Il mio blog preferito

domenica 31 dicembre 2017

Aspettando il 2018

E' la notte del passaggio.
Si raccoglie il vischio per i sacri riti, godendosi l'ultimo nevischio dell'anno che se ne va e la prima luna dell'anno che arriva, in compagnia di un giovane draghetto che ha voglia di giocare.

La scuola con le finestre che ridono (un nuovo racconto dell'orrore, a rischio splatter)

A scuola le nostre finestre non sono esattamente così. No, esse non lo sono.

Da poco più di tre anni alla scuola di St. Mary Mead abbiamo cambiato buona parte degli infissi, come ho già avuto occasione di raccontare. Da allora la situazione si è molto evoluta: perché, com'è noto, ci si può evolvere in meglio ma anche molto in peggio e il nostro peggio al momento ha raggiunto posizioni invero assai notevoli.
Partiamo dalle buone notizie: le porte non chiudono granché bene, qualche volta ci vogliono due o tre tentativi per far scattare la chiusura, ma in compenso si aprono senza problemi e restano saldamente attaccate sui loro cardini; qualcuno potrebbe non considerarlo un gran titolo di merito, ma chi vive nella scuola sa che può succedere ben di peggio, come io stessa ho avuto modo di sperimentare in tempi non lontani.
La situazione delle finestre invece si può classificare come "pessima" senza alcun timore di essere accusati di drammatizzare.
Esse finestre infatti non chiudono. Non sempre. Anzi, tendono ad aprirsi a sproposito.
Per questo motivo il Comune, dopo apposito sopralluogo, ha deciso di chiuderle... col nastro adesivo. No, non lo scotch che usiamo di solito per riparare le pagine strappate, bensì un robusto nastro adesivo; per quello che può essere robusto un nastro adesivo, si capisce; e quando il robusto nastro adesivo è finito, si è rimediato con del nastro-carta. Giuro che non sto scherzando. 
Nastro adesivo per fermare grosse finestre a doppi vetri di una singolare pesantezza.
Il tutto nelle settimane in cui tutte le scuole si facevano mostruose seghe mentali doppie e carpiate sul Grave Problema della Responsabilità Penale delle Scuole al Momento dell'Uscita degli Alunni.

A Novembre, nella valle di St. Mary Mead, ha tirato vento. 
Non la bora triestina, non un vento siberiano a più di cento chilometri all'ora. Non ci sono state macchine rovesciate o motorini strappati ai loro parcheggi che vagavano in libertà, né tetti scoperchiati o tegole in caduta libera; solo un robusto vento, da allarme giallo. Tuttavia il vento da allarme giallo, pur non scoperchiando tetti né provocando particolari tragedie (per fortuna di tutti) ha avuto facilmente vittoria del robusto nastro adesivo. Così le finestre hanno cominciato ad aprirsi da sole, senza preavviso.
E' pericolosa una finestra che si apre all'improvviso in una classe mediamente affollata?
Certo che è pericoloso, che domande. E così, nel giro di tre giorni, tre classi in tre momenti diversi hanno potuto provare l'emozione di una finestra che si è spalancata senza preavviso rischiando di falciare l'alunno che stazionava nel banco lì vicino.
Per fortuna i tre singoli alunni hanno mostrato sufficiente prontezza di riflessi da fermare la finestra prima che facesse loro danno. I tre insegnanti presenti in quel momento a fare la loro doverosa lezione sono dimagriti ognuno di svariati chili e hanno cominciato a tempestare il Comune di fax con dettagliati resoconti. 
La Responsabile della Sicurezza, che non è mai stata persona usa a sedersi in un angolo mormorando in tono fatalista "si sa che siamo tutti nelle mani d'Iddio" già da tempo tempestava a sua volta il Comune di dettagliati resoconti e allarmistiche previsioni. D'altra parte, si sa, quando l'acqua dell'Arno arriva alle spallette dell'argine e il cielo promette grandi temporali siamo tutti buoni a predire alluvioni anche senza un M.A.G.O. in Divinazione.
Dal Comune sono venuti più volte a fare sopralluoghi e hanno spiegato che "non ci sono soldi per le riparazioni". E hanno continuato a chiudere le finestre col nastro adesivo, mentre la Dirigenza e la Sicurezza continuavano a tempestare di telefonate, fino a spiegare in tono scocciato "Oh insomma, se non ci sono soldi non ci sono soldi, lo volete capire?".
E' partita formale denuncia, si capisce.
Infine, in un giorno senza vento, la Terza Amichevole è andata a fare la sua regolare lezione di Musica nell'Aula di Musica, che gode dell'ammirevole vantaggio di avere ancora i vecchi infissi.
Al suo ritorno Catone ha trovato il suo banco coperto da una finestra che si è staccata dall'unico cardine che teneva ancora (per pura forza d'inerzia, evidentemente. Ma si sa che anche la forza d'inerzia ha i suoi limiti).
La finestra è stata faticosamente rimontata e fermata con un banco sopra il banco di Catone (che si è spostato al capo opposto della classe. Solo che la classe non è molto grande, e se spostiamo gli allievi lontano dalle finestre... non siamo in condizioni di sicurezza. Vabbé, al momento questo sembrerebbe il minore dei nostri problemi.
Stavolta il Comune ha dovuto darsi una svegliata, anche perché il giorno dopo la prof Casini si è trovata casualmente a fermare con le nude mani una ulteriore finestra, in una ulteriore aula, che stava per sedersi a sua volta su un altro alunno, senza alcun preavviso né folata di vento che offrisse una pur parziale giustifica.
Sono venuti due operai e hanno piombato la finestra, bloccandola con una piastrina di alluminio imbullettata. In quel momento ero in classe e la mia mente, ormai stabilmente innestata sul programma di Terza, è volata spontaneamente ai vagoni piombati del bel tempo delle deportazioni. Sono riuscita a stare zitta perché l'insieme era abbastanza lugubre anche così.
Non so e non voglio sapere cosa hanno fatto con la finestra staccata nell'altra classe - ma immagino che avranno piombato anche quella con una piastrina di alluminio.

