Il mio blog preferito

giovedì 20 gennaio 2011

Prof, il suo gufo mi guarda male!


Quella a sinistra è la mia borsa, comprata a un mercatino rionale per 25 euro. Quella a destra è una sciccosissima borsa di Braccialini che di euro, quando è uscita, ne costava più di 900.
Ammetto di essere stata colpita senz'altro dalla prima e di aver ignorato del tutto l'esistenza della seconda - ma se anche ne fossi stata a conoscenza, una borsa da 900 euro è sempre stata decisamente al di fuori della mia portata oltre che dei miei desideri.
Ad ogni modo la scorsa primavera rimasi colpita da quel grande gufo con occhi in plastica dorata, e anche se la borsa è un po' ingombrante oltre che molto ridotta come capienza decisi di prenderla.
Passata l'estate, ai primi di Novembre la elessi come Borsa Autunnale e da allora una quantità immane di persone mi chiede se è di Braccialini (tanto che la tentazione di rispondere "Ma saranno cazzi miei?" si va facendo sempre più irresistibile). I miei scolari in verità non l'hanno chiesto: alcuni di loro amano le griffe, ma tra queste non rientra Braccialini, che lavora per un mercato decisamente adulto. Hanno però mostrato un grande entusiasmo per la borsa quando l'hanno vista mentre entravo a scuola il primo giorno che la indossavo*, palpandola variamente e facendomi un sacco di complimenti.
Molto compiaciuta ho raggiunto la Sala Professori e, come ogni mattina, ho preparato la borsa di tela cerata decorata a gatti che uso dentro la scuola. Non mi piace portarmi dietro la borsa in classe, anche e soprattutto perché la dimentico regolarmente.
Stavolta però, arrivata in Terza, sono stata severamente redarguita.
"Dov'è la borsa a gufo?"
"Ehm, in Sala Professori".
"E perché non l'ha portata in classe?"
"Ma io non porto mai la borsa in classe!"
"E invece doveva!".
Farfuglio una frase di scusa e attacco la lezione. Ma la mattina dopo, naturalmente, mi rassegno al mio destino e, imprecando contro la ria sorte, entro in classe con la borsa a gufo - e siccome nella borsa a gufo è già tanto se riesco a infilare le chiavi, il borsellino e altri due o tre oggetti di prima necessità, devo anche cammellarmi la consueta borsa di tela cerata a gatti.
Arrivo in classe e poggio la borsa sulla cattedra, in bella evidenza. Le ragazze squittiscono, i ragazzi guardano con curiosità, qualcuno si alza per palpare. Solo Distratta mi guarda male.
"Prof, perché l'ha portata in classe?"
"Ehm. Mi è stato chiesto. Non ti piace?"
"Mi fa paura. E' inquietante."
"Mi dispiace. Ma è solo per oggi, non la porterò più in classe" prometto, ben lieta di attaccarmi alla prima scusa. Che poi non è nemmeno una scusa: mica vorrete che spaventi le mie amate allieve?

Così il giorno dopo ritorno alla consueta trafila e salgo in classe con la sola borsa-da-scuola.
"Prof, oggi non ha la borsa a gufo?".
"Mi è stato chiesto di non portarla più. Vorreste gentilmente tirare fuori il libro di storia, invece di occuparvi dei miei accessori?".
Da allora, commenti e complimenti sulla borsa a gufo sono stati rigorosamente limitati al momento del mio ingresso a scuola, quando entro alla prima ora.

*ammettiamolo: per non notare quella borsa si deve essere come minimo ciechi

venerdì 14 gennaio 2011

Che cesso di governo!

