Il mio blog preferito

lunedì 31 dicembre 2012

Aspettando il 2013...




e le sorprese che porterà,
che la notte sia lucente e la festa scintillante per tutti noi!

domenica 30 dicembre 2012

L'immagine della donna italiana (per Rita Levi Montalcini, che oggi ci ha lasciato)


Le immagini di Rita Levi Montalcini che si trovano in rete sono quasi tutte degli ultimi anni. Ma prima di diventare un'alma mater della ricerca italiana e mondiale, quella signora sempre molto curata fino all'ultimo giorno della sua vita è stata anche una ragazza vivace, forte e molto determinata. In questa foto ha diciotto anni ed è con la cugina Eugenia Sacerdote de Lustig, compagna di scuola e di università.

Cresciuta in una famiglia di intellettuali ebrei (cosa che le causò la sua parte di guai negli anni tra il 1938 e il 1944) decise di studiare medicina nonostante il padre (che comunque le pagò gli studi) le ricordasse con garbo che, per una donna, la carriera di medico cozzava inevitabilmente con la vita familiare.
Era una ragazza determinata, ottimista, coraggiosa e scarsamente interessata a quello che si confaceva o non si confaceva a una donna. Studiò quel che voleva, sperimentò quel che voleva e si costruì una vita su misura, coltivando con intensità le sue passioni. Ha avuto, come tanti, circostanze a favore e circostanze contrarie - ma la circostanza che più l'ha favorita è stata di volere e sapere essere sé stessa senza troppo preoccuparsi se il paese era piccolo e la gente mormorava, perché il suo paese era il mondo (che non è poi tanto piccolo).

Sarebbe opportuno ricordarsi di ricordare alle nostre ragazze che il destino femminile non è solo sofferenza, altruismo e dolorosa mediazione, ma può essere anche vittoria, su tutti i fronti; e che se il paese è piccolo e la gente mormora la si può anche serenamente lasciar mormorare, perché fuori dal paese c'è il mondo, e il mondo è grande.

lunedì 24 dicembre 2012

Buon Natale 2012



Questa notte, come ogni notte di Natale, le 

truppe del principe 

Schiaccianoci sconfiggeranno l'esercito del 

malvagio Re dei Topi, 

con l'aiuto dell'intrepida Clara.

Così possano i vostri desideri trionfare sopra le 

avversità e la Fata 

Confetta portarvi i dolci più belli e più buoni.


Buon Natale 

(e noci in abbondanza per tutti)

domenica 23 dicembre 2012

Come NON comprare una Bibbia (autobiografico, a lieto fine)


Da bambina avevo letto con molto interesse sul sussidiario i riassunti della Genesi e della vita di Gesù; in casa avevo scovato anche una vecchissima raccolta di brani del Vangelo, con commento. Ci avevo messo un po' per rendermi conto che "limosina" era l'elemosina e non un tipo di coltivazione di agrumi, ancor più per capire (all'incirca) cosa accidenti fosse una "emorroissa", ma trovavo l'insieme piuttosto interessante. Mi sarebbe piaciuto saperne di più, così chiesi se in casa c'era una Bibbia.
I miei sono liberi pensatori, ma fino a sedici anni sono stati educati nella fede cattolica nel modo più integerrimo; perciò, da bravi cattolici, una Bibbia non l'avevano né gli era mai venuta alcuna curiosità di leggerla; da bravi genitori però non volevano lasciare assetata di conoscenza la figlioletta, e dunque poche settimane dopo, a Natale, tra gli altri regali sotto l'albero trovai anche una Sacra Bibbia, regolarmente fornita di imprimatur.
Era piccolina, scritta in carta leggera e con una rilegatura piuttosto robusta (così sembrava, all'epoca). Mi ci immersi con molto interesse, e dopo aver superato lo scoglio dell'uso biblico del verbo "conoscere" e aver intuito che i cubiti erano un'unità di misura, dio solo sapeva quanto lunga, andai avanti senza troppe difficoltà.
Non lessi mai tutta la Bibbia: andavo a casaccio, a interesse, a curiosità. A volte la aprivo a caso, a volte aprivo a caso un libro dei Salmi, a volte mi leggevo un determinato libro che avevo sentito nominare, o la storia di qualche personaggio.
Col tempo la rilegatura si sfaldò e quelle pagine così sottili cominciarono a sfascicolarsi. Nel frattempo avevo smesso di vivere con i miei e avevo molto approfondito le mie conoscenze sull'importanza della Bibbia.
"Dovrei comprarmi una Bibbia nuova" consideravo tra me "Magari una sisto-clementina? Magari direttamente in latino? O col testo a fronte? Ma esistono bibbie col testo a fronte alla portata delle mie tasche?".
"Forse dovrei prendermi un'edizione filologica? Oppure una Bibbia protestante? Si sa che i cattolici non hanno una grande apertura di idee, mentre i protestanti hanno inventato la filologia proprio in onore della Bibbia. O magari un Vecchio Testamento in edizione critica?".
Qualche volta decidevo di prendermi un'edizione economica, come avevo sempre fatto con tutti i libri di mia conoscenza, ma quelle copertine in similpelle e quelle pagine sottilissime... finivo per tornare alla mia, ma leggerla stava diventando davvero scomodo.
Una volta all'anno, di solito in estate, finivo in qualche libreria, a volte anche in una libreria religiosa, e scavavo e frugavo tra le varie bibbie a disposizione, comparando, meditando sui prezzi, cercando di convincermi che potevo anche prendermene due o tre se proprio non riuscivo a decidermi...
Naturalmente uscivo senza aver preso altro che gli accidenti dei librai che dovevano rimettere a posto il settore da me devastato. "Meglio se ci penso ancora un po', prima di decidermi".
Poi tornavo a casa, guardavo sconsolata il mio relitto biblico, mi davo dell'idiota e mi ripromettevo di procurarmi una Bibbia qualunque il prima possibile.

E un giorno che stavo raccontando sconsolata questa storia, implorando che qualcuno mi comprasse una Bibbia, una Bibbia qualsiasi, perché io da sola non ci riuscivo, mio padre disse "Ora che ci penso dovrei avere una Bibbia, da qualche parte. Ma non credo di averla mai aperta".
Si mise a cercarla, ma senza risultato. Trovare un libro a casa Shikibu non è affare dei più semplici. Eppure, per certe sue caratteristiche, una Bibbia di solito non è quel tipo di libriccino che scivola in seconda fila o si incastra tra gli scaffali scomparendo nel nulla. Tuttavia la Bibbia non si trovò, anche se mi fu promesso che le ricerche sarebbero continuate.
Tornai a casa mia vieppiù sconsolata.

