Il mio blog preferito

sabato 17 novembre 2018

17 Novembre 2018 - Festa del Gatto Nero (dopo tanto fascismo, un po' di nero elegante ci sta bene)


Per quel che riguarda i gatti neri, e soprattutto le gatte nere, ritengo di essere una autorità, e di sicuro ho molta esperienza: a parte la simpatica Alfonsina, intrepida cacciatrice di pipistrelli e, ahimé, caduta quando contava appena sette anni di vita dal tetto della mansarda presumibilmente proprio mentre cercava di prenderne uno, e la regale Sybilla, adottata da mia madre quando scoprì di aver dato involontaria ospitalità a sua madre e alle sue sorelline* al momento ben due gatte nere ornano casa mia con la loro bella presenza: Ninphadora, che ormai va sui quattordici anni, e la vivacissima Astrifiammante che non ne ha ancora quattro. Non per questo sono convinta di avere particolari competenze sulla specifica psicologia delle gatte nere, perché ognuna di queste gatte era ed è assai diversa per temperamento dalle altre. L'unico tratto comune che hanno mostrato è la tendenza a venire da noi in veste di trovatelle mendicanti - in pratica, ci hanno scelto.
Alfonsina (che originariamente era stata chiamata Alfonso el Sabio, in onore di un re castigliano del XIII secolo, dato che ci era stato assicurato che era un maschio) arrivò in casa mia perché la bella Clodia aveva fatto solo un gattino e aveva molto latte; così andai dal veterinario sotto casa e chiesi se serviva una balia, e serviva. Quando la piccola (all'epoca davvero piccola: pochi giorni di vita) arrivò aveva una certa sindrome abbandonica, ma si riprese bene. Era una grande cacciatrice, molto amante dei pipistrelli (per nostra fortuna né sul tetto della mansarda né nel giardino vivevano topi), che ci portava sempre a casa come trofeo e che noi cercavamo di sottrarle, con alterne fortune - imparai un sacco di cose sull'anatomia dei pipistrelli, in quegli anni. Ed era chiaramente una gatta magica. Si era molto legata al ragazzo che in quegli anni abitava con noi, e morì pochi giorni dopo la sua morte - non sono mai riuscita a credere che fosse un caso. Ci mise una eternità per sviluppare, per poi sfornarci due nidiate di gattini, alcuni neri e alcuni d'argento, di una bellezza favolosa e che davamo via senza nemmeno doverci scomodare a offrirli - ci bastava mostrarli a qualche scelta persona che subito cadeva in deliquio e ci supplicava per pietà che gliene dessimo almeno uno.
Una gattina magica, di taglia mignon, madre terribilmente ansiosa e stressante. Ottima cacciatrice, come ho detto, ma non molto intelligente; assai affettuosa però.

Anche Sybille era una gatta magica (ma quale gatto non lo è?), di carattere conciliante ma non troppo espansiva. Era estremamente la gatta di mia madre e sparì di casa poco tempo dopo la sua morte. Non abbiamo mai saputo cosa le fosse successo - una cosa non rarissima con i gatti, che scompaiano senza lasciare tracce, ma il fatto che sia successo dopo la morte di mia madre mi ha sempre dato da pensare.

Trovai Ninphadora che mi aspettava nel minuscolo giardino del condominio dove abitavo all'epoca, rientrando da quell'ordalia che sono le convocazioni per le supplenze annuali. Anche quell'anno a me non era toccato niente, ma stavolta si erano fermati pochissime posizioni prima di me - il che voleva dire che sarei stata chiamata ben presto per le supplenze brevi. 
Era una gattina molto minuta, molto affamata (ma non denutrita) e molto affettuosa e giocherellona. Salì al quinto piano con me e iniziammo la nostra felice convivenza.
E' una gatta vivace, un po' ombrosa e molto intelligente, e ho spesso sospettato che oltre all'italiano capisca anche l'inglese. Con l'arrivo del tablet le ho anche fatto diverse foto:
Da brava gatta-strega ama molto i draghi, naturalmente - anche quelli imbottiti dell'Ikea:
Mi ha sempre amato di un affetto profondo ma non prepotente e siamo legate da una sintonia che non ho mai sperimentato con nessun altro gatto. E' anche lei una brava cacciatrice, ma cacciava solo in campagna dai miei: con grande gentilezza mi ha sempre risparmiato la sfilata di topi morti, pipistrelli agonizzanti e lucertole scodate. Il suo posto preferito è tra i due guanciali nel letto dove dormo. Va abbastanza d'accordo con Astrifiammante, ma la loro è una pacifica convivenza, più che una vera sorellanza; in compenso la lascia sempre mangiare per prima.

Astrifiammante è l'ultima arrivata, scelta al gattile. O meglio, è stata lei a scegliere me, perché appena mi vide si sdiede nel modo più totale.
"E' un gatto davvero molto affettuoso" osservai "Si vede che vuole essere adottato".
"Ma, veramente è la prima volta che fa così con qualcuno" osservò il volontario perplesso. Non so perché, ma mi venne presentata come maschio, e scoprii che era femmina solo al momento di firmare il modulo per l'adozione, quando me la portarono a casa.
E' una gattina minuta, dai grandi occhi perennemente spalancati con stupore sul mondo misterioso e una singolare capacità di ficcarsi nei guai. Per esempio, quando chiudo una finestra controllo sempre se c'è un gatto sul davanzale. Ciò nonostante...
(Si prega di notare l'aria estremamente rimproverosa: come puoi abbandonarmi così al freddo e al gelo? E in effetti quel giorno era abbastanza freddino; ciò nonostante nelle stanze usa cambiare l'aria ogni tanto, almeno per pochi minuti).
E' anche una perfetta gatta acrobata e ogni tanto combina i suoi bravi disastri. In effetti credo sia l'unico gatto con cui mi sia ritrovata ad alzare la voce per rimproverarla - finendo poi per sentirmi assai in colpa perché è anche una gatta sensibilissima, anche se i sensi di colpa le risultano naturalmente del tutto sconosciuti.
(sembra posizionata in alto, vero? Lo è. Quella libreria è alta sui due metri. Ma Astri è una brava acrobata).

Oggi è la giornata internazionale dedicata alla valorizzazione dei gatti neri. A tutti loro faccio gli auguri, alle gatte nere che vivono con me ho scottato del buon pesce (cosa che in verità faccio abbastanza di frequente, indipendentemente dal calendario e dalle sue ricorrenze) ma non per questo voglio negare gli auguri a quei gatti che neri non sono. Il nero è un colore molto elegante e che sfina, ma essere neri non è condizione indispensabile per un gatto per essere molto elegante e raffinato.
Anche se comunque aiuta.

*madre e sorelline furono naturalmente date in adozione a famiglie integerrime e assai amanti dei gatti

venerdì 16 novembre 2018

Il dottor Antonio - Giovanni Ruffini


(Il libro che presento questa settimana al momento non è in vendita, ed è stato ristampato per l'ultima volta da Sellerio nel 1986. Si può trovare facilmente all'usato, per quanto spesso malridotto... oppure scaricare assolutamente aggratiss dalla rete qui o da svariati altri siti. Naturalmente è possibile anche scaricarlo a pagamento e non è nemmeno difficile da trovare in biblioteca).