Seduta del Consiglio di Gabinetto

Sono nella Seconda dei Domandieri e sto parlando di Luigi XIV, giovane frivolo e spensierato che, dopo la morte di Mazarino, quando gli chiedono da chi dovranno prendere per la gestione della Francia risponde serenamente "Da me".
Siamo alla quinta ora, la classe è stanca, non ha seguito bene. Mi chiedono di ripetere.
Racconto di nuovo. "E quando vennero a chiedergli chi avrebbe gestito da quel momento in poi le attività del gabinetto rispose...".
Vedo una serie di occhi sgranati e sbalorditi. "Quando gli chiesero cosa?"
"Quando gli chiesero chi avrebbe diretto gli affari del gabi..." finalmente realizzo qual è il problema (è la quinta ora anche per me, e oggi Mina Vagante ha reso la lezione davvero stressante).
"Gabinetto, dal francese cabinet, piccola stanza, salottino. E' il consiglio dei ministri, il governo, l'esecutivo. Non l'avete mai sentito dire?".
No, non l'hanno mai sentito dire.
Ripensandoci, non è affatto strano. E' un'espressione da storici e da giuristi.
"Il Gabinetto dell'Esecutivo è il consiglio dei ministri. Si dice ancora oggi" spiego. Ma, in effetti, non si dice molto spesso. Anni fa c'era una pubblicità di articoli da bagno che giocava su questa parola, ma è stato ben prima che loro nascessero: nella pubblicità c'erano le sagome di Craxi e Andreotti, tra gli altri.
Così gli spiego che c'è il Capo di Gabinetto, il Gabinetto dei Ministri (che non è un bagno a Palazzo Chigi) e perfino la Segreteria Intima di Gabinetto, che era il consiglio dei ministri dei Lorena nel Settecento; oltre, s'intende, al gabinetto da toeletta che era dove le signore si truccavano e ingioiellavano (e anche i signori, ripensandoci).
La classe ci ride un po' sopra, poi si ritorna a parlare di Mazzarino, mentre Mina Vagante riprende a imperversare.

In serata racconto la storia ad un'amica, che insegna anche lei alle medie.
"Eh sì" commenta "C'è sempre questo discrimine: prima non sanno e poi sanno, e il momento in cui lo imparano per loro è un po' uno choc culturale".
"Ma io non mi ci ero mai trovata in dieci anni" ribatto "Probabilmente ho sempre dato per scontato che lo sapessero, visto che io lo so".
Dieci anni di insegnamento, e non gli ho mai spiegato cos'è una segreteria di gabinetto. Forse, perché spesso ho ereditato classi di altri, in terza.
"La questione si pone nel Sei-Settecento" mi spiega l'amica "Verso la metà della Seconda".
In effetti romani e greci non avevano segreterie di gabinetto. Nemmeno i comuni, a ben guardare. E, forse, a volte la fatidica parola non viene mai pronunciata in classe.

Questa storia ha anche un seguito. Perché la mia amica linguista, ovviamente, ha cominciato a domandarsi da dove veniva la parola "cesso".
"Verrà da recedo" azzardo "Ma adesso provo a cercare". Non ho sottomano il LEI (Lessico Etimologico Italiano, in svariati volumi) ma ho Google, dove digito "Cesso etimologia". Scopro così che in realtà la parola viene da "secedo", nel senso di "ritirarsi", il che spiega la forma francese poi passata in italiano come "ritirata".
Tutto ciò, scopro scorrendo altri risultati, l'ha già scritto anni fa un blogger in cui non mi ero mai imbattuta ma che era stato una delle mie prime conoscenze di rete, che ormai da tempo immemorabile avevo perso di vista e che scrive con uno pseudonimo piuttosto trasparente per chi lo conosce.
Non sapevo tenesse un blog, ma se l'avessi saputo e avessi voluto cercarlo, mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente di arrivarci attraverso una ricerca sull'etimologia della parola "cesso".
E questo la dice lunga su quanto sia fragile il nostro anonimato in rete, e con quanta facilità da un momento all'altro possiamo scoprire che occhi conosciuti ci stanno spiando.
Spiega anche, credo, l'arrivo di imprevisti visitatori sulla scorta di stringhe di ricerca del tutto imprevedibili e aliene dai consueti contenuti nei nostri blog che talvolta scatenano grande curiosità a meraviglia nel tenutario del blog quando le legge.
(No, io no. Ho scelto sin dall'inizio di non informarmi su chi passa di qui e perché. Non amo dedicare il mio tempo a domande di cui non posso avere la risposta e a cui forse è bene non avere la risposta...)

