avevano deciso di chiacchierare anche con me, spiegandomi che Stilicone e Genserico avevano preso di mira Gontrano, e quando li avevo rampognati i due mi hanno spiegato che Gontrano "non diceva che gli dispiaceva" e dunque loro si sentivano autorizzati a continuare a usarlo come punch-ball. 
E io li avevo ben cardati perché, scusate, cosa poteva dire Gontrano? Dovevano essere loro a capire quando lo "scherzo" diventava troppo pesante e a darsi una regolata. E comunque eravamo a scuola e non in un campo di libero addestramento e spintonare i compagni non stava bene. 
Così Stilicone aveva abbassato le orecchie e detto che gli dispiaceva, che non si era reso conto eccetera (mentre Gontrano taceva, avvolto in un pudico silenzio e una nuvola di malumore sì come suole fare).
Poi era arrivato Radagaiso, sotto Natale, piovuto dal niente perché i genitori si erano separati. Non benissimo, pareva di capire, perché altrimenti Radagaiso avrebbe continuato a fare scuola dove la faceva prima, a Firenze - e invero le chiacchiere di paese ci avevano confermato che sì, in effetti la separazione dei genitori di Radagaiso non era stata proprio il massimo del politically correct.
Radagaiso era silenzioso, impenetrabile e con l'aria molto compressa. Passava le mattinate a tormentare povere gomme innocenti riducendole in minutissimi frammenti e seminava intorno al suo banco una quantità immane di spazzatura di vario genere; e siccome passava molto del suo tempo anche a tirare palline di carta ai compagni il resto della classe era parimenti pieno di spazzatura - e del resto, siamo onesti, i ragazzini con gli occhi stellati avevano un tasso di cialtronaggine e di disordine davvero notevole e dopo la colazione mucchi di briciole, incarti di tutti i tipi e una quantità incredibile di frammenti di patatine tappezzavano il pavimento, per tacere delle inondazioni di bianchetto e acqua che si verificavano con sconcertante regolarità. 
Comunque, anche in mezzo a quella discarica, il banco di Radagaiso spiccava per la quantità di detriti che lo ricoprivano e circondavano. 
Radagaiso comunque era troppo occupato a seminare detriti per partecipare alla lezione. Si aggiunga che mostrava chiaramente i segni di una di quelle dislessie che non le salta un cavallo. Convocata a tal proposito la madre, costei ci aveva intortato con una storia senza capo né coda sul fatto che alle elementari avevano segnalato qualcosa del genere, e Radagaiso era stato mandato in centro apposito dove poi l'avevano dichiarato "guarito" - il che, considerando certi segnali, era chiaramente una balla, e del resto le solite chiacchiere di paese sostenevano appunto che la madre in questione avesse un rapporto abbastanza creativo con la realtà.
Radagaiso non studiava perché ne era impedito da una dislessia che non sapeva gestire (stante che nessuno aveva provato a spiegargli come gestirla) e dunque era scoraggiato, o semplicemente non aveva voglia di fare alcunché perché gli stava fatica? La questione è ancora aperta ma se non altro una diagnosi siamo riusciti a strapparla. Si tratta però di lavorare su un terreno assai disseminato di rovi perché al momento Radagaiso non collabora.
Con i compagni comunque Radagaiso chiacchierava, dopo il primo mese di silenzio. E questo di per sé era un segnale molto positivo, e lo sarebbe stato ancor di più se Radagaiso non avesse scelto di collegarsi strettamente al gruppo dei parabulli.
Ma quale gruppo di parabulli, se la classe era tutta piena di bravi ragazzini studiosi e solo un piccolo e trascurabile episodio subito rientrato (quello di Gontrano) aveva turbato con una lieve increspatura...
Lieve increspatura una sega, lì ci sono dei bei problemi interni, di quelli che un elicottero a serbatoio pieno fatica a sorvolare.
Col tempo abbiamo scoperto (una madre alla fine ci ha raccontato che, stante che nessuno di noi insegnanti era riuscito a capirlo da solo) il novello uso che si era stabilito nella classe: il gruppetto formato da Stilicone, Genserico, Radagaiso e Flavio Onorio, a scadenze regolari, sceglieva una vittima che poi meleggiava alla grande ricoprendola di improperi & insulti, vuoi in classe vuoi nelle infernali chat dei vari social. La povera vittima, sommersa da tanto biasimo, faticava assai a districarsi.
C'era anche il problema di Flavio Onorio: costui è un ragazzo apparentemente traviato dalle Cattive Compagnie. Poi si scopre che le Cattive Compagnie se le va a cercare col lanternino e ama molto essere vessato da loro e fare una gran quantità di cose assai colpevoli che senza l'incitamento delle Cattive Compagnie non farebbe (oppure: non avrebbe il coraggio di fare).  Dopo averlo scambiato per vari mesi per una Vittima ci siamo arresi al fatto che sì, sarà anche una vittima, ma è veramente difficile capire se sono gli altri che vessano e sfruttano lui o se è lui che strumentalizza le Cattive Compagnie per avere un pretesto per tormentarsi meglio. In tutti i casi è un ragazzo molto triste e pure incline alla depressione, e del fatto che in teoria a scuola si venga anche per seguire un corso di studi sembra del tutto inconsapevole, perso com'è in una spirale talmente negativa che l'Antimateria va da lui a farsi dare lezioni di Inghiottimento.

