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martedì 31 gennaio 2012

I miei insegnanti - Mrs. Piton Minor

Qual è quell'animale viscido che striscia e che non ha orecchie?
Il direttore d'orchestra, oppure Mrs. Piton Minor

Mrs. Piton Minor non era meno stronza di Mrs. Piton Maior. Al contrario, lo era di più e in modo più squallido. Tuttavia ai miei occhi è sempre stata una figura di minor rilievo della sua collega,  perché come insegnante valeva meno.
Ci insegnò inglese per i due anni del ginnasio (ai miei tempi al liceo classico la lingua straniera spariva al triennio, che mi è sempre parsa una gran stupidaggine. Pochi anni dopo infatti rimediarono). Nei suoi confronti partivo con un pregiudizio favorevole, perché amavo (poco corrisposta) la lingua inglese e stravedevo per la letteratura inglese, le usanze inglesi, la musica inglese e insomma per tutto quanto aveva a che fare con l'Inghilterra. 
Amare Mrs. Piton Minor però si rivelò del tutto improponibile.
Pur essendo italianissima, costei sembrava uscita da un romanzo di Agatha Christie. C'è sempre, nei romanzi della Christie, una persona di mezza età acida, conservatrice, noiosa, molto piùcheretta, imbevuta di pregiudizi e di luoghi comuni e del tutto priva di senso dell'umorismo; di solito, per tre quarti del libro, testimonia con sicurezza di aver visto questo e quello ma poi risulta che ha visto solo quel che credeva, deviata appunto dalle sue prevenzioni. Solo dopo aver smontato in quel senso la sua testimonianza (cui non danno gran peso sin dall'inizio, avendo capito il tipo) Poirot o Miss Marple si incamminano verso la soluzione del caso. 
Nel frattempo costui/costei sbuffa e si lamenta della polizia, dei giovani d'oggi e dell'impertinenza degli stranieri, e quando arriva la soluzione del giallo si lamenta moltissimo perché il colpevole non è il giovane comunista o lo straniero o l'intellettuale debosciato (che si rivela un cittadino integerrimo) o la giovane ballerina di dubbia reputazione (che risulta poi una donna di saldi principi). 

Lei era così.
Il suo inglese era piuttosto polveroso (ma questo lo scoprimmo solo più avanti negli anni) e le sue lezioni di una noia mortale. Aveva, forse per un disguido, adottato una grammatica brillante e assai ben fatta, con dei fumetti molto divertenti che lei smontava regolarmente, e dei libriccini di storielle che avevano la pretesa di essere divertenti e avrebbero fatto scendere il latte ai ginocchi a un bue (e non dev'essere stato facile, nemmeno per lei, trovare un libro di storie tanto insulse scritte in inglese).
Era anche lei Tremenda, e decisamente scortese - ma, anche lei, non con tutti. Alcuni la ricordano ancora con orrore e a suo tempo l'han vissuta con terrore. Io, che la vivevo con una certa blanda indifferenza, non mi spiegavo il motivo di tanta paura, anche se con lei navigavo su un patetico seuccio malamente raffazzonato in barba al mio diligente studio. D'accordo, ho sempre studiato inglese con grande devozione e scarsi risultati, ma alle medie ogni tanto balenava la speranza di un sette. Con lei, mai. 
La cosa comunque non mi toglieva il sonno: studiavo inglese per me, non per il voto, e inglese continuava a piacermi nonostante tutto. Passavo le ore a tradurmi i testi delle mie canzoni preferite, sapevo a memoria Jesus Christ Superstar e le canzoni del Signore degli Anelli, leggevo tonnellate di romanzi inglesi di alta, media e bassa levatura (in italiano) e anche se tutto ciò non produceva alcun frutto scolastico continuai a farlo con piacere.
Con me, a parte darmi voti scadenti (che probabilmente meritavo), non passò mai i limiti. Forte dei tre anni di esperienza con Mrs. Piton Maior sospettavo assai che ciò fosse dovuto al mio atteggiamento, che lasciava chiaramente intravedere che ero docile e rispettosa MA che se mi avessero toccato in qualche punto debole mi sarei trasformata all'istante in una vipera. Non potei non notare però che la sua vittima preferita era una ripetente figlia di operai (dotati di scarse finanze e ancor più scarso background culturale) e per giunta assai militante nelle formazioni di estrema sinistra del liceo - perché sì, sembra incredibile ricordarlo, ma in quegli anni al Liceo Galileo avevamo grande abbondanza di formazioni politiche di sinistra. La fanciulla in questione, una bravissima ragazza sotto tutti gli aspetti, e pure piuttosto diligente, non aveva una gran capacità di difesa. Può succedere, a quindici anni.

Con gli anni riuscii a capire che la discriminazione non avveniva solo in base al censo, ma anche alla provenienza geografica: chi era di Firenze aveva un trattamento, chi veniva dai paeselli limitrofi ne aveva ben altro - con la rilevante eccezione di Fiesole, che da sempre ospitava una parte dell'alta borghesia (e pure della nobiltà) fiorentina. Gli altri "non erano adatti al liceo classico, e avrebbero dovuto accorgersene da soli", questo era il concetto sottaciuto. Siccome a me non era mai passato dall'anticamera del cervello di operare una vera distinzione tra fiorentini e contadini (da intendersi come "abitanti del contado") non riuscivo a trovare un minimo comun denominatore tra gli sfigati oggetto del trattamento peggiore, ma una volta che Sary mi ebbe illuminata in merito (e anche lei non ci arrivò subito) tutto risultò più chiaro. Va da sé che la maggior parte dei "contadini" non erano figli di notai e architetti di grido - non tanto perché quei paeselli della cintura fiorentina fossero privi degli uni e degli altri, ma semplicemente perché era andata così.

Tutto ciò mi indusse a una parziale riabilitazione di Mrs. Piton Maior, che al nostro status sociale non badava affatto.

sabato 28 gennaio 2012

Io ODIO i libri di storia

Da intendersi come "manuali", perché i libri di storia in sé mi piacciono parecchio, specie se son fatti bene.