Stamani però sono stata informata che la Bibbia è riemersa, bella e del tutto intonsa, e anche dotata di una bella e solida rilegatura.
E così anche quest'anno, come già tanti anni fa, per Natale riceverò una Bibbia. Hallelujah!

venerdì 21 dicembre 2012

Il mastino dei Baskerville - sir Arthur Conan Doyle



L'immagine è presa dal film del 1939 (quello con Basil Rathbone nella parte di Holmes). L'attore 
inquadrato è Ian MacLaren, che interpreta (brevemente) il ruolo di sir Charles Baskerville


Il mastino dei Baskerville è uno splendido romanzo gotico, ed è anche di gran lunga il più bel romanzo di Sherlock Holmes. Il suo fascino speciale nasce proprio dall'incontro tra Sherlock Holmes e l'horror.

Mi hanno spiegato che "mastino" è una traduzione inadeguata per la parola hound che racchiude in sé tutta una serie di implicazioni raffinate le quali... comunque sia, a nessuno verrebbe mai in mente di confondere il cagnaccio dei Baskerville con "il simpatico cagnolo di zio Roberto, che ha tanta pazienza con i bambini".

Il mastino dei Baskerville è, prima di tutto, una leggenda di famiglia: un cane demoniaco apparso dal nulla, evocato dalle bestemmie di un empio Baskerville e che vendica una  virtuosa fanciulla vittima della folle brutalità di un baronetto senza scrupoli né principi morali. Il cagnaccio, enorme e nero come l'inferno, se lo portò via con sé (mentre la fanciulla, si suppone, venne sepolta con tutti gli onori).
Il mastino dei Baskerville è un ombra, inquietante, paurosa, angosciante, demoniaca, con mascelle feroci, occhi di fuoco e un ringhio ultraterreno. Appare a volte, dalla nebbia, nelle terre dei Baskerville.  In tanti l'hanno sentito, molti sono convinti di averlo intravisto ma nessuno lo sa descrivere esattamente, e forse una delle sue apparizioni ha ucciso sir Charles Baskerville - o almeno, sembra che sia possibile pensare così da alcuni vaghi indizi...

Il dottor Mortimer, per quanto medico, al cagnaccio dei Baskerville un po' ci crede, specie dopo aver visto certe grandi impronte, e finisce da Sherlock Holmes in cerca di consigli e soprattutto di assistenza pratica. 
Holmes, che è persona priva di pregiudizi, si dichiara disposto a vagliare imparzialmente qualsiasi possibilità, ma già dal primo giorno, dopo il furto della seconda scarpa, si rende conto che il cagnaccio esiste ma è una creatura soggetta alle leggi che regolano la vita delle creature terrene, senza niente di sovrannaturale.
Anche sir Henry Baskerville, nuovo erede della fortuna e del titolo nobiliare dei Baskerville, cresciuto tra Stati Uniti e Canada e appena sbarcato in Inghilterra, guarda con disincantato divertimento a tutta quella paccottiglia trash di maledizioni di famiglia e cani infernali; ma una volta arrivato all'avita e tenebrosa dimora (ovviamente in una notte umida e nebbiosa) comincia a rivedere il suo punto di vista, come del resto il dottor Watson. Piuttosto comprensibile, visto che in media ogni due pagine c'è qualcuno che ha cura di evocare la bestia fatale - quando pure non è il mastino in persona ad evocarsi, ringhiando orrendamente nella landa. 

Il romanzo parte a carte truccate: anche il più sprovveduto dei lettori sa benissimo che la presenza di Sherlock Holmes toglie ogni possibilità di esistenza a cani-fantasma nati da leggende di famiglia. Il dottor Mortimer potrà crederci, sir Henry potrà restare influenzato dall'atmosfera inquietante di un paesaggio infido, lo stesso Watson potrà avere i suoi momenti di dubbio, gli abitanti del luogo potranno essere ossessionati dalla bestia dei Baskerville, citandola non appena sir Henry Baskerville è a portata d'orecchio, ma tutto ciò serve solo a rendere ancora più confortante la certezza che la soluzione che arriverà sarà lussuosamente razionale.

E certo con l'atmosfera inquietante non si tira al risparmio: brughiere desolate, nebbia a sfare, paludi senza ritorno, anime inquiete che vagano per la landa, agghiaccianti ululati, di notte come di giorno, vicini lunatici...

Il romanzo inizia con i fuochi d'artificio e prosegue senza pause (al più un certo dilatarsi dei tempi per meglio gustare l'atmosfera paurosa nella parte centrale). Il finale culmina in una scena emozionante e paurosa per poi sfumare la tensione con una dettagliata spiegazione che rende ragione di un intreccio di trame e sottotrame e ingannevoli indizi che non farebbe torto ad Agatha Christie in persona. Holmes è presente in dosi sufficienti a soddisfare qualsiasi appetito, ed in splendida forma.

Caldamente raccomandato nelle lunghe serate d'inverno e adattissimo al periodo natalizio. Buono per tutte le età.



Con questo post partecipo ai Venerdì del libro di Homemademamma ed augura Buon Natale e Felici letture a tutti i partecipanti e a tutti i lettori passati, presenti e futuri.



mercoledì 19 dicembre 2012

Il Grandioso Movimento Sindacale di St. Mary Mead

Le masse degli insorti possono distruggere fortezze, spazzare via governi e cambiare il corso della storia.
Oppure no.

E' noto che ogni italica scuola ha da gran tempo bloccato tutte le attività fuori contratto dei docenti, dai viaggi di istruzione al coordinamento delle classi, in segno di protesta contro la temuta riduzione del Fondo di Istituto e di un'infinità di altri provvedimenti, uno più scriteriato dell'altro, che l'attuale governo ha preso o sembra voglia prendere nei confronti della scuola pubblica.
A St. Mary Mead però nulla era stato bloccato, anzi nemmeno si era mai vagamente accennato alla sia pur remota possibilità di bloccare alcunché e tra noi era tutto un cinguettìo di progettazione di progetti e un fiorir di fiorite iniziative (e tuttora lo è, dovrei aggiungere).
Poi, una mattina di fine Novembre, la Rappresentante Sindacale comincia a raccogliere firme per un'Assemblea Interna che avrebbe lo scopo per l'appunto di parlare dei tagli al Fondo di Istituto e delle possibil iniziative da parte nostra.
Tutti firmiamo.
Il Gran Giorno dell'Assemblea, com'era ampiamente prevedibile, dopo esserci detti più volte che noi insegnanti siamo incompresi, calpesti, derisi, maltrattati e disprezzati nonché ingiustamente perseguitati - e mi sfugge l'opportunità di insistere tanto sulla questione, dal momento che essendo insegnanti lo sappiamo tutti benissimo - viene tirata fuori la consueta proposta di astenerci da tutte le attività non previste dal contratto.
Non è esattamente un'idea nuovissima, e personalmente non ricordo che abbia mai portato a qualche risultato concreto. E tuttavia, non venendomi in mente nulla di più efficace da proporre, mi accingo in cuor mio assai a malincuore ad approvare tale proposta. Ma al momento non c'è da approvare un accidente, perché tutti sono impegnati a discutere questioni di lana bizantina*.