Allora forse è stata colpa del Supplente Maleducato? Così giovane e inesperto, oltre che maleducato, ha maltrattato la classe e così...
E così un accidente, il Supplente si è mostrato assai scortese con la Prima Capricciosa appunto perché la Prima Capricciosa si è rivelata ingestibile, più o meno come la Terza Invasata. 
A tutti noi il Supplente Maleducato è rimasto assai molto sul gozzo e siamo stati davvero felici di vederlo sparire all'orizzonte a fine anno ed eravamo molto preoccupati di un suo possibile ritorno. Ma invece no, è arrivato un bravo ragazzo, molto rispettabile e che non parla mai del suo cazzo e di come facilmente esso si rompe, ma con lui la classe continua a fare una gran confusione. Il problema è che costui è un supplente e non un domatore di leoni - e non essere un domatore di leoni là dentro crea diversi problemi ai docenti.
Io invece sono una bravissima domatrice di leoni, mi assicurano i colleghi. Perché con me la classe sta buona. Talmente buona che l'ultima volta qualcuno ha svitato il rubinetto a un termosifone allagando la classe e dando la colpa al compagno seduto davanti (che è stato assolto senza difficoltà dato che non ha braccia estensibili fino a due metri, a quanto ci risulta).
A quanto sembra siamo in due che riusciamo a far lezione là dentro: io e la prof. Therral. Che poi "lezione": andiamoci piano con certi termini. Diciamo che riesco ad ammanirgli dei piccoli sunti di Storia e Geografia. Bigini, più che lezioni,  di una noia talmente abissale, che farebbero venire il latte alle ginocchia a un torello in tempo di monta.  Mai fatto delle lezioni così indicibilmente scialbe e noiose (e spero proprio di non rifarle mai più). Nemmeno nella Seconda Invasata ho mai lavorato a un livello così patetico.
Ma non è facile condurre una lezione mentre volano fette di salame. Ecco il mio ultimo rapporto: 
Durante la quarta ora l'alunno è stato spostato vicino alla cattedra del docente allo scopo di arginare un volo di fette di salame che proveniva dall'angolo del suo posto. Il volo di fette di salame è in effetti cessato anche se non sussiste prova che i due avvenimenti siano collegati tra loro dal rapporto causa-effetto.
Perché io sono brava e garantista, e non ho visto Flavio Onorio mentre tirava fette di salame. Ho solo cercato di provvedere in modo da poter continuare la mia soporifera lezione. Certo, dopo che il volo si è fermato, il sospetto che Flavio Onorio non fosse del tutto estraneo al lancio delle fette di salame in qualche modo insorge anche nel mio animo fiducioso e garantista, ecco.