La Prima Grande Domanda è come vengono assemblati i manuali di storia per le medie. Dico "assemblati" perché è evidente che dietro non c'è un progetto unitario se non a livello grafico, e che la destra non sa quel che fa la sinistra (da intendersi nel senso evangelico, non politico). In pratica: non c'è una persona paziente (o un cospicuo gruppo di persone pazienti, che sarebbe ben meglio) che controlli che tutti i fili siano annodati.
Per carità, per la maggior parte degli studenti, quelli che studiano storia tre o quattro volte a quadrimestre  venendo volontari per prendere un voto decente, non è un problema: vedono benissimo i fili in sospeso, ma pensano che sia colpa loro perché non han letto i capitoli precedenti e si mettono l'animo in pace.
Ci sono, però, anche quelli che studiano regolarmente e cercano di seguire e capire cosa succede. Lo fanno per passione, per curiosità, perché vogliono il voto alto, per perfezionismo o per l'accidente di motivo che gli pare, comunque lo fanno. Siccome non trovano il nesso e non capiscono come va a finire una data cosa, chiedono all'insegnante. Beh, che altro possono fare? Qualcuno chiede anche in famiglia - ai fratelli maggiori, i genitori, i nonni. Ma spesso i genitori, i nonni e financo i fratelli maggiori non lo sanno e non sempre hanno dove andare a cercare, e come loro i professori. Dovrebbe essere un po' più facile però per gli storici che assemblano un libro e sono pagati per quello. 
Il problema è che non sempre si scomodano a farlo.
Un caso classico per esempio sono le Fiandre e l'Olanda, che compaiono a scadenze più o meno regolari,  a volte in rivolta contro qualcuno, a volte indipendenti. E so bene che star dietro alla storia delle Fiandre è complicato, ma basterebbero due righe di raccordo. Se hai lasciato l'Olanda felicemente indipendente, non puoi  ritrovarla qualche pagina dopo di nuovo in lotta con la Spagna. Non è serio. Devi spiegare che nel frattempo è successo qualcosa. 
E sorvoliamo su Svezia, Norvegia e Danimarca che per secoli si scindono e unificano provando tutte le combinazioni possibili. E sorvoliamo ancor più sulla Polonia. (Per la Polonia ho inventato la definizione di "stato con le rotelle" perché i suoi confini variano con frequenza davvero esasperante).
Ma insomma, è proprio vero che ci dobbiamo sorvolare per forza? 
Che lo comprano a fare, i ragazzi, il libro di storia?
Credono forse, gli editori, che tutte le famiglie abbiano in casa uno o più tavoli traballanti da poter pareggiare solo con le loro pubblicazioni?


La faccenda diventa ancor più complicata in quel malefico arco di tempo che va dall'inizio del secolo alla pace di Yalta, ovvero gli anni in cui quasi tutti gli stati si sentivano in dovere di cambiare confini almeno tre o quattro volte.
Stamani sono saltate fuori due questioni.
Primo: il Portogallo. La maggior parte dei manuali di storia sorvola pudicamente sul Portogallo. Grandangolo no, ti spiega che il Portogallo, nella Prima Guerra Mondiale, è entrato in guerra a fianco di Germania e Austria. Che ne è al momento della sconfitta? Nulla, si direbbe, continua a farsi la sua vita, e certo i suoi confini non cambiano. Però nelle pagine sul trattato di Versailles non se ne accenna. Ora, se ti preoccupi di dire che è entrato in guerra puoi ben spendere una riga o due per dire che dopo la guerra perde le colonie, mi sembra. E' un po' troppo sperare che i ragazzi ci arrivino da soli, collegandosi a due capitoli prima quando gli hanno spiegato che sì, insomma, anche il Portogallo aveva un po' di colonie in Africa. Tutto sommato, mi sembra un po' troppo anche sperare che ci arrivi l'insegnante, che per quanto preparato non può ricordare tutto di tutto, e che comunque del Portogallo nella Prima Guerra Mondiale non sa nulla perché mai ha trovato un manuale di storia che ne facesse cenno.
Poi c'è l'Jugoslavia. Agli adulti dici "Jugoslavia" e ancora per un po' a tutti viene in mente uno stato di forma allungata che si snoda sui Balcani. Ma per chi è nato nel 1998 "Jugoslavia" è come dire "regno dei corsari di Umbar": non gli viene in mente un accidente di nulla, perché quando sono nati la Jugoslavia già non esisteva più. Quindi, se gli dici che "fu formato il regno di Jugoslavia" sarebbe anche cortese spiegargli DA QUALI DEGLI STATI ATTUALMENTE ESISTENTI ERA FORMATO. D'accordo, glielo può dire l'insegnante, e loro appuntarselo da qualche parte, come possono appuntarsi a cosa corrisponde oggi la Cecoslovacchia. Ma se il manuale gli serve solo per riempirlo di appunti, da scrivere a lato di carte geografiche microscopiche, allora forse potrebbero non comprarlo nemmeno, il manuale, e con quei soldi i genitori potrebbero mandarli a prendersi una pizza con gli amici, o regalargli un nuovo giochino per la wii. Si suppone che un manuale di storia serva, al limite, anche per studiarci storia, e non solo a gettarti in una selva di dubbi e di interrogativi destinati a restare senza risposta se non interviene una Persona Competente (o meglio, più competente del cialtrone che ha curato il manuale).
E vogliamo spendere due parole sulle tre repubbliche baltiche, cedute dalla Russia alla Germania al momento della pace separata per uscire dalla prima guerra mondiale? Sì, proprio quelle tre repubbliche baltiche che spariscono senza lasciare traccia nei capitoli successivi e che ricompaiono, al più, per essere inglobate nella Russia a Yalta? Perché, se proprio le vogliamo spendere, sarebbe opportuno ricordare che gran parte del tempo tra Versailles e Yalta le tre repubbliche baltiche lo passarono in felice indipendenza, a farsi i fatti loro e allora, se proprio vuoi parlare delle tre repubbliche baltiche (il che non è obbligatorio ma, onestamente, non è neanche fuor di luogo), allora puoi far cenno anche di questo.


E non parliamo (anzi no: parliamone) di quei maledetti manuali che ti spiegano che "Mussolini si dedicò ad ottenere il pareggio della lira con la sterlina, e ci riuscì a prezzo di grandi sforzi". Punto primo: perché voleva pareggiare proprio con la sterlina e non col franco belga, o la corona danese? Punto secondo, che accidente vuol dire "il pareggio con la sterlina"? Punto terzo: perché una cosa del genere comportava necessariamente dei sacrifici?
Non sono affatto concetti banali, e darli per scontati a ragazzi di tredici anni nati e cresciuti con l'euro e del tutto digiuni di problemi di cambi internazionali nonché di economia vuol dire prenderli in giro, né più né meno. E sono d'accordo che son cose complesse da spiegare, ma allora le lasci perdere e magari te la cavi con qualche parola sui problemi della lira. Oppure provi a spiegarle, perché no. Mica è impossibile. Solo che va fatto, non basta buttare là due parole scollegate e sperare che di punto in bianco i tredicenni si trasformino in consumati esperti di storia dell'economia internazionale.


E la repubblica di Weimer, tormentata da una terribile inflazione che la divorava sino all'osso ma che SOLO DOPO QUINDICI ANNI  finisce nelle grinfie di Hitler - che comunque in sette anni riesce a fare di quel paese, che in teoria doveva essere ormai allo stremo dello stremo, una potenza mondiale? Potremmo forse degnarci di dire che in mezzo c'era stata una vera pioggia di dollari americani che aveva permesso alla Germania di riorganizzarsi niente male, mentre i paesi europei nel frattempo si erano rassegnati a non incassare i debiti di guerra il cui pagamento aveva portato sia Germania e Austria al fallimento, sì, ma nel 1921?