Che vuol dire che non c'è più il coordinatore? Allora chi fa i verbali? Allora chi chiama le famiglie? No, non certo noi che abbiamo nove classi. E chi dà le schede?
Come si fa senza progetti? No, lasciamo l'handicap, per lo meno. E il disagio. E l'orientamento. Come si fa senza orientamento?
Che diciamo ai genitori? Dovremmo coinvolgerli nella protesta. Ma i genitori sono già convinti che non facciamo niente, perché TUTTI danno per scontato che noi insegnanti non facciamo niente*. Vabbé, ai genitori possiamo spiegarlo, in certe scuole hanno fatto delle assemblee per coinvolgerli. Allora li coinvolgeremo anche noi.
La Vicepreside sostiene che fare così è complicato e rischiamo di essere fraintesi (la Vicepreside detesta ogni cosa che assomigli sia pur di lontano ad una grana o un contrasto, e come le sia venuto in mente, con una forma mentis del genere, di fare la Vicepreside, non è chiaro a nessuno di noi). 
Tutti ci impegniamo a fare del nostro meglio per non farci fraintendere. Segue discussione sui rapporti con i genitori e sui genitori in generale.

Nel mio pur fiducioso cuoricino comincia a farsi strada il tenue sospetto che oggi non voteremo per nessuna astensione da nessuna attività, e chissà se e quando lo faremo mai.
Infine qualcuno decide di preparare un volantino da distribuire ai genitori per sensibilizzarli. Una parte degli insegnanti sparisce senza lasciare recapito e un'altra parte si raduna al computer per scrivere il testo del volantino. So che dovrei andare fin là ad offrire la mia capacità di sintesi, ma intorno a quel computer ci sono alcune delle persone più prolisse e verbose che abbia mai conosciuto, ed esito a urtare la loro delicata sensibilità proponendo  frasi di cinque parole bisillabe e simili. Li sento che parlano di decurtazione del Fondo di Istituto, dei progetti fatti da una sola classe o da più classi o da tutte le classi dell'Istituto, dell'importanza del coordinatore in qualità di tramite tra il corpo docente e le famiglie degli alunni - e decido di sorvolare: è più comodo stare con un paio di colleghe più giovani (e molto inclini alla mormorazione) a sparlare di quanto siano troppo prolisse quelle che stan scrivendo, tanto tra pochi minuti devo entrare in classe.

Durante il fine settimana, però, mentre un ritorno di fiamma del più torrenziale raffreddore mai sperimentato nel  terzo millennio mi tiene in casa, intervengo più volte per via telematica in favore dell'uso delle cesoie, ottenendo la scomparsa di un fumoso elenco delle attività del coordinatore, della precisazione che i progetti possono essere fatti da una classe, da più classi o addirittura da tutte le classi; inoltre, la decurtazione del Fondo di Istituto si trasforma in un più banale taglio.
Tutto ciò lascia comunque il tempo che trova perché, durante il collegio docenti, a nessuno viene in mente di presentare all'ordine del giorno la proposta di astenersi dalle attività non previste dal contratto e l'intervento della cellula rivoluzionaria di St. Mary Mead si limita alla lettura del volantino mentre il collegio in questione sta smobilitando.
Ignoro se tale volantino verrà presentato ai genitori o affisso da qualche parte, e ignoro se e soprattutto quando voteremo per l'attività di astensione etc. etc.
Forse a Maggio? Oppure Luglio?

Se mai le scuole torneranno sulle barricate, St. Mary Mead arriverà molti mesi dopo che tutto sarà finito. Ma porterà i pasticcini e le sfogliette salate per il té.
Non tutti nascono barricaderi.

*ovvero "questioni di lana caprina di quelle capre tipiche della zona bizantina", come ad esempio le angora

**ma in verità i genitori di St. Mary Mead, qualsiasi cosa pensino in cuor loro, non hanno mai lasciato trapelare che ci considerano una masnada di nullafacenti. Anche perché tra di loro ci sono diversi insegnanti

venerdì 7 dicembre 2012

Lo hobbit - J.R.R. Tolkien

Copertina della prima edizione italiana (l'UNICA prima edizione italiana)

Il libro di cui parlo questa settimana è un simpatico romanzo per ragazzi scritto da un professore universitario esperto di letteratura medievale (soprattutto anglosassone e norrena), nonché filologo e appassionato di lingue. Costui, negli anni 30 del secolo scorso, lo scrisse attingendo ad un universo parallelo che era andato creandosi e mettendovi al suo centro uno dei suoi personaggi preferiti: un drago.
All'epoca Lo hobbit ottenne un discreto successo e a Tolkien venne chiesto un seguito; il quale seguito gli prese un po' la mano e diventò un lungo e complesso romanzo, pubblicato nel 1956 con il titolo Il signore degli anelli. L'editore era assolutamente sicuro che si sarebbe trattato di un insuccesso commerciale, ma a quanto pare così non fu.

Oggi dunque la maggior parte dei lettori legge Lo hobbit come un prequel, e ad un certo punto persino Tolkien entrò in quell'ordine di idee, perché nel 1966 curò una nuova edizione, ritoccando in alcuni punti e soprattutto riscrivendo buona parte dell'incontro con Gollum. E' questa l'edizione che si trova oggi in commercio.
Nonostante i ritocchi però Lo hobbit resta una vicenda tutt'altro che drammatica, salvo un paio di passaggi, e al lettore viene fatto capire fin dal primo paragrafo che tutto andrà a finire bene e che Mr. Bilbo Baggins (lo hobbit del titolo) uscirà sano e salvo dalla sua avventura.

La trama, piuttosto semplice, racconta di un hobbit casalingo e benestante che a un certo punto si accorge che, al di là di ogni sua apparente convinzione, il vero desiderio del suo cuore è unirsi a una comitiva di tredici nani lunatici e un tantino superficiali per andare molto lontano da casa sua e riconquistare un tesoro strappandolo alle grinfie di un drago che, a suo tempo, lo aveva a sua volta strappato ai nani (e hai detto nulla).
Contro ogni ragionevole previsione l'impresa riesce, ma mai e poi mai avrebbe avuto la benché minima possibilità di riuscita se Bilbo non si fosse unito alla scontrosa compagnia.
Durante il corso del libro, oltre alla riconquista del tesoro avvengono altri due mirabili avvenimenti: prima di tutto Bilbo, in una delle sue prime avventure, inciampica in un anello  e  in uno ssstrano esssere  sssibilante che non fa che parlare del ssuo tessssoro. Secondo: Tolkien diventa un romanziere.
Storie ne aveva già scritte diverse: racconti, poesie, poemetti, soprattutto una spaventosa quantità di alberi genealogici e di alfabeti (come ho già detto era un esperto linguista, e non parendogli bastevole la quantità di lingue già parlate nel mondo, si era messo a inventarne altre). E per la sua prima parte Lo hobbit è un succedersi di piccole storie: festa a casa Baggins, cronaca di una passata invasione draghesca, incontro con tre troll, incontro con gli orchi e con Gollum, incontro con i lupi cattivi... ma ad un certo punto gli episodi cominciano a collegarsi, originandosi gli uni dagli altri: traversando Bosco Atro è  inevitabile finire prima nelle zampe dei ragni e poi nelle mani degli Elfi Silvani, da cui si può sfuggire solo attraverso il fiume che porta al Lagolungo, dove i nani e lo Hobbit vengono rifocillati e instradati verso la montagna che un tempo era il Regno dei Nani e dove, con tanta pazienza, piano piano si riesce prima a trovare l'entrata segreta, poi ad aprirla... fino alla complessa catarsi finale, che vede coinvolti cinque diversi eserciti, il Bianco Consiglio dei Maghi e svariate altre entità di vario genere.