La ditta dovrebbe provvedere alle regolari riparazioni. Ma la ditta è fallita da diversi anni (cosa non del tutto sorprendente) e quindi rivalersi su di lei sembra abbastanza complesso.
Al momento siamo qui, con le nostre finestre rotte e bloccate con il robusto nastro adesivo o con le piastrine di alluminio e le aule completamente fuori norma.
Misteriosamente i Genitori, quella misteriosa entità sempre pronta a protestare contro il sovraccarico dei compiti a casa, non hanno ancora demolito il comune pezzo a pezzo per poi ballare danze demoniache sulle ossa degli addetti alla sicurezza nelle scuole. Va detto che a St. Mary Mead i genitori protestano molto di rado e assai raramente si lamentano persino del sovraccarico dei compiti a casa; solo la Cleptomane riuscì a smuoverli in qualche raro caso dalla loro paciosa accettazione dei casi della vita; e tuttavia mi è capitato di desiderarli un po' più disponibili alla protesta, a costo di vedermi criticata perché assegno troppi compiti a casa: sono sempre pronta a confrontarmi con l'utenza, o almeno così mi piace immaginarmi, ma vorrei tanto lavorare in condizioni che mi garantiscano la ragionevole certezza di riconsegnare i miei alunni in buona salute come l'ho trovati entrando in aula - un punto di vista, questo, che mi risulta in assoluta sintonia con la totalità del corpo insegnanti della scuola e pure degli ATA, ovvero i bidelli.

Con questo lugubre e sconsolato post chiudo il 2017, augurandomi che l'apertura del bilancio del 2018 metta il Comune in grado di provvedere alla questione - anche se in cuor mio ritengo che qualche soldo per quelle cazzo di finestre si sarebbe pure potuto trovare anche a fine anno, in un ente non commissariato per pesanti deficit né, per quel che ci risulta, spaventosamente povero.
In God We Trust.

venerdì 29 dicembre 2017

Hortodoxa - Sull'insulso, tronfio e tossico cattivismo rispetto al modesto, operoso e utile Buonismo

L'orfanello più famoso della letteratura contemporanea al suo primo, vero Natale.
E' abbastanza diabetico così?
Negli ultimi anni è andata affermandosi una nuova parola, usata come Insulto Definitivo in qualsiasi discussione in rete (nella cosiddetta Real Life è molto meno abusata, almeno nel contesto di decorosa civiltà dove ho il piacere di vivere): buonismo
Il fatto che si tratti di un insulto orribile, di quelli da lavare col sangue, che al confronto attribuire il meretricio a tua madre è robetta da nulla, non ne limita in alcun modo l'uso, anzi in molti si sentono vieppiù esaltati e realizzati quanto più largamente lo usano. E infatti grandissima è la frequenza con cui questa sventurata parola è usata abitualmente.
Ci sono anche svariate sottocategorie di buonisti: abbiamo perciò i buonisti con il portafogli a destra, i buonisti con l'attico in piazza Navona (moltissimi, a quel che sembra, nonostante il buonsensismo potrebbe magari portare a immaginare che, per banali motivi logistici, gli attici in piazza Navona dovrebbero essere in numero piuttosto limitato) e, freschissimi delle ultime settimane, i buonisti col Rolex - e qui devo essere rimasta parecchio indietro perché ricordo che il Rolex era uno status symbol quando facevo il liceo, ma da allora in tanti avevano ripiegato sugli Swatch o affini; ammetto però di non aver mai seguito con troppa attenzione le vicissitudini orologistiche della moda.

Essere definiti buonisti è molto facile: è sufficiente infatti
- mostrare una pur tenue disposizione favorevole verso una legge che conceda la cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati e cresciuti in Italia (sì, quelli che mi ritrovo sui banchi di scuola tutte le mattine. Quelli che, grazie alla legge Bossi-Fini spariscono dai quattordici ai diciotto anni, dopo essere stati tutelati fino ai quattordici, e che devono comunque rinnovare il permesso di soggiorno ogni anno)
- mostrare una blanda disposizione a non prendere a sassate il primo musulmano che incontri per strada
- chiedere un trattamento umano per i detenuti (quello che la legge italiana in effetti gli garantirebbe, pur non dandoglielo nei fatti) italiani o stranieri che siano
- far trapelare un certo rincrescimento, anche superficiale, per chi affoga nel Mediterraneo mentre cerca di attraccare in un qualche porto viaggiando su una carretta (non so che farci, a me non piacerebbe morire annegata, o veder morire annegati i miei genitori o figli)
- mostrare una pur blanda propensione all'accoglienza dei profughi
- approvare, sia pure in misura moderata, quei politici o forze politiche che chiedono che l'accoglienza dei profughi stranieri sia gestita con un certo garbaccio
- mostrare una certa diffidenza verso le teorie che ritengono che il colore della pelle renda automaticamente un individuo migliore o peggiore di un altro
- considerare cittadini italiani anche quegli individui che all'apparenza non sembrano discendere dal più puro ceppo longobardo ma che ciò nonostante all'anagrafe risultino effettivamente cittadini italiani
- non mostrare una viscerale avversione verso l'Unione Europea.
Ricordo che un tempo erano buonisti anche quelli che si opponevano alle due guerre del Golfo. In quegli anni però era usato soprattutto l'insulto pacifista.

Una volta schedati tra i buonisti, automaticamente ne consegue che costoro sono i diretti responsabili di:
- qualsivoglia forma di immigrazione in cui il barcone non è stato preso a cannonate prima di approdare sulle italiche coste (il che, con le attuali leggi internazionali, non è proprio un caso comunissimo. Per fortuna, aggiungo molto buonisticamente)
- qualsiasi reato commesso da qualsivoglia immigrato purché di pelle scura (un tempo questo riguardava anche romeni e albanesi, poi qualcuno si è accorto che erano bianchi di pelle e questo pare avere cambiato tutto)
- qualsiasi attentato gestito dal terrorismo internazionale, indipendentemente dal paese in cui è avvenuto - soprattutto in virtù dell'esibizione di gessetti colorati (che, mi dicono, sui terroristi hanno più o meno lo stesso effetto dei drappi rossi con i tori imbizzarriti incitandoli a commettere vieppiù atti terroristici)
- qualsiasi malattia infettiva sia in circolazione
- qualsiasi forma di miseria o disagio economico, sociale, esistenziale e culturale in cui per sua sventura incappi un italiano bianco
e infine, misteriosamente, anche
- la lentezza della ricostruzione nei paesi terremotati del centro Italia.