Tutti comunque si sentono obbligati a spendere una paginetta sulla Società degli Stati, elencandone i principi e ricordandosi  di aggiungere che comunque questa Società non funzionò mai e non cavò mai un ragno dal buco. D'accordo, a modo suo ha avuto una sua importanza culturale, ma se ti va di spendere una o due pagine per la Società delle Nazioni spendine anche mezza per spiegare perché in entrambe le guerre mondiali i nostri ragazzi vennero mandati in Russia con le scarpe di cartone (i soldi erano stati tutti spesi per la guerra in Libia prima, e per le guerre in Africa e in Spagna dopo) oppure per questa disgraziata questione della quota 25 con la sterlina, che sono entrambe cose che hanno avuto invece una bella ripercussione sul piano pratico. Certo, sono anche un po' più difficiline da spiegare della non-storia della Società delle Nazioni. Ma mica te l'ho chiesto io di fare un manuale di storia. E comunque non è affatto impossibile venirne a capo.


Non so dov'è esattamente il problema: se si tratta di riscritture a cascata da manuali di quando ero ragazzina, che in seguito sono stati più o meno malamente riadattati; oppure se i singoli capitoli vengono assemblati da sunti di altri capitoli di storia analoghi nei manuali delle superiori, senza preccuparsi di fare una revisione che li renda congrui.


Quel che so con certezza è che la zona dell'Europa dell'Est viene lasciata in una pudica penombra, che dell'Africa si parla pochissimo (salvo trovarsi tutti insieme, italiani, tedeschi e inglesi, a El Alamein, a combattere, non si sa bene perché proprio lì), che si parla dell'Albania come qualcosa che è sempre esistitto sulla carta geografica, mentre l'URSS passa da una crisi economica all'altra salvo trasformarsi come per incanto in una grande potenza mondiale dopo aver sostenuto E VINTO una guerra mondiale, che è sempre stata una robetta piuttosto costosa. O non erano tutti con le pezze ai calzoni perché la NEP non funzionava e i piani quinquennali nemmeno? Ci sarò stato, INFINE, un momento in cui le cose avevano cominciato a migliorare, no? Se non altro durante la Grande Crisi, da cui l'URSS rimase felicemente immune.


Ogni tanto qualche nostalgico di AN sostiene che i manuali scolastici di storia andrebbero sottoposti a revisione.
Sono assolutamente d'accordo con loro.

mercoledì 25 gennaio 2012

I miei insegnanti - Mrs. Piton Maior

Mrs. Piton Maior, in uno dei suoi rari giorni di buonumore

Esiste tutta una tradizione letteraria sugli insegnanti di matematica implacabili fino al sadismo, oggi smentita da professori di matematica sorridenti, amichevoli e amanti dei metodi creativi, che spesso sono anche i più ragionevoli e solari di tutto il Consiglio di Classe.
Io, alle medie, ho avuto una Professoressa Terribile di Matematica DOC, di quelle che gli ex-allievi cambiavano strada per non salutarla, la sognavano di notte nei peggiori incubi anche in età più che adulta, insomma  una Grandissima Stronza, di quelle che riescono da sole a dar lustro a un'intera sezione.
"Ah, avete la Piton" dicevano tutti "Vedrete, vedrete".
E abbiamo visto. 
Quando arrivava lei, in classe entrava il Terrore. Alle interrogazioni molti dei miei compagni impallidivano e balbettavano o si chiudevano in un silenzio terrorizzato, come conigli ipnotizzati davanti al serpente che sta per divorarli.
Intendiamoci, se eri bravo e ben preparato e portato alla materia non c'erano molti problemi - certo, le stilettate arrivavano, però erano tirate con molto più garbo - ma per essere bravo e ben preparato dovevi per l'appunto essere portato alla materia e capire di cosa si stava parlando. Ovvio che, se eri terrorizzato, di capire non se ne parlava nemmen di lontano. Ma se non eri particolarmente portato alla materia, ben presto eri terrorizzato e inabile all'apprendimento, e gli sforzi per venirti incontro si potevano agevolmente contare sulle dita della mano di un monco.
In pratica: se capivi, bene, e se non capivi erano cazzi tuoi.
Non c'erano sconti e non c'erano facilitazioni, e spesso e volentieri c'era una buona dose di sadismo. Se mostravi di non aver paura di lei ti rispettava, altrimenti diventavi terra di conquista - non venivano fatti prigionieri. 
Eravamo giovani pulcini con le prime piume ancora inzuppate di albume, cresciuti in una cultura che dava per scontata una  cieca sottomissione al Professore e all'Autorità in generale (anche se spesso né professori né autorità ne abusavano). Naturalmente ci allargavamo un po' con gli insegnanti più deboli o disponibili, ma lo spirito polemico era ancora merce rara e davanti a una prepotenza chinavamo il capo in silenzio. Io un po' meno, devo dire. 
Ci furono alcuni scambi di vedute piuttosto incandescenti, ma poi le cose si sistemarono: con me non tirava la corda più di tanto, e d'altra parte in matematica ero piuttosto brava - di scienze ne sapevo il giusto, ma con lei come insegnante a nessuno di noi si aprirono grandi portali su mondi sconosciuti in quella disciplina: era implicito che  scienze era una materia insignificante, fatta giusto per onore di bandiera, mentre Matematica era LA materia  e il vero punto cardine del nostro corso di studi, tanto che per scienze ci disse apertamente di non farle troppe domande perché lei ne sapeva q. b. e non di più e non le interessava approfondire molto. Detto per inciso, anche il libro di scienze faceva abbastanza pena.

Mrs. Piton Maior aveva anche dei lati positivi: era preparata (in matematica), spiegava bene, era giusta nelle votazioni, non faceva favoritismi e dava un buon metodo per l'impostazione dei problemi - tutte doti comunque che non sono affatto inconciliabili con un carattere gentile e un atteggiamento rispettoso verso gli alunni. Certo, da allora ho visto sufficienti cartoni animati giapponesi per rendermi conto delle leve psicologiche che azionava: ci si sente sempre più ganzi quando si sopravvive a una dura selezione, e io mi sentivo effettivamente più ganza, e in cuor mio disprezzavo lei e me per questo: senza sapere ancora formulare il concetto, intuivo comunque che avere un'intelligenza piuttosto portata alla matematica e una buona memoria non faceva di me una persona più meritevole di rispetto umano degli altri, e che infierire contro chi non sapeva reagire e mantenersi nei limiti del decoro con chi invece era in grado di tenerti testa era decisamente troppo comodo.
Intendiamoci, non dico che non dovesse rimandare a Ottobre chi non era sufficiente o dare dei voti più alti, ma c'è modo e modo di dare un quattro, specialmente alle interrogazioni. Soprattutto, non c'è motivo di far piangere sistematicamente quelli che vanno male.

Ad ogni modo io la matematica delle medie la ricordo ancora, quasi tutta - e, come alle medie, continuo a infilare almeno uno o due errori di distrazione nelle espressioni ogni volta che mi attento a farne una. E ricordo ancora le molte definizioni che ci fece imparare a memoria - far imparare a memoria certe cose è un ottimo sistema, specie con materie come la sua. Ma ricordo molto bene anche moltissime cose che ho studiato con insegnanti cortesi e disponibili.