Allora forse la colpa è dei genitori?
In effetti i genitori di quei ragazzi sono entità davvero interessanti. E si odiano, come solo nelle scuole di paese è possibile odiarsi. Antiche faide riecheggiano nelle loro parole, perfino in quelle di genitori sbarcati in Italia pochi anni fa: perché St. Mary Mead non è un paese razzista, anzi è molto inclusivo e gli stranieri han diritto a infilarsi nelle faide plurigenerazionali come chiunque altro.
Ognuno di questi genitori è convinto di aver generato l'Arcangiol Gabbriello in persona, e peccato che in quella classe ci sia tanto bullismo, ma senz'altro è colpa dei genitori (dei genitori degli altri, si capisce). 
Chiami un genitore (ma ormai da tempo siamo arrivati a chiamarli entrambi) perché il figlio ha fatto questo, questo e quest'altro ancora e si mettono a raccontarti le malefatte degli altri genitori -  naturalmente dopo averti spiegato che quel che ha fatto il loro angelico figlio non è nulla di grave perché "tra ragazzi usa":  per esempio bere dalla borraccia e sputare addosso al compagno al momento dell'uscita. Del resto, è successo quando ormai erano fuori della scuola, quindi non è cosa che ci riguardi. In tempo di pandemia, tra l'altro.

Avevamo chiuso l'anno scolastico animati da una lieve speranza perché, con l'aiuto di un potente microscopio elettronico avevamo rilevato alcuni lievi e impercettibili miglioramenti. Ma poi l'estate è passata, è arrivato il nuovo anno scolastico e abbiamo scoperto che le cose non erano migliorate, bensì peggiorate di parecchio. L'anno scorso, se non altro, i termosifoni li lasciavano in pace. 

E non sappiamo che pesci pigliare.

venerdì 8 ottobre 2021

Ione - Euripide


Nonostante il titolo, Ione non è un trattato sulla struttura dell'atomo bensì uno dei più screditati drammi di Euripide e nessuno sembra disposto a prenderlo sul serio a parte me.
Chi avesse interesse a documentarsi in merito, infatti, o chi per sua libera scelta ha deciso di seguire un corso di storia della letteratura greca, troverà solo pochi e scarni commenti dedicati a quest'opera, nei quali si mette in rilievo l'insolito intreccio, più adatto a una commedia nuova, di quelle dove c'è sempre un trovatello o una trovatella che inevitabilmente sono riconosciuti da qualche nastro, stemma di famiglia o quant'altro che permette di identificarli alla fine come di libera nascita, di cittadinanza ateniese e spesso anche come discendenti di una nobilissima famiglia - la quale nobilissima famiglia lo stava cercando invano dopo esserne rimasta separata per un deplorevole insieme di circostanze. L'essere di libera nascita (e di cittadinanza ateniese) permette inoltre al non più orfanello di convolare con l'amato bene  a felici nozze, fino a quel momento precluse appunto dal mistero legato alla sua nascita.
Ma mai nessuno che spenda mezza parola sull'aspetto che mi ha colpito sin dalla prima lettura (perché l'ho letto diverse volte ed è uno dei miei drammi preferiti anche se Euripide mi piace un po' tutto).

Non è una tragedia, è un dramma - nel senso che va a finire abbastanza bene. Non si conclude con un matrimonio, ma alla fine della storia ognuno ha ottenuto quel che voleva - Creusa e Xuto un figlio, e Ione una famiglia.
Ma la tragedia c'è stata, diversi anni prima della vicenda rappresentata in teatro, quando il dio Apollo "aveva preteso amore" dalla principessa Creusa. 
E siccome il dio Apollo, com'è noto a chiunque abbia anche solo sfogliato un manuale di mitologia greca, aveva un concetto tutto suo dell'amore che non contemplava minimamente la possibilità che la controparte potesse avere una sua qualche opinione o preferenza, la cosa è finita con uno stupro in una grotta, come Creusa ricorda con amarezza quando anni dopo si ritrova nel tempio di Apollo.
Dopo lo stupro venne poi la gravidanza (com'è noto gli dei sono fertili, molto fertili). Creusa la tenne nascosta a tutti, non disse niente nemmeno a sua madre e partorì da sola, una notte, in quella stessa grotta - altra esperienza che ricorda con comprensibile angoscia.
E dopo mise il figlio in una cesta (con gli usuali contrassegni di cui sopra) e lo abbandonò nel bosco perché le fiere lo divorassero, o perché Apollo lo salvasse - ma quest'ultima possibilità non la vedeva molto probabile.
Invece Apollo, che dopo lo stupro non si era più fatto vedere né sentire, salvò il bambino, facendolo portare in zona Delfi da Hermes e poi facendolo trovare da una sua sacerdotessa che lo adottò e gli diede il nome di Ione (che alla fine, ammettiamolo, è sempre meglio di Protone o Neutrino, e anche di Xuto).

