Il mio blog preferito

sabato 29 maggio 2010

Con il cioccolato - ovvero i Grandi Dilemmi della Vita



Naturalmente conosciamo tutti la Sachertorte
(anche perché non mi sembra proprio il caso di continuare a farci del male)


"Preparai la torta con il cioccolato, la decorai con cura e la mangiai con la mia famiglia".

Ai miei occhi codesta era una magnifica frase, perché in essa ben tre diversi complementi erano introdotti dalla preposizione con. Infatti (ero convinta):
preparavo la torta per mezzo del cioccolato (complemento di mezzo)
la decoravo in modo accurato (complemento di modo)
e infine la mangiavo insieme alla (mia) famiglia (complemento di compagnia).
Insomma, la classica frasetta semplice e innocua di analisi logica.

A dir la verità nessuno mi ha contestato che con la famiglia fosse complemento di compagnia. Anche con cura, nel complesso, è stato accettato di buon grado come complemento di modo.
Ma il cioccolato non è andato via per niente liscio, proprio no.

Ha cominciato la Seconda Nevrotica (quella che, in teoria, sa tanto bene l'analisi logica) insorgendo compatta: la torta con il cioccolato è complemento di modo.
"Ma no, è di mezzo" provo a insistere.
La classe sfrigola, schiocca e sussulta: ma no, è di modo, che altro potrebbe essere se non complemento di modo?!
Insorgo fieramente anch'io e proclamo che era complemento di mezzo, punto e basta.
Un ragazzo di buon cuore suggerisce che forse volevo dire "di modo" e mi sono confusa. Se non altro, c'è da apprezzare la delicatezza d'animo, che in quella classe è merce perfino più rara che nella mia seconda.
Qualcuno, visto che non voglio il complemento di modo e che quello di mezzo gli risulta improponibile, suggerisce il complemento d' unione e quello di materia.
Respingo l'uno e l'altro: la torta non è fatta solo di cioccolato, né io e il signor cioccolato la prepariamo insieme (anche perché, se ci fosse di mezzo il signor Cioccolato che mi aiuta, caso mai sarebbe un complemento di compagnia)
Dopo lunghe dispute decido di passare alla frase successiva e prometto di esaminare la questione con la Decana di Lettere - cosa che, per colpa di una lunga serie di intralci, non è ancora avvenuta.
Seguono una serie di consultazioni con amiche e colleghe.
Il complemento di modo, vivaddio, viene escluso all'unanimità.
Il complemento di mezzo viene escluso con quasi altrettanta decisione.
"Ma non è come quella roba, il forno a gas, la caldaia a metano, la torta al o con il cioccolato?" provo timidamente.
"La caldaia funziona tramite il metano, la torta è fatta anche con il cioccolato" mi si obbietta.
"Ma la torta al cioccolato è una cosa che non puoi fare se non per mezzo del cioccolato. Altrimenti si chiamerebbe in un altro modo, no?".
Mi ricordo di precisare che il verbo era "Preparai". La presenza del "Preparai" cambia tutto, mi spiegano. Eppure, sostengo, una torta al cioccolato dovrebbe essere, sempre e comunque, una torta preparata con l'ausilio e la partecipazione del cioccolato, anche se il verbo fosse "spiaccicai", "servii" o "eliminai". Comunque, se la torta "è preparata" con il cioccolato, allora, allora sì, è complemento di mezzo. Negli altri casi no, è complemento di compagnia.
Ma è sempre la stessa torta, provo a insistere. La preparo con gli stessi ingredienti e lo stesso procedimento.
Ci fermiamo un attimo prima del litigio.
Qualcuno osserva che se la torta fosse preparata amalgamando le uova con il cioccolato, allora sarebbe senz'altro complemento di unione.
Io continuo a non capire la differenza tra una caldaia a metano e una torta con il cioccolato ma mi cheto perché voglio arrivare viva all'ora dell'uscita.

Rimango e ribanano sulle mie posizioni, continuo a pensare che con il cioccolato è complemento di mezzo, ma ad ogni modo ho tolto la frase incriminata dal compito di analisi logica che ho dato alla mia seconda (e che hanno comunque fatto malissimo).

domenica 23 maggio 2010

Gli improvvidi folletti


















I folletti domestici esistono in molte culture, compresa quella italiana. Com'è noto a tutti, aiutano a badare alla casa in cambio di una piccola ricompensa in panna, latte, burro, pane e dolci; particolarmente utili, negli ultimi anni, si sono dimostrati i folletti da computer, che si occupano di funzionamento, manutenzione e pulizia interiore (da virus e da polvere) dei nostri strumenti informatici. Per quanto riguarda la ricompensa, i folletti informatici non differiscono nei gusti da tutti gli altri folletti - niente hamburger o coca-cola, ma i tradizionali piattini di pane e latte. Vivono dentro al computer durante il giorno ed escono per farsi la vita loro soprattutto di notte o quando il computer è spento.

