Il mio blog preferito

venerdì 31 dicembre 2021

Nell'ultima sera dell'anno...


 ...si posso fare talvolta incontri insoliti ma piacevoli.
Auguri per la Notte del Passaggio
che poi domani si vedrà

Frate Leone pecora d'Iddio, parte terza

Anne Mortimer - Christmas Visitor
In una radiosa e splendente mattinata di fine anno, cosa di meglio di una bella puntata in un centro vaccinale per la tanto attesa terza dose?
Qualche considerazione comunque si impone.
La prima è che, se non trovo modo di farne una rubrica fissa come, ad esempio, Il vero Insegnante non teme il Ridicolo, non ha molto senso continuare con queste comunicazioni. Tanto per cominciare, vaccinarmi ha perso ogni tratto di originalità: sono insegnante, ergo devo vaccinarmi, così come ogni anno devo scrivere una programmazione per ogni materia di ogni classe, due volte all'anno devo fare gli scrutini alle classi in questione e ogni mese ricevo una busta paga. 
Si parla di farne un appuntamento fisso semestrale o quadrimestrale, quindi almeno per qualche anno tutto ciò farà parte della consueta routine del mio lavoro.

La seconda considerazione è che la macchina organizzativa sta perdendo colpi. Abbiamo un tot di gente che sta facendo la prima dose, un altro tot di gente che sta facendo la seconda e in più ci siamo noi della terza. A questo punto sarebbe interessante capire perché i punti di vaccinazione sono diminuiti e a Lungacque non ce n'è più nessuno.
D'accordo, non siamo una metropoli, ma abbiamo pur sempre 20.000 abitanti e una stazione ferroviaria con biglietteria, oltre ad essere lo snodo di diverse linee. Qualcosina potevano lasciarcelo. E qualcosina in più potevano lasciarla anche a Firenze e comuni limitrofi.

Terzo punto: il morbus italicus del Dato Inutile, che alle prime due dosi sembrava debellato, torna a colpire. C'è una sorta di diavoletto burocratico che ogni anno e per ogni pratica suggerisce "Fagli inserire un nuovo dato". Per accedere al portale delle prenotazioni, per esempio, mi chiedono in più, rispetto alle prime volte, il numero della tessera sanitaria  e di dichiarare che mi vaccino di mia spontanea volontà e sono consapevole dei rischi che corro. Il tutto per accedere alla disponibilità della prenotazione. Magari potresti chiedermelo quando prenoto. Oppure potresti non chiedermelo affatto, visto che poi mi fai compilare un lungo modulo in proposito (dove devo scrivere, di nuovo,  il lunghissimo numero della tessera sanitaria. A che pro, visto che me la farai tirare fuori tre volte? Alla terza volta, a mia domanda, mi spiegano che è per "sparare" il codice fiscale e farmi avere a casa il Green Pass. Ma non è chiaro a cosa è servito controllarla due volte in precedenza, e farmi scrivere il numero sul modulo).
Inoltre, stando alle istruzioni, avrei dovuto venire con ben due moduli compilati di tutto punto, ma nessuno mi chiede, nemmeno pro-forma, se li ho portati, e me li fanno riempire sul momento.
Ha un senso che me li facciano riempire lì, ma stando alle istruzioni avrei dovuto stamparli e compilarli a casa. Invece tutti danno per scontato che non l'abbia fatto. Allora, perché mi ricordano che devo farlo?
(D'altra parte lavoro in una scuola dove nel modello dei PDP per dislessici chiedono di indicare se la famiglia è "regolare" (qualsiasi cosa sia una famiglia regolare"), adottiva o affidataria. Naturalmente mi sono sempre ben guardata dal compilare quelle caselline, e nessuno ha mai protestato per questa mia voluta dimenticanza ma la perplessitudine rimane: essere adottati potrà forse innescare particolari questioni psicologiche, ma con la dislessia c'entra quanto il numero di coperti che tieni nel servito buono o una qualsivoglia altra cosa che non c'entra niente).

In questa immensità di dubbi s'annega il pensier mio, per cui lascio spazio anche al signor Covid, qui in una sua esternazione:

sabato 25 dicembre 2021

Diario di Natale - 24 - Natale 2021



 Auguri a tutti per un Natale il più possibile 
dolcioso, riposante, festoso.

E tranquillo. 
Quest'anno lo vogliamo soprattutto tranquillo.

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venerdì 24 dicembre 2021

Diario di Natale - 23 - Notte di Natale 2021

 


La notte più magica dell'anno ci aspetta, col suo carico di regali e di speranze.

Auguri a tutti, e ricordiamo di lasciare fieno per le renne e panna e biscotti per Babbo Natale perché chi lavora in tempo di feste ha diritto a un piccolo bonus e ai nostri sinceri ringraziamenti.

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Diario di Natale - 22 - Il caso del dolce di Natale - Agatha Christie (Venerdì del Libro)

Il libro che vado a presentare oggi fa parte di una piccola antologia di racconti di Agatha Christie  curata dalla stessa autrice, che azzarda una ardita metafora tra la raccolta dei racconti e un gustoso pranzo, paragonando nell'introduzione  i vari racconti con le portate che compongono il pranzo.
Sono tutti racconti molto validi ma qui parlerò soltanto del primo, anche perché è l'unico che ha a che fare col Natale.
Con questo nuovo titolo - che è la fedele traduzione dell'originale The adventure of the Christmas pudding - la storia si presenta come incentrata su un dolce di Natale. Col titolo che gli era stato dato in precedenza, ovvero Il rubino si presentava legata soprattutto a un rubino. Entrambe le cose sono vere, e dunque partiamo dal rubino.
Si tratta di una grossa e preziosissima pietra rossa (che, al contrario di quel che avviene col carbonchio azzurro di Sherlock Holmes, è proprio il tradizionale colore dei rubini. Niente effetti speciali, per quel che riguarda l'aspetto cromatico).
Non una pietra comune, naturalmente. Prima di tutto è enorme, talmente enorme che quando entra in scena viene scambiata per un pezzo di vetro da bigiotteria. Niente a che vedere con i normali rubini che un professionista benestante e affettuoso regala alla moglie per festeggiare un anniversario o la nascita di un figlio. Questo è un rubino enorme, antichissimo, di inenarrabile purezza e perfezione, carico di valore religioso ma anche di incalcolabile valore storico, culturale e nazionalista - ovvero la tipica pietra che orna la tipica divinità indiana nei romanzi esotici, anche se non si entra nei dettagli. Una roba à la Salgari, insomma.
Questa gemma dall'incalcolabile valore è stata rubata al legittimo proprietario, ovvero l'erede di un principato dinastico dell'India. Perché il racconto è stato scritto nel 1960, quando l'attuale Repubblica Federale Indiana non era più una colonia inglese ma alcuni degli stati che la componevano erano ancora guidati dalle famiglie dei maragià e insomma in alcune delle sue zone potevano ancora, magari, forse, con un po' di buona volontà, esserci problemi dinastici.
La storia della gemma di inestimabile valore il cui furto potrebbe scatenare disastri e conflitti  ha un delizioso sapore vintage, ma in verità tutto il racconto punta sul vintage: un vintage divertito, ironico ma anche molto accattivante, con una   continua rievocazione dei bei tempi andati e del Natale tradizionale inglese, ma guardato come in cartolina. La scena iniziale mostra al lettore il solito Alto Diplomatico che chiede l'aiuto di Poirot per ritrovare la gemma e scongiurare così Gravi Implicazioni a livello internazionale, e per convincere l'investigatore, che ormai si è ufficialmente ritirato dal lavoro, evoca la prospettiva di passare un Autentico Natale Inglese, di quelli tradizionali, che tra poco scompariranno perché ahimé, le giovani generazioni non ne avvertono più il fascino (cosa in realtà non vera, come scoprirà il lettore), mentre il povero Poirot, assolutamente inorridito all'idea di un Natale Inglese Tradizionale passato in una Villa Inglese Tradizionale piena di tradizionalissimi spifferi e di correnti gelide, cerca di spaniarsi in tutti i modi e cede solo quando gli viene assicurato che nella Villa Inglese Tradizionale c'è un niente affatto tradizionale impianto di riscaldamento centralizzato e una totale e per nulla tradizionale mancanza di correnti gelide.