Non ho mai avuto occasione di cambiare strada quando la incrociavo perché non l'ho mai più incrociata (ma non credo che avrei cambiato strada, ad ogni modo). A quanto ricordo non l'ho mai sognata, né in incubi né in sogni piacevoli.
E mi è rimasto una certa simpatia per la matematica, anche se da allora ne ho fatta ben poca.

domenica 22 gennaio 2012

Semper Striscians

A St. Mary Mead, come in tutti i plessi della Grande Scuola, c'è la macchinetta dove passare la tessera magnetizzata, azione più comunemente definita "strisciare". Il bravo insegnante di St. Mary Mead dovrebbe dunque strisciare la tessera al suo arrivo e alla sua dipartita dalle  lezioni, ma non quando viene a scuola per riunioni varie. Scrivo "dovrebbe" perché di fatto non siamo molto regolari nel farlo.

Nessuno ha mai saputo dirmi con precisione perché sono state installate le macchinette: a St. Mary Mead siamo tutti piuttosto puntuali. E' possibile che, nell'ambito delle consuetudini scolastiche di "ammonirne cento nella vana speranza di punirne uno" (che poi inevitabilmente continua a fare il cazzo che gli pare, del tutto ignaro o noncurante di aver complicato la vita agli altri) l'installazione della macchinetta abbia avuto come scopo quello di controllare una specifica persona che arrivava spesso in ritardo, ed è ancor più possibile che non abbia conseguito il suo scopo.

In effetti si tratta di un oggetto piuttosto inutile. Molte volte, ben prima che approdassi a St. Mary Mead, i sindacati mi hanno spiegato che si tratta di una pratica illegale e che l'insegnante non è tenuto a strisciare. A St. Mary Mead comunque abbiamo sempre tutti strisciato, con grande umiltà e senza fare storie, pur convinti, tutti quanti, che si tratta di una pratica inutile: infatti quando l'insegnante è in ritardo la cosa è visibilissima. Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile ma l'insegnante in ritardo lascia una bella traccia visibile, in una scuola secondaria di primo grado comunemente nota al volgo come  media.
Viceversa, avere o non avere strisciato una tesserina nell'atrio della scuola non implica in alcun modo che all'ora stabilita tu sia in classe; come sappiamo tutti, ci sono insegnanti di una puntualità esemplare che stanno in sala insegnanti a chiacchierare allegramente fin quando il collega a cui avrebbero dovuto dare il cambio ha perso il treno e sappiamo tutti di classi che cazzeggiano a quarti d'ora interi, con l'insegnante sulla porta in attesa che l'altro insegnante sulla porta dell'altra classe che aspetta il suo cambio possa muoversi senza scoprire la classe (guarda un po' le stranezze della vita, di solito l'insegnante che chiacchiera in Sala Professori quando avrebbe dovuto essere da dieci minuti in classe è sempre di ruolo e con molti anni di servizio alle spalle, mentre il baccalà in attesa sulla porta di un aula, che vorrebbe raggiungerne un altra o desidererebbe prendere il suo treno per tornarsene a casa in tempo decente, è di solito temporaneo, annuale o freschissimo di ruolo).

Da brava nuova arrivata il primo anno cercai di essere impeccabile e, dopo qualche svarione iniziale, puntualmente comunicato alla segreteria centrale, mi studiai una routine che mi impediva di dimenticarmi di strisciare adeguatamente.
Il secondo anno traslocai, a metà anno scolastico - evento assai traumatico, come ogni insegnante che ci è passato sa bene. Per qualche settimana le mie strisciate furono davvero irregolari, non perché arrivassi in ritardo ma perché tutti gli aggiustamenti che il trasloco comportava avevano quasi rimosso dalla mia mente la strisciante attività.
Quando tornai sulla terra e ricominciai a strisciare, mi accorsi che dalla segreteria centrale non era arrivata alcuna rimostranza sul mio scarso strisciare, e nemmeno una garbata richiesta di informazioni su cosa fosse successo. Niente di niente.
Nel mio fiducioso cuoricino finì con l'insinuarsi il dubbio che tutta quella faccenda dello strisciare si aprisse e chiudesse a St. Mary Mead e che dalla segreteria centrale non se la filassero né tanto né poco.
I colleghi che consultai in merito si dissero assai d'accordo con cotale mia impressione. Tutti comunque strisciavano, e io ripresi a strisciare con loro.

Il terzo anno la macchinetta che registrava le nostre strisciate si ruppe e venne mandata a riparare. Nel frattempo... ci venne mandato un registro su carta dove dovevamo scrivere le nostre entrate e uscite.
Mi rifiutai: la strisciatura, fosse o meno legale richiedermela, era comunque una lettura oggettiva. Striscio, dunque sono, e la macchinetta sa a che ora ho strisciato. Su un registro di carta potevo scrivere quel che volevo, e davvero lì non c'era nulla che, in caso, potesse tutelarmi dimostrando che a quell'ora e in quel momento ero lì a scuola a strisciare come un serpente (o come un lombrico, a seconda del grado di autostima posseduto dal docente).

La macchinetta rimase in riparazione per molti mesi e tornò solo a fine anno (con mia grande sorpresa: ero convinta che non l'avremo rivista mai più, visto che tanto registrava qualcosa a cui nessuno faceva caso). Dalla segreteria centrale, dove il registro su carta delle entrate e uscite era stato inviato, di nuovo non arrivò l'ombra di una rimostranza o di una richiesta di spiegazione nei miei confronti. Per altro, in quelle settimane, dalla segreteria facevamo assai fatica ad avere qualsivoglia tipo di informazioni, quindi la cosa non era così strana (la segreteria centrale della scuola cui fa capo St. Mary Mead non è mai stata il  suo punto di forza, va pur detto).

Nel mio cuoricino il dubbio che tutto quell'esercizio di umiltà non servisse a un accidente andò rafforzandosi. Tuttavia tutti ripresero a strisciare... beh, quasi tutti: quest'anno, al mio ritorno, ho trovato un paio di dissidenti che non strisciano più per partito preso "tanto è inutile". Sto seriamente considerando la possibilità di unirmi a questi eretici, visto che dopo due anni a Hogsmeade, dove non si strisciava, lo strisciamento mi è uscito dalla testa e non vuole tornarci, cosicché continuo a entrare e non uscire o uscire senza essere mai entrata almeno un giorno alla settimana.

In effetti in quella scuola siamo più di cento insegnanti, ognuno col suo orario, per giunta soggetto a modifiche in caso di cambi o uscite. Controllare tutti uno per uno è impresa che richiederebbe una persona fissa solo per quello. So che esistono programmi in grado di eseguire controlli anche sul nostro tipo di orari... ma mi hanno spiegato che tali programmi vanno comprati e soprattutto adoperati, e che non funzionano per moto spontaneo soltanto pensandoli; conoscendo l'accuratezza e la competenza informatica del personale di segreteria tutto (oltretutto in perenne scarsità numerica, come tutte le segreterie scolastiche del regno) è assai dubbio che qualcuno segua la questione delle strisciate del personale docente.