Tutto ciò è piuttosto stupido e non varrebbe nemmeno la pena parlarne se non per una piccola questione semantica che mi colpisce dolorosamente ogni volta: in che modo essere di tendenza buoni, accoglienti, inclusivi o anche semplicemente educati e non fare troppi discorsi a cazzo* deve essere considerato un insulto sanguinoso che fa di te un reietto invece di un cittadino che si sforza di tener fede alla costituzione e di coltivare in cuor suo pensieri non troppo malevoli verso l'umanità?
Essere buoni, almeno di tendenza, dovrebbe essere un pregio. Un mondo rovinato da un eccesso di bontà e di gentilezza non mi risulta - e, soprattutto, quand'anche risultasse, non mi sembra proprio un pericolo alle porte: non viviamo certo circondati da continui eccessi di bontà e anzi l'attuale papa si lamenta spesso di questo, mi pare non senza qualche ragione; e benché costui abbia ai miei occhi il difetto basilare di essere cattolico (per quanto un cattolico figlio del Vaticano II e quindi non necessariamente malvagio), purtuttavia quando dice che fuori piove e fuori sta effettivamente piovendo, non posso che convenire con lui e cercare un ombrello se mi tocca uscire.

Io sono buonista fin nelle barbe. Potrei difendermi ricorrendo a sofismi del tipo "la responsabilità è individuale", "la gente non va giudicata a categorie", "siamo tutti esseri umani" e simili. Ma non amo ricorrere a questi arzigogoli e mi dichiaro senz'altro buonista senza ulteriori infingimenti. Non possiedo Rolex, il portafogli lo tengo in borsa (e la borsa la porto dalla parte sinistra) e di un attico in piazza Navona non saprei che farmene a parte rivenderlo al primo buonista che trovo (ma, garantisco, a prezzo di mercato e senza sconti) e comunque col cavalo che me ne hanno mai offerto uno.
Ciò nonostante sono buonista, anche se mi dispiace molto per i terremotati che stan lì a candire da più di un anno, e per le vittime del terrorismo e per chi annega nel Medieterraneo (ma anche per chi annega altrove o muore in guerra o simili).
Ammetto il mio buonismo senza remore e senza scuse.
Soltanto, non riesco proprio a vederlo come un difetto. Addirittura, lo trovo uno dei tratti più decorosi in un carattere non sempre mitissimo: essere cattivista mi dispiacerebbe moltissimo - o almeno, se lo fossi, vorrei avere la forza morale di riconoscermelo come un difetto.

Siccome tra le tante critiche rivolte ai buonisti per il momento l'attaccamento ai gatti non è (ancora) stato preso in considerazione, ne approfitto per chiudere con un immagine eccezionalmente diabetica di gattini di Natale:
augurandomi che il diabete (una delle poche malattie al momento di cui i buonisti non sono incolpati) abbia pietà dei miei lettori.
Che lo zucchero filato sia con tutti voi!

* senza offesa per il cazzo, è solo un modo di dire

lunedì 25 dicembre 2017

Buon Natale 2017


Auguri per il più diabetico e zuccheroso e godurioso Natale che mai si sia visto e possano i vostri dolci non finire mai!

domenica 24 dicembre 2017

Notte di Natale 2017


Anche se vengono chiamate "le feste" per molti sono un periodo di lavoro durissimo che comporta settimane se non mesi di preparazione. La Notte di Natale in particolare è quella che richiede più lavoro di tutti.
Sono pronte le scorte? E' stato incartato sin l'ultimo regalo? E' stato deciso fino al minimo dettaglio il menù del pranzo? 
Ma soprattutto: ci siamo ricordati di lasciare il fieno per le renne e la scodella di latte con relativo piattino di dolci per Santa Klaus e tutti i suoi folletti?
Notte tranquilla, sì, notte santa, per pagani e per cristiani. Ma c'è chi deve duramente partorire in scomode circostanze, chi deve assistere la madre in travaglio nel migliore dei modi che le circostanze consentono, e non parliamo di chi quella notte compirà la prima grande fatica della sua esistenza.
C'è chi carica la slitta e chi prepara crostini, chi accoglie parenti e amici allestendo stanze di fortuna e cambiando letti, chi viaggia per raggiungere i suoi cari, chi guida treni e aerei, chi assiste e cura quelli che sono stati così storditi da infortunarsi proprio per quella notte, chi passa pomeriggio e sera della vigilia a ballare sulle punte complessi Schiaccianoci e chi monta e smonta scenografie con l'orologio alla mano, chi stacca biglietti per gli spettatori e chi passa a pulire dopo la fine dello spettacolo.
Per tutti loro e le infinite altre persone, folletti, animali da tiro ed entità varie che stasera e stanotte lavoreranno duramente per preparare la festa, è giusto riservare un pensiero speciale ed avere gratitudine: dietro a ogni festa c'è sempre molto lavoro.
Auguri a tutti loro, a noi che domani ci limiteremo a raccogliere qualche pacchetto prima di andare a festeggiare e a tutti quelli che puliranno dopo l'ultimo brindisi.

E, naturalmente, auguri anche alla Fata Confetta e al principe Schiaccianoci che ha appena riconquistato il suo regno

venerdì 22 dicembre 2017

Il Natale di Flavia de Luce - Alan Bradley


La letteratura natalizia abbonda di libri gialli. Come spiegava la Christie in un classico del genere, Natale è un ottimo momento per un delitto, con tanti parenti che normalmente si scansano tra loro con gran cura ma che in occasione del pranzo di Natale devono mostrarsi amichevoli e ricolmi di spirito natalizio - e finisce che le tensioni represse hanno il sopravvento e ci scappa il morto - anche più di uno, all'occorrenza.

Alan Bradley dirazza molto da questo filone: nel libro non vedremo alcun pranzo di Natale, solo tentativi approssimativi di mangiare un po', nonostante tutto.
Ma andiamo per ordine.
Ho scoperto (e avidamente letto) la serie di Flavia de Luce grazie alla segnalazione della povna qualche tempo fa, fatta proprio per i Venerdì del Libro. L'autore è canadese, e descrive quindi l'Inghilterra dall'esterno.
In effetti c'è tutto un filone americano che descrive la grande Albione, spesso in  modo assai artefatto. Ne risulta un Inghilterra singolarmente popolata di imbecilli che passano il loro tempo a prendere il té e a comportarsi come gli inglesi della peggiore letteratura di genere, con qualche improbabile investigatore che... bah.
Inutile approfondire, visto che qui non c'è niente del genere.