Il piccolo Ione all'epoca della storia è un fanciullo cresciuto nella dimora di Apollo, che lavora al tempio e considera quel tempio la sua casa. Del resto, non ne ha mai avute altre, e da bravo orfanello è molto riconoscente verso chi l'ha adottato.
Proprio a quel tempio, anni dopo, Creusa e suo marito Xuto, re di Atene, che dell'involontaria maternità della moglie non sa niente di niente, approdano per chiedere ad Apollo se potranno mai avere un figlio.
Naturalmente Apollo dà un responso che crea a tutti una gran serie di equivoci, difficoltà e incomodi - notoriamente i responsi del Lossia sono un disastro sempre e comunque e fan più danni della grandine -  tuttavia alla fine le cose si sistemano: madre e figlio si ritrovano e si riconoscono, mentre Xuto rimane convinto che Ione sia suo figlio, avuto da un suo trascorso prematrimoniale (di cui non ha nemmeno chiaro quando e come e con chi) e gli lascerà quindi il trono di Atene.
Il prologo viene recitato da Hermes, l'epilogo da Atena (in qualità di nume tutelare della città di Atene).
Apollo non compare mai in scena, e fa benissimo.

Nessuno, per quanto ne so, si è mai soffermato sulla vera particolarità di quest'opera: è l'unica narrazione, in tutta la letteratura classica, di uno stupro visto dalla parte della vittima.
Per la cultura greca e romana, par di capire, lo stupro è una pratica amatoria come tante altre, e giammai autore alcuno mi risulta essersi soffermato sul fatto che tale pratica possa eventualmente lasciare qualche strascico emotivo alla persona che l'ha subito - chessò, un senso di sopraffazione, una punta di amarezza, qualche traccia di rancore o vergogna, insomma una qualsiavoglia impressione negativa.
Euripide, a quel che sembra, qualche sospetto in merito invece l'ha avuto. 
Del resto Euripide è un autore molto particolare e sul tema della prepotenza e della sopraffazione davvero non c'è chi possa reggere il confronto. Tre delle sue tragedie che il Gran Canone Alessandrino ha ritenuto opportuno conservarci sono dedicate per intero a "le donne schiave dopo la caduta di Troia" e il tema del letto forzato cui le donne si ritrovano costrette è sviolinato per lungo e per largo, per tacere della magnifica tirata che Cassandra fa a sua madre quando la portano da Agamennone (e lei sa benissimo come andrà a finire) dove le spiega che quel suo matrimonio forzato è degno di grandi festeggiamenti e i troiani, che hanno perso, sono assai più fortunati dei greci che hanno vinto - con argomenti all'apparenza folli, ma che filano perfettamente e devono aver lasciato un profondo senso di inquietudine agli ateniesi che assistevano allo spettacolo.
Molti dei personaggi femminili di Euripide, in vari e numerosi drammi, si soffermano spesso sull'ingiusta condizione in cui sono tenute le donne - il passo più famoso è il monologo con cui Medea si presenta al pubblico, ma ce ne sono molti altri - e non uno solo sembra fuor di luogo e campato in aria, letto da occhi moderni. 
Eppure, ho scoperto con grande sorpresa, Euripide era spesso criticato per la sua misoginia dai contemporanei; e davvero, pensare che nella Atene dell'età classica che chiunque fosse passibile di misoginia lascia sbalorditi, considerando che si tratta di un sistema sociale dove la posizione delle donne era di poco migliore di quella delle donne afghane sotto il regime talebano.

Nello Ione  non c'è un racconto dello stupro, naturalmente, e nemmeno una descrizione dettagliata del parto. Eppure i pochi accenni di Creusa mi hanno sempre fatto venire i brividi, e la scena dove nella notte la ragazza madre abbandona a morte praticamente sicura* nella notte il bambino che piange ha qualcosa che buca i secoli. Leggendoli affiorano spontanee alla memoria  tutte quelle storie (alcune anche molto recenti) di donne che partoriscono di nascosto e abbandonano il bambino sulla porta della chiesa o della caserma del paese quando va bene, nel cassonetto della spazzatura quando va molto, molto male, e dalla pagina sale tutto il carico di paura e di orrore che c'è dietro a ognuna di quelle storie, molto meglio che in qualsiasi romanzo verista - e senza in realtà raccontare quasi niente. Tutto quel carico di violenza, sopraffazione e dolore cascato addosso alla povera Creusa, che non aveva fatto assolutamente nulla per procurarselo spezza davvero il cuore. O almeno, ha molto addolorato il mio, ma a quanto pare sono stata l'unica a notarlo.
Vai a capire.

