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giovedì 31 marzo 2022

Come sono le nuove prime? (e come siamo noi?)

Gattini in fioritura (del resto, siamo in primavera)
 
"Come sono le prime di quest'anno?" è la classica domanda che aleggia in Sala Insegnanti qualche giorno dopo l'inizio della scuola. E continua a trascinarsi per qualche settimana finché, stabilito che le nuove prime sono come sono, l'anno scolastico parte davvero.
Ogni anno c'è qualcuno che spiega che le Nuove Prime sono ogni anno sempre più infantili e impreparate, e qualcuno* che tenta una debole difesa d'ufficio ricordando che ad ogni nuovo anno la cosa si ripete. E del resto è normale che ogni volta le Prime ci colpiscano per la loro singolare infantilaggine: quando arrivano da noi sono ancora bambini, senza dubbio: la metamorfosi che li porterà a diventare col tempo adolescenti incomprensibili e inconoscibili si avvierà in un qualche momento di Novembre, all'inizio in modo davvero impercettibile.
Sta di fatto che l'anno scolastico è ormai ampiamente avviato, abbiamo licenziato il primo quadrimestre, stiamo contando all'indietro i giorni che ci separano dalla fine dell'anno deprecando in cuor nostro che - orrore! - non abbiamo ancora fatto questo, quello e nemmeno quell'altro e per giunta siamo incredibilmente indietro col programma di storia, ma la domanda non ha ancora avuto una risposta; tuttavia, in qualche modo, continuiamo a farcela. Io, almeno, continuo - segno, se non altro, che la risposta non è arrivata.

La Prima Sfigata, tra alti e bassi e infiniti dubbi, si sta rivelando a conti fatti una classe deliziosa. Li amo teneramente e ci sto come un topo nel formaggio. Hanno un senso dell'umorismo molto simile al mio e un tocco di quieta follia che mi affascina.
Il primo sfondo di schermo che hanno scelto per la LIM è stato un cucciolo di ornitorinco 
ma poi han deciso di cambiare e la loro scelta è caduta su... un cane travestito da coniglio pasquale
che personalmente trovo orrendo ma insomma, il cliente ha sempre ragione.
Fanno quasi sempre i compiti, spesso e volentieri sbagliano a portare i libri e si sforzano di correggere i loro numerosi orrori ortografici.
Hanno una vivace vena narrativa e si prendono volentieri in giro.
E poi sono strani.
Non so spiegare bene come, ma sono strani. Ci provo e ci riprovo a capire cosa c'è di diverso dal solito, ma non ne vengo a capo, se non rifugiandomi in una definizione di comodo: sono piccoli.
Non fisicamente, almeno non tutti, e comunque non c'è niente di strano nel fatto che un primino sia piccolo.
Non sono nemmeno particolarmente infantili. Un po' distratti, questo sì. Ma, di nuovo, anche qui non c'è niente di insolito.
Arruffati, casinisti, rumorosi. E anche questo è normale.
Curiosi, vivaci, con imprevisti sprazzi di ragionevolezza.
Ma anche questo ci sta. 
Del resto, tutte le prime sono strane e ogni prima è strana a modo suo.
Ma le tre prime di quest'anno hanno qualcosa di misterioso e intangibile che noi insegnanti non riusciamo bene a individuare o toccare.

Sono le Prime del Covid. Il loro percorso scolastico in forma ordinaria è finito a metà della quarta. Tutto il lavoro che si fa negli ultimi due anni lo han fatto a pezzi e bocconi e a distanza, lasciando l'impressione di aver fatto un po' di tutto ma niente per bene.
E tuttavia, quando cominci a scavare, non li trovi così impreparati: siamo partiti mettendoci le mani nei capelli e ululando alla luna, ma al momento stiamo seguendo una normalissima programmazione.
Da tre anni non hanno un compagno di banco, anche se forse lo avranno l'anno prossimo, e hanno frequentato pochissimo le classi parallele.
Anche fuori si frequentano, certo, ma non nello stesso modo con cui si frequenterebbero abitualmente. Tuttavia i gruppi-classe non stanno venendo su malaccio.
Questi due anni hanno lasciato una specie di ombra, che non si riesce a toccare.
In sottofondo striscia il dubbio che il cono d'ombra sia rimasto anche su noi insegnanti cambiandoci in qualche modo impercettibile. Loro, certo, sono strani. 
Ma noi?
D'accordo, ogni insegnante è strano sempre e comunque; tuttavia sento una strana sfasatura con quei colleghi che frequento ormai da tanti anni, e non riesco nemmeno a capire se parta da me o da loro. Finisce così che mi sento più rilassata con i cosiddetti nuovi, perché con loro il rapporto è stato avviato quest'anno e quindi, strano o non strano che sia, è quel che è senza confronti col passato.

In conclusione: le nuove prime sono strane, i miei amati colleghi pure e anch'io non mi sento tanto a posto...