L'investigatrice (Flavia de Luce, appunto) è una nobile rampolla di una aristocraticissima famiglia, abita in una meravigliosa e aristocraticissima villa inglese ricolma di gloriose vestigia dei suoi gloriosi antenati e rientra a tutti gli effetti nel ramo degli Aristocratici Inglesi Eccentrici. Siccome anche il resto della famiglia, quanto a eccentricità, non se la passa male, le sue stravaganze vengono accolte con una certa indulgenza.
Flavia e la sua famiglia ragionano da ricchi ed eccentrici aristocratici - una forma mentis tutta particolare, che ogni lettore di narrativa inglese conosce. Il fatto che siano sì assai aristocratici, ma poveri in canna e in una villa che cade a pezzi conferisce loro un ulteriore tocco di aristocratica eccentricità.

Ognuno dei familiari di Flavia ha i suoi tratti eccentrici - lei ad esempio adora la chimica, e coltiva questa passione nel lussuoso laboratorio lasciatole da un suo antenato, provvisto di una meravigliosa attrezzatura un po' datata e di una splendida biblioteca specialistica. La sua camera da letto è senza riscaldamento e la carta da parati si scolla per l'umido delle infiltrazioni - ma questi sono dettagli irrilevanti: il punto è che Flavia ha una grande libertà di movimenti e gode del possesso esclusivo di una delle ali abbandonate della villa - circostanze abbastanza insolite per una dodicenne.

L'epoca è il 1950. La guerra è ormai passata, ma ha lasciato tracce profonde che riaffiorano spesso nei punti più impensati. 
Siamo in inverno e fa un freddo cane, tanto che il romanzo si apre con una bellissima scena in cui Flavia, allagati i pavimenti della sua ala, pattina sulla spessa crosta ghiacciata che ricopre i preziosi pavimenti, con abilità da campionessa.
Natale è alle porte quando la villa viene invasa da una troupe cinematografica che ha lautamente pagato per avere delle ambientazioni aristocratiche e old english per il film che sta producendo. Flavia osserva incuriosita gli estranei - la curiosità e una vivacissima immaginazione sono due tratti dominanti del suo carattere (e del resto non so che avvenire possa esserci per un ricercatore chimico privo dell'una e dell'altra), attacca discorso con la Grande Diva, e nel complesso si diverte molto. 
L'inevitabile parroco di paese ha l'inevitabile idea di sfruttare gli attori per uno spettacolo di beneficenza da svolgere in un salone della villa, e tutto il paese partecipa.
Senonché una grandiosa nevicata isola la villa, costringendo i malcapitati parrocchiani ad accamparsi fortunosamente nel salone in una strana atmosfera da vacanza imprevista. La Vigilia di Natale assume così caratteristiche assai spartane... e qui doverosamente mi fermo, ma essendo questo un romanzo giallo si può almeno vagamente intuire quale altra complicazione sta per entrare in scena oltre alla neve.

Di media lunghezza, il romanzo è adattissimo come regalo di Natale, da fare e da ricevere. E' adatto a qualsiasi età dagli undici anni in su e si legge in due-tre serate, possibilmente accompagnandolo con molte tazze di té e abbondanza di dolcetti.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro un felice Natale e buone feste a chiunque passi da queste parti, e anche a chi non ci passa.

giovedì 21 dicembre 2017

Non sempre le querce danno limoni (e gli angeli non hanno sesso)

Gli alberi di Natale comunque possono portare frutti davvero insoliti.

Riunione di fine Ottobre con le famiglie, dove il coordinatore può anche esprimere qualche considerazione in libertà sulle classi.
"La Terza Amichevole è una classe di bravissimi figlioli" spiego "Più o meno tutti sono almeno in zona sufficienza in tutte le materie, magari con qualche aiuto; e dunque immagino che, salvo grosse sorprese, l'ammissione all'esame e l'esame stesso avverranno tranquillamente. Tuttavia alle superiori potrebbero presentarsi dei problemi, perché gran parte della classe presenta una tendenza di fondo ad ignorare le difficoltà: quando si presenta qualcosa che richiede un certo impegno o sforzo di ragionamento, insomma qualsiasi cosa somigli anche lontanamente a una sfida, buona parte dei ragazzi si siedono e aspettano che il problema passi da solo invece di provarsi a venirne a capo". Brusio.
"Eh, è vero, ce lo dice sin dalla prima".
"Perché dalla prima la situazione non è cambiata. Sospetto che la cosa nasca da una mancanza di autostima: siccome non si ritengono all'altezza di risolvere il problema, i ragazzi si siedono a fare la calza e aspettano che l'insegnante si rassegni. Purtroppo, e soprattutto col programma si terza, l'insegnante molto spesso non può permettersi di passare ad altro se certi procedimenti o concetti non sono chiari. Tenete conto però che i programmi delle medie, nella loro parte essenziale, non contengono niente di cui un ragazzo provvisto di intelligenza medio-bassa non possa venire agevolmente a capo, e i vostri figli sono ben al di là di questo livello; però hanno un rifiuto totale a mettersi in gioco. Provate a spiegargli che la maggior parte delle cose, nella vita, si ottiene dopo un certo impegno e a nessuno riesce mai tutto facile"; poi infilo il solito discorsetto sull'importanza di non stancarsi a ritentare, con tanto di esempio di J.K. Rowling che si era vista rifiutare il primo libro di Harry Potter da un sacco di editori (ci sarebbe anche la storia di Verdi bocciato al conservatorio, ma Rowling è più famosa). Ricamo un po' a sopraggitto sul concetto, con genitori che annuiscono pensierosi...
Alla fine una madre mi chiede se posso indicarle un modo per sviluppare l'autostima - che funzioni per loro, prima ancora che per i figli. E già questa è una richiesta illuminante.
"Temo di non conoscerlo, e se sapessimo come fare l'avremmo già fatto noi, senza venire a incomodarvi. Vi suggerisco solo di tentare, con i fatti prima ancora che con le parole, dimostrandogli di aver fiducia in loro; perché altrimenti molti di loro rischiano di avere delle serie difficoltà qualsiasi tipo di percorso scelgano, anche se vanno a fare un corso della regione per fare il pane. E' un bellissimo lavoro, fare il pane, ma come tutti i lavori presenta le sue difficoltà e nessuno nasce sapendolo fare per ispirazione divina. Non esistono lavori o studi facili, ma esistono lavori fatti male o fatti bene e tutti hanno il loro osso, che va affrontato e risolto".
Del mirabile concetto che ogni lavoro ha il suo osso sono debitrice per l'appunto a una fornaia che, richiesta in un Luglio particolarmente caldo di come facesse a sopportare di star vicino al forno, rispose appunto così, aggiungendo che chi sceglie di lavorare nella panificazione sa sin dall'inizio che il pane si fa nel forno.
Sguardi perplessi, assensi dubbiosi, comunque (al solo scopo di chetarmi, sono più che sicura) alla fine promettono che ci proveranno. E si passa a illustrare il percorso dell'anno, con tanto di uscite, attività e menate varie compreso il progetto di fare un corso sull'affettività: anche perché, durante le abituali lezioni che si fanno in terza sulla riproduzione umana, l'insegnante di Scienze si è accorta che i ragazzi sembrano avere idee particolarmente confuse in materia - anche rispetto al livello di normale ignoranza mostrato usualmente da un tredicenne dei nostri tempi.
Tutti annuiscono soddisfatti, convengono che il problema effettivamente c'è, e che sono molto contenti che la scuola provveda, finché una madre aggiunge "Noi, certo, quando ci fanno delle domande non rispondiamo" e intorno a lei qualcuno annuisce.
In cuor  mio sgrano due occhi grandi come tazze da té.
Noi di certo se ci fanno delle domande non rispondiamo? E che cazzo ci fate, con questi figlioli, li tenete in un cassetto e li lucidate ogni mese come si fa con l'argenteria?
"Beh, magari potreste comprare qualche libretto, ce ne sono di fatti molto bene" mormoro. Ma è chiaro che l'idea di andare in una libreria a chiedere un manuale di educazione sessuale per ragazzi li sconvolge. In effetti anche i ragazzi sono rimasti sconvolti quando hanno scoperto che il Kamasutra è un libro venduto comunemente e dato in porestito dalle biblioteche pubbliche senza dover andare al mercato nero per impossessarsene, e che si inserisce in una tradizione non solo letteraria ma anche informativa che comprende un numero incommensurabile di pubblicazioni (come ho potuto facilmente dimostrare digitando la stringa "libri sul sesso" su Google).
Va bene, lasciamo perdere i libri.
Ma se gli sembra così normale e addirittura scontato "non rispondere" a qualche domanda spinosa (tuttavia, se hanno fatto dei figli, qualche nozione rudimentale sul sesso dovranno pur averla) può essere che non sia un puro caso se la loro prole, davanti a una qualsiasi difficoltà o inciampo, si metta a sedere ignorando il problema con ostinazione davvero degna di miglior causa?
Le querce non danno limoni, sostiene un proverbio, e ce n'è un altro che sostiene che dall'albero puoi riconoscere il seme. In realtà non sempre è vero, ci sono ottimi limoni metaforici nati da querce altrettanto metaforiche - ma è indubbio che una sapiente combinazione di DNA ed educazione possa portare a risultati davvero notevoli.