Il romanzo può contare su almeno tre punti di forza. 
Il primo è la dialettica tra Bilbo e i Nani. Mentre Bilbo con l'andare dei capitoli diventa sempre più coraggioso, più accorto, più disinvolto, fino a rivelarsi astuto e ricco di espedienti quanto e più di Ulisse, i Nani restano Nani: ostinati, diffidenti e un tantino ristretti di vedute. Riportarli sul sentiero del buon senso e della ragionevolezza è impresa che costringe ogni volta Bilbo a virtuosismi notevoli e dà vita a scene assai divertenti.
Secondo punto di forza: il drago. Tolkien era molto affascinato dai draghi e qui abbiamo un Vero Drago Nordico, che dorme sul suo letto d'oro e di gemme, pericoloso, malvagio, avido, ingannevole e molto, molto potente. Confrontarsi con un drago in grande spolvero è pericoloso anche per l'autore, oltre che per i suoi personaggi, ma Smaug il Grande riesce a rendere giustizia a tutti.
Il terzo punto di forza è l'intreccio finale, che si sviluppa con tutte le variabili all'opera: Nani, Uomini, Elfi: nessuno di loro è cattivo, nessuno di loro è in torto, ma tutti insieme riescono ad avviare la situazione sulla peggiore delle chine possibili. Potrebbe andare a finire davvero male, ma Bilbo, compiendo una scelta piuttosto particolare, trova il modo di avviarla in tutt'altra direzione.
In sottofondo, per tutto il libro, c'è il tema di Thorin - un personaggio diverso dagli altri, e al quale spetterà una sorte diversa dagli altri.

Come già anticipato, il libro va a finire bene (venne pubblicato nel 1937 quando ancora era consentito un filo di ottimismo): Bilbo torna a casa sano e salvo, dopo aver rifiutato di prendere altro che qualche briciola del tesoro, che su di lui non ha alcun potere, nonostante abbia affrontato il potente sguardo di Smaug: perché gli Hobbit danno più importanza agli amici e a una tavola ben fornita che al piacere di possedere mucchi d'oro - una caratteristica importante, che sessant'anni dopo sarà la salvezza dell'intera Terra di Mezzo.

Con questo post partecipo ai Venerdì del libro di Homemademamma, e auguro un fine settimana di piacevoli letture a tutti quanti - ricordandovi inoltre che, tra pochi giorni, sugli schermi uscirà il primo dei tre film tratti da questo romanzo.

mercoledì 5 dicembre 2012

Un viaggio inaspettato

Guardando i trailer, quest'estate, mi balenò alla mente la possibilità che i tre film* tratti da Lo Hobbit di Tolkien a regia di Peter Jackson avrebbero potuto rivelarsi forse anche migliori del libro. Di sicuro, come nei film del Signore degli anelli, i paesaggi, gli effetti speciali, gli scenari, i costumi e molti attori avrebbero recitato benissimo; inoltre Gollum era già una splendida certezza, i nani sembravano meglio di Gimli nel Signore egli Anelli e forse i film avrebbero avuto anche una colonna sonora: perché la canzone che i nani cantano a casa di Bilbo è eccellente a dir poco.
Sapevo che quest'anno avrei avuto una prima. In prima ci sono sempre molte lunghe ore di lettura ad alta voce da passare insieme, perché in parecchi leggono in modo zoppicante e senza tenere in alcun conto la punteggiatura. Poi il programma prevede fiabe, favole, miti, insomma  letteratura fantastica... tutta roba che, secondo Tolkien, nasce dallo stesso calderone... e c'erano un sacco di agganci con l'epica medievale... potevo fargli leggere qualcosa dall'Edda e pure dal Beowulf... (perché io conosco sia Beowulf che l'Edda, e dunque so che proprio dall'Edda sono stati presi i nomi dei nani, alla faccia dei compilatori di antologie che sembrano conoscere solo la morte di Rolando e, in alternativa, la morte di Sigfrido).

Così ho adottato Lo hobbit come libro di narrativa, anche se ormai, dopo i tagli dell'orario della Maristella, il libro di narrativa è quasi scomparso di circolazione. Ma la classe ha una buona preparazione (anche se non fa molto caso alla punteggiatura quando legge), non dobbiamo fare particolari corse col programma, e soprattutto è una classe che adora riunirsi intorno al caminetto ad ascoltare una storia.
Visto che siamo in tempo di crisi ho spiegato sia a loro che ai genitori che potevano comprare il libro o prenderlo dalla rete delle biblioteche pubbliche, che disponeva di Hobbit bastevoli ad un reggimento. Tutti però hanno scelto di comprarlo, e qui sono cominciate le sorprese.
"Scegliete l'edizione che preferite, Bompiani o Adelphi, hanno lo stesso prezzo: undici euro. E' la stessa traduzione, con varianti minime" li ho esortati. Durante l'estate avevo fatto un paziente confronto tra la mia vecchia edizione Adelphi e la più recente Bompiani.
Ma il mondo dell'editoria ha sempre più sorprese in serbo di quante non conosca la nostra filosofia, e arrivati al dunque ho scoperto che esistono non meno di quattro versioni della stessa traduzione di base, ricche di varianti minimali che farebbero la gioia di qualsiasi filologo a caccia di varianti adiafore  (ma non una di queste varianti si è degnata di restituire agli Uomini Neri l'originale status di troll. E se effettivamente, nel 1973, alla prima edizione del libro in Italia la parola troll era ignota ai più, ormai è  ampiamente sdoganata e ogni ragazzino ricorda perfettamente che quello che Hermione trova in bagno nel primo film è, appunto, uno schifidissimo troll). 