domenica 9 gennaio 2011

Questo Post E' Dedicato Al Ministro Gelmini


Il ministero Gelmini si sta avviando a compiere il suo terzo anniversario da ministro e ci sono buone probabilità che ne compia almeno un quarto.
Sulla gestione Gelmini dell'Istruzione Non Più Pubblica i giudizi sono controversi: da una parte ci sono lei e il governo che dichiarano con serena consapevolezza di aver svolto un lavoro eccellente, dall'altra svariate entità sovversive montate dalla Propaganda Comunista sostengono che il giudizio complessivo sulla sua gestione non sia invece del tutto positivo.
Volendo tentare un'analisi imparziale, occorre prima di tutto dare atto al ministro che, dopo avere solennemente promesso dei rigorosi tagli all'Istruzione, ebbene, i tagli li ha effettivamente eseguiti. Non solo ha tagliato il personale della scuola (insegnanti e ATA), non solo ha ridotto il numero di insegnanti necessari per una classe (soprattutto alle elementari), non solo ha ridotto il numero di classi e il tempo-scuola degli alunni ma, validamente aiutata dal governo, ha tagliato i finanziamenti in modo equo ma deciso non alle sole scuole ma anche ai comuni che, per quanto riguarda la scuola, si occupano degli edifici e non solo.
E' vero che c'è chi sostiene che, senza Tremonti e il suo staff che le facevano le tabelle, il ministro Gelmini in questione non sarebbe stato capace neanche di tagliare via il cartellino del prezzo da un paio di mutande, e vi sono anche taluni che ritengono che tali tagli siano stati fatti un tantino alla cazzo di cane; ma non c'è dubbio che ogni elettore dovrà convenire che il ministro e il governo tutto hanno pienamente mantenuto le loro promesse in questo campo.

Altre cose sono state mantenute senza essere promesse, talvolta senza nemmeno il vantaggio di avere alleggerito la pressione sull'erario: ad esempio il passaggio dai giudizi ai voti, avvenuto in modo forse un pochino affrettato, e la questione del voto di condotta, introdotto in maniera da alcuni giudicata leggermente confusa. Taluno aggiunge a questa categoria anche il taglio del numero di ore riservate a certe materie cui non è corrisposto un parallelo taglio dei programmi da svolgere, e qualcuno ha anche osservato a tal riguardo che ciò aveva finito col creare forse qualche difficoltà con i nuovi libri di testo, stampati un pochino a tastoni.
C'è perfino chi, nella sua maniacale ricerca del pelo nell'uovo, ha sostenuto che un cambio implicito dei programmi obblighi gli insegnanti a nuove adozioni di libri contraddicendo altre normative in merito all'adozione dei libri emanate dallo stesso Ministero - ma non sembra il caso di addentrarsi in tali questioni di lana caprina.*

Vi è poi un terzo gruppo di promesse, quelle il cui mantenimento non sembra presentarsi con certezza a tempi brevi: tra queste volevo soffermarmi sulle due che a suo tempo hanno fatto più parlare, ovvero il Reclutamento Degli Insegnanti e gli Incentivi Per Gli Insegnanti Meritevoli.
Per quanto riguarda il primo punto, sin dall'inizio il Ministro ha messo all'opera gran copia di cervelli** che hanno portato a termine un Grandioso Progetto di Reclutamento che avrebbe dovuto partire da quest'anno, ma di cui si sono perse le tracce verso Settembre.
Venendo agli incentivi, sempre sin dall'inizio il Ministro spiegò che lo stipendio degli insegnanti era basso e che gli insegnanti erano troppi, proponendosi di ridurre il numero dei suddetti e di incentivare tra i superstiti gli Insegnanti Meritevoli con adeguati aumenti retribuzione.
Come detto più sopra, la parte relativa alla riduzione del numero degli insegnanti è stata portata a termine in modo rapido, ma di incentivi non si è vista traccia anche se sono stati ripetutamente promessi con regolare cadenza.
Infatti, per Incentivare il Merito occorre valutarlo, questo Merito. La questione è stata a lungo discussa fino ad arrivare ad un vago progetto in cui vagamente si accennava che ogni scuola in un campione selezionato per città dovesse stabilire in via sperimentale il Merito Degli Insegnanti in base a criteri non meglio definiti, chiedendo l'opinione di Dirigenti Scolastici, insegnanti, genitori, alunni, personale non docente, eventuali passanti e, all'occorrenza, anche dei gatti che transitavano nei dintorni della scuola.
Tale progetto, corre voce che non abbia incontrato un grandissimo entusiasmo da parte dei vari collegi docenti, tanto che si mormora che tali collegi abbiano risposto al Ministero, in sede di delibera, per lo più con varianti scritte del Gesto dell'Ombrello. E' dunque possibile che anche per quest'anno i Docenti Meritevoli siano costretti a restarsene ignorati nel loro cantuccio, senza peraltro che il Ministero si sia granché occupato della questione - anche perché, corre voce, per incentivare qualcuno occorrono soldi, un'entità, questa. con cui il Ministero dell'Istruzione Non Più Pubblica non ha avuto grande dimestichezza durante la gestione Gelmini.