sabato 16 dicembre 2017

Di letture per maschietti e di letture per femminucce

Natale si avvicina e il computer fa i dispetti

In questi giorni caotici, inciamposi, aggrovigliati e vieppiù complicati ad ogni sorger del sole da nuove mattane delle attrezzature informatiche di casa, Kukuviza, amabile lurker mai finora comparsa su questi schermi e a me sconosciutissima, ma tenutaria di un blog chiamato CineCivetta che si occupa (strano ma vero) in prevalenza di cinema, mi ha insignita con parole davvero lusinghiere del premio Boomstick Award 2017 insieme ad altri sei stimabili blogger a me altrettanto sconosciuti.
Così, invece di correggere le verifiche sull'Inno di Mameli o dare gli ultimi tocchi (le ultime decine di tocchi, intendo) all'albero di Natale e addobbare la casa, mi sono messa a navigare tra i giocattolini nuovi spiluccando qua e là. E quasi subito, nel blog di tale Pennablu ho trovato un post dedicato alla Grande Domanda: Perché gli uomini non leggono?, arricchito per giunta da ben 124 commenti non uno dei quali mi ha convinto. Del resto, anche se molti commentatori sono uomini, fanno parte della categoria di uomini che leggono parecchio, e dunque sono tra i meno adatti a capire il fenomeno.
E son qui che medito, e tanto ho meditato che ci faccio sopra un post - del tutto privo di risposte alla Grande Domanda, peraltro. Ma d'altra parte l'argomento mi sta a cuore non solo come insegnante di Lettere, ma anche come bibliotecaria.
Prima considerazione: nel post vengono esaminate le statistiche italiane degli ultimi anni. Dunque la domanda, formulata più esattamente, sarebbe "Perché al momento le donne italiane leggono molto più degli uomini?". Non so come funziona all'estero. Ad ogni modo io insegno in Italia e anche la piccola biblioteca scolastica che sto costruendo riguarda soprattutto lettori italiani, o lettori stranieri che conoscono bene l'italiano. Magari in Turchia o in Germania le cose sono diversissime, vai a sapere.
Seconda considerazione: per leggere occorre prima di tutto saper leggere. Questa, in Italia, è una conquista piuttosto recente. Guardare le statistiche sull'analfabetismo quando l'Italia era appena nata è un esercizio agghiacciante, soprattutto considerando che i paesi a noi vicini erano decisamente più avanzati sotto questo aspetto.
Il percorso di alfabetizzazione degli italiani è stato lungo e doloroso, e tuttora è ben lungi dall'essere concluso (molti parlano di analfabetismo di ritorno, ma personalmente sospetto che in Italia siamo ancora a quello di andata). Per le donne l'istruzione è arrivata in ritardo rispetto agli uomini: di tendenza se non c'erano soldi per far studiare tutti studiavano solo i maschi e le femmine si fermavano molto prima.
Naturalmente le donne delle classi alte hanno sempre studiato, a partire dal Quattro-Cinquecento, anche se di solito lo facevano a casa (più spesso nel palazzo di famiglia) e più avanti in convento. E ancor più naturalmente ai seminari per preti avevano accesso solo i giovinetti: le giovinette povere, per quanto brave e meritevoli, restavano a sguazzare nella loro ignoranza.
Ma nonostante questo grosso distacco di partenza, oggi le donne leggono molto più degli uomini, in Italia - cosa facilmente verificabile nel più empirico dei modi in tram, in metropolitana, in treno, nei bar o sulle panchine dei giardini pubblici o anche iscrivendosi a un qualsiasi circolo di lettura.
Cosa leggono le donne? 
Secondo la vulgata leggono soprattutto romanzi.
La cosa ha antiche radici: il romanzo, anche nelle sue forme più antiche (ad esempio i monogatari della letteratura hejan del X-XI secolo, di cui sono una delle massime esponenti) è nato per essere letto da donne. Il romanzo come lo conosciamo oggi - una storia borghese destinata a culminare in uno o più matrimoni o unioni stabili, oppure in tragiche morti causate dall'amore, anche se magari parla anche di moltissime altre cose - curiosamente è nato proprio nel momento in cui l'istruzione femminile ha cominciato a diffondersi, verso la fine del Settecento. La cameriera con un romanzo in tasca da leggere nei momenti liberi (da cui Stendhal sperava con ragione di essere letto) è figlia appunto di quella società, e anzi il fatto che le ragazze leggessero tanti romanzi era vista con una certa preoccupazione dagli educatori, che avrebbero preferito vedergli in mano qualche raccolta di sermoni (ma speravano invano). Comunque i romanzi erano letti anche dagli uomini, che del resto in gran parte li scrivevano pure.