Dimenticavo: per ragioni del tutto incomprensibili alla mia debole mente, i custodi non strisciano, bensì segnano le loro presenze su un registro di carta - anche se, avendo orari assai meno cervellotici dei docenti, le loro strisciate potrebbero essere controllate abbastanza agevolmente anche a occhio, mi sembra.
Forse sono ritenuti, in quanto Custodi e non Docenti, troppo più in alto di noi per dover strisciare, o troppo più in basso di noi per poter accedere al livello esterno di strisciatura?

venerdì 13 gennaio 2012

Quello che gli insegnanti non capiscono


Nel portfolio da consegnare alla fine della SSIS andava inserita anche una "relazione critica", ci dissero. Si trattava di tirare un bilancio complessivo della nostra esperienza all'interno della Scuola di Specializzazione. 
Per più di un anno pregustai il piacere che avrei provato nel cenciare l'intera struttura della SSIS in Toscana, partendo dalla delirante gestione della segreteria fino alle enormi vasche di acqua calda e fredda che ci avevano spacciato per lezioni nell'Area Trasversale.
Disgraziatamente, la consegna del portfolio e l'esame furono anticipati di punto in bianco di più di venti giorni, costringendo tutti noi ad assemblare il portfolio in un modo che solo con molta indulgenza può definirsi "approssimativo". La relazione critica fu da me improvvisata l'ultima sera prima della rilegatura e il sonno a un certo punto mi convinse a lasciarla a mezzo. 
Anche così, devo dire, venne fuori uno scritto abbastanza corrosivo; tuttavia, in confronto a quel che mi albergava in seno, era un barattolo di miele dalla stucchevole dolcezza.
Ne riporto qui la prima parte, quella dove espongo l'unica, utile lezione che ho imparato in quegli anni. In precedenza, tutte le mie esperienze come allieva erano state nel complesso positive: non ero un'alunna modello, ma ho studiato volentieri e ho trovato diversi buoni insegnanti. Ero anche una fanciulla adattabile e disponibile, pronta a prendere il buono che c'era e a sorvolare sui lati più negativi. 
La rabbia cieca che mi ha perseguitato in quei due anni di Scuola di Specializzazione davanti alla quasi costante presa di giro cui ero sottoposta era per me un'esperienza tutto sommato nuova, soprattutto per la sua portata. Ad un certo punto mi venne, letteralmente, l'orticaria: uno sfogo sulla pelle con tanto di febbre che arrivò senza motivo e senza motivo sparì nel giro di tre giorni, lasciandomi febbricitante e dolorante, e che gli amici battezzarono "sissite".

Tirare le fila di due anni di lavoro, e di un lavoro di questa portata, è sempre difficile. Molti sono gli interrogativi che restano in sospeso, molte le impressioni ancora da definire compiutamente. Per fare un lavoro di valutazione almeno in parte adeguato sarebbe stato opportuno avere uno spazio di tempo libero, per lasciare alle impressioni il tempo di sedimentarsi e prendere forma. Purtroppo così non è stato.
Al termine del biennio di Scuola di Specializzazione sono certamente un’insegnante più stanca e più irritabile di quando ho cominciato. Pure, devo ammettere che almeno per certi aspetti sono anche un’insegnante più consapevole di molti aspetti legati al mio lavoro.
Il biennio di scuola mi ha riportato, dopo tre anni di insegnamento, dall’altra parte della barricata. Da insegnante sono tornata allieva - una condizione che avevo finito per dimenticare, e che senza dubbio mi è stato utile rinfrescare.
Rivedere gli insegnanti non più come colleghi ma come “gli altri” mi ha mostrato con impietosa evidenza  molti dei difetti insiti nella professione. Si è trattato di un procedimento a tratti molto amaro, ma dal quale ho ricavato elementi preziosi per un utile processo di autocritica che proverò ad elencare.
Gli insegnanti sono una categoria permalosa, portata a prendersi  eccessivamente sul serio, convinti di custodire le uniche chiavi di accesso valide alle loro materie. Gli insegnanti sono noiosi, logorroici, pedanti, amano molto ascoltare il suono della loro voce. Spesso mostrano scarsissimo rispetto per i loro allievi e sono convinti che questi siano necessariamente più sciocchi, sprovveduti e ignoranti di loro. Spesso scambiano il disinteresse delle classi loro affidate per superficialità e incapacità di applicazione, evitando con ogni tipo di pretesto di prendere atto che il rifiuto che talvolta gli allievi attuano nei confronti della loro materia è spesso un rifiuto verso di loro come singole individualità.
Gli insegnanti spesso generalizzano, filtrando le reazioni di un gruppo di allievi attraverso le loro precedenti esperienze, senza rendersi conto che talvolta il loro modo di proporsi farebbe scattare meccanismi di autodifesa e di protezione anche in un santo. Spesso sono troppo occupati a “farsi valere” o “mostrare chi è che comanda” per cercare di rapportarsi con chi hanno effettivamente davanti. Spesso un gruppo di allievi che “rifiuta” un insegnante, chiudendosi a riccio, si limita a prendere atto del fatto che è l’insegnante per primo che rifiuta loro. 
Insegnare, lo sappiamo e ce lo hanno ripetuto spesso in questi due anni, è un lavoro difficile, delicato, complesso.
La condizione di allievo è altrettanto difficile e delicata, e può rivelarsi molto dolorosa quando la comunicazione con l’insegnante viene completamente a mancare. 
Tutto questo si ripercuote inevitabilmente sui processi di apprendimento, innescando non solo meccanismi di rifiuto o di rivolta consapevoli, ma anche strane forme di difesa del tutto inconsapevoli. Quando ciò che ti viene insegnato, o meglio “imposto” dall’alto, senza possibilità di discussione o di confronto, sembra ignorare le più elementari regole del buonsenso, oppure essere troppo estraneo a ciò che si ritiene adeguato o formativo per noi, o semplicemente risulta noioso perché troppo conosciuto e già sentito troppe infinità di volte, scattano improvvise amnesie, blocchi nella scrittura, rimozioni. Scattano, talvolta, anche meccanismi più seri di “difesa”, che spesso danneggiano proprio ciò che si sta cercando di difendere, cioè noi stessi - e arrivano le crisi di insonnia, le influenze a catena, misteriose tendiniti, gastriti all’apparenza incurabili, strani casi di eruzioni cutanee, febbri persistenti e apparentemente inspiegabili. Qualche volta si tratta solo una forma di difesa da parte dell’organismo per costringere il suo proprietario a fermarsi e riposare, volente o nolente, ma spesso questi sintomi sono il segnale di un disagio più profondo.
Talvolta le barriere scattano molto prima, e gli allievi invece di ammalarsi o avere improvvise e inspiegabili crisi di nausea si limitano ad alzare la barriera, estraniarsi e applicare la legge del minimo sforzo: si ritorna così a scegliere gli ultimi posti, quelli in fondo all’aula, dove si può chiacchierare indisturbati e dove il fastidioso mormorio dell’insegnante ha scarsissime possibilità di raggiungerci; si riscoprono i passatempi tipici degli studenti: gli SMS con il cellulare, magari spediti ai compagni di corso, le parole crociate, una rivista comprata per strada prima di venire a lezione o magari qualche fumetto, il CD da ascoltare con le cuffie - e naturalmente gli intramontabili bigliettini e le altrettanto intramontabili caricature degli insegnanti. 
Lo studente che utilizza il tempo della lezione per “socializzare” scrivendo SMS ad amici, familiari e compagni di corso non sta ignorando l’insegnante: lo sta criticando, in modo spietato e spesso - ahimé - ampiamente giustificato. Questa è senza dubbio una lezione dolorosa, ma sono convinta che mi abbia fatto bene ricordarla. Passati gli esami e l’accumulo di stanchezza che hanno spazzato via il mio consueto carattere solare e accomodante, sono convinta che questi due anni di Scuola di Specializzazione avranno fatto di me un’insegnante e una persona migliore, perché più paziente, tollerante e disposta all’autocritica.