Ma veniamo al secondo pilastro del racconto, quello che in italiano è tradotto con un generico "dolce di Natale". Si tratta nientemeno che di un pudding, ovvero una roba che non ha assolutamente un equivalente italiano e che ci si arrangia a tradurre con dolce o budino ma non è quello che in Italia intendiamo come "dolce" o "torta" e non ha niente a che vedere col nostro budino. Eccola qui in foto:
Non mi attenterò a spiegare cos'è in realtà un pudding perché non lo so e non ne ho (purtroppo) mai mangiati. Proverò invece a descrivere cos'è un pudding di Natale - ovvero una bestia che sfugge alla nostra italica comprensione.
Intanto avviso che, dopo aver scorso un po' di ricette ho deciso di prendere come punto di riferimento quella di Buonissimo perché mi è sembrata la meno addomesticata tra quelle che ho visto ed è l'unica che ammette francamente che si tratta di una roba ardua da confezionare e parla di difficoltà "alta". Certo, una brava cuoca inglese lo troverà meno complicato di quel che sembra a una toscana abituata a cucinare secondo la Ricetta Base della nostra regione che recita più o meno "Prendi pochi ingredienti di eccellente qualità, manipolali il meno possibile ma con cura e servi in tavola".
Per chi vuole un'altra ricetta aggiungo il rimando al blog di Mani di pasta frolla, che sta dedicandosi a una rassegna di ricette di Natale molto tradizionali (e perciò abbastanza sconosciute) in associazione con Una penna spuntata che al mitico pudding e alle tradizioni collegate dedica un bel post.
Ma torniamo al nostro budino di Natale e guardiamo gli ingredienti.
Alcuni sono assolutamente alla nostra portata: mele Golden, limone e cedro, uova, burro,  canditi, uvetta, uvetta di Corinto, mandorle, confettura di albicocca (o zucchero di canna e melassa, in altre versioni) panna fresca, sale. Cannella e noce moscata nei dolci si usano talvolta, così come brandy e rum (esiste addirittura in commercio una roba che spacciano per "rum da cucina" e che costa pochi spiccioli, ma personalmente userei qualcosa di un pochino più blasonato). Poi ci vuole un litro di birra Stout, e qui si comincia a dirazzare parecchio dalle tradizioni nostrane. Per la cronaca, la Stout è un particolare ramo delle birre scure e non mi attento a dire di più - ad ogni modo dubito che afferrare la prima lattina di birra che trovi al supermercato sia una buona idea.
La mollica di pane, a quanto ho capito, è la mollica del pane inglese che è una roba molto più briosciata del nostro filoncino. Infine è necessaria una bella dose di grasso di rognone - una roba abbastanza consueta per un inglese che i rognoni li mangia anche a colazione (letteralmente) ma che da noi va chiesta al macellaio come un favore personale. Come alternativa però alcuni suggeriscono di usare lo strutto - che però, a quanto so, è grasso di maiale e non di manzo e quindi proprio identico al grasso di rognone bovino non dovrebbe essere.
Gli ingredienti vanno poi mescolati con cura. Durante la complessa opera di mescola è tradizione che gli ospiti invitati per Natale scendano in cucina e diano una girata all'impasto esprimendo un desidero. Altro uso è mettere nell'impasto una moneta d'argento e talvolta altri piccoli oggetti o monete (immagino sia una tradizione assai apprezzata dai dentisti) e chi li trova avrà vari gradi di fortuna nell'anno a venire.
L'impasto viene poi lasciato a riposare tutta la notte e il giorno dopo va cotto a bagnomaria per cinque ore. Seguono decorazioni a piacere e, prima di servirlo, una generosa passata di liquore per portarlo poi in tavola fiammeggiante.
Piccolo particolare: il dolce si può preparare con largo anticipo perché si conserva per un mese. In realtà molti suggeriscono di farlo appunto diversi giorni prima perché decanti e si insaporisca a dovere; dà comunque l'idea di uno di quei piatti con cui puoi sostentare una città sotto assedio per un mese (nel caso che qualcuno si stesse domandando perché mi sono incaponita su questa ricetta: sì, il tutto è strettamente collegato al racconto).

Agatha Christe, come molti scrittori di gialli, ha imbastito diverse vicende collegate al Natale e uno dei suoi romanzi più famosi è appunto Il Natale di Poirot, dove si narra di un classico omicidio di Natale. Tuttavia di natalizio in quel romanzo c'è poco, anche come messinscena e tradizioni. L'avventura del dolce di Natale invece è quasi un trattato sul Natale, senza contare che la storia è decisamente meno drammatica, e dunque mi è sembrato un buon modo per chiudere il mio Diario di Natale, cui ormai mancano soltanto i post con gli auguri (uno per la Notte di Natale e uno per Natale, com'è mia personale tradizione).

Sempre in tema Blogmas desidero ringraziare Simona e tutti gli altri partecipanti per questa bella iniziativa cui ho aderito a modo mio, ma anche due blogger del mio giro che per questo Natale da un mese circa si stanno concentrando sulla stagione delle Feste: Una penna spuntata che ci presenta una rassegna molto interessante e storicamente ben curata di tradizioni di Natale nelle varie epoche legate soprattutto alla storia inglese, e Cinecivetta che, con un viaggio nel tempo, ripercorre i giorni di Natale negli anni 70 fermandosi ogni giorno in un anno diverso di quello che secondo me è stato il decennio più importante della storia italiana per quel che riguarda il costume.
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giovedì 23 dicembre 2021

Diario di Natale - 21 - Natale all'ospedale (tratto da una storia vera)

No, questo non è un reparto dell'Ospedale di Careggi. Tuttavia l'albero, per quanto più piccolo, era addobbato in modo abbastanza simile.