In realtà le donne non leggono solo romanzi: leggono anche libri di storia, di letteratura, autobiografie al femminile, biografie varie, testi di psicologia più o meno spicciola e di antropologia, racconti di viaggi. Storie, insomma. E libri di studio legati ai loro corsi universitari, naturalmente - che guarda caso di solito sono a indirizzo storico-letterario.
Quante donne conosciamo che tengono in casa scaffalate di libri sull'evoluzione, la biologia, la composizione dell'atomo e delle stelle, la chimica e la diffusione del suono?
Beh, probabilmente non conosciamo nemmeno tanti uomini che nel tempo libero si istruiscono su questi argomenti, e di solito alle spalle c'è un bel corso di studi su queste affascinanti tematiche e un deciso interesse che si è palesato sin dalla più tenera età.

I 124 commenti sembravano ignorare completamente la questione del genere e dei condizionamenti femminili. A torto o a ragione?
Sta di fatto che, al momento, la lettura sembra "una roba da ragazze". Ma non tutta la lettura: principalmente la narrativa.
Per natura e per convinzione non sono molto portata a credere che gli uomini siano "più concreti", "più fisici" o "più interessati allo sport", e anche la teoria sulle due parti del cervello (con le donne più portate all'empatia e all'immaginazione) mi ha sempre convinto molto poco: senza una tendenza assai spiccata all'empatia e all'immaginazione l'umanità sarebbe ancora nelle caverne a mangiare vermi crudi, e la gran parte della letteratura, anche narrativa, è stata scritta da uomini e promossa da agenti letterari uomini nonché pubblicata da editori uomini e letta da uomini - anche perché per molto tempo sono stati solo gli uomini ad occuparsene, e perfino ai giorni nostri J.K. Rowling ha preferito pubblicare sotto un nome che poteva essere maschile; d'altra parte il condizionamento che spinge le femminucce, fin dalla più tenera età, a concentrarsi sulla sfera affettiva piuttosto che su quella scientifica è talmente forte e permea talmente la nostra cultura che non viene nemmeno notato - ma sappiamo tutti che quando arriva il momento della scelta della scuola superiore le fanciulline volano a stormi verso gli studi umanistici e linguistici mentre i fanciullini prediligono gli studi informatici e meccanici - e a quel punto il destino è già segnato.

E veniamo alla mia piccola biblioteca scolastica. 
Un bel giorno, ai tempi del primo #ioleggoperché, qualcuno scrisse che l'iniziativa era troppo sbilanciata verso la narrativa, ma che molti leggevano anche altre cose
Quell'osservazione dall'apparenza tanto banale mi colpì profondamente, come una totale novità.
Mi feci un severo esame di coscienza, guardai la biblioteca e conclusi che così non andava: ci volevano anche le altre cose, oltre a una ragionata selezione di testi letterari.
Così comincia a cercare le altre cose: testi di divulgazione scientifica, prima di tutto, libri di giochi matematici, biologia, fumetti, nonché quei libri misti a metà tra fumetti e racconti che adesso vanno tanto di moda. Spulciai cataloghi editoriali, spronai i librai della Mostra del Libro, feci lunghi sopralluoghi in libreria, chiesi bibliografie ai colleghi di tutte le materie. Col tempo e la pazienza e i pochi soldi a disposizione ho messo su un rispettabile scaffale scientifico, avviato uno tecnico eccetera eccetera. Sta pure arrivando qualche fumetto e qualche libro disegnato, qualche piccolo testo di economia e stilo regolarmente lunghe liste di desiderata da procurarmi in un modo o nell'altro.
Quel po' che sono riuscita a comprare va via come il pane... ma lo prendono solo i maschi. Le grandi frequentatrici della biblioteca sono soprattutto femmine, che escono regolarmente dalla stanza con tre o quattro libri per volta, fanno il passaparola, commentano e discutono, si consigliano tra loro; ma non ho ancora avuto il piacere di vedere nessuna di loro uscire dalla stanza con un testo delle Brutte Scienze o le vicende romanzate di Einstain e le sue avventure con i quanti. Mai. E non perché li prendano quando c'è l'altra bibliotecaria, perché il programmino che gestisce il prestito mi permette di vedere quando voglio chi ha preso che cosa.

Non dico nulla, si capisce: la biblioteca è un servizio  e il lettore ha sempre ragione, come ogni cliente che si rispetti. Altri insegnanti di Lettere intervengono sulle scelte, io sinceramente preferirei farmi tagliare la lingua. Del resto sono sempre stata una lettrice forte, in teoria onnivora, ma ricordo benissimo che mai e poi mai mi sarebbe passato per l'anticamera del cervello a quell'età di leggere altro che narrativa - e anche dopo, dei pochi libri scientifici che ho letto sono debitrice soprattutto alle amiche e colleghe che avevano fatto studi scientifici. D'altra parte il mio è stato un percorso di studi umanistici, culminato con una bella laurea in storia della letteratura - in latino medievale, d'accordo, ma pur sempre letteratura.
C'è stato un condizionamento su di me?
Pòle essere, ma è stato un condizionamento che ho finito per assorbire con tutte le fibre del mio essere. Beh, diciamo che in ogni caso c'era comunque una certa propensione di base. Almeno credo.