All'orale, l'unico commento che fece la mia ineffabile tutor fu "Come mai ha una visione così negativa dell'insegnamento?". A tutt'oggi non ho capito se lo chiese perché sul serio non aveva capito dove andavo a parare, o se preferì aggirare la questione. Lo so, la seconda ipotesi sembra di gran lunga la più probabile, ma considerando il cervello di quella donna, è pur possibile che davvero non abbia capito.

mercoledì 11 gennaio 2012

La Prof ci ha detto



Resami conto che il libro di storia si perdeva in una certa confusione spiegando indirizzi politici e ceti sociali nell'Europa di fine Ottocento, ho deciso di prendere in mano la situazione e ho dettato e spiegato con gran cura uno schema chiaro ed esauriente che sezionasse gli esseri umani appunto per ceto sociale e per indirizzo politico - ad esempio nell'alta borghesia di solito non c'erano moltissimi comunisti, gli operai di solito non erano liberali eccetera eccetera. Ovviamente in questo schema ho infilato anche i cattolici, e per nulla ovviamente mi sono dimenticata nel modo più plateale degli anarchici (ma su questo preferisco sorvolare pudicamente, in attesa di rimediare a breve).
Dettato lo schema ho risposto alle varie domande, fatto esempi, ampliato, commentato e via dicendo. Poi è venuto il Gran Giorno dell'Interrogazione a Tappeto. La prima fanciulla chiamata risponde bene e con proprietà, salvo una strana frase sul fatto che "tutti potevano essere cattolici", su cui decido di sorvolare pensando a un lapsus o qualcosa del genere. Il secondo fanciullo invece ha poche idee (tra cui quella che "tutti possono essere cattolici") ma assai confuse, per cui segno il Non Preparato sul registro senza curarmi più di tanto dei cattolici, che in fin dei conti non sono stati trattati in modo più trascurato dei comunisti o della borghesia agraria.
Il secondo fanciullo risponde assai bene, e di cattolici non parla perché non sono inclusi nelle domande che gli faccio. Il terzo si chiude in un dignitoso silenzio, evitando di parlare sia dei cattolici che di ogni altro gruppo sociale, politico o culturale. Il quarto si barcamena piuttosto bene ma nelle sue risposta non cita i cattolici. Infine è il turno di Baroque, che risponde come meglio non si potrebbe ma che, mentre sto in cuor mio a riflettere se segnarle otto o nove, spiega che "chiunque poteva essere cattolico, bastava che credesse in dio".
La interrompo "Scusami, cara, ma questo discorso da dove salta fuori?"
Baroque mi sgrana addosso due occhi celesti radianti di innocenza e buona fede: "Lo ha detto lei" spiega convinta.
"L'ho detto io?".
Impossibile che abbia detto una simile scempiaggine, nemmeno dopo la quarta bottiglia o la sesta pasticca, di questo sono sicura: perché certamente per i cattolici chiunque ha diritto ad essere o diventare cattolico, ma per esserlo certo non basta  credere in dio, occorre anche credere ad una serie di cose più specifiche.
Tutta la classe, bravi e meno bravi e fulmini di guerra ripetono convinti "Sì, l'ha detto lei".
Va bene, alla fine è più ragionevole credere in un mio temporaneo raptus (inserito, garantisco, in una lezione del tutto rispettabile e condotta con proprietà) che a un'allucinazione collettiva dell'intera scolaresca. Così imploro i miei alunni di cassare la malefica frase e di sorvolare pietosamente sull'immane sciocchezza da me detta e, nei limiti del posibile, di dimenticarsela completamente.

In cuor mio però sono perplessa. E d'accordo che non sono certo la prima che dice stupidaggini in cattedra e di sicuro, ahimé, non sarò l'ultima. E d'accordo che tutti possono scivolare in una frase fraintendibile o imprudente... ma io, che cerco comunque di essere quanto più precisa possibile su argomenti religiosi, a St. Mary Mead mi allerto doppiamente quando devo tirare in ballo a storia qualche questione che coinvolga la santa romana ecclesia, perché si tratta di un paese assai chiesino e praticante e impegnato su questo fronte e quasi tutti i ragazzi navigano tra un coro parrocchiale, una recita parrocchiale e un campo scout di cui parlano con grande entusiasmo, e mai e poi mai desidererei urtare la loro delicata e cattolica sensibilità con frasi approssimative o fuorvianti.
Detto questo, era chiaro che avevo detto una stupidaggine; soltanto che non riuscivo a capire quale contorto meccanismo mentale mi ci avesse portato.

Soltanto qualche sera dopo, a vacanze di Natale ormai iniziate, nell'ultimo dormiveglia che precede il dolce scivolare nel sonno, mentre la mia mente era avvolta in tutt'altri pensieri e fantasticherie, improvvisamente emerge un limpido ricordo.
"I cattolici non appartenevano ad un ceto sociale in particolare, chiunque poteva essere cattolico. C'erano cattolici tra gli operai, tra i nobili, nella borghesia...". In questo senso chiunque poteva essere cattolico, non c'erano limitazioni di censo o di mestiere, bastava che credesse nei dogmi della religione cattolica...

Dunque era stato un caso di allucinazione, o meglio di fraintendimento, collettivo. Tutti avevano semplificato la mia frase a modo loro (proprio quella frase, su quello specifico argomento, mentre il resto era stato trascritto e assimilato in modo corretto, salvo fraintendimenti individuali) e per una volta ad avere torto era la collettività e non il singolo.
Questa esperienza mi ha squadernato davanti un nuovo ventaglio di possibilità per le molte e assolute cazzate che circolano nel mondo precedute dalla micidiale premessa "Il/La Prof. ci ha detto che...".

martedì 3 gennaio 2012

Meno strepito fan di due femmine quando sono rivali in amor


"Come? Come? A me, pettegola?!"
"Cospetto, cospetto, a me, civetta?!"
"Sei tu sola, la pettegola!" "Sei tu sola, la civetta!"
"Frasca!" "Sciocca!" "Impertinente!"