Non ricordo esattamente come nacque la storia dei folletti, ma è stato in rete e in una conversazione tra brigatisti, tre o quattro anni fa. Il brigatista in questione era Lucky, già allora padre di due bei bambini e stimato disegnatore. Sosteneva di non avere la minima idea di quel che succedeva nel suo computer e di essere convinto che erano dei folletti nascosti al suo interno a farlo funzionare.
Questa conversazione mi tornò in mente tre mesi fa, mentre combattevo con la LIM in classe; ad un certo punto sbuffai che quel che mancava in quella scuola erano due buoni folletti da computer e aggiunsi che probabilmente non ci degnavano delle loro attenzioni perché nessuno si ricordava mai di lasciargli il latte e la panna.
Incuriositi, i ragazzi mi chiesero cosa fossero i folletti da computer, io lo spiegai più o meno come l'ho spiegato qui sopra (tralasciando di citare Lucky), rinunciai a usare la LIM per quel giorno e la cosa finì lì, almeno credevo.

In realtà qualche tempo dopo qualcuno mi richiese come funzionava la storia dei folletti. Lo rispiegai con grande candore, del tutto ignara del ginepraio in cui mi stavo cacciando.
Non realizzai il problema nemmeno quando qualcuno suggerì che erano i gatti che mangiavano il latte e la panna che lasciavo come offerte.
"Impossibile" spiegai sicura "Nessun gatto sano di mente toccherebbe mai le offerte ai folletti, e quand'anche lo facesse, i folletti lo rimetterebbero al suo posto a gran velocità".
Provarono a spiegarmi che i folletti non esistevano, esattamente come non esisteva Babbo Natale.
"Babbo Natale è una leggenda" risposi "I folletti sono una realtà oggettiva".
E a quel punto il disastro era fatto, ma io me ne accorsi solo col passare delle settimane.

I folletti sono ritornati in ballo con sconcertante regolarità. Ogni volta qualcuno provava a spiegarmi che non esistevano. Col tempo mi sono accorta che un folto gruppo era seriamente convinto che l'insegnante di Lettere fosse un po' suonata, mentre qualcuno si diceva convinto che fosse uno scherzo.
La discussione si è protratta a lungo e, temo, non si è evoluta a mio favore. La prova definitiva l'ho avuta quando Sirius mi ha preso da parte e mi ha domandato se credevo sul serio ai folletti.
"Ti sembra una domanda cui posso rispondere?" gli ho chiesto di rimando.
Non ha capito perché me l'ha fatta di nuovo, ottenendo la stessa risposta. Mi ha inquietato, perché lui faceva parte del gruppo che mi difendeva (!).
Mi sono sentita (e mi sento tuttora) in un vicolo cieco: mi sembra fuori del mondo mettermi a spiegare seriamente se credo o no ai folletti, come mi sembra assurdo che un gruppo di ragazzi figli di una generazione cresciuta a pane e videogiochi fantasy si sconcerti davanti a un'insegnante che gli parla dei suoi folletti da computer.
Se ci ritorno l'anno prossimo, che accidenti dovrò fare?
Le insidie del nostro mestiere sono davvero tante e imprevedibili.

(L'unica persona che capisce qualcosa là dentro, a quel che sembra, è Lunastorta - che, nella relazione sulla visita della polizia postale che è venuta a parlar loro delle varie insidie che può presentare la rete, ha concluso scrivendo "E ci hanno anche detto che nel computer non c'è nessun folletto!").

sabato 22 maggio 2010

Senza parole



Non so perché, ma mi è venuta l'idea di decorare questo post con una bella oca.

La notizia si è diffusa in rete a gran velocità e nasce da una Circolare Riservata, protocollata n. 489/ris e datata 27 aprile 2010, che ha per titolo Dichiarazioni a mezzo stampa del personale scolastico. Indicazioni.
Per quanto riservata fosse, qualcuno si è evidentemente premurato di diffonderla nei posti giusti, tanto che ormai in rete si trova con facilità, ad esempio qui. In cotal circolare il Direttore Scolastico Regionale dell’Emilia-Romagna, dottor Marcello Limina, esponeva ai Dirigenti degli Uffici Scolastici Provinciali (un tempo Provveditori, ma ormai cambiano nome ogni due anni) della regione alcune interessanti direttive.
Infatti, spiegava il buon Limina,

si leggono frequentemente sulla stampa dichiarazioni rese da personale della scuola, con le quali si esprimono posizioni critiche, con toni talvolta esasperati e denigratori dell'immagine dell'Amministrazione di cui lo stesso personale fa parte. Tali toni e contenuti si riscontrano anche in atti e documenti indirizzati ad autorità politiche o amministrative dell'Amministrazione centrale e fatti spesso circolare all'interno delle Istituzioni scolastiche o distribuiti ad alunni e famiglie.