C'è stato un anno, durante la mia malattia, in cui ho passato tutte le feste  all'ospedale: mi ricoverarono "per accertamenti" agli inizi di Dicembre, ma per quanto accertassero con tutte le loro forze, non riuscivano a capire perché ero così malandata e continuassi a dimagrire e indebolirmi nonostante tutte le flebo nutrienti che mi davano (e che contenevano tra l'altro, così giuravano i medici, bistecche e ananas). 
Accerta che ti accerto, e nonostante mi avessero giurato il contrario, arrivò Natale e poi Capodanno e pure l'Epifania senza che nessuno riuscisse a venire a capo del mio misterioso caso fin verso metà Gennaio, quando ormai le feste erano definitivamente concluse. Tre settimane dopo, nuovamente operata e pazientemente ricucita, tornavo a casa ormi in netta ripresa e capace di badare a me stessa, alle gatte e, con qualche iniziale aiutino, anche alla casa.
Mentre stavo all'ospedale invece ero un povero ectoplasma che mangiava malvolentieri, faticava seriamente a reggersi in piedi  e come attività principale aveva quella di dormire e navigare o leggere sul tablet - perché anche maneggiare un libro di media taglia era un po' problematico.
Feste o non feste, l'Ospedale di Careggi lavorava a pieno ritmo. Mi è rimasta impressa una lunghissima risonanza magnetica prima della quale si informarono se ero incinta.
"No, sono in menopausa da un anno" spiegai.
"Un anno non ci basta, ce ne vogliono almeno due. Deve firmarci una dichiarazione dove garantisce che non è incinta".
"Va bene, vi firmo la dichiarazione"; in quelle condizioni, non ero certamente stata in grado, negli ultimi due mesi, di fare assolutamente nulla che avrebbe potuto fare di me una futura madre, e quand'anche ci fossi riuscita era del tutto improbabile che il mio stremato organismo fosse in grado di far attecchire dentro di me una nuova vita, stante che già era tanto se riuscivo a tenermi stretta la mia.
Ma mentre compilavo il modulo rimasi colpita dalla data, che era il 24 Dicembre.
Tale data stava a significare due cose. La prima era, appunto, che anche a Natale  le analisi proseguivano regolarmente (la mia era stata programmata due giorni prima e  non era considerata una emergenza); la seconda era che i responsabili di Careggi, in quei giorni, preferivano per prudenza non dare niente per scontato sulle gravidanze delle loro pazienti, stante che si festeggiava appunto il parto di una signora che, a quel che ci assicura la tradizione, esattamente come me non aveva fatto niente che potesse ragionevolmente condurre ad un concepimento. 
Mentre firmavo, in cuor mio ridevo come una pazza.

Intorno al 20 Dicembre mi ritrovai nel letto vicino una ragazzina, o meglio una di quelle donne che a trent'anni sono come a quindici. E infatti la poverina aveva un malessere adolescenziale, ovvero l'appendicite. Come me insegnava alle medie, e faceva inglese. Quando vennero a trovarmi le mie colleghe di Lettere e Matematica e le sue di Arte e Spagnolo meditammo seriamente di imbastire un Consiglio di Classe all'impronta.
Parlavamo di scuola, o meglio ne parlava soprattutto lei, deprecando di non essere riuscita ad aspettare la fine delle lezioni per farsi ricoverare - ci aveva anche provato, ma alla fine il medico era riuscito a farla ragionare. A me poteva dirlo, perché la capivo perfettamente, mentre parenti, amici e fidanzato non riuscivano proprio ad appassionarsi al Gran Problema di non essere riuscita a fare l'ultima verifica prima delle vacanze.
Venne operata d'urgenza e riuscì a tornare a casa per festeggiare Natale, anche se senza pandoro farcito di crema pasticcera; i medici però le assicurarono che per Capodanno avrebbe potuto mangiarlo tranquillamente.
Le chiesi qual era la sua canzone di Natale preferita per fargliela ascoltare sul tablet, e lei mi indicò Mary, Did You Know? dei Pentatonix, che non avevo mai sentito ma che è molto famosa:
e siccome mi piacque molto ce l'ascoltammo tre volte.

In quelle patetiche condizioni ero completamente in balìa di OSS e infermieri; tuttavia mi era stato consigliato di cercare di camminare un po' (purché bardata con guanti, camicione di carta e mascherine perché ero assolutamente alla mercé del primo germe che passava di lì, e il fatto che ne passassero ben pochi non era sufficiente a salvaguardarmi perché le mie difese immunitarie viaggiavano intorno allo zero assoluto); dunque due-tre volte al giorno zampettavo eroicamente facendo il giro del reparto e strascicandomi nel corridoio che portava a una sala comune, dove di solito mi fermavo per una pausa corroborante dopo tanta fatica. Quando poi mi sentivo particolarmente in forma mi affacciavo anche al reparto contiguo per qualche metro. A tanto sforzo mi spingeva il desiderio di vedere entrambi gli alberi di Natale apprestati nella reception dei due reparti, e le varie decorazioni che allietavano i corridoi - e che erano molto ben fatte. In particolare ricordo l'albero di Gastroenterologia, addobbato in toni verdescuro-oro con eccellente gusto, e le palline appese a lucenti nastri dorati nel corridoio di ginecologia.
Infermieri e OSS, di loro spontanea volontà, nei giorni di festa portavano berretti di Natale di vario tipo (da lì viene il mio grande amore per quell'accessorio) e la mattina, arrivando prima col carrello delle analisi (io venivo regolarmente sforata due volte al giorno, e trovarmi le vene era sempre una vera impresa), poi col carrello per lavarci e infine con quello della colazione da dove attingevo il mio amato yogurt bianco, ché quello alla frutta era troppo dolce al mio stomaco mattutino, non mancavano mai di farci gli auguri oltre alle solite domande su come avevamo dormito e se ci serviva un analgesico.
Di una di queste infermiere notai che aveva dei deliziosi orecchini molto natalizi, fatti con pezzi di addobbi di Natale assemblati con molto gusto. Le chiesi dove li aveva trovati perché mi sarebbe piaciuto averne un paio anch'io.
Risultò che li faceva una collega, che poco dopo approdò al mio letto portandomi una scelta di quelli che le erano rimasti. Ne presi un paio azzurro e argento ma quando chiesi il prezzo mi disse che li faceva come regali, perché considerava di essere ripagata dal piacere che provava confezionando la sua bigiotteria - perché creare era divertente.
Dopo un po' di blande insistenze mi presi il regalino. Quegli orecchini fatti con pezzetti di nastro argentato diventarono i miei portafortuna (insieme alla fiala color magenta nel portafiale di Dolcezze). Mentre ero all'ospedale non mancavo mai di infilarli al mattino e di riporli con cura la sera, ma continuai a indossarli anche nelle prime settimane a casa, per poi riporli tra le cose di Natale. Tutti gli anni li indosso due-tre volte, anche se ho smesso di raccontare a chiunque me li ammiri la storia che c'è dietro (del resto, chiunque mi frequenti da qualche tempo ormai la conosce).
Natale è anche la stagione dei piccoli gesti e delle piccole cose, e i piccoli gesti di gentilezza non sono mai sprecati.
Anche nel resto dell'anno, certo.
Gattino rasserenante in pacifica attesa
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mercoledì 22 dicembre 2021

Diario di Natale - 20 - Ultimo giorno di scuola prima delle vacanze

Scolari in versione Bravi Micetti Canterini

La notte porta consiglio e stamani in Sala Insegnanti ci sentivamo tutti più disponibili verso la vita, anche perché la prof. Therral, contro ogni (lugubre) previsione si era rivelata negativa e la prospettiva di un normale pranzo con i parenti non le appariva più come un miraggio irraggiungibile. 
Inoltre la stampante stampava regolarmente, e solo chi insegna alle medie di St. Mary Mead può valutare adeguatamente la forza positiva di questo segnale.