Con questo post alquanto pensieroso partecipo di soppiatto al Venerdì del Libro di Homedemamma e auguro buone letture a chiunque passi da queste parti.

* anche se nella letteratura classica abbandonare un bambino nel bosco in mezzo agli animali selvatici è di gran lunga il modo più sicuro per garantirgli una vita lunga, prospera e ricca di eventi interessanti in barba a qualsiasi tasso di mortalità infantile. Ma Creusa non sapeva di essere un personaggio della letteratura classica, e dunque era convinta di lasciare il bambino a morire di fame e di disperazione o in pasto alle fiere.

domenica 3 ottobre 2021

La Prima Sfigata

La nostra Prima versione DADA,  così come l'aveva prevista Antoni Kozakiewicz in questo quadro del  1885. Il cane e il fuoco acceso sono però elementi aggiunti dalla fantasia del pittore e di fatti in classe non ci sono. L'aspetto di accampamento di fortuna però è proprio quello.

Quando le maestre delle elementari ci hanno descritto la mia futura prima sembrava parlassero della Corte dei Miracoli: dislessici che così dislessici non se ne erano mai visti, BES di ogni genere, tipo, forma e qualità, problemi sociali, culturali, fisici e caratteriali, genitori uno più suonato dell'altro.
A tanta catastrofica descrizione il buon Coronavirus ha prontamente deciso di adattarsi, infliggendo alla povera Prima Sfigata la prima quarantena dell'anno.

Anche la scuola ha deciso di fornire i poveretti di un ulteriore carico di sfiga:
grazie alla nuova e innovativissima Didattica DADA infatti (o, forse, più semplicemente, a causa di un piccolo errore nella richiesta delle forniture) ci siamo ritrovati con meno banchi del necessario.
E allora è stato deciso di allestire una delle aule con gli ormai mitici banchi a rotelle.
Quale aula?
Ma la Prima Sfigata, ovviamente.
Ma siccome la Didattica DADA al momento non la facciamo, i banchi a rotelle erano inutilizzabili e occorreva rassegnarsi a tirar fuori qualcosa di almeno vagamente simile a dei banchi.
"Qualcosa di almeno vagamente simile", di fatto, è la definizione più caritatevole che mi è venuta in mente vedendo il risultato: in quella sventurata classe c'è una collezione di resti, relitti e reliquie da far invidia a una discarica dell'ente locale per la raccolta rifiuti.
Alla fine della mattinata di Venerdì, dopo aver fatto le ultime due ore, ho contato non meno di sei diverse tipologie di bancame - ognuna delle quali, da nuova, aveva i suoi pregi e i suoi difetti ma almeno non presentava buchi e bordi slabbrati - e tre tipi diversi di sedie, che si contraddistinguevano soprattutto per differenza di misure. Alcune delle sedie però sono praticamente nuove e farebbero rispettabile comparsa in una rispettabile classe allestita a dovere.
Che dire? I banchi a rotelle se non altro erano tutti uguali e anche nuovi di pacca, e fornivano un insieme decisamente più decoroso nonostante il loro demenziale colore arancio psichedelico. In effetti in cuor mio quasi li rimpiango.

Dopo aver guardato con attenzione tutto ciò mi sono detta che, magari, in attesa dei banchi nuovi - il cui arrivo va spostandosi sempre più avanti nel tempo, anche perché al momento nessuno li ha ancora ordinati - si poteva far qualcosa per rendere l'insieme meno caotico, e così mi sono messa a spostare i banchi riordinandoli per misure e tipologie rendendo l'insieme non meno vario ma un po' più armonico - e le file di posti, se non altro, adesso sono orizzontali e meglio distanziate.
Vedremo se domattina i ragazzi noteranno qualche miglioramento.