Si tratta dunque di tutti gli insegnanti, bidelli, DS che hanno espresso la loro opinione sull'attuale funzionamento della scuola in risposta alle domande di qualche giornalista, ma anche di chi porta a scuola o propone ai genitori petizioni varie indirizzate... beh, le petizioni e le raccolte firme di solito sono indirizzate al Presidente della Repubblica, ai Presidenti della Camera, al Ministro dell'Istruzione e roba del genere - certo non avvio una raccolta di firme sul fatto che a scuola manca la carta igienica per consegnarla trionfante al mio calzolaio o alla libreria dove vado a rifornirmi di manga. Voglio dire, non avrebbe molto senso. E certo che è possibile che i toni di chi lavora nella scuola siano un tantino esasperati. Eh sì, è proprio possibile.

E dunque, prosegue Limina
fermo restando la libertà di manifestazione del proprio pensiero, occorre osservare che la stessa trova limiti nell'etica e nella correttezza professionale nonché nella tipicità della funzione educativa.
Vengono poi citate specifiche disposizioni normative e contrattuali che impongono ai dipendenti pubblici in generale, e al personale del comparto scuola in particolare, di astenersi da dichiarazioni o enunciazioni che in qualche modo possano ledere l'immagine dell'amministrazione pubblica e di rapportarsi con i loro superiori gerarchici nella gestione delle relazioni con la stampa.
Insomma, il signor Limina (nome non del tutto pertinente, mi sembra, perché l'uomo sembra aver passato assai i confini di liceità e decoro) riconosce al personale scolastico il diritto di pensarla come vogliono, in ciò mostrandosi migliore dell'Inquisizione e dei partiti comunisti old style, ma sembra convinto che tale personale scolastico abbia compiuto come minimo un giuramento militare che lo impegna a trattare con l'esterno solo attraverso i suoi rapporti con i superiori, il tutto in nome della nostra funzione educativa. Insomma, siccome noi e i bidelli siamo educatori, possiamo dire in giro solo quel che i nostri superiori ci autorizzano a dire.
Ma, attenzione, non quello che ci autorizzano a dire i nostri diretti superiori, no, dobbiamo aspettare le alte sfere - anche per decidere se rispondere alla domanda di un giornalista o presentare una petizione al Presidente della Repubblica.
Infatti il Limina prosegue (forte, suppongo, della sua seconda bottiglia di gin)

Tutto ciò premesso, si invitano le SS.LL a richiamare la personale attenzione dei dirigenti scolastici su quanto precede, chiedendo loro di sensibilizzare il personale della scuola sul corretto comportamento da tenere con gli organi di stampa.Va inoltre ricordata la necessità di informare il dirigente competente di tali rapporti. Il corretto comportamento da tenere non va ovviamente dimenticato neppure in occasione della redazione di documenti o comunicati diretti agli studenti, alle famiglie o ad altri soggetti.
Infine le SS.LL. vorranno ricordare al persoale scolastico che è improprio indirizzare ad alte autorità politiche o amministrative diverse dal loro diretto riferimento gerarchico documenti, appelli o richieste.

Non si tratta dunque solo della stampa: dobbiamo riguardarci assai anche nel rivolgerci più in alto del nostro diretto superiore. Insomma, basta con questi stucchevoli appelli al Presidente della Repubblica, al Consiglio di Stato e analoghi (ignoro se ci sia tuttora concesso rivolgerci, in caso al TAR. Forse è ancora possibile, usando un po' di prudenza, ma è solo un'ipotesi da parte mia).
In compenso dobbiamo fare molta attenzione anche quando ci rivolgiamo a genitori e studenti.

Sul finire Limina sembra ricordare che la scuola appartiene al settore pubblico e viene fatta con il pubblico, per il pubblico e davanti al pubblico, con un certo qual obbligo alla trasparenza. E allora, siccome l'amministrazione ha il dovere di dialogare sia con il personale dipendente sia con gli utenti non già per starli a sentire quanto per dare risposte comprensibili e per meglio commentare e motivare scelte, nuove misure e strategie adottate, allora la Direzione Generale promette che cercherà di migliorare la qualità dell'informazione anche sul suo sito web. Da parte loro, le SS.LL vorranno attivare sul sito web di ogni Ufficio territoriale una casella funzionale e-mail, tramite la quale potranno essere indirizzate richieste, pareri, proposte, appelli da parte del personale scolastico e delle famiglie.
Sarà cura di codesti uffici territoriali proporre allo scrivente, di volta in volta risposte adeguate, misure conseguenti e soluzioni per i problemi segnalati, con l'intento di migliorare l'approccio con il personale scolastico e con l'utenza.