Quando ancora trovavo i regali sotto l'albero di Natale, rigorosamente non impacchettati, i miei genitori avevano sempre cura di farci scivolare dentro dei libri, spesso anche piuttosto voluminosi. Entrai così in contatto con Sherlock Holmes, Miss Marple, Sandokan, Anna Karenina, La freccia nera. Di solito si trattava di doni assai graditi, e molti di loro hanno segnato con molta forza il mio immaginario.
Il dottor Antonio si rivelò invece un buco nell'acqua. Quello che trovai sotto l'albero è il libro di sinistra, edizioni Fabbri, che non possiedo più perché tanto poco mi piacque che l'archiviai. Probabilmente l'idea partì da mia madre, che magari l'aveva molto gradito in gioventù ma che non sapeva - perché non ce lo scrivono mai - che si trattava di una edizione ampiamente sforbiciata (di una buona metà del testo, direi a memoria). C'erano anche altri motivi: prima di tutto all'epoca ero profondamente anglofila e piuttosto irritata verso qualsiasi testo che puntasse sul pittoureskwo italico, con gli italiani poveri ma onesti, ospitali ma parecchio ruspanti eccetera, e anche il Risorgimento non è che mi entusiasmasse più di tanto. Inoltre detestavo le storie d'amore che non quagliavano, e Il dottor Antonio era un classico romanzo romantico italiano dell'Ottocento, dove gli innamorati non si sposavano mai per vivere felici e contenti ma in compenso soffrivano molto.
Qualcosa però in quel libro inconcludente doveva avermi colpito, nonostante i tagli dell'edizione ridotta, perché quando Sellerio lo ristampò mi ripromisi di comprarlo, salvo poi non farne di niente finché non andò irrimediabilmente esaurito.
Un paio di anni fa però trovai l'edizione a destra (Salani) in una di quelle ceste del libero scambio che tengono tutte le biblioteche pubbliche, e decisi di prendermelo. E' una edizione integrale, e leggendolo mi accorsi che in effetti era anche un gran bel romanzo - fermo restando che la storia d'amore non quaglia verso un auspicabile lieto fine perché all'epoca non usava, anche se, a quanto ho capito, nel film che ne trassero nel 1937 e nello sceneggiato del 1954 (uno dei primissimi della nostra televisione) gli sceneggiatori decisero di dare un finale più ragionevole alla vicenda. Aggiungo che il signore ritratto in copertina non è il dottor Antonio, ma un ritratto dell'autore, tal Giovanni Ruffini http://www.fosca.unige.it/wiki/index.php/Giovanni_Ruffini, patriota italiano con un passato carbonaro e finito in esilio in Inghilterra.
Il romanzo è stato scritto appunto durante l'esilio e venne pubblicato (con un discreto successo) in inglese e solo dopo tradotto a varie riprese in italiano - e anche in Italia ebbe un discreto successo. Lo scopo, o comunque uno degli scopi, era sensibilizzare l'opinione pubblica inglese alla causa dell'irredentismo italiano, ma in realtà sembra che si sia trasformato ben presto in un formidabile volano per il turismo inglese sulla riviera ligure.

Siamo in Italia, nel 1840, sulle strade ancora assai accidentate della costa ligure, vicinissimi a San Remo. Su una di quelle strade accidentate la carrozza di una coppia di aristocratici inglesi formata da padre e figlia (Lord Davenne e la giovane figlia Lucy) ha un incidente, dove Lucy si fa male a una caviglia.
La situazione per i due, del tutto digiuni di italiano, sarebbe davvero critica se proprio di lì, guarda i casi della vita, non passasse il giovane e affascinante dottor Antonio, patriota siciliano con un passato un po' inquieto ma comunque molto rispettabile e medico del luogo amatissimo dalla popolazione per la sua bontà nonché stimatissimo dai colleghi per la sua grande competenza, per giunta in possesso della capacità, rarissima in quel luogo, di parlare un eccellente inglese. Questi impartisce le prime cure a Lucy, organizza il soggiorno dei due aristocratici inglesi e del loro seguito di servitù presso una locanda locale e organizza le cure della ragazza nel più efficiente e conveniente dei modi.
La fiducia di Lucy nel medico è sin dall'inizio totale e assoluta, mentre la diffidenza del padre verso quel barbaro italiano ci mette un bel po' a placarsi ma alla fine si trasformerà in stima e rispetto (non tanto, tuttavia, da prenderlo in considerazione come futuro genero, nonostante l'evidente propensione che la figlia mostra per lui).
Per Lucy il noioso periodo di degenza e di immobilità si trasforma così in una luminosa avventura illuminata dal fascino e dagli insegnamenti del dottore, che l'ha subito presa in grande simpatia e la introduce gradualmente al mondo di gente povera ma onesta della zona e alla questione patriottica italiana, oltre che alla botanica, alla letteratura italiana e a una infinità di altre cose. Tra i due le cose andrebbero benissimo - anche se l'idillio non è mai apertamente dichiarato - e probabilmente anche il padre si lascerebbe domare col tempo e acconsentirebbe a lasciare la figlia in balìa di un selvaggio del luogo, se l'intervento dell'antipaticissimo fratello di Lucy non troncasse rapidamente la questione riportando la sorella in Inghilterra, dove potrà fare il buon matrimonio che per lui è più conveniente. Consapevole di essere in un romanzo italiano dove la famiglia l'ha sempre vinta e le fanciulle si lasciano sempre piegare, Lucy acconsente come nessuna eroina inglese farebbe facilmente.
Otto anni dopo però, resa libera dalla vedovanza, Lucy vede le cose in modo diverso e decide di tornare in Liguria a cercare il suo dottore. Nel frattempo però sono arrivati i moti del 1848, il dottor Antonio è un ardente patriota e insomma l'elemento storico risorgimentale finisce per prendere un po' la mano all'autore: la storia rallenta in una infinità di dettagli storici e poi si ferma a un passo dal lieto fine, con grande disappunto del lettore moderno, ma certo in modo che il dottor Antonio faccia dall'inizio alla fine la parte più nobile ed edificante che mai eroe di romanzo italiano abbia fatto.
Il romanzo resta comunque molto bello e di avvincente lettura, nonostante l'eccesso di dettagli risorgimentali verso la fine (che forse avrebbero potuto essere inseriti meglio nella vicenda) e il finale edificante fa parte delle convenzioni italiane dell'epoca anche se forse lasciò interdetti i lettori inglesi - ma questo non impedì al romanzo un grande successo sia in Italia che in Inghilterra che altrove in Europa.
Ne consiglio senz'altro la lettura perché, anche se non è propriamente letteratura italiana in quanto scritto originariamente in inglese, l'ho trovato molto più bello di buona parte della nostra insulsa letteratura del periodo.

Nel suo carniere Ruffini ha anche un libretto d'opera: il Don Pasquale di Donizetti, nientemeno. Certo, è una storia di pazzi come tutte le opere buffe, però Ernesto (un innamorato particolarmente stordito, ma dotato di grande sentimento) mostra una certa tendenza al Complesso dell'emigrante:


Con questo invito alla lettura partecipo al Venerdì del libro di Homemademamma e auguro felici letture autunnali a chiunque passi di qua.

giovedì 15 novembre 2018

All'armi, siam razzisti?

Un pesce gustoso, economico e che si può facilmente cucinare: niente di strano che anche le razze siano a rischio di estinzione e vadano protette, ad esempio pescandole solo in certi periodi dell'anno.

Quando arriviamo alla questione delle leggi razziali, esordisco sempre spiegando ai miei alunni che, qualsiasi cosa possano dirne i genetisti, le razze esistono eccome, e sono anche molto buone. Poi gliene faccio vedere qualcuna, cruda, cotta o in libertà, sulla Lim.
Dopo si passa al resto, che è molto meno ricreativo.