* (di solito io)

lunedì 28 marzo 2022

Tormentone di classe o tormentone universale? (il gabbiano e la sua compagna)

La prima volta che sentii citare il povero gabbiano che aveva perduto la compagna non ci feci gran caso, anche perché in classe in quel momento stavamo parlando di fauna aviaria fluviale: stavamo studiando i fiumi, a Geografia, e mi era venuta l'idea di fare una delle mie flipped classroom dove assegno a ognuno una ricerchina su un piccolo tema, da presentare corredata da immagini;  i gabbiani erano dunque del tutto pertinenti. Per quel che mi sembra di ricordare vennero appunto citato il gabbiano, qualcuno dal pubblico aggiunse "che ha perduto la compagna" ma subito dopo  chi presentava la ricerca passò a parlare di aironi e anatre.
Ad ogni modo da allora il povero gabbiano che aveva perduto la compagna era stato citato più volte, soprattutto nelle conversazioni informali che si svolgono mentre l'insegnante cerca di collegarsi in rete o simili. 
Poi ci fu la passeggiata in riva al fiume che scorre a St. Mary Mead, nell'ambito di un laboratorio di scrittura creativa, e il gabbiano scompagnato venne citato svariate volte; mi ritrovai a pensare che si trattasse di una di quelle frasi che fanno parte del folklore interno di una classe. Sapevo che, a semplice richiesta, chiunque mi avrebbe spiegato come e perché era nata quella frase, ma in quel momento i ragazzi stavano facendo la loro prima uscita all'aperto dopo sei mesi tappati in classe come talpe e non volevo distrarli dal mirabile evento, anche perché gli era stato assegnato il compito di concentrarsi sulle loro sensazioni e le chiacchiere dell'insegnante non erano granché previste - tra l'altro era una giornata fredda ma molto bella e anch'io ero assai occupata a godermi la bella sensazione di girare come un'anatra con i pulcini al seguito, tipica dell'insegnante che esce con una prima media, che non provavo ormai da diversi anni perché, prima della pandemia, per me c'erano stati gli anni dell'ospedale.
Fu soltanto mentre correggevo i testi scomodamente composti sul greto per poi renderli ai ragazzi, che li dovevano trascrivere al computer e in seguito appendere ad un grande albero in balsa - una coda del progetto che era venuta in mente ad Arte - che rimasi colpita dalla quantità di poveri gabbiani che avevano perso la partner e mi resi conto che forse più che un tormentone di classe era qualcosa di collegato a una trasmissione televisiva; o forse a un cartone animato?

Così provai con una stringa di ricerca su Google e nel giro di un quarto d'ora ero informatissima su tutta la questione.
La storia è abbastanza insolita: nel 1988 lo stimato cantante neomelodico Gianni Celeste scrisse e cantò la canzone Tu comm'a mme in cui lamentava la triste circostanza di essere stato lasciato dalla sua amatissima ragazza e si paragonava a un povero gabbiano che, avendo perso la compagna, era così sconfortato da non avere più nemmeno voglia di volare. 
La musica neomelodica era anche allora molto popolare, ma solo in certe aree geografiche e insomma, a Firenze l'unico gabbiano musicale  giù di corda che era arrivato era stato Il gabbiano infelice del Guardiano del Faro, nel lontano 1972.
Ad ogni modo Tu comm'a mme deve essere stato piuttosto famoso perché, a distanza di ben 34 anni due TikToker palermitani che in rete sono Duracell e il Signor Franco han fatto un video che citava appunto la canzone.
Com'è noto, i video su TikTok raramente si segnalano per la loro estrema seriosità e anzi vengono spesso additati nell'ambiente educativo e genitoriale come i responsabili di tutti i mali dell'universo. "Ho scoperto che mia figlia fa i video su TikTok" è la frase inorridita con cui molte madri aprono ai docenti il loro cuore affranto, e del resto la piattaforma è frequentata soprattutto da adolescenti. A titolo del tutto personale aggiungo che secondo me la questione è a volte drammatizzata e che la piattaforma pullula anche di deliziosi video di gattini filmati  nei loro momenti più assurdi.

Comunque sia, il video sul povero gabbiano ha avuto un grande successo e conta adesso  anche numerosissimi tentativi di imitazione in cui il lamento sul povero gabbiano viene soprattutto associato ai molti momenti della vita infelicitati da contrarietà non eccessivamente drammatiche (a questo proposito si citano soprattutto i calzini spaiati ma il campo è molto più vasto).
Il caso del povero gabbiano però ha attirato l'attenzione non soltanto perché adesso il mondo pullula di poveri gabbiani che han perduto la compagna, ma anche perché è un curioso passaggio generazionale: una canzone che nel corso degli anni era caduta in parte nell'oblio e che non era mai riuscita a raggiungere il cosiddetto mainstream è adesso improvvisamente tornata alla ribalta ed è stata riportata al successo con una sorta di revival fatto dalle nuovissime generazioni, tanto da arrivare fino a me che su TikTok non ho ancora messo piede.
Io invece mi sono ritrovata a riflettere sul potere della rete di collegare il mondo: tutte le classi hanno avuto i loro tormentoni, nati dalle più varie circostanze - ricordo per esempio i numerosi rifacimenti del Ballo in fa diesis di Branduardi che imperversavano nella mia classe del liceo, adattati alle più varie circostanze dove la più strana gente portava corona. Adesso però questi tormentoni viaggiano da un capo all'altro del paese (se sono in inglese, anche del mondo): sul povero gabbiano circola ormai non solo una vastissima videografia su tutti i social, ma abbondano anche i meme, dove non di rado non c'è nemmeno l'ombra di un gabbiano.
E tutto questo mi sembra davvero carino.