Il signor Limina è convinto di aver tappato la bocca di tutti gli addetti ai lavori nel comparto scuola a buon diritto, appellandosi al Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (Decreto Funzione Pubblica 28 novembre 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 10 aprile 2001 n. 84), e infatti la circolare prosegue citando proprio il Codice in questione, che all'articolo 2 sancisce che gli stessi devono "conformare la proprio condotta al dovere costituzionale di servire la Nazione".
Dice anche però (ma il distrattissimo dottor Limina si è dimenticato di riferirlo) che salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche che vadano a detrimento dell’immagine dell’amministrazione.

La tutela dei diritti dei cittadini, dunque, viene prima anche della tutela dell'immagine dell'azienda; e del resto servire la Nazione non è proprio la stessa identica cosa che "servire l'immagine del governo attualmente in carica". Il signor Limina si mostra assai propenso a dimenticarlo, ma gli statali che lavorano nella scuola sono al servizio dell'intero paese. Quando il governo emana, nel nostro ambito, leggi improprie, inapplicabili o lesive degli interessi della pubblica istruzione è perciò nostro dovere farlo notare all'utenza (che, nel caso della scuola materna e del primo ciclo sono soprattutto i genitori) e all'intera opinione pubblica; perché la scuola statale appartiene a tutti e va tutelata prima di tutto da noi.

Con buona pace del signor Limina, cui la Maristella ha comunque dato il suo pieno appoggio con argomenti all'altezza della circolare "riservata".

mercoledì 19 maggio 2010

A School for Scandal




Nei giorni della mia radiosa giovinezza Playboy era considerata "una rivista elegante", anche se tutti sapevamo che nel paginone centrale la modella era nuda. Anche nell'atmosfera di perbenismo oppressivo che va tanto di moda ai giorni nostri, comunque, definirla "materiale pornografico" mi sembra un po' eccessivo, checché ne dica la giovane Contaballe.
Ad ogni modo è stato in un'Ottica Altamente Trasgressiva che Lunastorta ne ha comprato un numero all'edicola del suo paese qualche settimana fa. Da allora, per molti giorni, tale rivista ha viaggiato su e giù da scuola, fedelmente custodita nel suo zaino, e ha viaggiato parecchio anche in giro per la classe, durante le ore di lezione e non; o almeno così giura la Contaballe (non sempre il massimo dell'attendibilità, a dire il vero) che si è raccomandata che noi professori serbassimo il segreto perché se no i compagni l'avrebbero picchiata, se avessero saputo che aveva parlato.
I racconti di Contaballe vanno sempre maneggiato con le pinze, ma stavolta quel che dice "se non è vero, è inventato bene".
Ad ogni modo quel numero di quella rivista è stato trovato non da noi ma da Mina Vagante, un ragazzo della classe accanto, ospite casuale un giorno in cui la sua classe era ai Giochi della Gioventù e lui aveva perso il pullmino per andarci e dunque si trascinava per le varie aule, al seguito di professori scarsamente entusiasti della sua compagnia, in qualità di Ospite e di Rompiballe - ruolo, quest'ultimo, che da sempre ricopre con successo all'interno della scuola e di ogni singola classe che l'ha ospitato, vuoi per poche ore, vuoi per un intero anno.
Sta di fatto che per annoiarsi meno è andato (senza essere stato invitato a farlo) a frugare nello zaino di Lunastorta, dove ha pescato la rivista e se l'è portata al suo posto, vicino alla cattedra.
Lunastorta, comprensibilmente, non se l'è sentita di urlargli dietro "Ehi, rendimi il mio numero di Playboy!" e non deve avere passato un bel quarto d'ora mentre Mina Vagante sfogliava la rivista ridacchiando in modo così palese che l'insegnante ha dovuto notarlo, prendere atto della cosa, vedere che rivista era e poi...