L'anno solare è appena iniziato, ma l'anno scolastico si avvia ormai verso la mezza età. Tutti noi che lavoriamo nel campo dell'Istruzione Non Più Pubblica sappiamo ormai per esperienza come il Ministro Gelmini sia sempre pronto a sorprenderci con pirotecnici effetti speciali dell'ultimo momento - ed è quindi possibile che il 1 Febbraio arrivino nuove indicazioni per i lavori di chiusura del quadrimestre e financo del trimestre e il 5 Settembre vengano emanate nuove regole per l'assegnazione degli incarichi annuali - ma l'impressione generale è che ormai da tempo, a parte qualche occasionale guizzo di fiamma***, nel Ministero dell'Istruzione Non Più Pubblica si dorma un sonno profondo (che, si spera, non genererà mostri peggiori di quelli nati durante la sua veglia) mentre il Ministro è assai preso da questioni legate alla gestione del suo partito****, in cui pare destinato a ricoprire una posizione di spicco.

*il pelo, in questo caso, sarebbe probabilmente di cachemire - un tipo di lana da qualche tempo particolarmente invisa all'attuale Presidente del Consiglio, non si sa perché
**uno di questi cervelli ha talvolta riferito in merito nel suo blog
***guizzi peraltro non riservati ad avvenimenti secondari come eventuali commemorazioni del 150° anniversario dell'unità d'Italia
****Al momento ancora noto come PDL, ovvero Partito delle Libertà, ma in fase di trasformazione profonda, si dice.

venerdì 7 gennaio 2011

Scripta manent - 2: Sulle tracce dei colleghi


L'ormone, è risaputo, è la tracciona di un piedone - così come gli orrmini sono le traccine dei piedini.

La gita di fine anno: tanto attesa, tanto desiderata e passata in un soffio. Quali ricordi conservi di questo viaggio? Si sono realizzate le aspettative della vigilia? Che cosa hai imparato di te, degli altri, dei luoghi visitati? Come valuti queste esperienze?

Questa è una delle tre tracce che i miei baronetti inglesi di St. Mary Mead si trovarono davanti la mattina dello scritto d'italiano dell'esame di licenza media. Le altre due erano redatte in toni analoghi.
Tale terna, devo aggiungere, non era frutto del delirio estemporaneo di un singolo, ma del lavoro collegiale dell'intero plesso di Crifosso. Tanto per dare un'idea dello stile delle mie tracce, quella che gli avevo dato a suo tempo sulla gita era Aspetti educativi, culturali, sociali e organolettici della recente gita scolastica.
Naturalmente mi era stato chiesto cosa voleva dire "organolettico".
"Organolettico è ciò che viene percepito con i sensi' avevo spiegato "E siccome tutto lo percepiamo con i sensi, sta a significare che potete parlare della gita sotto qualsiasi aspetto". Per i giovinetti di un tranquillo paesino di provincia, avevo scoperto, la gita di più giorni a fine medie era un evento epocale che assumeva toni da rito iniziatico di passaggio, e volevo che si sentissero liberi di affrontare l'argomento come meglio gli pareva.

I baronetti sotto esame non si fecero smontare dalla farraginosa terna. Com'era loro caratteristica, puntarono all'essenziale: tutta quella sbrodolata era un tema sulla gita di fine anno, e dunque chi lo fece parlò della gita di fine anno - esattamente come, nei loro panni, avrei fatto io tre decenni prima.
Nel gruppo dei temi sulla gita, quello di Armageddon riusciva a trasmettere in maniera eccellente l'entusiasmo e il piacere con cui era stato vissuto il loro rito di passaggio collettivo, grazie anche a una scrittura scorrevole ed espressiva. Siccome non di solo pane vive l'insegnante, ma anche di gratificazioni, a correzione finita passai il tema a una delle colleghe di St.Mary Mead che, al contrario di me, aveva organizzato e partecipato alla gita in questione - una ragazza simpatica e gentile, dotata di grande senso pratico, o così l'avevo sempre giudicata nei due anni in cui l'avevo frequentata
"Guarda che racconto carino ha fatto Armageddon della vostra gita".
Lei mi fraintese e pensò che desiderassi un parere sul voto da mettere al tema, oppure che volessi mostrarle un uovo particolarmente pregiato della covata (beh, di sicuro era un buon uovo. Non un capolavoro, magari, ma era un uovo con eccellenti proprietà organolettiche: Armageddon scriveva bene). Così mi restituì il tema dopo averlo letto spiegandomi con delicatezza che a lei non sembrava poi questa gran cosa. Non seguiva la traccia: non spiegava cosa aveva imparato di sé e degli altri, non valutava l'esperienza né descriveva le aspettative della vigilia...