domenica 27 marzo 2022

Il Gran Torneo Letterario del Comprensivo di St. Mary Mead e Crifosso - 1 - Tutti i professori di Lettere andrebbero strozzati in culla (io per prima, si capisce)

Carle Vernet - Il trionfo di Paolo Emilio (dettaglio) 1789

Nel bel mezzo della prima settimana dopo le vacanze di Natale, quando alla scuola media gli insegnanti diventavano positivi uno dopo l'altro, venne indetta una riunione di dipartimento urgente per Lettere: il vicepreside prof. De Magistris aveva infatti avuto l'idea di organizzare un concorso letterario per gli alunni, e chiaramente non si poteva aspettare nemmeno un giorno per discutere cotal proposta (che sarebbe stata alfine avviata due mesi dopo).
Ed eccoci dunque in videoconferenza per organizzare il gran torneo.
L'idea di base in effetti non è malvagia, e non c'è motivo di non approvarla, tanto più che il prof. De Magistris ha pure un argomento già pronto da proporci: il Cambiamento, da intendersi in tutte le sue accezioni: cambiamento climatico, cambiamento personale, metamorfosi, trasformazione e via dicendo.
L'argomento è così convincente e ben trovato che, pur essendo noi ben dieci insegnanti di Lettere, nessuno trova niente da ridire - evento prodigioso e non destinato a ripetersi per tutta la riunione (e forse per tutto il prossimo millennio).
Ammettiamolo, è un gran bell'argomento e ci puoi infilare dentro veramente di tutto. Personalmente odio quei concorsi letterari dove devi svolgere delle riflessioni sulla Resistenza in Val di Serchia nella primavera del 1944 oppure sull'utilizzo dei vegetali a foglia larga nell'ambito di una dieta ben equilibrata, ma non devono essere più di 200 grammi di vegetali a foglia larga e le brassicacee sono escluse. 

Ma poi c'è da stabilire la forma dell'elaborato.
Versi e prosa, suggerisce De Magistris. Racconto, riflessione o quant'altro gli pare.
"Possono scriverlo anche in forma di diario o lettera?" chiede la prof. Galvani. 
Quella della possibilità di esprimersi in forma di diario o lettera è uno dei tormentoni che ricorrono da tempo immemorabili nelle tracce dei temi. Cioè, non proprio da tempo immemorabile, bensì dai tempi dell'ordinanza sull'esame di terza media del 1974. In quegli anni la Forma Diario e la Forma Lettera erano specificati nel programma di seconda media di Italiano e apposite sezioni dell'antologia le illustravano nei dettagli - di solito con risultati spassosi perché da sempre il diario ognuno lo tiene come gli pare e le lettere le scrive parimenti a modo suo, a meno che non lavori in una segreteria o in una cancelleria - ma giuro che alla SSIS qualcuno mi spiegò come doveva essere redatta una lettera d'amore, e si aspettava seriamente che ce ne servissimo, di quella spiegazione, per spiegarlo a nostra volta ai ragazzi.
"Certo che possono scriverla in forma di diario o lettera, possono scriverla come gli pare" provo a rispondere. Ma lei insiste che va specificato nel bando e alla fine, perché no, si può anche specificare.
"E poi possono anche fare una canzone. Un rap, per esempio. Ai ragazzi piace molto il rap".
D'accordo, possono fare anche il rap, conveniamo tutti.
"Oppure un fumetto. Possono fare un fumetto".
Vada per il fumetto. Non è che fare una storia a fumetti sia proprio facilissimo, ma in effetti abbiamo avuto tutti qualche amante del disegno che a volte arrivava col suo fumetto al posto del tema, o meglio che svolgeva il tema in forma fumettata, e regolarmente questo qualcuno veniva lodato, non foss'altro che perché si era sobbarcato una gran fatica e ci aveva speso su un sacco di tempo.

Arriva poi il momenti della giuria, e lì son dolori.
"Giuria mista, formata da alunni e insegnanti" propone De Magistris.
Sembra una buona idea, sulla carta, ma solo per decidere che entrambe le giurie devono comprendere alunni e professori sia di Crifosso che di St. Mary Mead ci vuole un'eternità.
Un'altra eternità viene impiegata a decidere che i professori di Lettere non devono stare in giuria, in base al conflitto di interessi, e un'altra eternità a stabilire a chi chiedere che non sia di Lettere. In sottofondo aleggia il Non Detto "Pòle chi non è un insegnante di Lettere valutare uno scritto?", e alla fine la risposta è uno stentato "Sì". Se da una parte sono un po' dispiaciuta di non poter entrare in giuria, dall'altra avere l'opinione e la valutazione di qualcuno che non è del mestiere mi sembra interessante.