Naturalmente Lunastorta ha negato tutto. La rivista non era sua, né sapeva come e in qual modo fosse finita nel suo zaino. Per negare, Lunastorta è bravissimo e, per quanto in ansia, ha sostenuto la sua tesi senza esitazione.
Beh, a quel punto era l'unica cosa da fare. L'altra possibilità era dire con fermezza "Scusate, io nel mio zaino ci tengo quel che mi pare purché non contrario alle norme di legge, e questa rivista è venduta nelle edicole alla luce del sole e regolarmente registrata da un tribunale. A scuola non la usavo e dunque che volete da me?".
Ma era una tattica che ad Hogsmeade (e forse in ogni altra scuola media) non sarebbe stata apprezzata, e non avrebbe tirato noi fuori dagli impicci: che fare col Detentore di Materiale Pornografico? Per fortuna lo spettro dell'Implacabile Madre di Lunastorta che piombava come un falco su di noi accusandoci tutti quanti di mettere sempre in mezzo il suo Povero Bambino Indifeso incombeva minacciosa, e la Preside è stata ben lieta di seguire la mia morbidissima proposta di archiviare la grana limitandosi al sequestro della rivista "che tanto non veniva reclamata come proprietà da nessuno".

Resta tuttavia lo spazio per una serie di riflessioni. La prima è: come mai Mina Vagante si è diretto con tanta sicurezza proprio verso lo zaino di Lunastorta? E' evidente che sapeva che la rivista era lì (naturalmente lui giura di averla presa convinto che fosse una rivista di sport, attratto dalla bella pubblicità di un orologio di lusso che c'era sul retro della copertina; e anzi si è mostrato molto offeso quando gli è stato fatto notare che non è corretto pescare negli zaini altrui e prendere roba senza il permesso del proprietario). E, magari, lo sapeva perché qualcuno glielo aveva detto. Qualcuno che voleva:
ipotesi 1) farsi quattro risate godendosi la scena (che l'insegnante di turno ha contribuito a rendere ridicola assai, prendendo molto sul serio la questione. Forse perché, come ha dichiarato poi fieramente "lei un numero di Playboy non l'aveva mai letto in vita sua". Cosa più che legittima, comunque: nel contratto di assunzione mica c'è scritto che doveva averlo letto)
ipotesi 2) saltare la lezione (come è di fatto avvenuto, tra fibrillazioni varie, convocazioni di colleghi, inclusa la sottoscritta coordinatrice, e processioni dalla Preside)
ipotesi 3) giocare un tiro a Lunastorta, che di fatto non è molto amato e non ama molto, là dentro - e forse ci sono motivi validi per entrambe le cose.
E' possibile naturalmente anche un mix delle tre ipotesi, o di due soltanto.
Chi è questo Qualcuno? Contaballe ci ha dato un nome, ma è possibile che la sua fosse solo un'ipotesi e che l'informatore sia stato tutt'altro. Volendo, può essere anche che la delatrice sia stata lei - se è stata così disponibile a raccontarci la storia, può darsi che lei o altre delle ragazze non abbiano gradito la presenza della rivista e abbiano cercato un modo per eliminarla - nel qual caso hanno tutta la mia solidarietà.

A tutto questo, visto il tipo di classe, non c'è speranza di avere risposta. Dai commenti che hanno avuto cura di farsi sfuggire in mia presenza, tutto il pasticcio è stato combinato solo e soltanto da Lunastorta - di cui, mi par di capire, tutti hanno guardato volentieri la rivista ma che non hanno minimamente provato a difendere. E in effetti là dentro il gusto della trasgressione è molto alto. Ma, per l'appunto, la Grande Domanda che mi frulla in testa in questi giorni è: da quando in qua guardare un numero di Palyboy è realmente un'azione trasgressiva?
E soprattutto: cosa c'è in Playboy che non si possa vedere agevolmente a qualsiasi ora alla televisione, per tacere di Internet dove i ragazzi navigano serenamente a giornate intere (e non a scopo di studio, a giudicare dai risultati)?
E' la potenza del glorioso brand dei coniglietti? Il fascino della tradizione? O la forza della provincia?

domenica 16 maggio 2010

Una foglia si nasconde in una foresta

Una foglia si nasconde in una foresta, un foglio (o una lettera) in un mucchio di carte.
(...ma se l'intenzione non fosse quello di nascondere il foglio?)

A Hogsmeade, come in tutte le scuole del regno, i ragazzi consegnano al docente eventuali giustificazioni all'inizio della mattinata. A Hogsmeade, contrariamente a quanto succede in buona parte delle scuole del regno, il docente in questione le prende e, non avendo lì sul momento un caminetto da accendere né orate o branzini da fare al cartoccio, le infila dove gli capita per poi dimenticarsene subito dopo.
Cioè, voglio dire: non si tratta di procedere ad una minuziosa archiviazione o soggettazione che richieda ore di ricerca in un titolario particolarmente articolato, si tratta di prendere due o tre foglietti di scarso peso e sbatterli alla rinfusa in una busta o cartellina nel primo cassetto della cattedra.
Onestamente, non è un lavoro molto complesso.
Anzi, a me sembra tutto sommato più lungo ficcare le giustificazioni alla rinfusa in cassetti, cartelle, altre buste che non c'entrano niente e soprattutto nel registro di classe - all'inizio, alla fine o in una pagina qualsiasi.