Non è detto che gli italiani al momento siano (ancora, o di nuovo) fascisti, ma mi sembra più che certo e acclarato che siano razzisti. Al momento il fenomeno è in espansione, ma succede spesso nei momenti di grande stagnazione intellettuale: visto che non ci riesce di occuparci di argomenti seri (imprenditoria, collegamenti scuola-formazione-lavoro, gestione dei servizi pubblici, gestione della spazzatura, asili nido, tutela dell'ambiente) troviamo molto più comodo concentrarci su una questione davvero vitale: la razza italiana è in pericolo di estinzione?
Di sicuro non lo è la razza umana, visto che abbiamo gloriosamente passato i sette miliardi e ci stiamo allegramente avviando verso gli otto; ma anche gli italiani sembrano ben lungi dal rischio di estinzione: un po' di contrazione demografica, d'accordo, ma non siamo un gruppetto di trecento sopravvissuti da rinchiudere in apposite riserve e parchi nazionali per evitare la nostra scomparsa. Restiamo abbondantemente sopra i 50 milioni di individui, qualsiasi cosa voglia dire "razza italiana", che è un po' come definire di "razza europea" il gatto di casa che a suo tempo abbiamo trovato in giardino o per la strada: incroci di incroci di incroci - il che non toglie che sia un bellissimo gatto, naturalmente, e chi se ne frega del suo pedigree? Certamente è di razza europea, visto che non siamo andati a prendercelo in Bangladesh o in Australia, ma anzi è stato lui a venirci a cercare nella nostra casa in territorio europeo.

Gli italiani abitano una penisola che sporge in uno dei mari più popolati del mondo, per giunta provvista di un bel clima e di terre fertili. Tutti hanno sempre detto che era un bel posto e tutti hanno cercato di venirci a trovare, di solito con ottimi risultati. Dall'Italia sono passate un po' tutte le popolazioni europee e parecchie nordafricane e mediorientali. Ebrei, anche. Un sacco di ebrei, uno dei quali si chiamava Pietro e ha lasciato un segno piuttosto profondo nella nostra storia, nel I secolo dopo Cristo. Incrociarsi un po' con questo e un po' con quello non è cosa che in Italia dovrebbe sconvolgere nessuno, mi sembra.
Sta di fatto che quando il governo fascista decise di fare delle leggi a tutela della razza, quasi a nessuno venne in mente di farlo oggetto di un lancio ben mirato di uova e pomodori di scarsa freschezza, anzi fior di scienziati firmarono manifesti e proclami per preservare la nostra razza dalla contaminazione con quella ebraica (???) e proclamare la superiorità della nostra razza su quella negra - ma quest'ultimo tratto all'epoca era molto comune e quasi implicito: Bianc era megl che Néger, si sapeva, lo avevano stabilito già da gran tempo inglesi, francesi, olandesi e belgi quando avevano cominciato a venderli, i negri, e quando avevano messo su colonie in Africa. Fino al 1936 per noi non era stato un problema perché non avevamo colonie, o almeno non ce ne facevamo granché. Mussolini organizzò la cosa più seriamente e decise di far ribadire il concetto, che comunque non sembra aver incontrato grosse resistenze. Ma sì, certo, i banchi erano superiori ai neri, certo che sì. E ci mancherebbe altro, non lo vedete che quelli sono selvaggi? Razza inferiore, e incapace di evolversi.

Finito l'impero italiano e perse le colonie i negri sparirono dall'Italia, salvo che nelle barzellette sui cannibali, dove erano sempre vestiti con gonnellini di paglia e ornati da ossicini che gli attraversavano il naso. Siccome erano quasi assenti anche da film e telefilm americani, gli italiani smisero di pensarci, salvo i cattolici missionari che andavano a convertirli. Col tempo arrivò qualche musicista di disco music, ma erano tutta gente molto ricca e stravagante.

Poi i negri cominciarono ad arrivare, sotto forma di emigranti che venivano dall'Africa. Era la fine degli anni 80 e i primi vendevano accendini e collanine per strada e sulle spiagge.
Gli italiani si ricordarono così di essere stati razzisti. Per fortuna però alcuni erano stati anche marxisti e quindi accolsero i venditori senegalesi di accendini come proletari oppressi venuti da terre lontane. Altri comunque ricordarono di essere stati fascisti e razzisti e nacquero così simpatiche attività come i pestaggi in strada senza un perché, i secchi di vernice bianca rovesciati sull'africano addormentato sulla panchina e simili. E qualche volta il pestaggio si trasformava in accoltellamento.
Erano fenomeni marginali, ma lo erano principalmente perché una buona parte dell'opinione pubblica criticava il razzismo. 
Col tempo i numeri cambiarono: non solo tra gli immigrati, quanto tra gli elettori italiani. I proletari oppressi passarono di moda, rimasero i negri con l'ossicino al naso e il gonnellino di paglia, e in sottofondo la sorda paura (maschile) che fossero tutti iperdotati e che le donne bianche, dopo averli provati, avrebbero schifato i loro compagni bianchi che ce l'avevano più piccolo.
Occorreva dunque impedir loro di accostare la donna bianca. Oddio, ormai era un po' tardi perché i matrimoni misti andavano diffondendosi, anche se non certo a velocità vertiginosa. Comunque dai primi anni del nuovo millennio siamo perseguitati da appelli angosciati degli uomini bianchi perché gli uomini bianchi salvino le donne bianche dallo stupro da parte degli uomini neri, e tutto ciò è molto noioso, specie per le donne bianche violentate da uomini bianchi cui viene detto regolarmente che se la sono cercata ed è successo perché son state loro, le donne bianche, a provocare.
Nel frattempo sono arrivate torme di donne nere che fanno sesso a pagamento con gli uomini bianchi, spesso in condizioni di estremo sfruttamento, ma anche quelle nessuno se le fila e non fanno parte in alcun modo dell'Angoscioso Problema dell'Immigrazione. Niente, come se fossero trasparenti. Di loro si occupano talvolta sparuti gruppi di sacerdoti e volontari cui molto raramente viene dato il plauso che meriterebbero. In fondo, quale sorte più luminosa può desiderare una inferiorissima donna negra se non quella di venire in Italia a fare sesso a pagamento con bianchi di pura razza italiana senza nemmeno intascarsi i soldi? Tra un po' i clienti chiederanno anche di essere ringraziati, immagino.In compenso i maschi bianchi si preoccupano moltissimo per l'arrivo dei neri musulmani perché si tratta di popolazioni che non hanno considerazione né stima per le donne, e quindi non dovrebbero stare da noi perché in Italia le donne sono riverite e amate quanto nessun altro mai e mai a nessun bianco passerebbe per l'anticamera del cervello di trattarle altro che col massimo rispetto.
Ma mi accorgo che sto divagando, e d'altra parte l'argomento è vasto, ricco di sfumature e incredibilmente noioso - come tutti gli argomenti dove ci si deve far largo col machete in una selva di luoghi comuni, frasi fatte e sciocchezze di livello quasi sovrannaturale. Perciò vado a concludere:
Sì, gli italiani sono razzisti; e siccome non esiste un modo intelligente di essere razzisti, lo sono in modo stupido. Del resto il razzismo, quando non è dettato da ragioni di interesse allo sfruttamento, è solo un comodo rifugio che evita la fatica di ragionare su questioni un po' più importanti - un caldo nido di piume dove qualsiasi cosa che non vada è colpa dei migranti neri (ma mai delle migrantesse nere, ritenute evidentemente indispensabili al benessere dell'indigeno bianco) - oppure, a scelta, della burocrazia dell'Unione Europea.

martedì 13 novembre 2018

Di cosa parliamo quando parliamo di fascismo?


Pinocchio fascista: uno dei frutti più strampalati della Repubblica di Salò, quando il fascismo mostrò i suoi aspetti più stravaganti.