Mi cascarono gli occhi in mano e dovetti fare del mio meglio per rimetterli al loro posto senza farmi troppo notare, rassicurando nel contempo la collega sui motivi che mi avevano spinto a farle leggere il tema.
In seguito rilessi con calma la traccia; ma più la leggevo e più mi sembrava un delirio.
Secondo i Tracciatori la creatura sotto esame avrebbe dovuto
1) descrivere nei dettagli il suo stato d'animo e le sue aspettative* nei confronti del Gran Rito, essendo certo abituato a compiere ogni giorno lunghe opere di autoanalisi (si sa che tutti i tredicenni dedicano almeno un'ora al giorno all'autoanalisi. Del resto lo facevamo anche noi, a tredici anni) e soprattutto a mettere in piazza i suoi più intimi sentimenti con grande nonchalance (ed è ben risaputo che ogni tredicenne ama mettere in piazza i suoi sentimenti, specie se maschio. Anche noi alla loro età non mancavamo mai, ogni mattina, di scriverli su grossi striscioni che avevamo cura di portarci dietro ben dispiegati durante la giornata)
2) concordare che la gita di tre giorni era passata in un soffio (mica detto)
3) stabilire se le aspettative così ben definite e codificate si fossero realizzate (del tutto, in buona parte o nemmeno un po'**)
4) raccontare cosa aveva imparato di sé e degli altri (dopo averlo appieno realizzato grazie al minuzioso procedimento di auto ed eteroanalisi di cui sopra) mettendo in piazza pure quello***
5) infine valutare come questo avvenimento, svoltosi poche settimane prima, avesse inciso sulla sua vita, il suo rapporto con gli altri e la sua weltanschauung****, magari infilandoci, già che c'era, qualche saggia considerazione sulle gioie effimere della vita e la giovinezza che presto sfiorisce.
A ben guardare, comunque, una considerazione finale Armageddon ce l'aveva messa: che quando si aveva l'occasione di stare con gli amici era bene non farsela scappare. Magari non era una riflessione di quelle che sconvolgono la storia del mondo, ma a me sembrava valida - e poi nessuno è obbligato a sfornare sempre e soltanto pensieri profondi, mi sembra.

Per la prima volta nei miei lunghi anni di vita mi trovai a considerare che chi dava quelle belle tracce lunghe e paludate non lo faceva solo per abitudine e per avvisare l'alunno di non allargarsi troppo con le confidenze, ma pretendeva che quegli sproloqui venissero seguiti punto per punto. Il consueto criterio di valutazione di "aderenza alla traccia" (dove tutti con me hanno sempre preso almeno la sufficienza, con l'unica patologica eccezione di Calimero) aveva, per alcuni, la sua importanza.
Il concetto base sarebbe che c'è un determinato tema da svolgere, e chi si avvicina di più a come l'insegnante ha deciso che deve essere svolto vince il voto più alto.
Come principio, è esattamente all'opposto della mia teoria che "il tema è dentro di te. Io non so com'è, devi saperlo tu".

Ora, io non voglio pretendere di avere ragione per forza. So però che non solo oggi, ma anche trent'anni e passa fa, una traccia costruita in modo pesante viene in gran parte ignorata dagli allievi, vuoi che le istruzioni troppo minuziose li annoino, vuoi che - come avveniva senz'altro nel mio caso - riconoscano il tentativo di manipolazione e lo blocchino ignorandolo. Tanto per andare nel caso specifico: dove sta scritto che un alunno debba aspettare con ansia la gita, che abbia particolari aspettative in proposito e che la gita sia passata in un soffio?