Ma non basta: non contenti di aver trasformato la Prima Sfigata in una discarica, l'hanno anche dotata di stranissime tende di un verde molto scuro che vira decisamente al marrone e che non si riesce a capire come a qualcuno sia venuto in mente di infilare in una classe, laddove sarebbero invece adattissime in una cappella mortuaria.
Che tende servirebbero in una scuola? 
Ovviamente tende chiare e leggere, che fermino il sole ma non la luce, e che facciano passare l'aria.
E una seconda tenda più scura può rivelarsi utile al momento di guardare film o video alla LIM in una giornata particolarmente soleggiata.
Quelle tende invece bloccano risolutamente ogni raggio di sole ma anche ogni scintilla di luce, ed essendo di un tessuto assai spesso il sole che picchia sul tessuto scuro riverbera alla grande, trasformando l'aula in una sauna in men che non si dica. In compenso, una volta che le abbiamo chiuse è inevitabile accendere la luce elettrica perché non si vede più una mazza.

Tende a parte, che dire della Prima Sfigata?
Non so, alla fine della terza settimana di scuola la conosco ancora poco, anche perché per una settimana li ho avuti a distanza, e il perfido meccanismo dei tamponi ha tenuto alcuni a casa anche la settimana scorsa. Quindi non mi attento ancora  a dare valutazioni. 
Ma, se proprio dovessi darne, direi che non mi sembra poi tanto diversa da tante altre prime che ho avuto e che poi han fatto assai onestamente il loro miglio; e  anche che per il momento sembra contraddistinguersi soprattutto per una notevole pazienza nonché per un certo qual stoicismo, dato che sopporta e tira avanti. 
Del resto, agli sfigati conviene aver pazienza.

venerdì 1 ottobre 2021

Il mio migliore amico è fascista - Takoua ben Mohamed


Per una serie di circostanze casuali sono finita a una presentazione di questo libro, al seguito di un'amica. Non avevo mai sentito nominare l'autrice, in quel momento ero piuttosto disinteressata ai problemi di integrazione degli stranieri in Italia e i miei pensieri erano rivolti soprattutto alla gustosa cenetta che mi aspettava una volta finita la mia marchetta di accompagnamento.
L'autrice comunque è una bella ragazza vivace e parla molto bene in pubblico. Sta di fatto che poco dopo ho preso il volume a una ragazzina che stava seduta (con doveroso distanziamento) nella sala piena quanto lo consentivano le leggi spartane di questo disgraziato periodo e gli ho dato una scorsa, non senza notare per prima cosa che l'editore era Rizzoli, ovvero un Grande Editore, e che la fanciulla che l'aveva disegnato e scritto era alla sua quarta pubblicazione e tanto fanciulla ormai non era più, avendo ormai trent'anni.
Via via che la ragazza parlava e che sbirciavo le tavole nel mio cuore di bibliotecaria si è fatta strada una certezza: dovevo procurarmi subito quel libro. All'istante e senza indugio.
Così ho guardato il sacchetto dei Fondi Neri, ovvero quei soldi in più che talvolta i genitori facevano scivolare nell'incasso della Mostra del Libro dicendo con un bel sorriso "Tenga pure il resto, tanto sono soldi per la biblioteca, giusto?". E io assentivo e mettevo in una scatolina a parte, usandoli per acquistare qualche libro usato che incrociavo ai mercatini delle varie sagre della ranocchia fritta o del cinghiale arrosto. Ahimé, dall'ultima Mostra del Libro sono passati ormai quasi tre anni, ma in compenso è stato un periodo in cui le sagre di paese si sono fatte abbastanza desiderare e insomma mi restavano giusto sedici euro e mezzo, che comunque la scuola mi avrebbe restituito. E dunque sono scivolata giù nella libreria, ho acquistato il libro e me lo sono pure fatto firmare con tanto di disegnino decorativo e di saluti agli alunni della media di St. Mary Mead.
Per una scuola media questo libro è assolutamente perfetto (anche se può funzionare bene anche per l'ultimo biennio delle elementari e almeno per il primo delle superiori), ma per un insegnante a caccia di spunti per Educazione Civica è praticamente una miniera d'oro.
C'è assolutamente tutto, e il fatto che questo "tutto" sia ricavato da una storia vera (e invero assai credibile) rende la miniera ancora più redditizia.