Eppure, regolarmente, in ogni classe, indipendentemente dal coordinatore (che a volte è quello che le ficca più a casaccio di tutti) la prof. Murasaki inizia la lezione salutando i ragazzi, firmando sul registro e dando una piccola caccia (che si rivela sempre assai fruttuosa) ai foglietti sparsi per ogni dove nel mentre i ragazzi tirano fuori il libro loro richiesto.

Non è un lavoro lungo o faticoso - in realtà ai miei occhi ha un suo fascino perverso.
Inoltre è utile, perché evita al docente di turno di seminare un prato di giustificazioni ogni volta che per un qualche motivo alza il registro di classe dalla cattedra.
Soltanto, non riesco a capire perché mi venga data l'occasione di farlo.

mercoledì 12 maggio 2010

All'anima del fine doppiosenso



E' proprio quel che sembra: un'innocua torta di mele.
E dà anche l'ipressione di essere molto buona.

Addentrandomi nel complesso e infido mondo dell'analisi logica ho scoperto quel che già da tempo sospettavo, ovvero che molti dei miei alunni si muovevano decisamente a tastoni tra quelle strane entità chiamate "pronomi", soprattutto quelli personali e relativi.
Bene, non erano i primi a trovarsi in cotal frangente, non saranno gli ultimi e il rimedio esiste. Così per qualche settimana li ho lavorati ai fianchi con varie tonnellate di esercizi.
Poi una mattina ho fatto accendere la LIM e arruolato l'Assenteista come dattilografo. Dettavo una frase, l'Assenteista la scriveva e sceglievo qualcuno per analizzarla.
Si poteva fare anche con un foglio di carta, ma la LIM ha una sua imponenza che speravo si imprimesse nella loro memoria.
Altra cosa che volevo gli restasse impressa erano le frasi. Così sono ricorsa a Frasi Finemente Allusive, cominciando con la classica "Me la dai?" e proseguendo su quel registro con numerose varianti fino a culminare con una massima di autore ignoto ma che mi è sempre piaciuta moltissimo: "Se ve la chiedono, datela. Se non ve la chiedono, offritela con gentilezza" e con un corrispettivo al maschile improvvisato sul momento "Se ve la offrono, prendetela. Se non ve la offrono, chiedetela con gentilezza" (che, comunque vada, mi sembrano validi principi morali con cui affrontare la vita: la gentilezza è sempre importante, e in quella classe ce n'è davvero poca).
E' una tecnica efficace, di solito. L'ho sperimentata un paio di volte, sempre con buon esito, durante le supplenze brevi. Dopo la sfilata di Frasi Finemente Allusive gli errori con le particelle pronominali calano parecchio.
Almeno, a me è successo così.

Stiamo parlando della classe che è quasi impazzita alla semplice menzione degli uccelli cacciati da Corrado Gianfigliazzi nell'innocua novella di Chichibio. Avevo dunque messo in conto una lezione assai effervescente - e quanto a effervescenza, quella classe non si è fatta mai mancare nulla, nemmeno con gli argomenti più scialbi.
Ma tutto si è limitato a qualche mormorio, mentre tutti controllavano che l'Assenteista dattilografasse in modo corretto, e a qualche gomitata. Solo una domanda:
"Prof, stiamo parlando di una mela?"
"Facciamo una torta. Un'intera torta di mele" rispondo impassibile.
Nessuno trova nulla da obbiettare all'idea di una torta di mele.

Non dirò che è stata una lezione silenziosa, ma certo si è svolta in modo assai più tranquillo del previsto. Tutti hanno analizzato, piuttosto bene, le frasi assegnate (Assenteista compreso), tutti hanno seguito con attenzione. Nessuno è stato colto da attacchi di riso irrefrenabile, nessuno ha avuto accessi di tosse, praticamente nessuno ha commentato. Sdipanavano e ordinavano quella piccola giungla di pronomi con serietà e concentrazione, nemmeno fossero una classe normale. E si sono perfino dispiaciuti quando ho spento la lavagna.