* e mettiamo che queste aspettative fossero "trombare con Giovanna"
** "No, non abbiamo davvero trombato, però abbiamo fatto diverse cose che ci somigliavano"
*** "ho imparato che Giovanni è un grandissimo stronzo"
**** "Comunque forse è stato meglio non trombare sul serio, perché nessuno dei due aveva uno straccio di preservativo"

martedì 4 gennaio 2011

Scripta manent - 1: Al cor gentil rempaira sempre 'l drago


Essendo una dama giapponese di raffinata cultura, i miei temi erano all'incirca così

Quando andavo a scuola mi piaceva un sacco fare i temi. Non importava che i titoli fossero belli o brutti, ero comunque in grado di venirne a capo con facilità. Le cose da dire si affollavano gioiosamente nella mia giovane testolina e spesso l'unico problema era scegliere quale traccia mi interessava di più fare. Quando mi sembrava di avere sviluppato un'adeguata quantità di argomenti chiudevo il discorso e cominciavo a copiare - anche se "copiare" era un termine piuttosto improprio perché, sin dalle prime frasi, mi veniva in mente un modo diverso di impostare la questione. Così scrivevo un secondo tema, che aveva solo occasionali rapporti col primo e ne era in realtà l'evoluzione. Cercavo di fare economia con le parole: mia madre mi aveva accennato una volta che la lunghezza giusta per un tema secondo lei era tre colonne, e non so perché* a questo principio mi uniformai sempre con attenzione. In realtà spesso sconfinavo nella quarta colonna, ma molto raramente ho chiesto il secondo foglio. Insomma, evitavo di allungare il brodo.
I risultati sono stati spesso ritenuti eccellenti, e sempre più che accettabili. Mi veniva dato un buon voto e assai raramente c'erano correzioni: non lasciavo periodi in sospeso, non sbagliavo i congiuntivi e la mia ortografia era impeccabile. Mentre scrivevo, soprattutto alle superiori, scambiavo impressioni e idee con i compagni, scorrevo i loro temi e qualche volta, dietro richiesta, li correggevo. Lo scambio di idee non era ostacolato dagli insegnanti (non lo fu nemmeno durante il tema della maturità). Insomma, vivevo il tema come un percorso e un momento di scambio e mi divertivo.
Se mi capitava sott'occhio qualche temario rabbrividivo di sdegno per l'immane quantità di luoghi comuni che conteneva. Mai mi sarei abbassata a usarne uno perché quello che veniva in mente a me era assai più interessante. Quando vedevo nei libri di testo i suggerimenti su "come fare un tema" rabbrividivo ancor di più, perché mi sembravano sbagliati da cima a fondo: non esisteva "un modo di fare il tema", il tema era dentro di te e dovevi tirarlo fuori con un lavoro di scavo.

Insegnando mi accorsi che questo gioioso procedimento introspettivo - su cui nessuno era mai intervenuto perché comunque i miei temi andavano bene così com'erano e cavallo che vince non si cambia - era completamente ignoto al grosso pubblico, docenti compresi. Qualche vago segnale sull'arte di costruire un tema mi era arrivato nel corso degli anni, ma l'avevo sempre preso come una stravaganza di alcuni insegnanti maniacalmente fissati nel dare caterve di regole per fare qualsiasi cosa.
Di fatto, alcuni insegnanti non danno regole, altri ne danno una quantità immane, e ognuno ha le sue. Inoltre c'è una quantità notevole di insegnanti che ha un rapporto non proprio eccellente con la parola scritta - che per un insegnante di italiano, se vogliamo, è un limite.
Il procedimento con cui ci si esprime attraverso la parola scritta è complesso e affascinante, ma molto complicato e sempre individuale. Trasmetterlo è un bel problema - peggiorato dal fatto che, in effetti, non son cose che si possano trasmettere.

Ogni insegnante ha i suoi principi e i suoi obbiettivi (e, naturalmente, ognuno è convinto che i suoi siano quelli giusti). In mezzo ci sono i ragazzi. I discenti, come li chiamano in didattichese. Insomma, loro. E se c'è sempre qualcuno in una classe che riesce a sfornarti un adeguato numero di parole pertinente alla traccia data, qualunque sia, per altri scrivere è un bel problema.