La maggior parte dei ragazzi ha la penultima edizione Adelphi, con il re delle aquile in copertina (disegnato dallo stesso Tolkien), ma qualcuno ha trovato fresca fresca la nuovissima edizione con la copertina tratta dal film... e che costava un euro in più. Ripensandoci, avrei potuto prevedere una cosa del genere e farglielo comprare prima, ma è un po' tardi per i rimpianti - e comunque quelli con la nuovissima edizione ne sembrano molto soddisfatti, anche perché è  una bella copertina. Addirittura c'è stato un cortese libraio che ha fornito la mia alunna della nuovissima edizione dandole pure quella vecchia in omaggio.
Tutt'altro caso quello di chi, irretito da un ben più infido libraio, si è visto rifilare un Hobbit annotato: molto più costoso, stampato su pesantissima carta patinata, scritto più piccolo e corredato da annotazioni che farebbero forse la gioia di un linguista particolarmente minuzioso, ma che perfino io (che di Tolkien studierei anche gli scontrini della spesa) ho trovato discretamente fini a sé stesse. Al momento dell'acquisto, costui ha detto mendacemente al mio sprovveduto alunnio "Prendilo, se non va bene te lo cambio", ma poi si è guardato bene dal cambiarlo. "Deve cambiartelo per forza, se hai tenuto lo scontrino" l'ho confortato io. "Non ci ha fatto scontrino" è stata la risposta del ragazzo. Vabbé, senz'altro è un motivo di vanto per qualsiasi commerciante fregare un ragazzo di undici anni, e complimenti all'autore di sì nobile gesto.
Qualcuno ha anche l'edizione Bompiani con illustrazioni, che ha pure una bella copertina con tanto di drago in gran spolvero, disegnato da tale Alan Lee.

Infine ci sono io, con la prima edizione Adelphi, quella grande con la Conversazione con Smaug su fondo azzurro.

La lettura procede spedita, tra varianti adiafore, rimembranze dei film del Signore degli Anelli e domande di tutti i tipi (di cui so quasi sempre la risposta: con Tolkien non è facile trovarmi impreparata). Giusto oggi abbiamo incontrato Gollum e il suo tessoro.
Come compito di Natale avranno quello di andare al cinema a vedere il primo dei tre film. Inizialmente pensavo di fargli fare una scheda o qualcosa del genere, ma ci sto ripensando: una chiacchierata sulle differenze dell'adattamento potrebbe funzionare altrettanto bene e forse anche meglio e non c'è motivo di rovinargli la festa, visto che al momento se lo leggono così volentieri...
A dirla tutta, non c'è nemmeno motivo di aspettare Natale per vedere il film, visto che il primo esce il 13 Dicembre.

*Sissignori, tre film tratti da un singolo romanzo di circa 350 pagine. Sono previsti cospicui allargamenti della trama (abbastanza filologici: per esempio Legolas non appare nel romanzo ma alla fine è il figlio del re degli Elfi di Bosco Atro, e niente impedisce di affidargli una parte e sfruttare meglio la permanenza alla corte degli elfi) e, si suppone, un altrettanto cospicuo allungamento del brodo.

lunedì 3 dicembre 2012

Sulla crociata contro gli insegnanti - 2 (Monti e le due ore in più degli insegnanti)



In tanti abbiamo assistito, un anno fa, all'insediamento del Governo dei Tecnici piangendo lacrime di commozione: basta con il pressappochismo, le dichiarazioni a cazzo, le cacce alle streghe, l'evasione fiscale elogiata, gli elettori insultati dall'alba al tramonto e dal tramonto all'alba, le barzellette del neolitico ai summit internazionali, le corna dietro le spalle del ministro francese a mo' di scherzo. Basta, basta, basta. Eravamo tornati un paese serio, finalmente!

Le barzellette sono effettivamente sparite dal repertorio del nostro Consiglio dei Ministri, e gli insulti agli elettori si sono notevolmente ridotti (anche se di certe sortite sulla noia del posto fisso e sui giovani sceglioni avremmo fatto volentieri a meno). Sono anche cessate quelle sconfortanti copertine dei giornali stranieri con foto dell'ex-presidente del consiglio in atteggiamento assai allegro e titoli invero poco lusinghieri per il nostro paese. Per quanto riguarda il pressappochismo e le dichiarazioni a cazzo, tuttavia, non sono state solo rose e fiori, specie per un settore che all'inizio il Governo dei Tecnici sembrava avere messo in un rilassante dimenticatoio: la scuola.

Una bella mattina, ricordandosi all'improvviso che i  professori lavoravano in cattedra solo 18 ore a settimana, qualcuno nel Governo dei Tecnici lancia l'idea di passarli a 24 ore ma senza cambiare il contratto né aumentare lo stipendio. Un aumento orario del 33,3 periodico per cento senza un centesimo di aumento dello stipendio e senza intervenire sul contratto, peraltro scaduto dalla notte dei tempi.
Strano ma vero, qualcuno ha protestato. Qualcun altro poi deve avere fatto osservare al Governo dei Tecnici che c'era pure un qualche vago rischio di ricorso. Comunque sia, l'articolo di legge, approvato da un intero Consiglio di Ministri Tecnici (un tantino ubriachi, si presume) sparisce rapidamente senza lasciar traccia se non in qualche strascico di polemiche sugli insegnanti che difendono i privilegi della (loro) casta.
Passa qualche settimana e la tempesta sembra rientrata. Ma il Presidente del Consiglio dei Ministri Tecnici decide di concedersi una comparsata televisiva a Che tempo che fa, dove lamenta di aver trovato "in alcune sfere del personale della scuola grande spirito conservatore, grande indisponibilità a fare, per esempio, due ore in più settimanali, il che avrebbe permesso di liberare risorse per fare più seriamente politiche didattiche".
Ora, lasciamo stare che nessuno ha parlato di due ore bensì di sei; sorvoliamo pudicamente sul fatto che le ore in più non sarebbero state pagate, creando un precedente pericolosissimo per qualsiasi lavoratore; evitiamo di insistere sul fatto che, in quella forma, si trattava di un provvedimento anticostituzionale. Ma, professor Monti, di grazia, cosa accidente intende per "politiche didattiche"? La scuola esiste solo in funzione della "politica didattica", non è che viene usata per allevare canguri. Le "politiche didattiche" noi insegnanti le facciamo dall'alba all'ora del té, e in effetti sono l'unica cosa che facciamo. Liberare risorse (ovvero far lavorare di più e aggratisse il personale già presente) per fare seriamente (?) "politiche didattiche" vuol dire semplicemente aumentare le ore di insegnamento del personale. Che non vuole lavorare gratis perché è conservatore.