Pochi giorni dopo, prova di comprensione del testo. Sulla novella di Agilulfo, quella dove uno stalliere riesce ad andare con la regina senza farsi scoprire da nessuno, nemmeno da lei.
Volendo, c'è da argomentare un po' di più che su qualche uccello di palude che si alza in volo all'alba, no? Lì non ci si limita a cacciare gru e farle arrosto, lì si tromba. Spazio per le battute non ne manca.
La lettura avviene nel silenzio profondo e quasi irreale che caratterizza a volte quella classe durante le ore di lettura. Segue qualche breve apprezzamento sulla storia. "Carina" "Bello!".
Tutto qui.
Detto le domande, la classe si mette disciplinatamente al lavoro. Scrivono come castori e poi consegnano.
E' la stessa classe che ha rischiato di morire soffocata dal gran ridere per colpa di una gru.

Un paio di giorni dopo preparo un po' di frasi di analisi logica per la Seconda Nevrotica, così facciamo una mini-verifica a voce.
In un contesto integerrimo di frasi sulla guerra in Serbia, le torte al cioccolato, il Festival di Salisburgo e le interrogazioni di storia decido di infilare anche la frase che esorta a offrirla con gentilezza. Però abilmente camuffata.
"Prendi la torta di mele e portala nel salone. Se te la chiedono, dagliela. Se non te la chiedono, offrigliela con gentilezza". Tanto loro hanno fatto anche i complementi di luogo.
Distribuisco i fogli e chiamo i fortunati prescelti per l'analisi.
Manco a dirlo, la guerra in Serbia, la torta con il cioccolato e il Festival di Salisburgo scorrono via serenamente.
L'entrata in scena della torta di mele, da offrire con garbo invece di sbatterla sul muso degli invitati, scatena il putiferio. A quanto pare, la mascheratura non era delle più efficaci. Eppure, lo confesso, mi era sembrata una frase assolutamente innocua.
"Si può sapere perché state ridendo?" chiedo gelida.
"Ma via, prof..." comincia qualcuno. Il compagno di banco lo zittisce a gomitate.
"Ma questa frase..." inizia qualcun altro, di nuovo zittito dai vicini.
"Vediamo di finire" taglio corto, impassibile.
E la frase viene finita, ma in una giungla di mezze risate, sussurri e ammiccamenti. Il tutto per un'innocua torta di mele da servire agli ospiti.

Io i giovani d'oggi non li capisco mica.

domenica 9 maggio 2010

Desossiribonucleico (Danza Nell'Anima)


Il 4 Maggio è arrivato finalmente il nuovo disco di Max Gazzé.
Si chiama Quindi?, ci ha dodici canzoni tra cui la bella e zuccherina Mentre dormi e, come tutti i dischi di Max Gazzé, è bellissimo e un po' sconcertante.
Intendiamoci: rispetto a Tra l'aratro e la radio di due anni fa è quasi domestico, si manda giù senza nemmeno accorgersene e a tratti si ha quasi l'impressione di un disco normale - ma insomma anche questo va un po' sbucciato e lasciato decantare, e non tenuto in sottofondo mentre si correggono le verifiche di analisi logica.
Comunque, fra draghi innamorati e di animo altruista, lucertole che si tagliano la coda per riscatto e analisi varie sul ruolo dell'artista e dell'essere umano, considerazioni sull'universo che vibra intorno a noi e su quel fenomeno solenne e inquietante che è l'amore assoluto, il mio cuore è entrato in sintonia particolarmente con due canzoni: Io dov'ero (Atmos 5), una delle più affascinanti e gravide nevicate della storia della canzone, degna di stare a confronto con quella dei Red Hot Chili Peppers, e uno splendido inno alla madre di tutte le spirali, ovvero DNA (desossiribonucleico). All'apparenza desossiribonucleico, non sembrerebbe proprio la parola più cantabile di tutto l'italico vocabolario, ma Max e il suo eccellente paroliere Gimmi Santucci ne fanno una canzone scatenata e terribilmente vitale, piena di spirali e di gioia di vivere, dove l'irrefrenabile danza dei genomi si sviluppa in tutto il suo abbagliante splendore.

Un profondo e sincero ringraziamento ad autore, parolieri e musicisti che mi hanno elargito sì bel regalo nel periodo che per un'insegnante è il più faticoso dell'anno.


