Spoiler: buona parte di quel che successe in quell'epica mattinata è appunto da imputare alla pandemia e al particolare stato d'animo in cui tutti versavamo.
Era una tranquilla mattinata di Novembre. Dal momento che la Prima Sfigata aveva mostrato una serie di notevoli incertezze nell'uso dei tempi dei verbi, avevo deciso di ricorrere a un metodo particolarmente innovativo, ovvero una serie di interrogazioni a tappeto sui verbi. Lo scopo era di innestare un meccanismo automatico dovuto alla continua ripetizione e aiutata dal fatto che una parte della classe i verbi li conosceva benissimo e avrebbe quindi risposto in grande scioltezza. Chiamavo gli alunni uno ad uno, assegnavo un verbo e chiedevo di coniugare una serie di tempi.
E se l'alunno non sapeva farlo? Bene, tutti avevano la grammatica aperta sulle coniugazioni dei verbi. L'alunno sbirciava e poi declinava, in base al buon vecchio criterio che sbagliando si impara, ma facendo giusto si impara di più.
Anche così comunque ogni tanto emergevano delle criticità. A quel punto ci fermavamo e riflettevamo sulla questione. Il primo round andò piuttosto male, il secondo round decisamente meglio e mi ripromettevo qualche soddisfazione dal terzo e, speravo, ultimo.
La giornata non era partita sotto i migliori auspici: appena finito l'appello Peggy era approdata alla cattedra spiegandomi che quella mattina era venuta a scuola anche se si sentiva un po' strana. Adesso però era convinta di stare proprio male. Poteva andare a telefonare a casa che la venissero a prendere?
Si capisce che poteva. La mandai a telefonare, la segnai in uscita eccetera. Peggy sparì quasi subito e tornò due o tre giorni dopo, munita di certificato di tampone negativo. Perché sì, poteva capitare di stare male anche senza avere il Covid. Di fatto anche prima della pandemia la gente si ammalava.
Le prime interrogazioni andarono discretamente. Ma quando chiamai Eola la ragazza, dopo un attimo di silenzio, si alzò, corse verso la cattedra e disse piangendo "Professoressa, mi sento malissimo".
A scanso di equivoci: sia Peggy che Eola padroneggiavano i verbi con notevole disinvoltura. Nemmeno per un istante fui sfiorata dall'ombra del sospetto che avessero accusato malesseri per scansare l'interrogazione, né che quell'interrogazione fosse per loro qualcosa di stressante. Così esortai Eola ad andare giù dalle custodi che avrebbero provveduto a lei. Eola uscì.
Da notare che in circostanze normali, ovvero non pandemiche, quando qualcuno si sente male fa parte del galateo istituzionale, almeno alle medie di St. Mary Mead, mandarlo giù con un amico al seguito. Ma, appunto, eravamo in tempo di pandemia e non feci niente del genere (e feci malissimo, come risultò poi).
Qualcuno commentò che quel giorno proprio non era cosa, e le interrogazioni ripresero. MA un quarto d'ora dopo bussò la custode, alquanto preoccupata. Eola stava male, non riusciva più a muovere il braccio destro e anzi non lo sentiva più e piangeva. Avevano provato a chiamare i genitori ma non rispondeva nessuno.
Tra i tanti sintomi del Covid la sparizione della sensibilità agli arti non mi risultava, ma un braccio destro che fa male può essere sintomo di pessime cose, che di solito a dodici anni non infestano la vita ad alcuno MA ci sono sempre delle eccezioni e insomma...
Dissi di chiamare la guardia medica e di avvisare la Preside, se riuscivano a raggiungerla: è uso non chiamare mai la guardia medica senza aver avvisato la famiglia, ma se la famiglia non risponde? Poi frugai tra i numeri di telefono e trovai anche quello del nonno: magari, chiamare anche lui...
A quel punto la classe era decisamente stressata, e Violetta accusò malesseri.
Violetta versa in particolari condizioni sanitarie e può sentirsi male da un momento all'altro, soprattutto in caso di stress - e di stress, in quel momento, ne avevamo da dare e da serbare, quindi nessuno si preoccupò particolarmente di Violetta, che uscì di classe e si regolò sì come richiedeva il suo protocollo medico per poi rientrare un po' ristabilita.
E tutto ciò mi ricordava sempre più la filastrocca dei Dieci piccoli indiani.
La custode passò ad avvisarmi che la Preside in quel momento non era raggiungibile, ma il nonno stava venendo e la guardia medica era stata contattata.
Più avanti venne ad avvisarmi che sia il nonno che la guardia medica erano arrivati, e scesi giù lasciandola a sorvegliare la classe, mentre una serie di pensieri uno più lugubre dell'altro mi rutilavano in testa.
Quando arrivai la guardia medica mi spiegò che si trattava... di un attacco di panico.