Ma il bello deve ancora venire perché adesso c'è da stabilire le Modalità del Concorso - un punto che invero avevo assai sottovalutato ma che alla fine si è rivelato il più divertente. Per uno spettatore con il pop corn in mano, intendo.
Dunque, i ragazzi fanno il loro bell'elaborato sul cambiamento, poi...
"Poi ce li consegnano e noi facciamo il lavoro di editing" interviene la prof. Galvani col tono di chi dice "E poi quando piove apriamo l'ombrello oppure andiamo sotto una tettoia per ripararci".
"Perché gli dobbiamo fare l'editing?" domando sorpresa.
"Se non gli facciamo l'editing saranno pieni di errori!".
"Cazzi loro. Se sono pieni di errori vuol dire che non verranno premiati".
Anche agli editori, mi si dice da più parti, arrivano sovente manoscritti pieni di orrori e di errori, e la prima scrematura consiste appunto nel cestinare i testi che non sono scritti in un italiano corretto. 
Se lo fanno gli editori, lo possiamo fare anche noi, giusto?
"Ah, ma tu non hai idea!"
Per l'appunto, dopo venti e passa anni che correggo scritti di tutti i tipi qualche idea ce l'ho, ma non capisco perché glieli dobbiamo correggere prima che intervenga la giuria.
Soprattutto mi pare di avere capito che l'editing in editoria è una roba più intrusiva della semplice correzione degli errori, e in cuor mio sospetto che più di un collega sarebbe assai tentato di intervenire sulla struttura e perfino sulle argomentazioni. Questo però non lo dico, perché non voglio finire lapidata sulla pubblica piazza.
Mi sembra però che in un concorso ognuno abbia diritto di partecipare col suo specifico elaborato, e prendersi le conseguenze dei suoi eventuali errori (questo invece lo dico, tipo una decina di volte, forse quindici).
Il prof. De Magistris sembra invece piuttosto fiducioso: lui fa una specie di giornalino della scuola, a Crifosso, e sostiene che di editing ne deve fare ben poco quando gli consegnano i testi, e spesso non edita un bel nulla (il che mi sembra piuttosto credibile).
Ma tutti scuotono la testa sconsolati. Ah, l'editing, l'editing...
"A me non sembra corretto fargli l'editing" insisto.
Pian pianino, sotto l'abile guida di De Magistris, la ristrutturazione del testo intesa da Galvani si trasforma in un editing minimo, di cui sospetto che, nella stesura del regolamento, avrà cura di ricordare di dimenticarsi di accennare.
"E poi useranno un correttore ortografico, giusto?" osserva qualcuno.
"Ah sì, certo, dobbiamo procurarci i computer" osserva qualcun altro "A proposito, ne abbiamo per tutti?".
"Difficile da dire, visto che non sappiamo ancora in quanti parteciperanno".
"Ma.. lo scriveranno dal computer di casa loro, no?" osserva qualcuno, di nuovo col tono di chi dice "E poi quando piove apriamo l'ombrello oppure andiamo sotto una tettoia per ripararci".
Ma no, non è affatto così semplice. Risulta che il Dipartimento è schierato in due fazioni equivalenti e contrapposte, che finora non sono emerse solo perché ciascuno era convinto che la sua fosse l'unica e ovvia possibilità da prendere in considerazione.
Per comodità le chiamerò, come le ho chiamate nella riunione, "Modalità Giralibro" e "Modalità Invalsi".
La Modalità Giralibro, che prende il nome dal concorso letterario detto appunto del Giralibro, prevede che vengano asssegnati un tema, una data di scadenza e un indirizzo cui mandare gli elaborati, che i ragazzi consegnano al referente in busta chiusa e senza che il loro insegnante di Lettere ci abbia niente a che vedere. 
La Modalità Invalsi prevede i concorrenti chiusi in una stanza a far la prova durante l'orario scolastico, mentre il loro insegnante si fa delle gran teglie di cavoli suoi da qualche parte, senza eseguire poi nessunissimo editing.
Interviene la prof. Quadrella "Gli elaborati devono farli a scuola, altrimenti glieli fanno i genitori" e passa a raccontare di come spesso da casa arrivino dei gran capolavori laddove a scuola gli stessi ragazzi scrivono ben peggio.
Sì, sì, convengono tutti, i genitori non devono intervenire.
Il prof. De Magistris prova a mediare. Lui non pensa che l'elaborato sarebbe scritto dai genitori, ma se il lavoro di cosiddetto editing lo facessero i genitori, o gli amici, non ci troverebbe niente di male. Insomma, vedesse un po' l'alunn* come regolarsi.
La discussione procede. L'elaborato deve essere eseguito in un giorno X, nell'Aula Magna, e gli alunni devono entrare senza appunti o schemi o foglietti mentre la stesura degli elaborati in questione verrà sorvegliata con occhi di fuoco da alcuni docenti. Non è ben chiaro se i malcapitati concorrenti verranno anche sottoposti a perquisizione esterna ed interna all'ingresso e se verrà loro consentito di andare in bagno (dove potrebbero essere collocati strategicamente foglietti dell'elaborato preparato a casa dai genitori) o di fare colazione (facendo però attenzione che l'incarto della merenda non contenga foglietti preparati a casa). Mi guardo bene dal far domande, ma da come lo stanno preparando mi sembra peggio di qualsiasi concorso statale cui abbia mai partecipato.
In sottofondo, il prof. De Magistris (anche lui del partito Giralibro) prova a dire che boh, veramente a lui sembra un po' eccessivo, ma una volta tanto nessuno se lo fila.
Qualcuno arriva a suggerire perfino di assegnare l'argomento il giorno stesso, così è certo che non potranno prepararlo a casa. 
Qualcun altro ribatte che in questo modo è semplicemente un tema. E poi siamo sicuri che riusciremmo a tener segreto l'argomento?
Ma certo che riusciremo a tenerlo segreto, che domande!
Io ne dubito assai in cuor mio, anche perché sospetto che molti di quegli insegnanti che vedono tranelli dappertutto non esiterebbero un istante ad anticipare il Segretissimo Argomento onde avvantaggiare i loro alunni, un po' come avviene nel Torneo dei Tre Maghi di Harry Potter (J.K. Rowling conosce molto, molto bene il mondo della scuola), ma di nuovo me ne sto zitta e buona.
Il prof. De Magistris, dopo aver provato a lungo ma invano a mediare o a suggerire formule che riescano a contentare entrambe le fazioni, dopo quasi un'ora di accanita e sempre più delirante discussione adotta infine la Tecnica del Nodo di Gordio:
"Deciderà la Preside" proclama, chiudendo la sessione un attimo prima che la rissa diventi ingestibile.