Il mio obbiettivo primario, secondario e terziario è far stabilire a ognuno un rapporto decente con l'espressione scritta. sempre e comunque e a qualsiasi costo. Devono avere un'ortografia corretta e una sintassi accettabile. Non devono avere i conati di vomito all'idea di scrivere qualcosa. Se acquistano una certa scioltezza, col tempo sapranno scrivere testi di tutti i tipi, dalla lista della spesa al promemoria per i colleghi d'ufficio.
Perciò il tema, che gli assegno, sotto sempre variate e mutevoli spoglie, è sempre e soltanto "Sfornami un adeguato numero di parole strutturate in frasi ben costruite su un argomento che ti ispiri". Questo voglio e questo chiedo. Esercitati, giovane creatura implume. Scrivi un po' quello che ti pare ma scrivi. Al resto penserai dopo, quando le frasi non ti sembreranno viscide anguille che vanno per i fatti loro. Al resto penserai alle superiori.

Per fare esercitare la creatura implume, occorre adescarla con qualcosa che gli interessa. Ma cosa interessa alla giovane creatura implume? Ah, saperlo, saperlo. Ognuno di loro ha il suo mondo, la sua weltanschauung e soprattutto molti di loro hanno una quantità immane di barriere interiori che gli impediscono di far fluire la scrittura. Non sono barriere morfologiche e sintattiche: quando hanno a cuore l'argomento anche i semianalfabeti, gli stranieri alle prime armi e i dislessici scrivono - scrivono come possono, ma scrivono. Se scrivono, si può vedere dove sono i problemi e provare ad aiutarli, ma devono scrivere. E devono fidarsi di chi legge. Dare per scontato che il loro mondo, la loro weltaneccetera e la loro complessa interiorità interessino a chi legge. E devono interessarsene loro per primi. Entusiasmarsi all'idea di descrivere la loro vita e i loro pensieri, il loro cane e il loro amico del cuore, i loro sogni e i loro incubi.

Guarda caso, quando capitano sotto le mie affamate grinfie, le creature sono proprio nell'età in cui sono molto confusi a riguardo e per giunta odiano parlarne. Cominciano a sapere di esserci, ma non sanno bene come sono, e anche quando lo sanno cambiano di continuo. E ci sono un'infinità di cose di cui credono di non voler parlare e un'altra infinità di cose di cui vorrebbero parlare ma non osano per un'infinità di motivi spesso sconosciuti a loro stessi medesimi. In breve: praticamente qualsiasi tema legato alla loro concreta esistenza può rivelarsi un campo minato, alla faccia dell'esortazione a farli parlare delle loro esperienze quotidiane e dei loro interessi.
Spesso cercano di risolvere tutto con un racconto dove loro non compaiono. E spesso è un racconto terribilmente confuso. In prima, in particolare, i racconti possono essere una vera tortura per chi legge: personaggi che appaiono e scompaiono senza motivo, che agiscono per motivi incomprensibili a qualsiasi essere in grado di intendere e di volere, storie senza capo né coda, collegamenti logici che non si trovano nemmeno segnalandoli a "Chi l'ha visto", dialoghi improponibili financo alle case di cura per malattie mentali. Sono i segnali di un rapporto assai problematico col mondo esterno ed interno - in pratica, della colossale crisi di crescita che stanno attraversando. Se la vita per loro è incomprensibile e le pretese degli altri nei loro confronti pure, è normale che anche le loro storie non siano proprio il massimo della chiarezza e i loro ragionamenti si perdano in strani imbuti metafisici che fanno scempio di qualsiasi chiave d'accesso dello sventurato lettore, ormai adulto e più o meno saldamente installato in un ruolo e in una weltanschauung (perché anche gli insegnanti, poveracci, ne hanno una; o almeno ci sperano).

Si tratta dunque di aggirare queste tenere creature, e di farsi aggirare da loro, uscendo dalla malefica trappola in cui scrivono quel che piace all'insegnante, o meglio quel che credono piaccia all'insegnante - oppure vorrebbero scrivere quel che piace all'insegnante ma non ci riescono, anche perché, in fondo e pure in cima, di quel che piace all'insegnante gli interessa il giusto - il che è comprensibile e pure rispettabile.