Siamo sinceri, per dire queste stupidaggini Brunetta bastava e avanzava, non c'era motivo di scomodare i professori della Bocconi...

giovedì 29 novembre 2012

Genitori in graticola

La Seconda Effervescente in uno dei suoi momenti più composti e tranquilli

Passa un giorno e passa l'altro, e alla fine il Consiglio ha dovuto arrendersi all'evidenza dei fatti: la Seconda Effervescente, che l'anno scorso era una classe bella e vivace e affamata, se pure un po' faticosa da tenere, quest'anno gira a vuoto, assai più presa dalle sue aggrovigliatissime meccaniche interne che da questioni terrene quali le guerre di Carlo V e il teorema di Pitagora. 
Le lezioni sono punteggiate da un profluvio di commenti, scambi di battute, botte e risposte, discussioni che finiscono per impegnare gruppi di cinque-sei studenti, domande accavallate e ripetute più volte; e va pur ammesso che, dopo la trentesima interruzione in quindici minuti, cotali lezioni diventano pappine insipide e assai frammentate anche da parte di quei docenti che in condizioni normali si distinguono per brillantezza di eloquio e saldezza nell'impostazione strutturale degli argomenti.
D'altra parte, schifide o memorabili che siano le nostre spiegazioni, i ragazzi le ascoltano assai distrattamente e, una volta a casa, non degnano di grande attenzione nemmeno quanto è scritto sui libri.
In sintesi: la classe lavora poco e male (detto e non concesso che lavori) e il profitto è in forte calo.

Tutto ciò ha costituito la portata principale dell'Incontro con i Genitori, durante il Consiglio di Classe. La scena era delle più classiche: il Consiglio schierato in fila compatta da una parte del lungo tavolo, i genitori schierati in un più blando semicerchio ad ascoltare, impegnatissimi ad avere un'aria adeguatamente contrita & insieme costruttiva, e  ben attenti a non farci capire che il loro principale desiderio era in realtà di mandarci a Fanculo.

Il rosario dei luoghi comuni si è snodato senza mancare un colpo.
Prima il Coordinatore ha sciorinato un lungo e dettagliato quaderno di doglianze. Poi i genitori hanno espresso il loro rincrescimento. E dopo anche noi abbiamo espresso il nostro rincrescimento.
A questo punto i genitori, non riuscendo bene a capire cosa diamine volevamo da loro hanno cominciato a proporre soluzioni. Rudimentali e inapplicabili, naturalmente; ma occorre considerare che costoro non gestiscono classi, non sanno se non in base a vaghi ricordi cos'è una classe, e di dinamiche interne delle classi non si interessano né tanto né poco; inoltre sono abituati a gestirsi uno/due figli per volta sulla base di rapporti molto diversi da quelli che caratterizzano insegnanti e alunni.

"D'ora in poi segnalateci sempre quando fanno qualcosa che non va, e noi interverremo" suggerisce il primo Padre Ben Intenzionato. Con bel garbo, gli viene fatto  capire che un insegnante vorrebbe fare qualcos'altro, nelle sue ore di lezione frontale, che non sia passarle a  scrivere note e rapporti.
Un altro Genitore Ben Intenzionato suggerisce di rispiegare le regole del corretto comportamento in classe. Gli viene spiegato che i ragazzi le conoscono benissimo, le regole, ma se ne fregano di applicarle. I Genitori ci guardano con aperta disapprovazione: non è possibile che i loro Pregiati Figli se ne freghino delle regole: i loro Pregiati Figli sono magari un po' sventati, ma buoni. Può essere che pecchino per ignoranza, ma non certo per cattiveria.
Provo a spiegargli che non è questione di cattiveria, ma che nel momento in cui entrano in classe, la Classe prende il sopravvento sull'Individuo, e il Bravo Ragazzo, pur desideroso di non deludere o dare dispiacere ai suoi genitori, si scorda financo della loro esistenza dedicando invece ogni sua energia ad inserirsi nel fascinoso vortice magmatico formato dal gruppo dei suoi coetanei, amati, odiati, insopportabili, adorabili e comunque del tutto indispensabili.
Mi guardano male. Non osano prendermi apertamente a sassate, ma vorrebbero. Gli sto spiegando che non hanno più potere assoluto sui loro figli. Peggio ancora, gli sto spiegando una cosa che da qualche parte del loro cuore stanno imparando giorno per giorno. Fosse una completa sciocchezza, gli sarebbe molto più facile scusarmi.
D'altra parte di solito non si cerca di convincere oche e capponi della bellezza intrinseca dei pranzi di Natale - e quand'anche si cercasse, difficilmente si otterrebbero oceani di consenso. Mi prendo le sassate virtuali e mi cheto in bell'ordine, meglio tardi che mai.
Infine, con gran garbo e un lungo giro di parole, un genitore lascia intendere che venire a capo della classe è affar nostro, non loro. Siccome è impossibile dargli torto, nessuno lo contraddice - ma lo guardiamo male pur dietro sorrisi falsi e parole di miele avvelenato.
Eh sì, gestire la Seconda Effervescente sarebbe proprio affar nostro. E lo faremmo anche molto volentieri, se solo ci riuscisse.
Gli spieghiamo che, con l'aria che tira, i voti non saranno dei migliori e dovranno farsene una ragione. Questo rasserena un po' l'atmosfera: un voto basso è qualcosa di facilmente comprensibile anche se non sei un insegnante, e a un voto basso qualsiasi genitore sa come reagire (che poi la reazione produca qualche frutto è tutto da vedersi, ma anche queste sono cose che si sanno).

Dopo una quarantina di minuti di chiacchiere inconcludenti la riunione del Consiglio si scioglie, senza essere addivenuta ad alcunché di concreto. Un gruppo di genitori vagamente immusoniti se ne va, un gruppo di insegnanti vagamente frustrati si predispone al Consiglio successivo.
Anche questo fa parte degli Intramontabili Rituali della Scuola. Certamente si poteva fare di più e meglio, e certamente non ci è riuscito, come già a tanti prima di noi.
La soluzione ce l'hanno i ragazzi della Seconda Effervescente. Con l'augurio che la tirino fuori presto.

mercoledì 28 novembre 2012

28 Novembre: Buon compleanno Albania!

No, non è un nuovo tipo di selciato, è una torta. Sissignori, proprio una torta.

Il 28 Novembre 1912, nel corso della Prima Guerra Balcanica,  Ismail Qemali dichiarò da Valona (che diventò poi la prima capitale del futuro stato) l'indipendenza dell'Albania dall'impero ottomano. 
Inizia da lì la storia moderna dell'Albania, che la vide in seguito occupata dall'Italia, poi allineata al patto di Varsavia e infine nuovamente autonoma, a partire dal 1990. Da allora molti albanesi sono venuti da noi, e molti piccoli albanesi sono stati concepiti e partoriti in terra italiana o hanno raggiunto le italiche sponde ancora piccolissimi. Nella mia zona, in particolare, i giovani albanesi sono comuni come le margherite in primavera. Dietro i loro sorrisi e le loro famiglie ansiose ci sono spesso storie di barconi e parenti morti nel tentativo di raggiungere l'Italia.
Ho avuto e ho (e avrò, immagino) decine e decine di alunni albanesi. Frammento dopo frammento ho cominciato a imparare qualcosa di quel piccolo paese geograficamente vicino ma per me ignoto quanto e più del mio celebre Nepal africano e quando mi passa sott'occhio qualche notizia la leggo sempre con attenzione-per me è un po' come avere notizie degli zii che vivono all'estero.