martedì 22 marzo 2022

Il pensiero dominante

Questa splendida gatta a forma di punto interrogativo si chiama Amy ed è  di un amico di rete 

Ormai da un mese ai confini dell'Europa è in corso una "Operazione militare speciale" che nelle intenzioni avrebbe dovuto risolversi in pochi giorni e che ha mandato nel pallone più completo l'Europa in questione.
Come tanti, anch'io sono cascata dall'albero con un fragoroso stump! 
E finché ci casco io, che vivo in un paesello di provincia e passo le mie giornate immersa in questioni complesse del tipo "E se gli facessi tutto il sesto libro dell'Odissea, quello su Nausica, invece di fargli leggere solo un pezzettino come fanno nell'antologia?" oppure "Col congiuntivo ancora non ci siamo, domani provo con un nuovo tipo di esercizi" mal di poco, in fondo non sono io che devo prendere decisioni. Ma dall'albero è cascata anche un sacco di gente che adesso nelle varie tavole rotonde e dibattiti televisivi esordisce dicendo "Anch'io, come tanti, non pensavo che Putin facesse sul serio" per poi spiegare nel dettaglio che in realtà c'erano segnali inquietanti da un bel po' e insomma qualsiasi idiota avrebbe dovuto capire che; tutta gente che di mestiere appunto dovrebbe arrivare ben preparata a queste cose.
Gli autori dell'Operazione Militare Speciale parlano poco, e quando lo fanno dicono cose molto strane: che non hanno invaso l'Ucraina, che non vogliono occupare l'Ucraina (ma solo bombardarla, sembrerebbe) e che comunque è colpa dell'Ucraina se è stata attaccata, per poi aggiungere che davvero non si rendono conto perché tutti stan tanto a strepitare se loro fanno la loro Operazione Militare Speciale e tanto meno perché tutti i giorni studiano qualche nuova sanzione contro di loro, nemmeno avessero fatto chissacché, e che quindi si sentono molto offesi per questo. Ogni tanto, anche, ricordano che hanno degli armamenti atomici e potrebbero anche usarli per farci dispetto - che, considerato che loro sono lì a un passo da dove lancerebbero eventualmente gli armamenti atomici di cui sopra, sembra una pensata quantomeno un pochino autolesionista.
Il fronte dei combattimenti non è poi molto lontano da noi (il che non contribuisce certo a garantirci sonni tranquilli, e se non siamo molto tranquilli noi in Italia mi figuro in Polonia dove per pochi chilometri non si son visti cascare in testa bombe di vario tipo) ma informarsi su quel che succede è davvero difficile; a dirla tutta, certamente da una parte e dall'altra ci mandano parecchia propaganda, ma in cuor mio alberga il forte dubbio che nemmeno loro non sappiano molto bene cosa sta succedendo. Naturalmente chi spara sa benissimo che sta sparando e chi si ritrova le bombe sulla testa ha piena cognizione del fatto che lo stanno bombardando, ma da lì ad avere un quadro completo della situazione c'è una bella differenza, e infatti non è raro vedersi annunciata nel giro di poche ore prima una cosa e poi il suo contrario, e gran parte di queste cose non viene spiegata nel dettaglio. Insomma, andiamo tutti a tastoni.
Quel che mi sembra di aver capito sono due cose:
1) Laggiù in Russia Qualcuno ha stabilito che era giunto il momento di rendere alla Russia i suoi confini naturali.
Questa possibilità suona decisamente inquietante alle orecchie di tutti, ma in particolare alle orecchie che appartengono a chi ha studiato un pochino di storia - perché i confini "naturali" della Russia sono piuttosto elastici e volendo includono una quantità spaventosa di stati attualmente indipendenti: Georgia, Armenia, Estonia, Polonia, Lituania, Ucraina, Bielorussia, Moldovia, Finlandia, Polonia...
E tutti, assolutamente tutti, ricordiamo benissimo che qualche anno fa ci fu un tedesco che parlò di riportare la Germania al suo giusto spazio vitale, e la cosa portò a conseguenze alquanto spiacevoli anche in luoghi che non avevano mai fatto parte dello spazio vitale della Germania.
2) Questo Qualcuno sembra aver dimenticato che, quando gli abitanti dello spazio vitale in questione non collaborano con entusiasmo, la cosa non sempre va a finire benissimo, e per giunta sembra aver organizzato il tutto in modo abbastanza approssimativo. Voci di corridoio sostengono che fosse convinto che gli ucraini li avrebbero accolto festosamente; e se queste voci di corridoio fossero almeno in piccola parte verosimili sarei davvero curiosa di sapere che marca di vodka bevono, in quei palazzi - per non comprarla, perché mi sembra roba dannosa. Se invadi l'Ucraina con la scusa che è russa, allora dovrai ben calcolare il fatto che i russi, da sempre, appena gli entri in casa senza essere invitato reagiscono malissimo e si sono fatti una reputazione formidabile in tal senso sterminando due dei più grandi eserciti della storia d'Europa. 
Ma le voci di corridoio dicono un sacco di cose e non sono mai molto attendibili. Ma quand'anche stavolta lo fossero, resta il fatto che non puoi mandare un esercito a giro per il mondo per poi rimettertelo in un taschino e andare via fischiettando con fare indifferente. Non te lo lasciano fare.