Alla prima ora ho la Terza Chiassosa. Trovo il consueto saluto di benvenuto alla lavagna (gli piace moltissimo scriverne, non solo a me) stavolta decorato con alberi di Natale e piccole renne... ma trovo anche la classe ben bardata con i berretti rossi di Natale; chi ci ha sopra le stelline che si illuminano a intermittenza, chi ci ha anche le cornina da renna, chi ci ha i pupazzi di neve disegnati sul bordo bianco...
Mi sento molto inadeguata, anche se loro con molta gentilezza lodano il mio completo scozzese rosso e verde, la lunga collana di perle verdi e i miei orecchini ad albero di Natale. Ahimé, ero convinta di aver curato il mio abbigliamento ma mi mancava il meglio e il più.
"Sono anni che vorrei comprarmi un berretto di Natale da mettere l'ultimo giorno prima delle vacanze di Natale" confesso contrita "ma poi finisce che non lo faccio mai. Dove potrei trovarne uno?".
"DAPPERTUTTO!" rispondono in coro. E passano a farmi una lunga lista di possibilità.
Si fanno la foto. Mi chiedono di fare la foto con loro.
Poi facciamo lezione.
Mentre percorro rapidamente il corridoio per raggiungere la Prima al piano superiore, scopro che non sono gli unici festaioli. Una gran varietà di berretti rossi e passate da renne imperversa in tutte le classi. 
Continuo e insisto a sentirmi inadeguata, ma alla fine non mi importa granché. E in ogni caso, dopo la scuola, ci ho le amiche che mi aspettano per il primo pranzo delle feste.
Inoltre a Lungacque hanno inaugurato uno scintillante mercatino di Natale con una delle migliori parate di bricolage natalizio che abbia mai visto: ho perfino trovato un "Attenti al drago" dove il drago è di un adorabile verde primavera, oltre a un sacco di regali per amici e parenti.
Niente berretti di Natale, però, e anche i negozi che mi hanno indicato li hanno esauriti.
Sto troppo dietro alla scuola e non curo per tempo le cose essenziali, ecco. Il mio problema è questo.
L'anno prossimo la prima cosa che comprerò per Natale sarà un berretto di Natale, possibilmente con il bordo bianco disegnato a renne.


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martedì 21 dicembre 2021

Diario di Natale - 19 - Natale al tempo del Covid

(Notare la finezza filologica del vestito della dama, rosso e verde che son li veri natalizi colori)

Questo post non era previsto. 
Si sa che il Covid è stato da due anni a questa parte, anche nel migliorissimo dei casi, una colossale scocciatura. In tempo di Natale però le scocciature si sono moltiplicate, perché Natale è la festa sociale per eccellenza: le grandi tavolate con i parenti, i pranzetti di gruppo con gli amici, le feste sociali, aziendali, di circolo e di club, i concerti, le passeggiate per il centro a guardare le vetrine e le decorazioni nelle strade affollate, i mercatini, il giro dei presepi, le messe, le affollatissime feste di Capodanno, le vacanze all'estero... tutto, tutto, assolutamente tutto è stato falciato, decimato e complicato.
L'anno scorso abbiamo avuto i pranzi di Natale a numero chiuso (una vera novità, credo, nella storia universale), la didattica a distanza che andava e veniva negli ultimi giorni prima delle vacanze, le messe scaglionate. E tutto ciò non è stato divertente, oh no tesssoro, proprio no. 
Ma si sperava che fosse un unicum.
Quest'anno ci risiamo, con un po' meno di contingentazione (per ora) e un po' meno di ammalati. Ma c'è una certa esaperazione di fondo nel ritrovarsi nelle stesse peste di un anno fa nonostante i vaccini e tutto quanto.
Tutto questo per dire che alla scuola di St. Mary Mead, che ha conosciuto lunghe settimane di tranquillità, la tempesta è nuovamente arrivata, a due giorni dalle vacanze.
Insegnanti positivi, alunni positivi, insegnanti che contano i contatti.
Insegnanti che si ritrovano improvvisamente la classe in quarantena, i figli in quarantena, il marito che è stato contatto di un contatto e l'assai concreta prospettiva di passare il secondo Natale di fila in quarantena.
E tutti a far la caccia al tampone 0 e al tampone 5 con la ASL che va in sovraccarico e ti lascia a piatire per giorni interi i risultati.
Una settimana fa eravamo tranquilli e paciosi ad organizzare pranzi e ritrovi, e adesso eccoci qui a scambiarci notizie inquietanti.
Tutto ciò, oltre ad essere noioso oltre ogni dire, è piuttosto esasperante quando ti capita al secondo anno di fila.
Questo post lo dedico a tutte le persone che si sono trovate e si trovano in questa incresciosa situazione, a scuola, fuori dalla scuola e dovunque siano.
E incrocio le dita perché, anche se la tempesta non mi ha ancora sfiorato, tuttavia è molto, molto vicina.


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lunedì 20 dicembre 2021

Diario di Natale - 18 - Natale a scuola, ovvero dei lavoretti di Natale

Giovani studenti cantano canzoni piene di buoni sentimenti. Perché è Natale.