L'autrice racconta il suo primo anno alle superiori - un anno molto delicato per tutti gli adolescenti. Ma, oltre che adolescente, lei è immigrata e tunisina, e giusto per complicarsi un po' la vita ha deciso di portare il velo - non per imposizione della famiglia, ma perché le va.
"Non sono riuscita a capire il tuo rapporto con il velo" ha ammesso una delle insegnanti che presentava il libro, centrando senza saperlo il nucleo della questione: per tutto il libro la protagonista si ritrova circondata di adulti che vedono in lei una tunisina, una immigrata, una potenziale terrorista, una fanciulla oppressa dalla cultura maschilista e retrograda dei paesi arabi, una studentessa scontrosa e malmostosa, ma sempre dimenticando di avere a che fare prima di tutto con una adolescente a caccia di identità - come ogni bravo adolescente che si rispetti.
Perché una donna sana di mente dovrebbe portare il velo, se non perché costretta da una famiglia oppressiva o da imam rompiscatole e invadenti?
E perché un adolescente sano di mente dovrebbe starsene col berretto in classe, pur sapendo benissimo che la maggior parte dei professori dà in escandescenze e considera il berretto in classe una inqualificabile mancanza di rispetto?
Pur non dando in alcuna escandescenza, perché un alunno col berretto in classe per me è solo un alunno che gli va di portare il berretto in classe e allora se lo porti pure e buon pro gli faccia, anch'io mi sono posta questa domanda. 
La mia risposta è stata "Perché gli va". Sarà un segno di riconoscimento, sarà un modo per distinguersi, sarà una coperta di Linus, sarà quel che gli pare.
Per una tunisina immagino possa anche avere un aspetto da madaleinette - un modo per ricordare il suo paese. Chissà. Forse. In fondo, è solo un pezzo di stoffa, e a un pezzo di stoffa ci puoi attaccare quello che ti pare. E, ancora più in fondo, la cosa dovrebbe riguardare solo lei. Gli oggetti, i simboli e le appartenenze sono robe strane di per sé, ma a quell'età diventano una palude inconoscibile agli occhi stessi di chi si impaluda. Si sceglie qualcosa per vedere come ci sta, per vedere di nascosto l'effetto che fa, per distinguerci, per confonderci nel mucchio, per il piacere di scartarlo una settimana dopo, perché tutti ci dicono che non va bene e non è adatto a noi e per almeno altri duecento motivi, talvolta incomprensibili prima di tutto a noi (e tra i quali il piacere del gioco occupa un ruolo non del tutto irrilevante, secondo me).
E di fatto anche l'amico fascista che dà il titolo al libro si è scelto il ruolo di fascista per motivi che con i sistemi politici del secolo scorso hanno ben poco a che vedere.

In meno di 300 tavole - perché si tratta di una graphic novel, di quelle disegnate con uno stile dall'apparenza assai semplice e che scorrono velocissime alla lettura - c'è posto per la questione del velo e del terrorismo islamico, per tutti gli stereotipi che i poveri immigrati inconsapevoli (ovvero quelli che sono arrivati in Italia troppo piccoli per capire che stavano emigrando) si trovano addosso,  per il femminismo, per un piccolo episodio di cyberbullismo che precorre i tempi, per gli inevitabili problemi scolastici di chi non studia un accidente e nemmeno sta a sentire i professori perché è molto offeso con loro e ha una sola materia preferitissima dove va molto bene, per le amicizie con l'uno e con l'altro sesso, per una tipica famiglia mediterranea ricca di affetto e di comprensione (ma che evita di intromettersi troppo) e per una carrellata di professori che chiunque sarebbe lietissimo di non avere nel Consiglio di Classe (ma chissà se erano davvero così insopportabili? Gli occhi dell'Alunno/a a volte sono davvero spietati) oltre che, naturalmente, per i problemi di abbigliamento, nonché per le infinite dissonanze che attraversano la vita di chi appartiene a due culture diverse. Il menù è ricco e ben assortito, e ci si può pescare all'infinito.

Dedico questo post al Venerdì del Libro di Homemademamma che è ritornato in sordina, e forse c'è ancora e forse no, chissà; e consiglio il libro per qualsiasi biblioteca scolastica e per chiunque graviti nel mondo della scuola. Magari può interessare anche altre persone, non so - ma certo per la scuola è assolutamente perfetto.