Il primo atto del Turco in Italia di Rossini si chiude con un'accesa zuffa tra le due protagoniste (Zaida e Fiorilla) che si pigliano a schiaffi e unghiate appunto per avere l'esclusiva sui favori del turco Selim. Il Coro, dopo aver invano tentato di intervenire, le lascia azzuffare cantando in tono epico:

Quando il vento improvviso sbuffando
Scuote i boschi, e gli spoglia di fronde,
Quando il mare in tempesta mugghiando
Spuma, bolle, flagella le sponde,
Meno strepito fan di due femmine
Quando sono rivali in amor.

a riprova del fatto che il fenomeno è vecchio di almeno due secoli e non recentissimo come pretendono taluni. E tuttavia...

La storia che mi accingo a narrare risale a circa un anno fa.
Incrocio Tecnica a fine mattinata. "Cos'è quel rapporto che hai segnato sul registro della Terza dei Tordi?". "E' andata proprio come ho scritto: a metà lezione Gentilina, Distratta, Marinaretta e la Straniera si sono messe a litigare a gran voce e manca poco si picchiavano".
Il motivo della rissa non è stato spiegato, naturalmente: in questi casi gli scolari si trasformano in ostriche perfette salvo il buon vecchio adagio "Non sono stato io a cominciare".

Così il giorno dopo. in qualità di Coordinatore, chiamo le quattro fuori dalla classe per la predica di rigore e le rampogno aspramente: non so perché han fatto quel che hanno fatto, esordisco, non è mia intenzione chiedere il motivo, ma non c'è ragione al mondo che giustifichi un simile disturbo della lezione: la vita personale si gestisce al di fuori della scuola, e quando c'è lezione si segue la lezione o almeno non si impedisce al resto della classe di seguirla.
Con queste premesse, è ovvio che a spiegarmi il motivo ci provano e dopo qualche apparente resistenza le lascio anche fare, perché sono sempre a caccia di informazioni. All'inizio il racconto è un po' confuso. Viene fuori che la Straniera è stata definita "albanese di merda" e ha risposto definendo Gentilina "italiana di merda", ma naturalmente il litigio non è cominciato così (la Straniera e Gentilina vengono dalla stessa classe e non risultava che avessero mai avuto da ridire una sull'altra, pur essendo anche l'anno precedente l'una albanese e l'altra italiana).
Mi spiegano poi che c'è "Qualcuna che non si fa mai gli affari suoi" e Qualcuna che "è stata giustamente lasciata dal ragazzo", ma nessuna di queste due Qualcuna fa parte del gruppo litigante, né della Classe dei Tordi.
Alla fine riesco a sdipanare un po' la matassa (sedando nel contempo un nuovo inizio di rissa e un ulteriore scambio di apprezzamenti sulle rispettive terre di provenienza delle contendenti): Qualcuna, dunque, è stata lasciata dal ragazzo; sempre questa Qualcuna, a suo tempo, aveva cercato di rubare il ragazzo a Qualcunaltra, e questa Qualcunaltra si era mostrata lieta che la Qualcuna fosse stata lasciata. Naturalmente Qualcuna, trovandosi nel ruolo di becca e bastonata, non aveva gradito tali commenti e aveva reagito con un certo vigore.
Cose che succedono, si sa, e capita in queste circostanze di perdere il lume degli occhi - non dovrebbe capitare, ma insomma sappiamo tutti che a volte capita.
C'è però un piccolo dettaglio: nessuna delle quattro protagoniste dell'azzuffatina è Qualcuna o Qualcunaltra. Costoro sono in altre classi; le mie quattro Torde però fanno parte della cordata di Qualcuna (due di loro) e di Qualcunaltra (le altre due). In pratica, stavano litigando per interposta persona. L'unico Tordo coinvolto direttamente in questa vicenda è Arslan, che ha lasciato Qualcuna, ma che non è stato minimamente chiamato in causa nell'azzuffatina in classe. Quanto a Marinaretta, ha semplicemente cercato di calmare le altre, prendendosi come unico compenso un tot di insulti: la poveretta infatti è legata a entrambe le cordate e le dispiaceva vederle litigare.
Le rampogno vieppiù, insistendo sul fatto che, se fuori dalla scuola hanno diritto di gestirsi la loro vita personale come meglio credono, varcato il portone devono mantenere un comportamento decoroso e, soprattutto, non disturbare le lezioni. Le ragazze mi ascoltano disciplinate, e provano pure a scusarsi.
Le rimando in classe piuttosto perplessa. La mia personale politica è sempre stata quella di non ingerire nella vita personale degli alunni, a patto che la loro vita personale non ingerisca nella gestione della classe - del resto, si sa che a intervnire in questi casi di solito non si cava un ragno dal buco, e anzi come politica personale quando posso cerco di vedere il meno possibile; ma se oltre allo strepito delle due femmine rivali in amore dobbiamo sorbirci anche quelli delle cordate di appartenenza delle due femmine in questione, allora non solo l'insegnante può ma deve intervenire, perché infine non possiamo farci carico, tra una verifica e l'altra, anche dei problemi gerarchici e di schieramento dell'intera scolaresca.

Comunque le fanciulle non solo mi hanno ascoltato, ma si sono attenute rigorosamente a quanto ho detto loro: e infatti il giorno dopo alcuni colleghi mi hanno riferito di un'epica rissa avvenuta poco fuori dai cancelli della scuola, dopo l'uscita, che comprendeva anche alcune alunne di classe mia.
Ho avuto cura di non indagare, ma a quel che ho visto, la frattura tra le mie alunne non si è più ricomposta e, ahimé, alla fine Marinaretta ha dovuto prendere posizione per una delle due cordate, abbandonando l'altra.
A Hogsmeade erano piuttosto manichei, ho notato: chi pretendeva di essere amico un po' di tutti aveva le sue brave difficoltà.

lunedì 2 gennaio 2012

Di troie e di zoccole


Secondo un' amica "zoccola" è una parola che evoca una grande sensazione di libertà, come un cavallo che corre in riva al mare. Immagino sia stata influenzata dalla pubblicità del bagnoschiuma Vidal che circolava quando eravamo bambine.

