No, questo non è un reparto dell'Ospedale di Careggi. Tuttavia l'albero, per quanto più piccolo, era addobbato in modo abbastanza simile. |
C'è stato un anno, durante la mia malattia, in cui ho passato tutte le feste all'ospedale: mi ricoverarono "per accertamenti" agli inizi di Dicembre, ma per quanto accertassero con tutte le loro forze, non riuscivano a capire perché ero così malandata e continuassi a dimagrire e indebolirmi nonostante tutte le flebo nutrienti che mi davano (e che contenevano tra l'altro, così giuravano i medici, bistecche e ananas).
Accerta che ti accerto, e nonostante mi avessero giurato il contrario, arrivò Natale e poi Capodanno e pure l'Epifania senza che nessuno riuscisse a venire a capo del mio misterioso caso fin verso metà Gennaio, quando ormai le feste erano definitivamente concluse. Tre settimane dopo, nuovamente operata e pazientemente ricucita, tornavo a casa ormi in netta ripresa e capace di badare a me stessa, alle gatte e, con qualche iniziale aiutino, anche alla casa.
Mentre stavo all'ospedale invece ero un povero ectoplasma che mangiava malvolentieri, faticava seriamente a reggersi in piedi e come attività principale aveva quella di dormire e navigare o leggere sul tablet - perché anche maneggiare un libro di media taglia era un po' problematico.
Feste o non feste, l'Ospedale di Careggi lavorava a pieno ritmo. Mi è rimasta impressa una lunghissima risonanza magnetica prima della quale si informarono se ero incinta.
"No, sono in menopausa da un anno" spiegai.
"Un anno non ci basta, ce ne vogliono almeno due. Deve firmarci una dichiarazione dove garantisce che non è incinta".
"Va bene, vi firmo la dichiarazione"; in quelle condizioni, non ero certamente stata in grado, negli ultimi due mesi, di fare assolutamente nulla che avrebbe potuto fare di me una futura madre, e quand'anche ci fossi riuscita era del tutto improbabile che il mio stremato organismo fosse in grado di far attecchire dentro di me una nuova vita, stante che già era tanto se riuscivo a tenermi stretta la mia.
Ma mentre compilavo il modulo rimasi colpita dalla data, che era il 24 Dicembre.
Tale data stava a significare due cose. La prima era, appunto, che anche a Natale le analisi proseguivano regolarmente (la mia era stata programmata due giorni prima e non era considerata una emergenza); la seconda era che i responsabili di Careggi, in quei giorni, preferivano per prudenza non dare niente per scontato sulle gravidanze delle loro pazienti, stante che si festeggiava appunto il parto di una signora che, a quel che ci assicura la tradizione, esattamente come me non aveva fatto niente che potesse ragionevolmente condurre ad un concepimento.
Mentre firmavo, in cuor mio ridevo come una pazza.
Intorno al 20 Dicembre mi ritrovai nel letto vicino una ragazzina, o meglio una di quelle donne che a trent'anni sono come a quindici. E infatti la poverina aveva un malessere adolescenziale, ovvero l'appendicite. Come me insegnava alle medie, e faceva inglese. Quando vennero a trovarmi le mie colleghe di Lettere e Matematica e le sue di Arte e Spagnolo meditammo seriamente di imbastire un Consiglio di Classe all'impronta.
Parlavamo di scuola, o meglio ne parlava soprattutto lei, deprecando di non essere riuscita ad aspettare la fine delle lezioni per farsi ricoverare - ci aveva anche provato, ma alla fine il medico era riuscito a farla ragionare. A me poteva dirlo, perché la capivo perfettamente, mentre parenti, amici e fidanzato non riuscivano proprio ad appassionarsi al Gran Problema di non essere riuscita a fare l'ultima verifica prima delle vacanze.
Venne operata d'urgenza e riuscì a tornare a casa per festeggiare Natale, anche se senza pandoro farcito di crema pasticcera; i medici però le assicurarono che per Capodanno avrebbe potuto mangiarlo tranquillamente.
Le chiesi qual era la sua canzone di Natale preferita per fargliela ascoltare sul tablet, e lei mi indicò Mary, Did You Know? dei Pentatonix, che non avevo mai sentito ma che è molto famosa:
e siccome mi piacque molto ce l'ascoltammo tre volte.