Quando in classe arriviamo al fascismo cerco sempre di fornire un po' di sfondo agli alunni: vita quotidiana, qualche spezzone di Cinegiornale, manifesti pubblicitari e di propaganda, qualche canzone (alcune tra l'altro non sono nemmeno male, se si riesce a trovare una versione con un audio decente).
Nei primi tempi questi link venivano da siti del tipo "fontistoriche.com" oppure "circolodeglistorici.it" e magari era specificato che non c'era una finalità politica, ma solo informativa - il tutto seguito da commenti molto civili e solo qualche occasionalissimo "Duce per sempre!" o roba del genere.
Adesso vengono da link come "Veneriamomussolini.oraepersempre.org" oppure "vivailfascismo.it", e le fonti sono precedute da scritte deliranti. mentre i commenti contengono zuffe memorabili tra gente che spiega che il fascismo è stato il miglior periodo della storia italiana e altra gente che va lì a strepitare che il fascismo era il male assoluto - questi ultimi perdendo palesemente il loro tempo perché a ragionare con quelli di "vivailfascismo.it" palesemente non c'è vittoria.
Del resto, né gli uni né gli altri sembrano minimamente interessati a un qualche tipo di analisi storica, superficiale o approfondita che sia: sono solo episodi di tifoseria dove ognuno arriva col suo bandierone ultras e cerca di strillare più forte degli altri; nel complesso uno spettacolo davvero penoso, ma negli ultimi tempi sembra stabilito che chi va su YouTube lo fa solo per schizzare odio e livore, che al confronto su Facebook sembrano tutti baronetti inglesi.

In tanti hanno osservato che questo tipo di frange estremiste di nostalgici c'erano anche prima, solo che si muovevano nei loro circoli e non trasparivano all'esterno - in pratica, tendevano a mimetizzarsi, mentre oggi sbandierano le loro preferenze fasciste a piena canna e senza alcun tipo di ritegno.
C'è del vero in questa analisi, ma non si tiene conto di alcuni dettagli, primo fra tutti quello cronologico.
Il fascismo si è affermato in Italia tra il 1922 e il 1943, più la coda della Repubblica Sociale che arrivò fino al 1945. Stiamo insomma parlando di un fenomeno storico ormai vecchio e che sempre meno persone possono ricordare fisicamente: i repubblichini, proprio come i partigiani, sono ormai una razza in via di estinzione, e i nostalgici del fascismo che postano su YouTube non sono veri nostalgici, non avendo mai vissuto un singolo giorno di fascismo: si tratta  per lo più di ragazzi e giovani adulti che giocano a fare i nostalgici di qualcosa di cui non hanno alcuna conoscenza diretta, e nemmeno indiretta (salvo quel tipo di conoscenza di qualcosa che si impara ascoltando le favole della nonna accanto al caminetto). La loro ignoranza in materia risulta del tutto evidente dai commenti, perché rievocano un fascismo che lascerebbe assai sorpreso nonché colmo di doloroso stupore Mussolini in persona, se potesse ritornare su questa terra e accedere alla rete. Non siamo più alla fase in cui quando c'era lui i treni arrivavano in orario e la mafia era stata sconfitta e ai lavoratori vennero date pensione e tredicesima: siamo a un tempo situato nell'età dell'oro, quando nei fiumi scorreva latte e miele, gli italiani venivano sempre per primi eccetera (mentre nessuno ricorda mai le colonie estive, che secondo me furono una cosa assai utile e che aiutò molto a migliorare la salute dei giovinetti in crescita, e che giustamente nessuno si sognò di abolire nel dopoguerra). D'altra parte, tra i denigratori del fascismo, nessuno ricorda più le delizie del surrogato di cioccolato e delle scarpe di coniglio (quanto al caffé di cicoria, in realtà conta i suoi estimatori anche nelle frange della sinistra più estrema).
Insomma, il fascismo vero è rimasto appannaggio degli storici, ma agli ultras l'analisi storica non è mai interessata.
Personalmente sono assai favorevole ad ogni forma di revisionismo storico, purché basata su un corretto esame delle fonti. Imparare che il fascismo ebbe anche i suoi sprazzi di luce e che l'antifascismo ebbe i suoi lati oscuri non può che farci bene - ma da qui a farneticare ce ne corre.

Quando è cominciato questo Supremo Disprezzo della Storia?
Personalmente lo daterei all'inizio dell'Era Berlusconiana, quando l'allora Cavaliere si inventò un rischio di dittatura comunista in arrivo da cui era ben deciso a salvare l'Italia: com'è noto nel 1993 il comunismo era in forte crisi di trasformazione, mentre la destra aveva avviato una faticosa metamorfosi per diventare una rispettabile Destra Liberale rinunciando al culto del defunto duce.
Tuttavia l'operazione di Berlusconi riuscì, e nacquero due fronti rabbiosissimi che gridavano al Complotto Fascista e al Complotto Comunista al minimo pretesto, e talvolta anche senza pretesto alcuno. I tentativi di revisionismo naufragarono nell'idiozia più totale, fino a sostenere che durante la Resistenza i comunisti erano stati una percentuale del tutto risibile e che chiunque avesse praticato un qualsiasi pur labile fiancheggiamento ad Alleanza Nazionale andava marchiato come "fascista" senza speranza alcuna di redenzione anche se era nato trent'anni dopo la caduta del fascismo e quindi "fascista" non poteva proprio essere, con tutta la migliore buona volontà del mondo.
Col passare degli anni i due fronti si sono incattiviti sempre più, e se a sinistra qualcuno dava segni di aver almeno distrattamente scorso qualche libro di storia generale, lo schieramento cosiddetto "di destra" continuò a straparlare di comunismo eversivo.
Non è colpa della scuola, e tanto meno dei libri di scuola - che dedicano ormai regolarmente i loro box alle foibe oltre che alle Fosse Ardeatine. Un pochino di più è colpa della scansione del programma di storia, che fa sì che in terza media ci si fermi subito dopo la proclamazione della Repubblica Italiana, dopo aver chiuso la seconda guerra mondiale in affanno e confusione (anche perché tra 1943 e 1946 la storia, soprattutto in Italia, è decisamente confusa e complessa). La mia generazione si fermava più o meno alla Marcia su Roma, ma i nostri genitori e nonni potevano facilmente aiutarci a riempire i buchi. Adesso invece i genitori dei nostri alunni sono nati in pieno boom economico e molti non hanno nemmeno intravisto la guerra in Viet Nam. La ferita del Ventennio resta lì, in suppurazione ma ben nascosta e coperta sotto cumuli e strati di cascami di leggende metropolitane e creatività maldestra - e nessuno ricorda mai che quel periodo è stato soprattutto dannatamente scomodo non solo per l'Italia ma per tutta l'Europa, e che quindi c'è ben poco da rimpiangere e molto da essere sollevati per essere nati parecchio dopo.

Dunque non credo sia esatto dire che in Italia sta tornando il fascismo: il fascismo non può tornare, perché è un fenomeno ormai irrimediabilmente datato. Al contrario del concetto di genocidio, che attraversa i secoli mutando qualche aspetto superficiale ma restando sempre molto simile a sé stesso, il fascismo è inchiodato a precise coordinate storiche destinate a non ripetersi*, non più di quanto possano ripetersi le città-stato della Grecia o le signorie della fine del Medioevo.
Quindi niente fascismo: solo una spaventosa ignoranza storica unita a uno spirito di tifoseria che lascia veramente il tempo che trova e una mancanza di buon senso davvero allarmante, contro la quale al momento non si vede rimedio a tempi brevi.

*con questo non intendo dire, naturalmente, che in Italia non potremo avere altre dittature, ma solo che saranno comunque diverse dal fascismo.

lunedì 12 novembre 2018

All'armi, siam fascisti?