Così ho scoperto che il 28 Novembre è stato il centesimo compleanno dell'Albania e che per festeggiarlo più dolcemente, 200 pasticcieri di Tirana hanno lavorato indefessamente per costruire una torta di 18 tonnellate e 550 metri quadri (nella foto) che per glassa aveva la bandiera nazionale. L'aquila bicefala è stata fatta con crema di cioccolato, mentre la parte rossa è stata realizzata con crema rossa e chicchi di melograno. Dal patriottico dessert dovrebbero uscire circa 120.000 porzioni che andranno ad addolcire la giornata agli albanesi di Albania e agli ospiti albanesi da Kosovo, Macedonia, Montenegro e Serbia.

All'ancor giovane nazione i miei più dolci e sentiti auguri.

venerdì 23 novembre 2012

Uno studio in rosso - sir Arthur Conan Doyle



Il 1887 è la data della prima apparizione in pubblico del grande Sherlock Holmes.
Per presentarlo Conan Doyle scelse la forma del romanzo, che non gli venne neanche molto bene. 
Il pubblico non si entusiasmò più di tanto. Solo tre anni dopo, con la pubblicazione quasi casuale del secondo romanzo Il segno dei quattro, arrivò il successo e la leggenda di Holmes cominciò a imporsi. Per fortuna negli anni successivi Conan Doyle si dedicò soprattutto ai racconti brevi, dove Holmes funzionava molto meglio.

Dunque quello davanti a cui qualsiasi holmesiano si inchina con reverenza come alla noce d'oro che racchiude in sé il più dolce dei gherigli, ovvero tutte le future avventure di Sherlock Holmes, avrebbe potuto essere la sua unica e ben presto dimenticata apparizione. Orribile a pensarci.

Eppure Holmes non nasce come un personaggio abbozzato e in via di assestamento: come è nel primo libro, così resta fino alla sua prima morte e anche oltre; ed è un grande personaggio, di quelli che ti riempiono la stanza e la pagina: assai deduttivo, si capisce, ma anche sarcastico, brillante, stravagante, egocentrico, pigro, suscettibile, perfezionista, assolutamente insopportabile con gli ispettori di Scotland Yard (che non lo strozzano a mani nude solo e soltanto perché, per quanto insopportabile, gli fa la parte più difficile del lavoro senza pretendere ricompensa alcuna), immerso in strani esperimenti di chimica o perso in interminabili sedute col suo violino, avvolto in una perenne nuvola di fumo, assorto nella beatifica contemplazione di un sentiero infangato percorso da una carrozza e da due serie di impronte di cui saprà decrivere gli autori financo nel colorito e nelle preferenze politiche e musicali... Perfino la cocaina fa una fuggevole comparsa, come un lieve tocco d'ala, quando Watson lo vede così assente da essere quasi sfiorato dal sospetto che prenda qualche droga*. 

Il personaggio cattura l'attenzione, ma farlo lavorare in un romanzo ha i suoi inconvenienti: il Nostro, infatti, ha la deplorevole tendenza a capire chi è il colpevole e come ha fatto a colpire già dopo mezz'ora di indagine. Nei racconti questo va benissimo e lascia il lettore colmo di reverente ammirazione, ma in un romanzo è un bell'intralcio, perché le pagine vanno pur riempite in qualche modo.

Così Doyle elaborò una struttura, non tanto insolita per l'epoca, e con quella si barcamenò in tre romanzi su quattro (Il mastino dei Baskerville è un caso a sé. Un bellissimo caso a sé): si comincia con una introduzione dove Holmes fa qualche gioco di destrezza con tanto di Prodigiose Deduzioni con in più qualche considerazione personale sul pensiero, la mente dell'uomo, la concatenazione degli eventi eccetera (a distanza di più di cento anni, sono sempre interessanti da leggere, e ogni holmesiano è perfettamente in grado di ripeterle a memoria anche all'indietro a semplice richiesta).
Arrivano il cliente o l'ispettore di Scotland Yard con il Caso. Holmes va, esamina il Caso e nel giro di poche pagine comprende chi è il colpevole e come ha fatto ad agire. A quel punto cerca di rintracciarlo (mentre gli ispettori di Scotland Yard si sperdono su piste del tutto improponibili cui restano saldamente attaccati nonostante i garbati tentativi di Holmes di richiamarli all'evidenza dei fatti).
Qualche capitolo se ne va per star dietro a un intralcio particolarmente intralcioso, che blocca Holmes ma annoia discreatamente anche il lettore. Infine gli ispettori di Scotland Yard, molto soddisfatti di sé, sfoderano con fare trionfante soluzioni assai macchinose e con più buchi di un groviera. Holmes li ascolta benevolo, poi schiocca le dita e tira fuori da un cassettino il colpevole vero, che risulta colto di sorpresa esattamente come Watson e i poliziotti. La seconda parte del romanzo comprende un fluviale racconto  dell'antefatto del delitto, ormai vecchio di decenni (storie anche avvincenti, a modo loro, ma del tutto prive della sia pur minima traccia di Holmes) più un breve sunto fatto da Holmes medesimo delle sue deduzioni, mentre il lettore gode voluttuosamente vedendo i funzionari di polizia fare una volta di più la figura di perfetti idioti.
Son libri che scorrono bene, e qualsiasi appassionato del periodo vittoriano li legge volentieri.  Sul piano strettamente holmesiano presentano però un difetto: non c'è molto Holmes.

In Uno studio in rosso (titolo assai suggestivo) assistiamo ad un duplice omicidio che vendica un torto avvenuto in un altro tempo e in un altro spazio. Dell'antefatto Holmes non sa niente, e le sue deduzioni partono da indizi concreti: impronte nel fango, cenere di sigarette, larghezza del passo di una carrozza, andirivieni di cavalli... Catturato l'assassino, il compito di raccontare la storia passata se lo prende l'Autore Onnisciente. Il resto della narrazione è invece affidato al dottor Watson, stimabile cittadino britannico che con grande serenità ed equilibrio ha accettato per decenni di fare la parte del cronista imbecille (in realtà non è affatto un imbecille, bensì una degna persona assai provvista di buonsenso ma che di mestiere fa il medico e non il genio deduttivo). Qui, alla sua prima apparizione, Watson è un po' più malandato e di abitudini più irregolari di quanto sarà in seguito, ma è ancora in convalescenza per vari malanni di guerra. I due formano sin dall'inizio un'ottima coppia, dove Holmes fa quel che gli pare e Watson si adegua senza batter ciglio, purché gli venga garantito il suo posto in prima fila per lo spettacolo, con o senza popcorn; non prende mai appunti, ma di ogni caso è in grado di stilare un bel resoconto preciso, di cui Holmes non manca mai di rinfacciargli (con palese malafede) un eccesso di sensazionalismo.
Il romanzo infatti si chiude con la promessa di Watson di scrivere un accurato resoconto - proposito a cui manterrà fede per la gioia di noi lettori.