Così anch'io, come tanti, al momento mi sento in guerra - una condizione spiacevole, anche se molto meno che esserci davvero, in guerra - e passo le giornate incollata a notiziari e dibattiti vari, imparando infinite cose sui passi che negli ultimi trent'anni ci han portato a questa deplorevole situazione, sui commerci internazionali, sulle fonti energetiche e sull'importanza strategica del Mar Nero ma senza cavare alcunché di utile, al momento, da tutte queste nuove cognizioni che fanno di me certo una cittadina molto più informata, ma anche molto più ansiosa di com'ero un mese fa.
Anche i ragazzi sono molto ansiosi, e cercano da noi adulti conforto e rassicurazioni, o almeno qualche certezza su cosa sta succedendo. Purtroppo, ho scoperto, è molto difficile dare qualcosa che non si ha, anche quando la si darebbe volentierissimo e anzi si pagherebbe di buon grado per poterla dare.
Arte ha risolto la questione facendo fare alle classi dei bellissimi teli sui simboli della pace. Io non ho la forza morale né la tecnica per fare niente del genere, ma cerco di rispondere alle domande e gli ho dato un testo sulla paura. 
Chissà se qualcuno indovina di quale paura hanno parlato?

lunedì 21 marzo 2022

Il buon senso del gatto (piccolo aneddoto senza importanza)

                     

Io e Arte prendiamo lo stesso treno quando entro alla prima ora, così spesso percorriamo insieme il breve tratto che separa la stazione dalla scuola.
Stamani, mentre parlavamo pigramente del più e del meno, ci siamo trovate davanti un bel gatto soriano, proprio come quello della foto.
"Bello micio!" l'ho salutato io, che da ben venticinque minuti non vedevo gatti ed ero dunque in crisi di astinenza.
Il micio gradisce, si fa coccolare e chiacchiera con noi seguendoci. Anche Arte lo accarezza e lui alza la coda molto compiaciuto.
E Arte, colta da ispirazione, dice "Sarebbe bello avere un gatto a scuola".
"Oh sì, sarebbe un'ottima idea" convengo.
"I ragazzi lo apprezzerebbero molto. Potrebbe stare sulla cattedra ad aiutarci, e giocare con i ragazzi negli intervalli".
"E poi intorno alla scuola ci sono diversi prati, potrebbe fare una vita molto piacevole".
Ma, ecco, alla parola "scuola" il gatto si è fermato e non ci segue più.
Immagino sia solo una coincidenza. Probabilmente si è fermato davanti al giardinetto di casa sua. Sta di fatto che è lì, fermo, e non mostra più nessuna inclinazione ad accompagnarci.
Ho sempre sospettato che i gatti capiscano l'italiano.