Concludendo: le donne italiane leggono di più, e leggono soprattutto narrativa. D'altra parte tutto intorno a loro (=noi) dichiara che la narrativa è roba da donne, e gli uomini che se ne impicciano troppo sono quantomeno un po' originali - anche se a qualcuno di loro non importa né tanto né poco essere definito originale e legge comunque quel che gli pare senza curarsi di quel che pensano gli altri.
Alla base di tutto questo c'è un condizionamento?
Si accettano ipotesi, casomai qualcuno desiderasse prendersi a cuore la questione.

venerdì 8 dicembre 2017

Stardust - Neil Gaiman

La copertina ha indubbiamente un suo fascino, con quel bel portale chiuso, quasi sigillato dai rampicanti. Peccato che nel libro ci sia sì un portale, e abbia anche una notevole importanza nell'intreccio, ma sia di aspetto completamente diverso.
Il portale è aperto, sempre.
Che si possa varcarlo è tutt'altra questione.

Siamo in un paesello, il solito tranquillo e operoso paesello inglese di campagna di metà Ottocento. Il paese si chiama Wall, ed è caratterizzato da un grande muro che ha una sola apertura, dalla quale si intravede un grande prato verde, poi un ruscello, poi degli alberi.
Davanti al varco ci sono, sempre, due guardiani. I maschi adulti del paese fanno i turni e sorvegliano l'entrata giorno e notte. Solo una volta ogni nove anni non ci sono guardiani, e il paese può partecipare alla grande fiera che si tiene di là dal muro.
Il varco è un portale che si apre su Faerie, il mondo incantato. Per i comuni mortali è pericoloso entrarvi, salvo quell'unico giorno ogni nove anni - e anche quell'unico giorno, quando il paese di Wall è invaso da mercanti decisamente insoliti che vengono ospitati un po' da tutti gli abitanti, entrarci può avere le sue conseguenze.
Così avviene che Dunstan, un giovane senza particolari fantasie per la testa (o forse sì?) abbia un avventura con una bella ragazza bruna incatenata con una catena all'apparenza d'argento ma fatta in realtà di tutt'altro, prigioniera di una vecchia strega. E che nove mesi dopo quell'avventura, quando ormai il ragazzo ha sposato una rispettabilissima fanciulla del villaggio, davanti al muro appaia una cesta con un neonato che è suo figlio Tristran.
La rispettabilissima moglie di Dunstan cresce Tristran come se fosse suo e al bambino non viene detto niente sulle sue origini. Qualche occasionali crisi di  inquietudine passa senza lasciargli troppe domande.
Il giorno della sua prima fiera, quando ha otto anni e poco più, viene mandato in visita da lontani parenti e non varca il muro. Ma quando, a diciassette anni, promette alla ragazza di cui è innamorato di portarle una stella appena caduta dal cielo, suo padre lo accompagna al muro e i guardiani lo fanno passare senza far storie.
Tristran entra così a Faerie senza sapere di stare in realtà tornando a casa, solo consapevole che si tratta di un mondo strano. Naturalmente lo aspetta una partita assai complessa dove unicorni, alberi incantati e preveggenti, streghe pericolosissime e trasformazioni di tutti i tipi lo aspettano - per tacere della stella, che sarà facilissimo trovare ma molto più complicato mantenere in buono stato. Ma il vero incanto del libro non è solo la bella e complessa favola che vivrà, con tutto il suo corollario di avventure e relativo percorso di formazione: una volta tanto abbiamo una vera descrizione di Faerie, che finalmente si rivela un posto dove i vari abitanti non si limitano a organizzare feste magiche per fregare il malcapitato mortale di turno, ma vivono la loro vita e financo la loro morte secondo leggi talvolta simili e talvolta opposte a quelle che regolano il nostro mondo, e comprendiamo la malinconia e lo struggimento di chi l'ha visto e come sia difficile tornare indietro.
Del resto, non sempre è necessario tornare indietro.

Consigliato a tutti gli amanti del genere e anche a a quelli che, finita la prima lettura del Signore degli Anelli, cercano "qualcosa di simile". Non è affatto simile ma, come dire, c'è un sottofondo della stessa sostanza.
Ne hanno tratto un film, ma dice che è abbastanza diverso.

Con questo post in un certo senso vagamente natalizio partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, con i soliti e doverosi auguri di buone letture a tutti ma ben consapevole che questo lungo fine settimana sarà dedicato soprattutto ad alberi, decorazioni, acquisti & affini - tranne da chi, come me, ha un gentile raffreddore che lo tiene a letto con un buon libro.

martedì 5 dicembre 2017

Io e l'Islam (post a bassissimo contenuto religioso)

Studiosi islamici al lavoro nell'osservatorio di Taqi-al-din
Premetto che, da brava medievista, sono cresciuta nella convinzione che l'astronomia islamica, la scienza islamica, la medicina islamica, la storiorgafia islamica, l'architettura  islamica eccetera eccetera eccetera fossero assolutamente superiori alle loro controparti occidentali nell'alto medievo - anche se dopo il Mille almeno per quel che riguarda l'architettura ricominciammo a farci valere pure noi. Non è questione di esterofilia o campanilismo alla rovescia, l'è proprio un dato di fatto e non c'è nulla da fare se non ingoiare dignitosamente il rospo: in occidente eravamo molto ma molto inferiori, per quanto indubbiamente ricchi di numerosissime potenzialità (all'epoca a uno stato  di sviluppo ancora assai embrionale).
Detto questo, la religione islamica non mi ha mai particolarmente entusiasmato, e nemmeno quella cristiana e neppure quella ebraica: massimo rispetto per chi le pratica, si capisce, ma proprio non è pane per i miei denti. Leggo più volentieri la Bibbia del Corano, ma credo sia solo una questione narrativa: nel Corano si salta sempre di palo in frasca, nella Bibbia c'è un certo filo conduttore.
Quando ho cominciato a insegnare tuttavia si stava già profilando all'orizzonte lo spettro del Conflitto di Civiltà - altro argomento che mi ha sempre lasciato molto freddina, perché comunque vada ammazzare la gente senza un perché non mi è mai sembrato sintomo di soverchia civiltà, chiunque lo faccia.
E ho molto deprecato entrambe le ultime due guerre del Golfo, anche per l'immane casino che evidentemente si sarebbero (e si sono) portate dietro - e perché sentir parlare di Guerra Giusta mi ha sempre provocato una certa orticaria: in cuor mio l'unica guerra giustificabile è quella che fai per difenderti se ti attaccano, tutto il resto è solo ciarpame da propaganda.
E ho fatto pure una tesi che riguardava indirettamente le Crociate e dunque so un sacco di cose sull'argomento, soprattutto da parte cristiana (ma non mi sono mai sentita molto in colpa per le Crociate, perché a parte la prima le abbiamo perse tutte, e giustamente, perché erano preparate molto male e condotte peggio).