Il primo passo su questa strada lo feci d'istinto nella mia prima supplenza quando, con un lampo di felice ispirazione, in mezzo a due temi piuttosto ordinari infilai la traccia "Racconta, in una pagina di diario, di come hai affrontato un drago". Da notare il verbo "affrontare": non era detto che il drago fosse un nemico, non era detto che chi scriveva fosse riuscito a sconfiggerlo.
In una classe di 23 alunni vennero affrontati diciotto draghi, nei più vari modi, in una serie di temi incredibilmente personali. Ricordo in particolare un drago che partecipava ad un quiz televisivo per draghi e vinceva non so cosa, un cucciolo di drago abbandonato in una grotta, raccolto da una famiglia in vacanza (l'autrice era rimasta orfana di madre durante l'estate) e un drago che, aiutato dall'Imbranato Cronico della classe, riusciva ad elaborare un complesso incantesimo che gli permetteva di sconfiggere il mago che lo teneva prigioniero (per l'occasione l'Imbranato Cronico sfoderò il suo primo tema comprensibile e ben strutturato, inaugurando una collana di testi molto validi che lo portò dal Non Sufficiente al Buono nell'ammissione all'esame).

I vantaggi di questo tipo di tracce sono tre: l'allievo lo svolge come gli pare, scopre una serie di cose di sé che non aveva mai realizzato... e le scopre anche l'insegnante. Inoltre sono divertenti da leggere, di solito, perché presentano una varietà infinita di soluzioni e chi legge non sa mai cosa può trovarsi davanti alla frase successiva - che rende il lavoro di correzione piuttosto interessante. Spesso sono scritti piuttosto bene perché l'alunno, non dovendo dedicare il grosso delle energie a scansare trappole e tagliole legate ai suoi conflitti interiori e pure esteriori, riesce a concentrarsi adeguatamente su banali questioni quali il fatto che chi apre un periodo lo deve chiudere e che il congiuntivo esiste.
Un drago, naturalmente, risulta di solito più evocativo di un macinacaffé, ma il segreto non è nel drago ma nell'aver lasciato libero l'esito, il tipo di confronto e l'ambientazione. Insomma, non è detto che l'insegnante debba necessariamente pascolare a draghi. Io scelsi i draghi perché mi piacciono, ma qualcosa di molto più domestico sarebbe andato altrettanto bene. E' più pratico comunque lavorare con gli archetipi, come fa la letteratura fantasy (che consiste nella maggior parte dei casi in storie di psicomachia, esattamente come le fiabe); ci sono un sacco di archetipi in giro: il Bosco, la Macchina del Tempo, il Lupo, la Fontana, il Fondo del Mare, lo Specchio... tutti molto vaghi e tutti altamente evocativi.

Con gli anni ho raffinato la tecnica. Si deve dare qualche punto fermo, perché troppa libertà rischia di mettere in difficoltà chi scrive, ma si deve anche lasciare la possibilità di aggirare tutte le soluzioni più ovvie, caso mai alla creatura venisse in mente una possibilità imprevista (spesso gli viene in mente).
Spesso in terza basta un accenno, spesso in prima conviene mettere qualche paletto o ci si ritrova con un'infinità di storie standard di principesse... e di serial killer (argomento molto amato dagli alunni di sesso maschile con scarsa creatività, ho notato); il problema in questo caso non sta nelle principesse, creature altamente rispettabili, o nei serial killer, molto meno rispettabili ma in fondo possono starci anche quelli - ma, appunto, nelle storie standard.
Queste però sono cose che si possono correggere in corso d'opera, magari assicurando la classe che il prossimo serial killer che capita sotto gli occhi dell'insegnante farà una fine assolutamente lacrimevole e al suo autore andrà anche peggio - insomma, un delicato accenno di tipo subliminale.

Questo tipo di spunti possono essere fatti scivolare con nonchalance tra due tracce rispettabili del tipo descrivi un bel giorno di vacanza o racconta che cosa rappresenta per te l'amicizia, ma anche essere spesi come traccia unica in un Esercizio di scrittura...
(to be continued)

*probabilmente perché era molto sensato

sabato 1 gennaio 2011

Ed ecco arrivato il 2011...


...un anno che sarà dinamico, complesso, a tratti complicato ma certamente meno faticoso di quanto potrebbe sembrare a vederlo da questa parte.
Che la forza dei draghi, unita alla loro bellezza e alla loro fermezza nel risolvere le questioni più aggrovigliate, sia con tutti noi!