Nell'imminente cambio cosmico
un dubbio tra l'epigone e l'archetipo
corti circuiti di intrecci la coscienza
corti circuiti di intrecci nell'essenza dell’eugenico
cambio di cellule spasmodico
spirale di prodigi trasformati in codice
informazioni sequenziali senza l'indice
persa nel fremito ciclonico
desossiribonucleico
desossiri bo nucleico

Dona Nuovo Amore
Disegna Naturali Anomalie
Diventa Nettare Armonico
Danza Nell'Anima
la vita ha sete di vita
si disseta e si avvita
una spirale infinita
in un vortice che soffia e mischia sangue e cristallo
la scintilla
l’abbaglio
un salto dentro il buio
un taglio dell'incognito
dell'evolvere genetico
desossiribonucleico

trasformazioni imprevedibili
della matrice incomprensibile alla mente
campi di morfogenetica
semenza
solchi di flussi magnetici
valenza per commettere
e per cercare di riflettere
sul proteico uomo laico
desossiribonucleico
perso nel fremito ciclonico
desossiribonucleico
desossiri-bo-nucleico

Dona Nuovo Amore
Disegna Naturali Anomalie
Diventa Nettare Armonico
Danza Nell'Anima
la vita ha sete di vita
si disseta e si avvita un'aspirale infinita
in un vortice che soffia e mischia sangue e cristallo
la scintilla l’abbaglio un salto dentro il buio
un taglio dell'incognito
dell'evolvere genetico
desossiribonucleico
dell'evolvere genetico
del proteico uomo laico

desossiribonucleico
campi di morfogenetica
desossiribonucleico
solchi di flussi magnetici
corti circuiti
corti circuiti
desossiribonucleico
corti circuiti
corti circuiti
sul proteico uomo laico

venerdì 7 maggio 2010

Ebreo volante (in pericolo costante)


Un cittadino italiano di lignaggio ebraico si reca a fare la spesa nel 1939

Nella Terza Vuota approfondisco storia, e se non fosse che io stessa medesima ogni settimana gli ammannisco un'ora di storia mi verrebbe fatto di dubitare che là dentro la parola "storia" sia mai entrata.
E invece no, siamo in due a provarci; e in due non abbiamo mai cavato un ragno dal buco, per quel che ci è dato ricordare.
La collega mi fa vedere sconfortata le verifiche scritte, dove campeggia una lunga sfilza di quattro "Non so perché, ma questo fatto che gli ebrei con le leggi razziali erano esclusi dai pubblici uffici proprio non gli è arrivato." Sospira.
Sospiro anch'io e le prometto di riprovarci. Né io né lei abbiamo particolare fiducia nel mio intervento - e nemmeno nei suoi, se per questo.

Ad ogni modo ci riprovo.
"Quando furono fatte le leggi razziali?" chiedo alla classe.
"Nel 1933 da Hitler".
"Intendevo quelle italiane".
"Nel 1923" propone qualcuno. Poi passano a darmi varie date che oscillano tra il 1923 e il 1943. Molto faticosamente riesco a convincerli che la data giusta è il 1938 e che l'alleanza con Hitler ha qualcosa a che vedere con questo improvviso desiderio di difendere la pura razza italica.
"E cosa dicono queste leggi razziali?" domando poi.
Incertezza. Dubbio. Panico. Poi qualcuno mi spiega che vietavano i matrimoni misti. Per difendere la purezza della razza.
"Giusto. E poi?"
"Gli ebrei non potevano attraversare le strade" ricorda qualcuno trionfalmente.
"E non potevano neppure camminare sui marciapiedi" aggiunge qualcun altro.
Davanti al mio evidente stupore qualcuno garantisce "E' vero, prof, è scritto sul libro".
Chiedo dove, ma misteriosamente nessuno riesce a indicarmi il punto, anche se tutti sono convinti che l'assai stravagante complicazione di non poter camminare per strada né sui marciapiedi sia stata effettivamente messa su carta da qualche italico legislatore (e d'accordo che in effetti anche impedirgli di sposarsi con chi gli pareva o di andare alle scuole pubbliche era un divieto idiota, ma se non altro era fisicamente possibile rispettarlo per i disgraziati che lo subivano).

Per quanto venga cercato, il brano in cui il libro spiega che tutti gli italiani di nascita ebraica dovevano improvvisarsi volatili quando uscivano di casa non si trova. In compenso salta fuori un bel box, che occupa due terzi di una pagina, dove vengono citati gran copia di telegrammi che vietano il rinnovo delle licenze agli ebrei, il divieto per gli ebrei di insegnare nelle scuole pubbliche o di lavorare nei pubblici uffici etc. etc. Come a dire, il povero manuale ci aveva anche provato, a spiegare come stavano le cose.

Resta da capire per quale misterioso itinerario mentale più di mezza classe si era convinta (mi correggo: probabilmente è tuttora convinta, perché dubito che le mie spiegazioni gli abbiano schiarito le idee più di tanto) che i cittadini italiani di nascita ebraica mantenessero il diritto a lavorare nella scuola, nell'anagrafe e magari in polizia ma non quello di camminare.

Si accettano ipotesi.