Una cara amica commenta un giallo di autore italiano che ha letto da poco. E' piuttosto sdegnata per il comportamento del protagonista, che fa parte della polizia e rispetta le regole in modo assai personale - ad esempio sequestrando una partita di droga che provvederà poi a rivendere (tenendone un po' per sé, si capisce) intascandosi gioiosamente i soldi "Se fossi un poliziotto, io all'autore farei una bella causa. Ma ti pare il caso, presentare un personaggio così?".
"Ma, veramente..." trasecolo interdetta; del resto, c'è una tal tradizione di antieroi corrotti o corrompibili nella narrativa poliziesca, non solo italiana, che il personaggio non i risulta poi così insolito.
"Tu, come insegnante, come prenderesti un romanzo che presenta per esempio un insegnante che abusa dei bambini? Non ti girerebbero le scatole?".
"Magari sì, non saprei. Ma ogni autore usa i personaggi che gli pare, mi sembra".
"Io non sono per niente d'accordo!",
"Ma è la libertà di stampa!" insorgo alla fine "E' un diritto sancito dalla nostra Costituzione! C''è gente che si è fatta sparare sulle montagne perché potessimo avere il diritto di scrivere quel che ci pare, e non solo nei romanzi!".
"Mah, io continuo a non essere per niente d'accordo".
Cambio argomento a tutta velocità, un po' sconvolta: la mia amica non è giustizialista, in teoria, e politicamente è schierata a sinistra praticamente da quando è nata - non proprio una rifondina d'acciaio, ma insomma a sinistra sì, e pure con forti con venature radicali.
Qualche giorno dopo sento una vecchia amica di famiglia, lei sì rifondina dalla notte dei tempi, che invoca una legge che vieti l'acquisto di più di un tot di merendine per volta "perché fanno male e creano dipendenza".
"Anche le carote possono far male, se ne mangi troppe" tenta di ribattere qualcuno "Si suppone che uno sia in grado di autoregolarsi. Gente morta per essersi mangiata tre merendine di fila non mi risulta. Perché dovrebbero farci addirittura una legge?".
Ma, niente, secondo la rifondina una legge ci tutelerebbe in tal senso.

Episodi del genere stanno diventando piuttosto frequenti, e li trovo inquietanti.
Durante il ventennio fascista c'era una censura sulla narrativa dove, in contesto internazionale, gli italiani non dovevano mai essere oggetto di ludibrio e di censura, non ci dovevano essere suicidi eccetera (ed ecco perché per decenni in Italia non abbiamo mai saputo che alla fine di Poirot sul Nilo i due assassini, una volta scoperti, si suicidavano e nella Traccia del serpente, il primo romanzo con Nero Wolfe, gli italiani coinvolti con la mafia cambiavano nazionalità o si ritrovavano improvvisamente un passato assai più rispettabile.
Francamente, non mi sembra un sistema da rimpiangere.
Quanto alle merendine, sono sempre stata antiproibizionista anche per le droghe, figurarsi per le merendine (anche se disapprovo che a scuola vengano vendute al distributore; ma è più un discorso legato al prezzo che alla paura dei loro effetti negativi, che alla fine non credo siano così deleteri se il fanciullo non ne ingoia quantità abnormi).

Questa fame di leggi e di divieti è cresciuta a dismisura negli ultimi anni, e sta assumendo connotazioni un po' folli - giusto qualche settimana fa a Firenze è scattato il divieto in alcune strade di sedersi per mangiare panini, il tutto nelle vicinanze di una panineria e mescita che è praticamente una istituzione da più di un secolo. Troppi divieti, specie in Italia, equivalgono a nessun divieto, specie se nessuno provvede poi a farle rispettare - del resto, se la polizia deve passare il suo tempo a sorvegliare i venditori di merendine e i mangiatori di panini come possiamo sperare che avanzi tempo da dedicare alla lotta contro la criminalità organizzata su vasta scala?
D'accordo, il mondo è pieno di gente strana. Il problema è che questa gente strana da qualche tempo sta anche nelle file dei nostri, quelli che si battono contro il cosiddetto ritorno del fascismo e si preoccupano assai di qualsiasi aperta dichiarazione di fascismo che venga da qualsivoglia gruppo o formazione politica.
Quali sono state le caratteristiche del fascismo?
Sì, certo, il manifesto per la razza, l'autarchia, la conquista dell'impero, l'entrata in guerra a fianco della Germania nazista. Ma è roba che arriva piuttosto avanti nel Ventennio.
Le caratteristiche di partenza del nostro italico fascismo e di tutti i regimi fascisti e autoritari sono state una spiccata tendenza alla repressione violenta del dissenso e una deplorevole tendenza dello Stato ad immischiarsi nelle faccende private dei cittadini: come passare il Sabato sera, quanti figli fare, a che età sposarsi, con chi andare a letto, cosa studiare a scuola (in certi casi parola per parola, come nei libri di testo per le scuole elementari) - e una decisa manipolazione delle fonti di informazioni - sì, insomma, quella che è chiamata anche "censura".
Il nostro fascismo, quello italiano DOC, prese il potere in parte con la violenza e reprimendo il dissenso. Ma in molti casi il dissenso non era poi così vivo, e non venne messo a tacere solo dai manganelli: la base popolare offrì una notevole collaborazione. Il consenso di cui ha goduto il regime è stato piuttosto diffuso e sincero, anche se probabilmente non intenso come quello tedesco per il nazismo. L'arrivo del fascismo fu salutato da molti con gran sollievo perché "Oh, finalmente un po' d'ordine!": dall'alto qualcuno che si preoccupa di te e ti spiega cosa dire, cosa fare e cosa pensare - un rilassante antidoto al dilagare della "licenza", che è poi il nome che abitualmente diamo alle cose che non approviamo ma che gli altri intorno a noi fanno volentieri.

Il fascismo, in sintesi, arriva quando c'è paura della libertà: troppe donne che vanno in giro per la strada, troppi bambini che si permettono di avere opinioni in proprio, troppi poveri che si credono chissà chi, troppa gente che va a letto con chi gli pare eccetera. E troppa gente che mangia merendine, a quel che sembra.
Ecco, che i fascisti vogliano essere irreggimentati lo capisco anche: la libertà non gli piace e quindi la disapprovano. Ma che faccia paura anche a noi sinistri mi inquieta parecchio, e mi dà come l'impressione che anche tra gli antifascisti dichiarati e blasonati da tutta una vita di antifascismo ci sia questa richiesta di un Grande Padre che ci instradi, attraverso un cammino disseminato da divieti che ci tolga tutta la fatica delle scelte, appunto verso qualcosa che magari non è fascismo, ma che ci assomiglia parecchio.

domenica 11 novembre 2018

11 Novembre - Martino di Tours (ero straniero e mi avete accolto)

Il dipinto è del 1945, opera di tal Tosi o Rosi (recentiores non deteriores) e si trova nella chiesa di Santa Maria Assunta in Campagna, a Ferno.

La prima volta che ho letto la storia di san Martino e del suo mantello è stata sul libro di lettura delle elementari, e mi piacque molto: ho sempre apprezzato le persone concrete che, davanti a una situazione di grave necessità, non fanno domande e trovano un modo di dare un aiuto purchessia.
La vicenda è piuttosto nota: vissuto in Francia nel IV secolo, Martino fu per diversi anni un soldato, più esattamente un circitor, ovvero addetto alle ronde, specie quelle notturne. Nell'inverno del 335 trovò un mendicante molto infreddolito e gli diede metà del suo mantello d'ordinanza - evidentemente piuttosto grande - tagliandolo a metà con la spada. Quella stessa notte un sogno lo convinse a battezzarsi. Più avanti diventò monaco, vescovo di Tours e insomma un personaggio molto importante per la chiesa francese.
Il nome di Martino di Tours è legato a una infinità di tradizioni, superstizioni e fatti storici e probabilmente si innesta su qualche figura pagana preesistente; ma è un santo vero, che ha lasciato una solida impronta nella storia e non è in alcun modo frutto dell'immaginazione popolare.
Tra i molti aspetti collegati alla sua figura c'è naturalmente quello legato alle sette opere di misericordia corporale, elencate nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, quando Gesù, nel giorno del Giudizio, chiama a sé coloro che gli hanno dato da mangiare quando aveva fame, da bere quando aveva sete eccetera (e che lo hanno accolto quando era straniero, donde il nome di una proposta di legge per rivedere la legge Bossi-Fini e permettere una gestione più equilibrata e sensata dei flussi di migranti in Italia).