domenica 20 marzo 2022

Sulla deplorevole ignoranza riguardo all'Europa orientale di cui la scuola italiana è in parte responsabile (ma non per colpa mia)

Ebbene sì, questa carta descrive la situazione dell'Europa nel 1914

Sin da quando ho cominciato a insegnare sono rimasta colpita da un certo paradosso che riguardava la geografia europea: stati come l'Inghilterra, la Francia e la Spagna, che gli alunni conoscono abbastanza bene e gli insegnanti anche e per giunta sono oggetto di cospicui approfondimenti da parte degli insegnanti di lingue sono oggetto di ampie disgressioni geografiche, culturali, monumentali, storiche eccetera, mentre appena si passa la vecchia cortina di ferro, che un tempo in qualche modo ci divideva anche dalla Jugoslavia, abbiamo solo poche e scialbe descrizioni accompagnate da schede storiche che dir che fanno pena è fargli un complimento.
Tutto ciò aveva magari senso quando avevo l'età dei miei attuali alunni: dall'Est arrivavano poche notizie, di solito di discutibile attendibilità, e con l'Est avevamo poco a che fare, anche se qualche avventuroso andava al mare o a caccia in Jugoslavia.
Poi il tempo è passato ed è arrivato un papa polacco - che all'inizio venne  considerato una sorta di alieno giunto casualmente dall'impero di Vega, nonostante parlasse un italiano migliore di parecchi dei nostri politici e oltre all'italiano se la cavasse bene con molte altre lingue. 
Grazie a lui la Polonia entrò nei giornali e nella nostra vita a colazione, pranzo e cena - per riassumerla nella sconsolata frase apparentemente assurda della mia amica del cuore davanti a una manifestazione di Comunione e Liberazione dedicata al povero popolo polacco oppresso "A dar retta a loro tra poco una ragazza, quando andrà a letto, invece del suo amico si porterà uno di quei cartelloni sui polacchi" (e infatti tutte noi che la ascoltavamo, invece di dire "Ma che cazzo dici?" annuimmo convinte). Erano infatti gli anni di Solidarnosc.
Ci furono poi le guerre di quella che, appunto con quelle guerre, diventò la ex-Iugoslavia (la J, misteriosamente, si cambiò in I anche se il suono rimase lo stesso).  La Iugoslavia ce l'avevamo alle porte di casa, ma di fatto non se ne parlava molto - non per colpa dei telegiornali, che invero ci informavano regolarmente sulla questione, ma l'argomento prendeva poco e ai nostri occhi erano una gabbia di matti che improvvisamente si erano messi a picchiarsi non si capiva bene perché.
Poi cadde il comunismo e arrivarono grandi stormi di migranti dall'Albania e, appunto, dalla Iugoslavia in dissoluzione, seguiti poi da polacchi, bulgari, ungheresi, rumeni e perfino da qualche russo.
Nel frattempo io avevo cominciato a insegnare, anche se questo fatto, pur così importante per me, ebbe per l'opinione pubblica ancor meno rilievo delle guerre della ex-Iugoslavia e si fatica a trovarne tracce nelle rassegne stampa internazionali.

I libri di geografia comunque mantennero  il vecchio schema: quindici pagine per il Regno Unito, sei per la Russia e qualche francobollo per i paesi balcanici, con un cenno distratto sulla Primavera di Praga e niente del tutto sull'invasione dell'Ungheria. In Bulgaria coltivavano le rose, in Polonia erano molto cattolici e ci avevano la Madonna Nera, in Cecoslovacchia (nel frattempo diventata repubblica Ceca + repubblica Slovacca lavoravano il cristallo e allevavano bovini, Budapest era una città doppia formata da Buda e da Pest.
Tuttavia tutto il mondo slavo e non più comunista ormai non era più così estraneo alla nostra vita quotidiana: frotte di italiani andavano in vacanza in Croazia e Slovenia, Andare in vacanza a Praga o a Cracovia era piuttosto consueto, le nostre classi erano popolate di albanesi, polacchi, romeni, bosniaci e montenegrini - e col tempo un bel po' di quella gente entrò anche nell'Unione Europea. Inoltre un sacco di imprenditori italiani misero radici nell'Europa dell'Est e cominciarono a fiorire anche i matrimoni. Insomma, quei paesi non erano più una lontana terra di leggende, e i vari alunni di origine bulgara, croata, bosniaca eccetera secondo me avevano diritto a vedere descritti con un po' di attenzione le terre dove erano nate e vissute le loro famiglie - terre che non mancano certo di bellezze naturali, monumenti di pregio e illustri tradizioni storiche, architettoniche, musicali, artistiche e letterarie.
Ma anche se dalla caduta del comunismo sono ormai passati trent'anni, i manuali di Geografia continuano a mantenere un pudico riserbo sull'Europa occidentale, che continua a presentarsi come una serie di francobolli staccati tra loro (dove comunque si coltivano grandi quantità di barbabietole da zucchero, e in Bulgaria abbondano le rose - anche se a quel che ho capito la Valle delle Rose è usata ormai soprattutto per il turismo.
A peggiorare le cose c'è il fatto che Geografia, essendo un libro occidentale, si legge da sinistra a destra e dunque si parte da Spagna e Portogallo per arrivare solo a tre quarti dell'anno all'Europa dell'Est, che quindi viene fatta nel migliore dei casi in modo piuttosto affrettato, con l'unica eccezione della Germania dove un cospicuo approfondimento sul Muro di Berlino non manca mai; e mentre nei primi anni lo spiegavo con serenità come uno dei tanti casi della vita, negli ultimi tempi gli sguardi delle classi mostravano chiaramente di trovarla una storia di pazzi - e hanno ragione loro, naturalmente, è stata proprio una storia di pazzi e sembra assurdo ripensandoci che a qualcuno sia venuto in mente di fare una cretinata del genere e l'abbia anche fatta. Ma dico, non potevano lasciargli tutta Berlino e amen? Nossignori, un quarto di città con uno schieramento, tre quarti con l'altro schieramento ma circondati da uno stato comunista.