Tutto è cominciato in modo innocuo, con una pacata osservazione fatta all'inizio del mese da Tecnologia mentre parlava con Arte.
"Sai, con la stampante in 3D abbiamo fatto un po' di decorazioni di Natale con le classi, magari potremmo appenderle all'albero".
L'albero. Il nostro piccolo e rispettabile albero che ogni anno viene allestito amorevolmente dalle custodi e ben ornato con rispettabilissime decorazioni del tipo consueto: nastri argentati, palline, quella roba lì. Un albero molto convenzionale. E io amo molto gli alberi convenzionali.
"Ottimo. Anzi, sai che ti dico? Facciano l'albero delle discipline, con decorazioni fatte da noi, con materiale riciclato! Anzi, io ho giusto un albero abbastanza grande che potrebbe andare benissimo" -  decide Arte, che è di quelli che non sono contenti se non scovano ogni giorno quaranta cose complicatissime da fare.
E infatti costei non si è limitata a sedersi in un angolo pensando compiaciuta "Ma che idea ganza ho avuto". No, ne ha anche parlato in giro. E  prima di tutto ha convinto una collega a portare a scuola il suo albero di Natale di scorta.
"Ma che ci fa quell'albero senza decori nell'ingresso?" osserva Fisica schifato "E' deprimente. A me poi gli alberi di Natale non piacciono. Li trovo deprimenti anche quando sono addobbati".
Tutti (tranne me) convengono che un albero di Natale è una roba assai deprimente, sia addobbato che non. Nessuno sembra ricordarsi che abbiamo sempre avuto un albero di Natale nell'ingresso, come quasi tutte le scuole del regno (e che tutti ne tengono uno a casa, che a Natale addobbano sì come consuetudine impone).
Macché, sembrano il Club dei Nemici dell'Albero di Natale.
Comunque, l'Albero delle Discipline, deprimente o meno che sia, è arrivato. Occorre però addobbarlo.
"Mi sembra difficile farlo per le altre discipline. Tu e Tecnologia in questo siete facilitate, ma noi di Lettere..." ho mormorato io. Che tra l'altro disapprovo le decorazioni fatte con materiale di riciclo. La decorazione di Natale ha da essere decorazione di Natale, punto. E si compra nei negozi.
Un po' di consumismo, eccheddiamine!
"Ma no, potreste partecipare anche voi, magari con delle frasi, o dei versi... Per esempio io ho dei ritagli di pelle circolari di pelle bianca, su cui con certi pennarelli si può scrivere benissimo...". Mi fa vedere le dimensioni dei ritagli di pelle circolari.
"Mhhh... mi sembrano un po' grandi per un albero. Potremmo farne un festone da appendere" pausa meditative "Per esempio potremmo metterci dei desideri legati all'Agenda 2030, come lettere a Babbo Natale...".
Da notare che Arte non ha speso una sola parola per convincermi. Ho fatto tutto da sola.
Perché anch'io sono una insegnante, e non cerco di meglio che complicarmi la vita. Soprattutto sotto Natale.

Entro in Prima e chiedo "Vi piacerebbe fare un lavoretto di Natale?". 
Mi aspetto una serie di espressioni quanto meno perplesse. Ormai sono cresciuti.. 
Invece vengo travolta da un entusiasmo assoluto.
"Evvabbé" mi dico "L'importante è contentare il cliente".
Intorno a me fervono i preparativi per piccoli solidi in cartoncino (Matematica),  piccole sagomine di Dante con su scritti versi del suddetto Dante (Lettere), piccole carte pergamenate con su scritte poesie (sempre Lettere) e non so quali altre cretinate. Qualche insegnante ha optato per delle noci - assolutamente naturali, niente da dire, con una retina dorata intorno e un laccio dorato per appenderle, e dentro un qualche pensiero edificante. Molto filologico, e pure natalizio, ho pensato intascandone una (che ho appeso al mio personale albero a casa).
"Manca Educazione Civica" osserva qualcuno. 
"No, non mancherà" garantisco io di malumore, quasi mi ci avessero costretto a forza.
Passo due ore a spiegare ai miei malcapitati alunni l'Agenda 2030, tralasciando i temi più ostili alle loro giovani orecchie. Non troppo a sorpresa la questione della salute è accolta con vivo interesse e affianca i consueti e gettonatissimi temi legati alla vita sulla terra e nell'acqua, la parità di genere e la lotta alla fame e alla povertà. Anche l'istruzione di qualità e la lotta al cambiamento climatico trovano i loro fan.
"Pensateci un po' su durante il fine settimana, e immaginate di chiedere qualcosa a Babbo Natale, oppure esprimete un desiderio. Dovete essere molto sintetici perché avrete poco spazio per scrivere".
Segue una breve discussione con Arte che per l'occasione cerca di essere taccagna: "Non me ne frega nulla se non hanno i pennarelli colorati per scrivere ma hanno quello nero in dotazione. E' Natale e io voglio dei pennarelli rossi e verdi. Li paghi la scuola. Bianco e nero per Natale non va!".
Siamo a fine anno e il bilancio è in chiusura, sono state chiuse prima di tutto le minute spese, ma in qualche modo i pennarelli saltano fuori. Del resto, due pennarelli rossi e due verdi adatti a scrivere sulla pelle costano sei euro in tutto.
Poi Arte mi porta anche una serie di pelucchi rossi ricavati da non so quale aggeggio in via di disfacimento. La prof. Casini fa all'uncinetto una luna argentata per la Leggenda dell'Albero di Natale.
Siamo una manica di idioti, mi dico sconsolata, e io sono idiota né più né meno degli altri.
Del resto è Natale, e io a Natale divento particolarmente idiota - perfino più del solito, intendo.

Lunedì mattina la Prima compone le frasi. Correggo, scarnifico, faccio fare la seconda e la terza versione. L'unica cosa che mi consola è la speranza di ricavarne un post per il Blogmas perché mi sembra importante che nel mio diario di Natale ci sia qualcosa che in qualche modo si colleghi alla scuola - dopotutto questo è un blog dedicato alla scuola, anche se in questi giorni proprio non si direbbe.
"Prof, posso parlare dell'omofobia? Io sono molto contraria". 
"Parlare contro l'omofobia è cosa buona e giusta" assicuro.
"Che cos'è l'omofobia?" chiede qualcuno.
Ed eccomi a spiegare in poche parole l'omofobia.
"Ma con che argomento la collego?"
"Numero 16, Pace e Giustizia".
Martedì mattina i ragazzi fanno la Gran Decorazione. L'organizzazione procede bene, qualcuno mette anche piccoli disegnini o cornicine. I pelucchi vengono coscienziosamente annodati. I ragazzi si divertono molto e questo mi è di gran conforto.
Alla fine contemplo il risultato. 
Abbiamo una ardente critica dell'omofobia perché "l'amore diverso non è poi tanto diverso". Tre richieste per la parità di genere, una delle quali di un maschio che sostiene che non è giusto che le donne abbiano meno diritti degli uomini (che mi sembra una buona sintesi).
Qualcuno si preoccupa per i delfini e le foche, un altro osserva che "non è bello vedere la gente morire di fame", altri ritengono che sia importante lottare contro la povertà perché se girano più soldi il mondo funziona meglio, qualcuno si commuove per i cuccioli maltrattati, taluni hanno a cuore la sorte dei boschi e delle foreste, altri sostengono che non è giusto che alcuni siano troppo poveri e altri troppo ricchi o che qualcuno sia preso in giro perché è povero.
Vado a prendere un po' di spago (nuovo, non riciclato) dai custodi e appendo il festone di pelle bianca con decorazioni rosse e verdi mentre la classe è a lezione di Musica.
Una sfilata di buoni sentimenti molto politically correct. Fa un bell'effetto ed è tutta roba scritta da loro. In cuor mio penso che è molto più significativa di qualche verso di Dante scritto su sagome di Dante in cartoncino, ma non lo direi nemmeno sotto tortura.
I miei due preferiti, quello sull'omofobia e quello su chi ha troppo e chi troppo poco, li appendo invece all'Albero delle Materie. 
E questa è di gran lunga la cosa più idiota che ho fatto da quando insegno, ma in fondo fare cose idiote non mi è mai dispiaciuto, e dunque...
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domenica 19 dicembre 2021