Sono stata ragazza negli anni Settanta, quando circolava il concetto di sorellanza e la solidarietà femminile era vista come un valore. Certo, non fra tutte e per tutte, ma mi trovai la mia nicchia senza troppa difficoltà. Insomma, essere aggressive tra donne non era visto proprio come un obbligo irrinunciabile, e ai maschi era richiesto di mostrare un certo rispetto formale non solo verso le loro partner, ma anche verso le donne in generale. Il concetto di "troia" e "zoccola", oggi così comune nell'accezione di "parole offensive da rivolgere ad un essere umano femmina in riferimento ad una sua più o meno vivace attività sessuale con una o più persone" non esisteva nella mia famiglia. C'erano le prostitute, a volte chiamate "puttane", ed era l'indicazione di un mestiere - legittimo, se effetto di una libera scelta, o da condannare se la femmina in questione era forzata a farlo. Parlando di donne che avevano una vita sessuale variegata (ma a cui si dedicavano per loro esclusivo piacere) si usavano espressioni soft del tipo "divertirsi" o "fare le corna" (se la signora in questione era sposata). C'erano naturalmente donne di cui si parlava male: se ne criticavano il carattere, la stupidità, la grettezza d'animo o tante altre cose, ma il fatto di avere un appetito sessuale più o meno vivace o una certa disponibilità ad accompagnarsi a più persone erano caratteristiche del temperamento e del carattere che non attiravano il biasimo - insomma, sul suo una donna faceva quel che meglio credeva, salvo rendere conto, eventualmente, al marito o al fidanzato. Le mie due nonne si regolavano allo stesso modo dei miei genitori e, per quel che ricordo, lo stesso faceva l'unico nonno che ho conosciuto. Il linguaggio nel complesso non era particolarmente modesto o pudico, ma, ripeto, il concetto di biasimo legato alla vita sessuale di una donna era assente. La parola "troia" era usata esclusivamente nella locuzione "figliol di troia" che in Toscana non è necessariamente intesa come insulto, mentre "zoccola" veniva pronunciata solo riferendo frasi dette da altri (di cui raramente veniva lodata l'intelligenza).
Le persone con cui ho stretto legami più forti nel corso della vita si regolavano nello stesso modo, anche se da un racconto di Benni è stata mutuata l'espressione "andare a darla in giro come il verderame nei campi" che parve assai carina - viene usata di solito in frasi del tipo "ma quand'anche andasse a darla in giro come il verderame nei campi sarebbero solo affari suoi".
A vederla oggi, sembra una roba da museo paleolitico. Il pendolo è girato e oggi "troia" è un offesa generica da rivolgersi serenamente a una femmina umana anche in contesti che col sesso non hanno assolutamente nulla a che fare - poniamo "quella troia mi ha sbagliato le fotocopie" (della vita sessuale di quella troia non sappiamo nulla, solo che quando esegue le fotocopie non controlla cosa viene fuori. Che è un demerito, sia chiaro. Assai grave, ai miei insegnanteschi occhi).
Spesso però viene usato
proprio e perlappunto per criticare quel che una signora fa sul suo, con una leggerezza e una stupidità che mi sono sempre risultate del tutto incomprensibili. E passi (cioè, "passi" un accidente. Ma facciamo finta che) se lo fa con tuo marito, il tuo fidanzato o anche solo il ragazzo o l'uomo che piace a te, si può comprendere un certo disappunto e una qualche irritazione che sfocia nell'aggressività verbale. Ma quando la signora in questione si prodiga per far del bene a un sacco di maschi che con te non hanno nulla a che fare, che motivo c'è di biasimarla?

Con questa mentalità antidiluviana, è chiaro che ho delle serie difficoltà a comprendere l'atteggiamento delle giovani generazioni verso il sesso. Intendiamoci, occasionalmente si trovano ancora ragazzi che, vuoi per l'educazione antiquata che hanno ricevuto, vuoi per un senso di discrezione, si astengono da questo tipo di censure. Ma son rari.
Le due principali preoccupazioni delle giovinette di oggigiorno sono: 1) non essere definite troie e 2) dare di troie alle altre. I giovinetti, invece, si limitano alla possibilità 2, anche se per fortuna la loro
VERA preoccupazione principale è trovarsi una o più ragazze (all'occorrenza da chiamare troie, ma solo nei momenti di stanca o dopo che ne sono stati piantati).
E non è solo un problema delle giovinette, visto che qualche mese fa un'immane quantità di donne è scesa in tutte le piazze d'Italia per protestare contro la concezione della donna che l'allora presidente del consiglio dei ministri e tutto il suo governo mostravano apertamente di avere. La manifestazione riuscì molto bene, ma io non mi sono mai liberata dal sospetto strisciante che parteciparci significava legittimare un po' il punto di vista di quegli strani esseri che all'epoca avevamo al governo e riconoscergli dignità di interlocutori; ma naturalmente il vero problema in quel caso non era tanto il presidente del consiglio dei ministri, bensì la quantità immane di uomini e donne che lo avevano votato nonostante (o meglio, siccome) avesse quel punto di vista. Un milione di donne ha protestato contro il suo modo di vedere le donne, ma quanti milioni di donne lo hanno votato pensando seriamente che un uomo che disquisiva liberamente sulla bellezza o meno delle sue ministre e avversarie e alleate politiche o risolveva una domanda scomoda invitando la giornalista che l'aveva posta a vestirsi meglio fosse proponibile come presidente del consiglio?

Che gli uomini italiani trovino tanto normale qualificare le donne di troie quando queste fanno qualcosa che a loro non va bene mi sembra deplorevole, ma che le donne, soprattutto quelle delle nuove generazione, accettino di porsi in questi termini anche tra di loro mi sembra, prima di tutto, incomprensibile. E pericoloso. Anzi, mi sembra la vera chiave di volta della questione femminile in Italia.
Il legislatore qui non ha colpa. In Italia il sesso è reato solo quando manca il consenso di una delle parti in causa. In tutti gli altri casi viene considerato legittimo. L'evasione fiscale è un reato, il riciclaggio è un reato, produrre danno ai monumenti è reato, cambiare ragazzo due volte al mese no; eppure i fatti dimostrano che si presta molta più attenzione alle donne che cambiano spesso partner piuttosto che a chi danneggia monumenti pubblici o ricicla denaro di provenienza illecita, e le donne, specie se giovani, sembrano particolarmente ossessionate da questo problema, preoccupandosi assai di giustificarsi, spiegando che
loro non sono troie, mentre le altre sì.
Per infischiarsene della questione ci vuole una forte dose di autostima - esattamente quello di cui sembrano mancare le ragazze delle nuove generazioni. E troppa della loro energia e forza mentale viene deviata su questa autentica questione del cazzo per permettere loro di dedicarsi adeguatamente alle vere sfide che la vita gli presenta: studiare, farsi degli amici, trovare un'adeguata quantità di amore, costruirsi una vita su misura per loro. Difendersi dalle compagne e badare alla loro reputazione dovrebbero essere occupazioni minimali, per badare alle quali basta usare un'infinitesimale quantità delle loro grandi forze. Non devono, o meglio non dovrebbero, essere i Grandi Problemi delle loro giovani vite.

Non so cosa possiamo fare a questo riguardo noi insegnantesse, spesso assai preoccupate di stabilire quali delle nostre o altrui alunne sono troie (dedicandoci, già che ci siamo, anche alle di loro madri, troie anch'esse, si capisce) e aggiungendo anche qualche buona parola su qualche collega.
Di certo nessuno ci chiede di far niente, in quanto il problema sembra non esistere. Assai maggiore attenzione viene dedicata, poniamo, all'anoressia. Ma se è vero che di anoressia a volte si muore, è anche giusto considerare che all'anoressia si arriva attraverso varie strade, e passano tutte per la questione dell'autostima e dell'immagine di sé.