Basandosi su questa caratteristica del santo, nel 1442 venne fondata a Firenze la Congregazione dei Buonuomini di San Martino, dedicata principalmente all'assistenza dei poveri vergognosi, ovvero quei poveri che lo erano diventati per incidenti o rii casi della vita e che quindi si vergognavano di chiedere la carità pubblica, abituati com'erano a dipendere dal proprio lavoro. La Congregazione era composta da dodici uomini della classe dirigente di Firenze che giravano a coppie (due per sestiere, ché all'epoca Firenze non era ancora divisa per quartieri) scovando e assistendo i poveri vergognosi e, naturalmente, assistendoli con somma discrezione e quasi di soppiatto.
L'abitudine alla discrezione è rimasta: anni fa ricevetti l'incarico di schedare l'archivio della Congregazione, invero piuttosto incasinato e alluvionato e disastrato, e convincere quei dodici rispettabili signori che gli archivisti appunto schedano i documenti e non li leggono fu affare piuttosto complesso. Fu un periodo felice, della durata di circa tre anni: il posto era freddo, scomodo e ignobilmente polveroso ma il lavoro mi diede una gran soddisfazione e lo feci bene: alla fine, su una bella scaffalatura nuova, le serie della documentazione e i vari fondi delle famiglie estinte che avevano lasciato grosse donazioni alla Co0ngregazione erano facilmente reperibili, ben organizzate, spolverate e ordinate - un vero piacere per gli occhi - almeno ai miei occhi di archivista. Assistetti anche al Gran Miracolo di alcuni ammassi di fango che, dopo l'accorto e lungo e costoso intervento del laboratorio di restauro dell'Archivio di Stato di Firenze (che ai tempi dell'alluvione aveva fatto un sacco di pratica disincrostando la nafta dai molti documenti alluvionati ed era così diventato un punto di eccellenza in tutto il mondo) si erano trasformati in bei registri perfettamente leggibili e sfogliabili. 
Gli interventi dei Buonuomini erano molto concreti: non si limitavano a distribuire vesti, cibo e vino, ma davano doti alle ragazze povere per permettere loro di sposarsi e assistevano le puerpere, come si mostra in questo bell'affresco della bottega del Ghirlandaio che decora la cappella dell'Oratorio eccetera. L'assistenza alle puerpere mi è sempre piaciuta molto perché portare pollame (da cui ricavare del buon brodo nutriente) uova e vino alla donna fresca di parto ma troppo povera per poterseli comprare mi è sempre parsa cosa bellissima e degna di lode:

Viviamo in anni crudeli, dove i poveri sono schedati in base alla nazione di origine e al grado di meritevolezza e dove si cerca di far sembrare ingiusto che la puerpera senegalese o nigeriana abbia meno diritto a una buona assistenza di una puerpera italiana. Spero che lo spirito di Martino di Tours, che a quel che risulta dalle fonti non fece tante domande al povero mendicante infreddolito e si limitò ad aiutarlo come poteva, torni ad illuminarci, garantito dalle leggi italiane e dalla costituzione italiana che i nostri padri (e madri) scelsero di darci; e che qualcuno decida di rimettere mano a quello schifo di legge che è la Bossi-Fini, piuttosto che far passare angoscianti decreti che ci promettono improbabili sicurezze.

mercoledì 7 novembre 2018

Dame hejan radical-chic e politica contemporanea: un incontro difficile (post del tutto occasionale e destinato a restare isolato)

Non sempre il panorama che si apre davanti agli occhi è dei migliori
e non sempre questo avviene per colpa del paesaggio

Quando aprii il blog non avevo la minima intenzione di parlare di politica. Lo trovavo un argomento del tutto inelegante e privo di raffinatezza e non mi pareva che c'entrasse molto con la scuola, se non per la banale precauzione che fa parte dei doveri di base di ogni insegnante, e cioè non fare propaganda in classe per non rischiare di influenzare i giovinetti il cui modo di pensare e di sentire era ancora in piena formazione.
In effetti, per quanto ami molto le istituzioni e i riti, la politica spicciola mi ha sempre annoiata a morte, e sono molto riconoscente ai politici che se ne occupano al mio posto risparmiandomi tante seccature.
Del resto, cosa c'era da dire o da fare propaganda? Abito in provincia di Firenze e lì esiste (o meglio esisteva) un solo modo accettabile di votare: a sinistra. PD, quindi, o magari qualcosa un po' più a sinistra del PD (e ci vuol poco), possibilmente senza Bertinotti cui non ho mai perdonato di aver fatto cadere il primo governo Prodi, che amavo teneramente. E, come ho già raccontato, il cuore del mio cuore era radicale, ma i radicali in quegli anni attraversavano uno strano periodo e avevano pure smesso di candidarsi.
Anche i miei alunni e relative famiglie votavano PD o qualcosa più a sinistra, con poche e radissime eccezioni di cui venivo prontamente informata dai colleghi, volente o nolente. Insomma, anche volendo, fare propaganda in classe sarebbe stato come portare acqua al mare.
Con l'andare degli anni la politica si è assai impicciata della scuola (soprattutto per tagliare i finanziamenti) e la situazione è cambiata anche da noi, anche perché col tempo la sinistra a sinistra del PD era sparita e il PD diventava ogni giorno più improponibile. Per quanto mi consideri una persona adattabile e comprensiva verso i compromessi necessari a un grande partito di governo, quel partito che aveva piantato a mezzo la legge sul fine vita, quella dello ius soli (alla quale legge gli insegnanti sono particolarmente legati sapendo bene di che si tratta) e la riforma del sistema giudiziario e che giocava a fare il partito giustizialista e sovranista dei poveri mi sembrava sempre più insopportabile.
Quanto ai radicali, non avevano saputo trovare di meglio da fare dopo la morte di Pannella che dividersi in due partiti, non uno dei quali mostrava la benché minima inclinazione a candidarsi per alcunché - roba da strozzarli uno con le budella dell'altro.
Durante l'estate scorsa assistetti con vivo sconforto al fallimento del nobile tentativo di Pisapia di riunire in una coalizione tutte le forze più o meno di sinistra - una cosa semplice all'incirca come tirar via le singole uova da una frittata ormai cotta: non solo le varie parti in campo non si misero mai d'accordo se il PD potesse o meno fare parte di questa coalizione - che in effetti non sembrava un dettaglio così secondario (ma lo stesso PD non sembrava avere affatto le idee chiare in merito), ma il PD di cui sopra riuscì a scindersi ulteriormente (com'è noto, il passatempo preferito dei movimenti di sinistra è scindersi e scindersi e ancora riscindersi, come tante amebe in soluzione salina; il fenomeno è mirabilmente descritto nel celebre aforisma "un socialista si guarda allo specchio, e la scissione è già cominciata").
E son quei casi in cui il povero elettore, per quanto determinato, finisce per prendere seriamente in considerazione la possibilità di non votare e amen.
Mentre il mio sconforto toccava punte inaudite, Emma Bonino annunciò che voleva fare una lista sua, appoggiandosi al PD. Tirai un sospiro di sollievo e mi dissi che, se non altro, dopo 40 anni che aspettavo di votare Bonino avrei potuto farlo.
Nacque così PiùEuropa, nome che mi ispirava alquanto, anche perché ero stufa sin nelle barbe di sentire politici che si lamentavano perché quelle carogne di Bruxelles osavano trovare da ridire sul nostro debito ritenendolo troppo alto. Intorno a me tutti mi spiegavano che l'Europa era passata di moda ed era troppo burocratica e l'ingresso nell'area dell'Euro era stata la nostra rovina. Io però ricordavo con ben scarso rimpianto i begli anni 70 e 80, quando l'inflazione era a due cifre. Certo, all'epoca ero giovane e bella e la vita si apriva luminosa e piena di speranze davanti a me, ma sul piano economico l'Italia mi sembrava messa piuttosto male e pensarmi al riparo di un ombrello internazionale mi era sempre parso più rassicurante:  dopotutto era stato proprio quell'ombrello che nel 2011 ci aveva salvato dal default - una parola che non mi piace affatto, e la trovo una roba spiacevole che fa fare tardi a cena (tra l'altro ho visto che quando capita agli altri paese, questi altri paesi non sono mai molto contenti, oh no tesssoro, proprio no).
Stabilito che comunque avrei votato a scatola chiusa per Emma Bonino, mi dissi che tanto valeva informarmi. Un po' di navigazione, soprattutto su Facebook, mi permise di scoprire il programma di PiùEuropa - un programma tutto sommato banale, basato sul buon senso ma non disperatamente avvinghiato ad un passato e un mondo che non esiste più da tempo: niente caccia agli sporchi negri ma una ragionevole accoglienza (in pratica: rifare da capo a pié la Bossi-Fini), i soliti diritti civili, finanziamenti per la ricerca e soprattutto per i giovani ricercatori, politiche ambientali, apertura ai mercati internazionali, politiche economiche virtuose per ridurre il debito, completare la riforma dell'ordinamento giudiziario per rendere i tempi dei processi accettabili... quasi tutti temi di cui i radicali si occupavano dalla notte dei tempi, in effetti. Perché PiùEuropa non era una lista radicale bensì una lista appoggiata anche da una rama dei radicali, ovvero i radicali italiani (quelli con Bonino e Cappato, per intendersi) oltre che formata da altre componenti, una delle quali era il Centro Democratico di Bruno Tabacci (ex democristiano di lungo corso). Una roba composita, insomma, e questo non mi dispiaceva: ho sempre apprezzato la larghezza di vedute con cui i radicali da sempre si alleano con chiunque quando c'è una battaglia da portare avanti, senza contare che la Democrazia Cristiana, che negli ultimi 25 anni ha cambiato nome non so quante volte, è sempre stato un partito saldamente europeista.
Seguii la pagina Facebook di PiùEuropa imparando un sacco di cose sulla manipolazione delle notizie e sulle bufale ma anche sulla follia umana: per  esempio a scadenze regolari arrivavano puntualmente orde di presunti esperti di economia che spiegavano l'assoluta evidenza dei vantaggi dell'uscita dall'Euro, perché così lo stato italiano avrebbe potuto finalmente stampare tutte le banconote che ci servivano e dare soldi a tutti (giuro che non sto scherzando). C'era poi la costante del buonismo da radical chic: perché Emma Bonino ma anche tutti i suoi elettori erano persone ricche che non conoscevano le difficoltà in cui si dibbatteva la povveraggente, dall'alto del loro superattico in piazza Navona, dei loro vestiti firmati e dei Rolex d'oro - e devo dire che trovavo davvero divertente vedermi attribuito un superattico a piazza Navona, anche se ogni tanto osservavo che avrei preferito una villa del Seicento sulle colline di Settignano (un commento che di solito mandava in bestia i kattivisti che finivano con l'augurarmi di essere violentata da una schiera di clandestini neri). Non mancavano poi le invocazioni al povero Marco Pannella che certo si stava rivoltando nella tomba vedendo che cose orribili stava facendo Emma, e (con mio notevole sbalordimento) anche l'accusa per l'Emma in questione di essere una guerrafondaia e di avere appoggiato la guerra in Iraq e quella nella ex-Jugoslavia - qualcuno aveva tirato perfino fuori delle frasi (di cui non c'era verso mai di sapere quando erano state dette e dove) in cui si esprimeva apertamente in tal senso. Per chiunque avesse presente il tormentone che era stata Radio Radicale contro l'uno e l'altro conflitto, e quali e quante dichiarazioni di critica e condanna avessero fatto tutti gli esponenti di spicco del partito (ma in particolare sui conflitti in Jugoslavia Emma si era davvero spesa senza risparmio) erano accuse sbalorditive, anche se, almeno, aiutavano molto facilmente a dividere i cosiddetti haters (gli "odiatori" di mestiere, persone sguinzagliate sui social per denigrare questa o quella persona) da chi poteva anche postare in buona fede perché Bonino gli stava antipatica punto e basta.