Diario di Natale - 17 - Biancheria di Natale

Quest'anno per Natale va di moda lo scozzese. Molto, molto di moda.
Due anni fa feci un lunghissimo alfabetiere sul mio canone natalizio dove tra l'altro lamentavo la totale mancanza di lenzuola di Natale. Una penna spuntata mi soccorse con alcuni validi consigli che prevedevano tra l'altro un po' di giri per negozi. 
L'anno scorso però andare in giro per negozi sotto Natale era complicato e pure caldamente sconsigliato, perciò lasciai perdere. Feci qualche onesto tentativo in rete, ma trovai solo cose che, per un motivo o per l'altro, non si accordavano al mio complicatissimo canone o semplicemente non mi piacevano.
Quest'anno però mi sono data da fare e ho cercato in giro, senza grossi risultati fin quando mi sono ricordata di un adorabile banchetto del mercato di Lungacque che fa capo a un negozio dove confezionano lenzuola - e dove ho trovato, naturalmente, solo lenzuola scozzesi. Infatti anche Natale ha le sue mode, e  qualcuno ha deciso che quest'anno per Natale sarebbe andato di moda solo e soltanto lo scozzese (meglio se bianco e rosso, ma al limite anche rosso e verde) che se non altro è abbastanza insolito.
Mi sono consultata col gentilissimo banchettaro e infine ci siamo accordati per un lenzuolo scozzese rosso e verde con bordi verdi.
"Speriamo che abbiamo capito che voglio un bordo alto, perché quel bellissimo verde mi piace assai ed è davvero natalizio" mi sono detta. Ma ero fiduciosa perché il gentil commesso aveva preso una mezza dozzina di righe di appunti.
Ed ecco infatti il risultato:
Infatti il vero e noto inconveniente di quando ordini qualcosa su misura da un qualsivoglia artigiano, dal falegname all'orefice, è che chi prende l'ordine lo interpreta regolarmente a rovescio; 
questo è anche il motivo per cui preferisco sempre comprare cose che ho visto e toccato con mano
Di fatto, è un bel lenzuolo di un perfetto verde natalizio con un bordo scozzese sulla rovescia e due federe scozzesi, e siccome mi hanno consegnato il tutto in un comodo rotolo insacchettato me ne sono accorta solo oggi, quando l'ho aperto per cambiare il letto.
Ad ogni modo: il cotone è di ottima qualità, il lenzuolo è ben fatto e, soprattutto, viene fuori un perfetto letto di Natale anche se per la coperta mi sono dovuta arrangiare con un banale cielo stellato che va bene per tutta la stagione fredda.
Dunque non ho i lenzuoli scozzesi di Natale, ma me ne sono fatta facilmente una ragione perché in fondo lo scozzese non mi dispiace, ma nemmeno mi entusiasma. Certo, dormire in un lenzuolo scozzese sarebbe stata una esperienza nuova per me, mi adatto anche a farne a meno, specie se l'alternativa è dormire in un bellissimo lenzuolo di un verde molto natalizio; e sono sicura che nel mio letto di Natale farò delle splendide dormite.

Già che c'ero, a un altro banchetto ho preso due simpatici asciughini scozzesi che farebbero benissimo pendant con il lenzuolo - anche se, guarda un po' i casi della vita, in casa mia il letto sta nella camera da letto e non in cucina.
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sabato 18 dicembre 2021

Diario di Natale - 16 - Tu, neve scendi ancor / lenta / per dare gioia ad ogni cuor (Natale a Firenze)

 

La canzone citata nel titolo è Bianco Natale, traduzione di White Christmas di Bing Crosby*; o per meglio dire una delle due traduzioni, quella meno conosciuta e riservata di solito a piccoli coretti infantili. Io l'ho imparata appunto a sette anni, cantandola con la mia classe - 33 acute vocette femminili, e secondo me non ci veniva affatto male.
L'argomento che ho scelto per questo post è, appunto, la neve a Natale - ovvero qualcosa di cui non ho la minima idea.
Ho vissuto una parte della mia vita a Firenze e adesso abito nella provincia, ma in pianura, e di neve ne ho vista sempre poca.
Inizierò quindi spiegando che a Firenze e provincia abbiamo un clima piuttosto particolare, il cui motto potrebbe essere altra legge non vo' che il mio capriccio, in particolar modo in inverno. Da noi il clima è sempre stato completamente pazzo, e infatti fatichiamo a vedere gli effetti del riscaldamento climatico; perfino l'unica quasi-certezza su cui possiamo contare, e cioè che in estate si schianta di caldo, ha avuto le sue brave eccezioni, e abbiamo avuto anche anni di siccità e altri di clima quasi monsonico. In inverno poi, ogni giorno parte un treno. Ieri c'erano sedici gradi, oggi due, domani chissà, e quanto al Natale ne abbiamo avuti alcuni in cui dopo pranzo si mandavano i bambini senza cappotto a giocare sul prato.
 
La neve arriva, ogni tanto, in un periodo che va dal 31 Ottobre ai primi di Aprile, ma senza alcun tipo di regola. Arriva e basta, non tutti gli anni, diciamo in media un anno su quattro ma può fare anche tre anni di seguito (creando con ciò immensa delusione il quarto). 
Qualche volta dunque è pur possibile che sia arrivata anche a Natale, ma non nel dopoguerra. Quindi, di bianco Natale io non ho mai visto nemmeno l'ombra e lo conosco solo dalla televisione e dalle numerose immagini di Natali innevati che colleziono senza risparmio. Questa, per esempio:
Quando la neve arriva a Novembre o Marzo è una gran festa per tutti e i bambini impazziscono di gioia e fanno un sacco di palle di neve - anche i bambini ormai maggiorenni, intendo - ma non ci sono problemi per nessuno perché si scioglie in gran fretta sulle strade.
Quando la neve arriva in un momento più pertinente, per esempio a Dicembre o a Gennaio invece le cose vanno in modo molto diverso, perché non si scioglie per due-tre giorni e siccome non solo l'autista medio non ha la minima idea di come gestire una strada coperta di neve (con grandissima gioia dei carrozzieri) ma anche i treni vanno in crisi profonda, la zona si blocca quasi che la neve l'avessero inventata il giorno prima, tutti i treni collezionano ritardi assurdi e raggiungere il posto di lavoro è una vera impresa, e ritornare a casa dopo il lavoro è ancora più complicato - e questo non rende molto onore alla nostra bella regione perché d'accordo che in pianura la neve è un evento piuttosto raro, ma ci abbiamo anche noi le nostre brave montagne e dunque non capisco perché comuni e ferrovie ogni volta caschino dal pero e forniscano così deprimente prova di sé.