Ben presto mi ritrovai con i primi alunni islamici in classe.
Come regolarmi con loro in un pazzo mondo che pretende che siano tutti terroristi in erba, o almeno in nuce?
La scuola è una piccola isola tranquilla, in generale. Non importa se il tuo insegnante è cattolico praticante o buddista o agnostico, di solito per lui sei soltanto un alunno, giovine creatura implume da badare con gran cura anche se a volte un pochino esasperante.
Se poi sei una giovane creatura implume lontano da casa, con genitori che parlano una lingua diversa e che affrontano un sacco di problemi perché sono stranieri, di tendenza diventiamo ancor più protettivi. La maggior parte di noi, almeno  - anche se ricordo un paio di discorsi abbastanza spiacevoli a due consigli di classe quando lavoravo a Firenze.
St. Mary Mead sotto questo aspetto ha le carte in regola: è un paese molto chiesino ma anche a vocazione piuttosto assistenziale. Poi, in cuor suo, ognuno penserà quel che crede.
Tuttavia anche lì, nel pieno della Terza Effervescente, un alunno di famiglia islamica assai praticante all'esame scrisse un tema che ci fece molto male, raccontando come suo padre (che era lì da più di vent'anni) si sentisse trattare da "diverso" e quindi non mandasse il figlio ai compleanni degli amici (e il figlio dovette infilare per anni le più varie scuse ai compagni, che probabilmente alla fine facevano solo finta di crederci, ma che l'hanno sempre trattato con molto affetto e stima). Gli insegnanti indigeni meditarono in cuor loro e conclusero che, forse, era stata più una impressione del padre che una vera emarginazione, ma vai a sapere? Comunque, se quel tema fece male a noi, figurarsi a chi lo aveva scritto!
Ma credo che le scuole di St. Mary Mead fossero comunque assai innocenti,  la materna come le elementari e le medie.

Quando arriva il capitolo sulla nascita dell'islam, in prima media (sempre condotto sulla scorta di libri assai politically correct, per quanto schifo possano fare in tutti gli altri capitoli) attacco la mia solita sviolinata su quanto era ganzo l'islam, e la cultura islamica, e la scienza islamica eccetera eccetera, e sviolino senza risparmio. Più musulmani ci sono in classe, e più sviolino. E sull'islam li interrogo regolarmente, di solito con eccellenti risultati e ogni volta imparando qualcosa di nuovo.
Capita mai che trovo l'alunno proveniente da un paese islamico ma che dell'islam se ne frega alla grande?
Ebbene sì, ho trovato anche quelli. Nel qual caso sorvolo garbatamente sull'interrogazione venuta male e do una smorzata alle sviolinate.
Di solito però i ragazzi apprezzano. L'autore del tema amareggiato, quando la Terza Effervescente era ancora una Prima (ma già molto Effervescente), ci portò addirittura un Corano (sempre belli da guardare, i Corani, con quella magnifica scrittura dove potrebbe esserci scritto qualsiasi cosa) e ci lesse qualche versetto per poi tradurcelo. E tutti gli facemmo gran festa e ce lo facemmo girare di mano in mano, esattamente come quando altri stranieri ci portano le monete del loro paese e ci descrivono le ricette tipiche.

Quest'anno, nella Prima dove faccio storia, ho ben quattro islamici praticanti, che ci hanno spiegato perché il maiale è impuro e un sacco di altre belle cose - mi sono anche fatta una cultura sul Ramadan e sul fatto che i ragazzi possono farlo (possono, non devono) farlo, pare addirittura dagli otto anni in su, e sugli allenatori delle squadre di calcio che hanno assai cenciato quelli che ci provavano perché all'allenamento, comprensibilmente, nei giorni di digiuno quelli non combinavano niente. Pare che decidano le famiglie se permettere o no ai figli di fare il Ramadan precoce, ma per quel che ho capito dette famiglie non ostacolano il primo tentativo e ancor meno ostacolano il ravvedimento finale, che di solito arriva nel giro di due o tre giorni - che credo sia la politica che la gran parte dei genitori di ogni latitudine adottano quando il figlio si prende qualche fissazione.

Quando arriva la Terza e di islam si comincia, ahimé, a parlare in termini di terrorismo, di solito è tutta una gara a screditare le teorie che vogliono che la colpa del terrorismo sia nei precetti dell'islam (l'idea del compagno di calcio e di classe che in segreto trama oscuri attentati risulta improponibile un po' a tutti); quando si presenta il caso - e, purtroppo, prima o poi si presenta - il mio personale contributo consiste nel ricordare che quando studiavo alle superiori, alla fine degli anni 70, circolava la teoria che le religioni indiane e l'islam erano troppo passive e non incoraggiavano lo spirito d'iniziativa, e per questo India e paesi arabi erano ancora poveri (giuro che questa teoria c'era, anche se non spiegava come quei popoli tanto tanto passivi fossero riusciti a costruirsi imperi così imponenti da arrivare perfino ad assediare Vienna, e tantomeno dava ragione dei massacri che i passivissimi indiani hanno fatto tante volte tra loro).
La mia vera teoria, che mi guardo bene dall'esprimere davanti a un pubblico di alunni o di praticanti di qualsivoglia religione, colleghi inclusi*, è che le religioni sono come il caucciù e come le tiri stanno - o, a scelta, ci trovi quel che ci vuoi trovare a seconda del momento, e figurarsi se una mi sembra migliore dell'altra - con una possibile eccezione per quella degli indiani d'America (che comunque non conosco a fondo) anche se all'occorrenza un buon mistico che non sia guerrafondaio lo leggo sempre volentieri, che sia sufi, camaldolese, zen o altro, e sempre con un certo profitto spirituale**.

In conclusione: a volte basta poco per fare bella figura ed essere assai inclusivi e multiculturali; e gli insegnanti, per quel che vedo dal mio angoletto, fanno la loro parte con tanta buona volontà non scevra da qualche risultato.
Certo, i risultati sarebbero più duraturi se fuori dalla scuola il mondo non fosse pieno zeppo di pazzi invasati e di cretini in completa libertà. Ma io faccio la mia parte, e di più non posso fare.
Verranno tempi migliori, si spera.

*Come ho già detto, St.Mary Mead è un paese molto chiesino, e proprio i colleghi più chiesini mi hanno amorevolmente assistito con atti, parole (e suppongo anche pensieri) durante la mia cruda malattia, conquistandosi la mia eterna riconoscenza
**sì, può sembrare una contraddizione. Magari lo è davvero. E chi se ne frega?