A Sherlock Holmes il mio cuore si è legato indissolubilmente da quando avevo tredici anni. E' per me un onore dedicargli questo  Venerdì del libro di Homemademamma.

*Mancano, e mancheranno sempre nel canone scritto, il tradizionale impermeabile giallo e il berretto a scacchi, insieme al celebre "Elementare, mio caro Watson". Ma queste son cose che qualsiasi holmesiano, per quanto minimale, sa benissimo.


martedì 20 novembre 2012

Sulla crociata contro gli insegnanti - 1 - (in ritardo di due anni)

Cavalieri teutoni all'attacco dei russi. 
Non sembrano molto sicuri?
Forse dipende dal fatto che, sotto gli zoccoli dei cavalli, c'era il ghiaccio. Fragile.

L'immondo video col quale introduco questo post non è per tutti gli stomaci, e me ne scuso. Proverò a darne una sintesi per chi preferisce non mettere a rischio la digestione dell'ultimo pasto, e garantisco in supplemento a quei lettori di salda tempra che desiderino cimentarsi nell'impresa di vederlo, a parziale risarcimento del disgustoso spettacolo, una garbata canzoncina-parodia: la celebre Renato Renato Renato con un testo un po' diverso dalla versione portata al successo da Mina.
In cotale video uno dei nostri ex-ministri (non il più competente, né il più alto, né il più solerte ed operoso) straparlava dei tagli del FUS agli Enti Lirici, lodandoli ed esortando i "falsi cantanti, falsi orchestrali e falsi scenografi" ad andare a lavorare, loro che non si sono mai "confrontati col mercato".
La storia risale a un paio di anni e qualcosa fa, e ai miei occhi di melomane ha sempre rappresentato uno dei punti di caduta libera di quello che solo con grande sfoggio di retorica può essere chiamato "governo" invece di "associazione a delinquere". Tuttavia quella specifica comparsata dell'allora ministro mi sfuggì, per buona sorte mia e del mio povero fegato che difficilmente avrebbe retto al colpo.

Ognuno ha i suoi santi speciali sull'altarino. Quanto a me, ho sempre nutrito un incondizionato rispetto per le buone orchestre e per tutti coloro che, a qualsiasi titolo, sono coinvolti nel loro lavoro; inoltre, da cittadina, italiana sono sempre stata fiera non solo delle orchestre italiane ma anche dei cori italiani e financo degli scenografi italiani. Mi sentivo ben rappresentata da loro. Magari la migliore orchestra del mondo non è italiana, ma in Italia ci sono ottime orchestre che brillano di luce propria e sono capaci di splendide esecuzioni.
Ed ecco che arriva un qualsiasi incapace, dal basso di un'ignoranza stratosferica; uno che non saprebbe montare un pannello di scenografia nemmeno per salvarsi la vita (perché, caso mai l'avesse fatto, saprebbe benissimo che è un lavoro, eccome, e pure molto faticoso oltre che complesso e delicato), che non distinguerebbe un clarino da un'anatra e non ha la minima idea di cos'è un cantante, e che si permette di dare di incapaci e sfaticati 
ai nostri orchestrali, e pure di sostenere che non si sono mai confrontati col mercato - balla solenne, perché il Mercato non ha mai mostrato alcuna antipatia per orchestre e cantanti italiani, che partecipano regolarmente ai tour internazionali e incidono CD che vendono all'incirca quanto quelli delle orchestre straniere (il che non è moltissimo, ma questa è un'altra storia).

E' possibile che i fondi del FUS abbiano rappresentato per molti teatri italiani una garanzia che non li ha spinti a cercare nuove strade di possibile guadagno, e che per certi aspetti qualche ritocco ai finanziamenti degli enti lirici (qualche ritocco, non la mannaia che c'è stata) avrebbe sortito effetti positivi spingendoli a sfruttare al meglio le occasioni che potevano presentarsi; ma niente al mondo potrebbe autorizzare nessuno, nemmeno un politico vero o un vero economista, a esprimersi in quel tono su persone di grande competenza e capacità, insultandoli dal basso della sua totale incompetenza e incapacità.

Per cinque anni, nel penultimo governo, l'invidia, il pressappochismo, il livore e la malafede hanno offeso e calpestato un po' tutto quel che gli passava davanti, purché munito di qualche capacità. In effetti, il vero problema degli orchestrali italiani è che, al contrario dei loro ministri, qualcosa in vita loro hanno dimostrato di saperla fare.
Chissà, forse anche gli insegnanti sono afflitti dallo stesso problema? La scuola pubblica, nonostante il nostro continuo flagellarci, stava forse dimostrando un eccesso di efficienza? Soprattutto, un deplorevole eccesso di efficienza rispetto a quella clericale? Noi che ci stiamo dentro vediamo tutto quello che non funziona, soffriamo per tutto quel che non riusciamo a fare, ci angustiamo di non venire apprezzati da tutti. Ma forse anche così, con le aule container, i computer costruiti ai tempi della spedizione africana di Scipione, le cartucce perennemente esaurite, le carte geografiche strappate alle pareti, le biblioteche polverose, con le nomine in ritardo e il riscaldamento a singhiozzo, anche così il problema è che siamo, troppo, diabolicamente efficienti. Forse i nostri ex-ministri erano troppo occupati a ricordarsi la fatica che gli era costata sbarcare un diploma per riflettere sui deficit formativi, organizzativi e didattici di cui la scuola italiana ha sempre sofferto.

Mi ritengo un'insegnante di livello medio, con qualche occasionale puntata verso il medio-alto. Mai e poi mai oserei paragonarmi a un soprano del Maggio Musicale o a un oboe della Scala; nemmeno sotto minaccia di tortura potrei mai affermare che io e Daniela Barcellona abbiamo in comune altro oltre alla cittadinanza italiana e l'appartenere al sesso femminile: laddove lei è uno dei migliori contralti viventi, io posso al più definirmi una modesta mestierante armata di una certa competenza di base, molta buona volontà e un po' di pratica.
Pure, pensare che le crociate isteriche del penultimo governo, a partire dalla prima uscita della Gelmini sul MIUR come stipendificio (dietro suggerimento del perfido Tremonti) mi abbiano accomunato per un breve periodo a tutti costoro è un onore, per quanto immeritato.
(E un'ulteriore, ennesima dimostrazione della totale ignoranza in cui versava il precedente governo).