Un anno comunque la neve venne sul serio. Non era proprio Natale, anzi eravamo in zona Capodanno. Tornai tutta contenta a casa con i miei stivaletti con la para leggera perché, che bello, c'era la neve e addirittura stava attaccando! Gioia, giubilo, gaudio e delizia, un po' di neve in tempo di Natale!
E la neve infatti attaccò, ed era un bello strato. Poi cominciò a sciogliersi. E poi tornò. Un sacco di neve. Una quantità immane di neve. Quaranta centimetri, ci dissero.
E venne anche un freddo polare, per cui non solo non si sciolse ma ghiacciò tutto.
Quando scrivo "un freddo polare" non è del tutto una metafora: arrivammo a 22 gradi sotto zero, ovvero una temperatura che non avrebbe disonorato né Mosca né Stoccolma. 
I tubi gelarono, molte caldaie impazzirono - la nostra, per esempio, che pur andando al massimo notte e giorno non riusciva a darci niente più dei sedici gradi. Si creò anche la leggenda che il comune avesse diluito il metano perché non ne aveva abbastanza - dico che era una leggenda perché a casa dei miei amici la temperatura era normalissima, e non credo che il comune avesse deciso di diluire il gas solo per chi gli stava antipatico (e, quand'anche, non vedo operché avremmo dovuto stargli antipatici proprio noi).
L'Arno ghiacciò, come aveva già fatto altre (rare) volte:
e no, quella roba bianca non è schiuma.

Ma la cosa più spettacolare per noi fiorentini fu la statua del Biancone (nome attribuito alla statua in marmo di Nettuno per la sua notevole grandezza) in piazza della Signoria, che normalmente si presenta così:
e in quei giorni era invece così:
e infatti "andare a fotografare il Biancone" divenne subito l'ultima moda, anche se il problema era non restare troppo a lungo a fotografarlo, perché c'era il forte rischio di restare congelati e passare dal ruolo di fotografi a quelli di fotografati.
Dopo qualche gelido giorno, improvvisamente la temperatura ricominciò a risalire e nel giro di poche ore raggiunse i 12 gradi. Sopra lo zero, intendo.
Il resto dell'inverno fu tutto sommato del genere "tiepidino".

* una canzone dalla strana storia, e per chi volesse conoscerla basta andare da Una penna spuntata

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venerdì 17 dicembre 2021

Diario di Natale - 15 - Le due facce del Natale (con due fiabe per bonus)

 

C'è anche una terza faccia: quella diabetica. In questo post non può mancare e dunque la metto nell'illustrazione di apertura.
Per il mio Venerdì del Libro fantasma stasera avevo pensato a due fiabe. Per meglio dire è una settimana che ci penso, e il progetto originale riguardava solo la prima favola, quella crudele; poi, del tutto casualmente (per quanto possa essere casuale quel che trovi lanciando una ricerca a tema "fiabe di Natale") mi sono imbattuta nella seconda. 
Restava il dubbio su quale mettere per prima; dopo un lungo pomeriggio in cui, sbrigando incombenze diversissime tra loro ho dibattuto la questione per lungo e per rovescio cambiando idea in media ogni cinque minuti, ho deciso per una volta di buttare a mare la mia tradizionale propensione per il lieto fine.
La prima è una fiaba di Natale, la seconda una fiaba di Capodanno.

Gli gnomi e il calzolaio
(Fratelli Grimm - Fiaba n. 39)

Un calzolaio s'era impoverito a tal punto che gli era rimasto solo il cuoio per un unico paio di scarpe. Le tagliò la sera, poi si mise a letto pensando di lavorarci il giorno dopo. Ma quando si alzò e fece per mettersi al lavoro, ecco che le scarpe erano già bell'e pronte sul tavolo. Presto arrivò anche un cliente, che le pagò così bene che il calzolaio potè comprare il cuoio per altre due paia, che al mattino erano di nuovo già bell'e pronte. E così via: quello che il calzolaio tagliava la sera lo trovava bell'e pronto al mattino, e così tornò ricco.
Una sera, poco prima di Natale, quando aveva tagliato un bel po' di pezzi e si voleva mettere a letto, disse alla moglie: "Faremmo meglio a restare svegli una buona volta per vedere chi fa il lavoro per noi di notte". E così accesero un lumino, si nascosero dietro degli abiti appesi in un angolo della stanza e rimasero all'erta. A mezzanotte arrivarono due minuscoli e graziosi omini, tutti nudi, e si misero al banchetto a lavorare con tale velocità e precisione che il calzolaio dalla meraviglia non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Non si fermarono finché le scarpe non furono pronte, poi saltarono via e ancora mancava un bel pezzo all'alba.
Al che la moglie disse al marito: "Quegli omini ci hanno fatto ricchi, dobbiamo mostrargli la nostra riconoscenza. Mi fa pena vederli andare in giro senza vestiti col freddo che fa; io cucirò per loro camicia, giacca, camiciola e calzoni, e farò a maglia un paio di calzettoni per ciascuno, e tu fabbricherai delle scarpine per tutti e due". Al marito l'idea piacque, e la sera, quando tutto fu pronto, sistemarono ogni cosa per bene; e siccome volevano vedere cosa ne avrebbero fatto gli omini, si nascosero di nuovo. 
I piccoletti arrivarono come al solito a mezzanotte; quando videro i vestiti sembrarono molto contenti e si vestirono svelti svelti, e quando furono pronti cominciarono a saltellare, zompare e ballare, e a furia di ballare uscirono dalla porta per mai più ritornare.

Il primo tema della fiaba è quello della riconoscenza - sentimento natalizio quant'altri mai. E' la riconoscenza che spinge a ringraziare chi ci ha fatto un favore durante l'anno e non ha voluto ricompensa - qualche volta con un regalo impegnativo, qualche volta con la tradizionale cesta ma anche cercando di capire cosa potrebbe davvero essergli utile. A Natale si cerca di chiudere la contabilità dell'anno e anche in quest'ottica vanno considerate le tradizionali offerte ad associazioni che si son date da fare per soccorrere i bambini guatemaltechi, nutrire i poveri della città o assistere i malati di questa o quella patologia.
Tuttavia, per chiunque abbia letto Harry Potter la storia ha anche un altro significato: donando degli abiti agli gnomi il calzolaio e sua moglie li hanno liberati (da qui la lunga danza di gioia dei due omini); il calzolaio e sua moglie sono stati spinti solo dalla riconoscenza e dal desiderio di restituire un favore, e non pensavano di fare poi una cosa tanto importante; ma capita spesso che un gesto gentile, anche piccolo, fatto per buon cuore e senza particolari intenzioni oltre a quella di fare un favore, aiuti qualcuno al di là di ogni aspettativa e possa cambiare la sua vita. Le fiabe parlano spesso di questo.
Ho poi scoperto che questi gnomi sono fratelli o cugini dei nisser scandinavi, di cui ha parlato anche Una penna spuntata in uno dei suoi post natalizi di quest'anno.
Infine: Natale è una festa di liberazione per eccellenza per i cristiani perché si festeggia la nascita del Grande Liberatore, colui che ha liberato l'umanità dal peso del peccato originale.