In quelle patetiche condizioni ero completamente in balìa di OSS e infermieri; tuttavia mi era stato consigliato di cercare di camminare un po' (purché bardata con guanti, camicione di carta e mascherine perché ero assolutamente alla mercé del primo germe che passava di lì, e il fatto che ne passassero ben pochi non era sufficiente a salvaguardarmi perché le mie difese immunitarie viaggiavano intorno allo zero assoluto); dunque due-tre volte al giorno zampettavo eroicamente facendo il giro del reparto e strascicandomi nel corridoio che portava a una sala comune, dove di solito mi fermavo per una pausa corroborante dopo tanta fatica. Quando poi mi sentivo particolarmente in forma mi affacciavo anche al reparto contiguo per qualche metro. A tanto sforzo mi spingeva il desiderio di vedere entrambi gli alberi di Natale apprestati nella reception dei due reparti, e le varie decorazioni che allietavano i corridoi - e che erano molto ben fatte. In particolare ricordo l'albero di Gastroenterologia, addobbato in toni verdescuro-oro con eccellente gusto, e le palline appese a lucenti nastri dorati nel corridoio di ginecologia.
Infermieri e OSS, di loro spontanea volontà, nei giorni di festa portavano berretti di Natale di vario tipo (da lì viene il mio grande amore per quell'accessorio) e la mattina, arrivando prima col carrello delle analisi (io venivo regolarmente sforata due volte al giorno, e trovarmi le vene era sempre una vera impresa), poi col carrello per lavarci e infine con quello della colazione da dove attingevo il mio amato yogurt bianco, ché quello alla frutta era troppo dolce al mio stomaco mattutino, non mancavano mai di farci gli auguri oltre alle solite domande su come avevamo dormito e se ci serviva un analgesico.
Di una di queste infermiere notai che aveva dei deliziosi orecchini molto natalizi, fatti con pezzi di addobbi di Natale assemblati con molto gusto. Le chiesi dove li aveva trovati perché mi sarebbe piaciuto averne un paio anch'io.
Risultò che li faceva una collega, che poco dopo approdò al mio letto portandomi una scelta di quelli che le erano rimasti. Ne presi un paio azzurro e argento ma quando chiesi il prezzo mi disse che li faceva come regali, perché considerava di essere ripagata dal piacere che provava confezionando la sua bigiotteria - perché creare era divertente.
Dopo un po' di blande insistenze mi presi il regalino. Quegli orecchini fatti con pezzetti di nastro argentato diventarono i miei portafortuna (insieme alla fiala color magenta nel portafiale di Dolcezze). Mentre ero all'ospedale non mancavo mai di infilarli al mattino e di riporli con cura la sera, ma continuai a indossarli anche nelle prime settimane a casa, per poi riporli tra le cose di Natale. Tutti gli anni li indosso due-tre volte, anche se ho smesso di raccontare a chiunque me li ammiri la storia che c'è dietro (del resto, chiunque mi frequenti da qualche tempo ormai la conosce).
Natale è anche la stagione dei piccoli gesti e delle piccole cose, e i piccoli gesti di gentilezza non sono mai sprecati.
Anche nel resto dell'anno, certo.
6 commenti:
Ti capisco benissimo. Avevo 37 anni e proprio nelle feste di Natale sono stata ricoverata e operata d'urgenza. Nonostante i controlli annuali, ho subito un'isterectomia. In quei giorni ho atteso con ansia il risultato istologico, che risultò negativo. Per fortuna avevo una figlia di 12 anni che mi attendeva a casa perché non avrei avuto più la possibilità di avere un altro figlio.
Ti saluto caramente e ti auguro serene Feste.
Angela
@MaratonetàGiò:
Che dire? Tutto è bene quel che finisce bene, ma l'isterectomia proprio a Natale è davvero triste (non che non sia triste sempre e comunque, certo, ma proprio a Natale..)
Questo evento è diventato però nella tua scrittura un bel racconto, che trasuda umanità e gentilezza, molto bello, direi natalizio.
@ Mel:
Sì, ci ho pensato molto prima di farlo, ma alla fine mi sono resa conto che avevo dei bei ricordi di quel Natale, nonostante tutto.
E quel che ho raccontato è tutto vero e senza concessioni narrative!
E' vero, ci sono tutti gli ingredienti per una storia natalizia da racconto o da film e questo sta a dimostrare 1) che sai raccontare le cose in un modo molto coinvolgente 2) che la realtà per fortuna ha anche le sue cose belle, che esistono davvero, non solo in un film natalizio!
E inoltre si creano rapporti particolari in certe situazioni di difficoltà. E l'hai più vista poi l'insegnante ragazzina?
Ahimé no. Ci eravamo scambiati i numeri di telefono, naturalmente, con grandi promesse di rivederci e anche di andare al sushi insieme. Ma quando lascia l'ospedale era già passato un mese, e prima che fossi in grado di andare in giro per ristoranti e soprattutto di mangiare il sushi ne passarono altri due. A quel punto ormai la cosa era un po' scaduta...
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