Per una serie di raffinati motivi che originano dal mio fermo convincimento che "a scuola si dovrebbe studiare quel che non si conosce, non quello che già si sa" ma anche da certe mie caratteristiche caratteriali (spirito di contraddizione, pedanteria e masochismo, tanto per citare le tre più appariscenti) mi sono sempre adoperata con grande impegno per rimediare a questo stato di cose che, a quel che so, non turba assolutamente nessuno tranne me.
E già che ci sono, mi è d'obbligo precisare che quando ho cominciato a insegnare, di Geografia non sapevo proprio nulla, e dunque ignoravo tutto (anche) dell'Europa dell'Est. Ma in qualche modo ho sempre considerato un sacro dovere tormentare i miei sventurati alunni soprattutto con l'Europa dell'Est, sulla quale nel frattempo ho imparato diverse cose di vario genere.
E dunque, il primo anno in cui mi sono trovata ad addentare la geografia europea sono partita direttamente dalla Russia, per poi muovermi verso ovest.
Come molte idee all'apparenza brillanti, almeno per chi le concepisce, anche questa dimostrò qualche inconveniente - vuoi perché avviare le interrogazioni sugli stati con la Russia, per quanto in versione semplificata, è una discreta cattiveria, vuoi perché se fai la Russia in Seconda i ragazzi popi non possono portarla in Terza all'esame, dove invece in molti percorsi ci sta comoda come un topo nel formaggio, senza contare che è effettivamente (anche) uno stato extraeuropeo, almeno per i tre quarti del suo territorio. A questo proposito mi sento in dovere di aggiungere che sui tre quarti extraeuropei ho trovato solo un manuale che si attentava a dire qualcosina, eppure geograficamente mi è sempre parsa un territorio piuttosto interessante.
Con gli anni ho comunque elaborato una metodologia che si è rivelata piuttosto valida: si parte dalla Grecia, che è uno stato molto amichevole e per inaugurare le interrogazioni va benissimo; da lì si continua con la regione balcanica - ex-Iugoslavia, poi Albania (su cui cerco di soffermarmi un po' quando ho qualche alunno albanese, cioè sempre) Turchia e Cipro. Da lì si passa al blocco del Patto di Varsavia, poi la Germania e infine repubbliche baltiche, Bielorussia e Ucraina. 
Infine si passa all'occidente, che è più facile e dunque va meglio perché a fine anno i ragazzi sono stanchi e poi ci sono in mezzo le gite... voglio dire, un tempo lontano c'erano le gite e le uscite varie di primavera.
Li tormento senza pietà con la storia del panslavismo e delle guerre iugoslave, ma come gadget c'è anche la parte geografica propriamente detta che, soprattutto nella regione balcanica, è davvero bella e i paesaggi recitano benissimo.
Li tormento molto anche con la storia del Patto di Varsavia e del comunismo. Cioè, del comunismo non parlo più dello stretto indispensabile, tanto lo faranno a Storia in Terza, ma insisto molto sul fatto che per mezzo secolo le due Europe sono state separate e dall'altra parte non erano molto contenti di come li trattavano - che serve se non altro a spiegare perché  laggiù sono tutti europeisti anche se certe direttive sulla tutela dei diritti di gay e lesbiche si entusiasmano ben poco.
L'Unione Europea la infilo dove capita, a seconda delle circostanze. A volte ci insisto molto, a volte poco, dipende da come reagisce l'utenza. Tra l'altro non è molto facile da spiegare: non è una federazione, non è una confederazione, è... boh, è l'Unione Europea, prendetela così.

Quest'anno, purtroppo, questa mia mattana si è rivelata molto più utile del previsto ai fini della didattica.