Le feste hanno anche un'altra faccia: quella dell'infelicità e dell'indifferenza che spesso incontra mentre tutti sono troppo occupati a festeggiare per pensare a chi soffre. La seconda fiaba parla appunto di questo.
Non è una vera fiaba di Natale perché si svolge l'ultima notte dell'anno; tuttavia ci sono tutti gli ingredienti del Natale germanico: l'albero di Natale con le luci, l'oca arrosto e il calore di una casa ben riscaldata. O meglio non ci sono: vengono sognati / immaginati / intravisti. Quello che c'è davvero sono altri due ingredienti molto classici dell'inverno del Nord: il freddo e la fame, con in più due ingredienti tipici dell'infelicità: la solitudine e l'indifferenza.

Hans Christian Andersen - La bambina dei fiammiferi

C'era un freddo terribile, nevicava e cominciava a diventare buio; e era la sera dell'ultimo dell'anno. Nel buio e nel freddo una povera bambina, scalza e a capo scoperto, camminava per la strada; aveva le ciabatte quando era uscita da casa, ma a che cosa le sarebbero servite? erano troppo grandi per lei, tanto grandi che negli ultimi tempi le aveva usate la mamma. E ora la piccola le aveva perdute subito, quando due carri che passavano a forte velocità l'avevano costretta a attraversare la strada di corsa. Una ciabatta non riuscì più a ritrovarla, e l'altra se la prese un ragazzo, dicendo che l'avrebbe usata come culla quando avesse avuto dei figli.
Ora la bambina camminava scalza, e i suoi piedini nudi erano viola per il freddo; in un vecchio grembiule aveva una gran quantità di fiammiferi e ne teneva un mazzetto in mano. Per tutto il giorno non era riuscita a vendere nulla e nessuno le aveva dato neppure una monetina; era lì affamata e infreddolita, e tanto avvilita, poverina!
I fiocchi di neve si posavano tra i suoi lunghi capelli dorati, che si arricciavano graziosamente sul collo, ma lei a questo non pensava davvero. Le luci brillavano dietro ogni finestra e per la strada si spandeva un delizioso profumino di oca arrosto: era la sera dell'ultimo dell'anno, e proprio a questo lei pensava.
A un angolo della strada formato da due case, una più sporgente dell'altra, sedette e si rannicchiò, tirando a sé le gambette, ma aveva ancora più freddo e non osava tornare a casa. Temeva che suo padre l'avrebbe picchiata, perché non aveva venduto nessun fiammifero e non aveva neppure un soldo.
E poi faceva così freddo anche a casa! Avevano solo il tetto sopra di loro e il vento penetrava tra le fessure, anche se avevano cercato di chiuderle con paglia e stracci.
Le manine si erano quasi congelate per il freddo. Ah! forse un fiammifero sarebbe servito a qualcosa. Doveva solo sfilarne uno dal mazzetto e sfregarlo contro il muro per scaldarsi un po' le dita.
Ne prese uno, e "ritsch," contro il muro. Come scintillava! come ardeva! era una fiamma calda e chiara e sembrava una piccola candela quando lo circondava con le manine. Che strana luce! La bambina credette di trovarsi seduta davanti a una stufa con i pomelli d'ottone, e il fuoco bruciava e scaldava così bene! No, che succede? stava già allungando i piedini per scaldare un po' anche quelli, quando la fiamma scomparve. E con la fiamma anche la stufa.
E si ritrovò seduta per terra, con un pezzetto di fiammifero bruciato tra le mani.
Subito ne sfregò un altro, che illuminò il muro rendendolo trasparente come un velo. Così potè vedere nella stanza una bella tavola imbandita, con una tovaglia bianca e vasellame di porcellana e un'oca arrosto fumante, ripiena di prugne e di mele! All'improvviso l'oca saltò giù dal vassoio e si trascinò sul pavimento, già con la forchetta e il coltello infilzati nel dorso, proprio verso la bambina: ma in quell'istante il fiammifero si spense e davanti alla bambina rimase solo il muro freddo. Allora ne accese un altro. E si trovò ai piedi del più bello degli alberi di Natale. Era ancora più grande e più decorato di quello che aveva visto l'anno prima attraverso la vetrina del ricco droghiere; migliaia di candele ardevano sui rami verdi e figure variopinte pendevano dall'albero, proprio come quelle che decoravano le vetrine dei negozi.
Sembrava guardassero verso di lei. La bambina sollevò le manine per salutarle, ma il fiammifero si spense. Le innumerevoli candele dell'albero di Natale salirono sempre più in alto, fino a diventare le chiare stelle del cielo; poi una di loro cadde, formando nel buio della notte una lunga striscia di fuoco. «Ora muore qualcuno!» disse la bambina, perché la sua vecchia nonna, l'unica che era stata buona con lei, ma che ora era morta, le aveva detto: «Quando cade una stella, allora un anima va al Signore».
Accese un altro fiammifero che illuminò tutt'intorno, e in quel chiarore la bambina vide la nonna, lucente e dolce!
«Nonna!» gridò «oh, prendimi con te! So che tu scomparirai quando il fiammifero si spegne, scomparirai come è scomparsa la stufa, l'oca arrosto, l'albero di Natale!»
E accese tutti gli altri fiammiferi che aveva nel mazzetto, perché voleva mantenere la visione della nonna; e i fiammiferi arsero con un tale splendore che era più chiaro che di giorno.
La nonna non era mai stata così bella, così grande. Trasse a sé la bambina e la tenne in braccio, insieme si innalzarono sempre più nel chiarore e nella gioia. Ora non c'era più né freddo, né fame, né paura: si trovavano presso Dio.
La bambina venne trovata il mattino dopo in quell'angolo della strada, con le guance rosse e il sorriso sulle labbra. Era morta, morta di freddo l'ultima sera del vecchio anno. L'anno nuovo avanzava sul suo piccolo corpicino, circondato dai fiammiferi mezzo bruciacchiati.
«Ha voluto scaldarsi» commentò qualcuno, ma nessuno poteva sapere le belle cose che lei aveva visto, né in quale chiarore era entrata con la sua vecchia nonna, nella gioia dell'Anno Nuovo!

La bambina dei fiammiferi, conosciuta in Italia anche col titolo di La piccola fiammiferaia prima ancora di essere una fiaba è, come quasi tutte le fiabe di Andersen, una categoria dell'anima ed è quindi passata tra i modi di dire: tutti ci siamo sentiti piccole fiammiferaie, a volte.
Qualcuno, ho scoperto con gran sorpresa, la considera una fiaba a lieto fine. A me, sinceramente, non sembra. 
Andersen la scrisse sulla scorta di qualche fatto di cronaca? E' davvero credibile che in una città una bambina stracciata abbia passato la giornata a (non) vendere fiammiferi senza che nessuno cercasse di aiutarla in qualche modo?
Piacerebbe essere sicuri che no, non è assolutamente possibile; ma sappiamo che cose del genere capitano ogni giorno e non solo ai bambini, e non importa arrivare fino in Africa per trovare posti e situazioni dove non manca solo l'oca arrosto e l'albero illuminato, ma anche lo stretto indispensabile.
Il Senso di Colpa del Natale ci fa comunque compagnia (anche durante il resto dell'anno).
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