Da quei primi mesi le cose si sono un po' evolute e io ho avuto molto, molto tempo a disposizione per studiarmi nei dettagli la politica internazionale e il programma di PiùEuropa; tutto ciò ha finito per innescare in me un folle amore per cotal partito. Avrà anche un programma banale (nel senso di sensato, ed equilibrato) ma è esattamente di quel tipo di banalità rilassante che piace a me, senza strepito né fanatismi o proclami isterici: una roba banale e radical-chic, per un movimento consapevole di esistere qui e ora, in un paese che non è a rischio di genocidio e sostituzione razziale, ma di bancarotta sì.
D'accordo, è anche un partito di minoranza. Ma, mi sembra di capire, in questo periodo tutto ciò che non fa parte della destra più nera sta diventando partito di minoranza, e dunque tanto vale far parte di una minoranza che se non altro mi rappresenta.
E, particolare quest'ultimo da non trascurare, al momento* è un partito che non sembra presentare vistose tendenze alla scissione, e questo per il mio povero fegato è senz'altro un bene.

*sì, certo, magari domattina si scinderà in sette parti. Ma al momento non sembra intenzionato a farlo, vivaddio.

martedì 6 novembre 2018

Haeretica - Sulla utilità e le didattiche finalità dello insegnamento della historia

Questa bella canzone di De Gregori non risponde alle domande del post, ma può essere comunque utile farla ascoltare con attenzione agli alunni, perché spiega bene un concetto molto importante: la storia PRESENTE è fatta da tutti noi, volenti o nolenti.
Quanto alla storia passata, la questione è un po' diversa.

Qualche mese fa Tenar si soffermò in un un post sulle difficoltà per l'insegnante di gestire una materia complessa come Storia a un giovanissimo pubblico digiuno dell'argomento, domandandosi tra l'altro perché insegnare storia, a prescindere dal fatto che sono pagata per farlo - anche se a lei, come a me, insegnare storia piace molto.
La domanda mi perplime da quando studiavo volenterosamente storia dall'altra parte della barricata - perché è una materia che ho sempre studiato molto volentieri anche se raramente raccattavo qualcosa di più di un dignitoso 7 (e del resto era giusto così perché non la studiavo certo in modo regolare). 
Mi piaceva molto, però: leggevo romanzi storici, mi appassionavo alle biografie dei personaggi più illustri, amavo le descrizioni della vita quotidiana del passato, guardavo con piacere gli sceneggiati e i film storici (soprattutto quelli inglesi, che sono sempre fatti molto bene) e ne parlavo volentieri con mia madre, che è poi quella che mi ha trasmesso questa passione. Cominciai già dalla fine delle elementari a leggere semplici testi divulgativi, per poi orientarmi su scelte più complesse e raffinate dove i miei non potevano aiutarmi più di tanto perché all'epoca il filone divulgativo non era ancora di moda e in libreria non si trovava molto per i giovani stomaci in formazione. Ricordo ancora l'entusiasmo con cui lessi e rilessi Civiltà sepolte di Ceram e il bellissimo racconto degli scavi della tomba di Tutankamen.
Le letture storiche sono sempre continuate, in una forma o nell'altra - e oltre a una laurea a sfondo storico, a un piano di studi pieno di esami storici e un diploma alla Scuola di Archivistica ho lavorato per qualche anno in un centro di studi storici. Tutto ciò mi permise di affrontare con grande noncagance le prove SISS di storia, dove presi dei voti decisamente alti, nonché di insegnare Storia improvvisando senza difficoltà nelle supplenze brevi. 
Naturalmente, da quando insegno, ho una scusa ulteriore per approfondire qua e là e ogni estate mi procuro in biblioteca qualche vasto tomo, di solito collegato alla storia del Novecento che è quella dove ero più sguarnita; e naturalmente il bonus-scuola che ancora ci viene assegnato mi ha permesso l'acquisto di qualche volume piuttosto caro.
Tutto questo per dire che magari sono una pessima insegnante di Storia, ma la preparazione è buona e continuamente rinfrescata e la materia mi piace assai. Le mie lezioni sono ricche, varie e assai colte:  faccio ampio uso della LIM per brevi filmati, quadri e immagini, disserto piacevolmente su vita quotidiana, abbigliamento, questioni dinastiche, scandali dell'epoca (di qualunque epoca) e via dicendo.
Insegno Storia molto volentieri, non mi pesa l'aggiornamento e scelgo i manuali di storia da adottare in base a rigorosi criteri didattici ma anche disciplinari; di solito le classi sopportano con una certa benevolenza e qualcuno si appassiona pure. Lavoro molto sulla preparazione di base, cioè cerco di spiegargli che certe cose un tempo erano davvero differenti da ora: le luci, i trasporti, i rapporti sociali, i rumori, le condizioni igieniche, l'abbigliamento e le forme di corteggiamento, che per chi è digiuno della materia mi sembrano cose più importanti della maggior parte delle date.
Quando però da qualche alunno arriva puntuale la domanda (non sempre polemica) sul perché si studia la storia, non so mai cosa rispondere se non "Io la studio perché mi piace e sono curiosa, ma perché sta nei programmi ministeriali non saprei proprio" - mentre invece non ho nessuna difficoltà a spiegare perché vengono insegnate tutte le altre materie, in particolare l'utilissima Geografia per cui ho trovato la risposta standard "perché ci aiuta a capire il mondo intorno a noi e a seguire i notiziari".

So che esiste un prontuario di risposte anche per la fatidica domanda "perché studiamo storia"; il punto è che non mi sono mai sembrate valide, anzi le trovo singolarmente idiote.
Perché la storia si ripete?
Cazzate, la storia non si ripete mai. Nessun uomo si bagnerà due volte nello stesso fiume, e figurarsi se possiamo rivivere la rivoluzione francese o la seconda guerra mondiale.
O forse perché la storia passata ci insegna a interpretare il presente?
Cazzata ancora più grossa, a mio (non molto) modesto avviso; caso mai vale il discorso opposto: tendiamo a leggere e reinterpretare la storia passata alla luce della storia presente, per esempio immaginando un prospero Regno delle Due Sicilie saccheggiato dai Piemontesi ai tempi del Risorgimento, o una solida coscienza nordista nella Lega Lombarda ai tempi della battaglia di Legnano o una nascita della "borghesia" che si verifica non meno di cinque volte dal medioevo in poi a seconda della corrente storiografica cui aderisci - e non sempre sono operazioni fatte in malafede o da sciocchi sprovveduti e ignoranti. La storia passata è un caleidoscopio che gira e gira e ogni decennio si rinnova alla luce di nuove fonti e di un nuovo presente. La presa della Bastiglia continua ad essere avvenuta il 14 Luglio 1789, ma il modo con cui ci si arriva cambia in continuazione, così come la valutazione che viene data di tutto quel periodo.
Oppure perché gli alunni imparino a identificare il rapporto causa-effetto che lega gli avvenimenti tra loro?
Beati loro, se ci riescono! Anche tralasciando l'infinito numero di domande senza risposta (perché Hitler invase la la Russia? Perché i nostri Padri Costituenti vollero il bicameralismo perfetto? Perché ogni tanto i popoli impazziscono e cercano di sterminare i loro vicini di casa con cui fino all'anno prima sembravano andare d'accordissimo?) che tuttora affliggono e sempre affliggeranno gli storici, qualcuno è davvero sicuro di aver capito perché intorno al Mille l'Europa rifiorì e quali furono esattamente le cause della crisi del Trecento? Per tacere della caduta dell'impero romano che a volte viene ritardata dall'avvento del cristianesimo che invece altre volte ne è una delle cause principali. E qualcuno mi sa dare una vera causa per la nascita e l'enorme successo dell'Islam che nel giro di pochi anni cambiò completamente il mondo occidentale?
Siamo seri: a malapena siamo in grado di abbozzare una spiegazione sul perché abbiamo scelto questa casa invece di quest'altra - ma si è trattato di un processo che conteneva tante di quelle varianti e variabili (il proprietario aveva fretta di vendere, lo zio del nonno del proprietario dell'altra casa si era detto contrario a svendere per quel prezzo, i titoli in banca erano andati male e mi sono ritrovata qualche migliaia di euro in meno sul conto, il giardino aveva una bella atmosfera, la terrazza aveva una veranda simpatica, c'erano un sacco di piastrelle gialle... - ché anche le spiegazioni di eventi all'apparenza semplicissimi sono piene di se e di ma. E queste sventurate creature dovrebbero intuire con ragionamento logico perché scoppiò la Guerra dei Cento Anni di cui sentono parlare per una decina di giorni scarsi?
Gli alunni, poverelli, sono indifesi nelle nostre mani. Gli insegniamo che l'impero romano cadde per colpa dei barbari, o dei romani che erano diventati decadenti, o dei cristiani, e che Carlo Magno inventò l'Europa, o la Francia, o la religione di stato, e loro abboccano come carpe. E che altro potrebbero fare, sottoporre tutto ad un ampio e serrato esame delle fonti (che non saprebbero dove trovare né come valutare)?
Gli abbiamo insegnato che l'Italia si unì perché Dio lo volle e più avanti perché lo vollero gli inglesi o in generale alcune potenze occidentali, che gli inglesi non ebbero l'Illuminismo perché lo avevano già avuto un secolo prima, che i francesi ebbero la rivoluzione francese perché incapparono in alcune annate con pessimi raccolti, che Benito Mussolini era inviato dal Signore, che Benito Mussolini era al soldo degli industriali italiani... loro ascoltano,  a volte, cercano di memorizzare e magari ci fanno anche degli schemi, poi ci ripetono più o meno passivamente o sensatamente quel che gli abbiamo detto, a seconda di quanto l'han capito e di quanto glien'è fregato di capirlo.
Con Geografia possono applicare senza problemi quel che leggono o gli diciamo alla vita di tutti i giorni (i dazi contro la Cina, l'effetto serra, l'inquinamento dei fiumi, la sovrappopolazione di alcune aree, l'elevata produzione di agrumi nelle zone a clima caldo ma non troppo secco), l'italiano e l'inglese li usano regolarmente, sentono parlare assai di selezione genetica e di interventi sul DNA... ma la colonizzazione dell'America del Sud, l'impero cinese in crisi, la storia delle crociate non sono questioni di grande interesse ai loro occhi, e non influiscono più di tanto sulla loro vita quotidiana. Perché devono perdere tempo a studiarle?
"Perché così ha deciso il Ministero dell'Istruzione. Io invece ho deciso che dovete essere in grado di riassumermi in modo sintetico, sensato, preciso e coerente la storia della rivoluzione americana, e se non lo fate prenderete un bellissimo quattro".
In pratica, uso Storia come prova di esposizione di un testo tecnico, insistendo assai sulla precisione del lessico specifico. Dubito che il Ministero l'abbia messa in programma per questo, ma io qualcosa di utile con quelle due ore devo farci e non posso contare solo sull'innata curiosità dei ragazzi per il tempo passato, perché una buona parte di loro ne sembra del tutto priva - il che non è detto che sia un male o un bene, è solo una constatazione.
A conti fatti dunque trovo che Storia sia una materia tutto sommato inutile ma molto dilettevole quando piace, e mi sforzo come posso di trarne un qualche utile espositivo, senza preoccuparmi troppo che imparino la versione "giusta" perché tanto alle superiori e all'università e nella loro vita futura gli smantelleranno quasi tutto quel che hanno imparato alle medie, proprio com'è successo a me - che ho finito per trovare affascinante e divertente questo gioco di trasformazione. 
Oppure di storia non si occuperanno mai più, e non è detto che saranno cittadini negligenti o inconsapevoli solo per questo.