Lui e il nonno si consultarono e stabilirono che non era il caso di portare Eola all'ospedale più vicino per un controllo perché in quei giorni i pronto soccorso di tutta Italia erano intasati e rischiavi di passarci un tempo interminabile prima che qualcuno ti considerasse. Ovviamente un attacco di panico sarebbe passato in coda a qualsiasi altro caso più grave, e ancor più ovviamente passare delle ore circondata dall'atmosfera elettrica di un pronto soccorso intasato, con tanto di luci accese a pieno carico e senza nessuno che ti badasse non era esattamente la cura migliore per un attacco di panico che per giunta era il primo e quindi spaventava il doppio.
Attacco di panico. Quelle tre parolette magiche restituirono al cielo il suo azzurro e fecero splendere il sole. Senza dubbio gli attacchi di panico sono cose spiacevolissime e da non sottovalutare, ma han di buono che non sono Covid né portano a paralisi o complicazioni cardiocircolatorie. Eola doveva solo aspettare che l'attacco passasse e non ci sarebbero state conseguenze irreversibili.
Mai attacco di panico fu guardato con tanta simpatia. Io e le custodi lo amavamo.
Quel sant'uomo del nonno aveva prontamente abbracciato la nipote e la stava confortando. Eola continuava a piangere, ma in modo molto più tenue e sollevato.
Il nonno ci informò che sua figlia, che era poi la madre di Eola, "dopo essere diventata signorina"* aveva avuto per diverso tempo attacchi di panico assai frequenti. L'uomo si era dunque fatto una certa esperienza e, lui almeno, non era spaventato. Preziosa circostanza, in verità. Confortò Eola, confortò tutti noi, informò i genitori, che nel frattempo erano diventati raggiungibili e si portò via la povera impanicata, che nel frattempo era andata alquanto calmandosi.
Dimagrita di circa dieci chili ma molto racconfortata risalii in classe e informai la custode della lieta novella prima di rimandarla in libertà.
Ormai eravamo verso la metà della seconda ora.
"Prof, che si fa, continuiamo con grammatica?".
"Nossignori. Prendete i vostri palloni, le vostre merende e qualsiasi altro genere di conforto desideriate e andiamo giù in cortile a farci tutti quanti un lungo, lungo intervallo".
In cortile raggiunsi Violetta, che sembrava perfettamente ristabilita e mi assicurò che andava tutto bene, e fui poi raggiunta da Carl Palmer che lamentava un forte mal di testa. Lo mandai a telefonare a casa perché si facesse venire a prendere, se così preferiva, e già che c'ero chiesi se c'era qualcun altro che non stava bene. Mi assicurarono che no, stavano benissimo, grazie - e a guardarli saltare come tanti camosci la cosa risultava piuttosto credibile. Mentre stavano scavallando arrivò la Preside, che potei così aggiornare con il lieto fine della dolorosa vicenda.
In serata feci una navigatina in rete per informarmi un po' sugli attacchi di panico. Non ne ho mai sofferto né mai avuto a che fare con persone che ne soffrissero e insomma ne sapevo men che zero.
Scoprii così che avrei dovuto regolarmi in tutt'altro modo, parlando a Eola e confortandola, abbassando le luci in classe eccetera. Invece la povera Eola si era dovuta muovere da sola e pure fare due rampe di scale, con la vista che si abbassava e il braccio che andava desensibilizzandosi. A ripensarci mi vengono i brividi.
Ecco, in circostanze normali avrebbe avuto almeno qualcuno accanto a sostenerla e confortarla.
La mattina dopo feci un breve sermoncino spiegando che gli attacchi di panico erano una cosa molto spiacevole e che potevano capitare a tutti in qualsiasi momento, e la prima cosa da fare quando qualcuno vicino a noi ne veniva afflitto era, appunto, non farsi prendere dal panico a nostra volta e cercare di confortarlo ma senza farlo muovere finché non si era calmato, abbassare le luci eccetera. Insomma, come per qualsiasi malanno, la prima regola era non peggiorare la situazione: primum, non nocere. Glielo scrissi anche alla lavagna.
Da allora la Prima Sfigata, che tra poco diventerà la Terza Sfigata, ha fatto serenamente il suo miglio e attacchi di panico non ce ne sono più stati. Tuttavia in cuor mio mi domando: la crisi di Eola sarebbe stata così forte se non fossimo stati in tempo di pandemia? Di sicuro, se non fossimo stati in tempo di pandemia e di distanziamento, sarebbe stata gestita molto meglio da tutti noi, e in particolar modo dalle custodi, che nel loro lungo servizio han visto di tutto e di più e molto probabilmente avrebbero capito ben prima cosa stava succedendo, almeno a grandi linee.
* "diventare signorina" è ormai espressione quasi antiquaria, ma qualche decennio fa era il modo con cui tra persone educate si indicava che una ragazza aveva avuto la prima mestruazione.
2 commenti:
Povera ragazza, e povera Murasaki che hai dovuto gestire un lazzaretto simile! Può anche darsi che senza pandemia l'attacco non ci sarebbe stato del tutto, perché certo il covid ci ha portato un carico di ansia e stress (oltre tutto il resto) non indifferente.
Credo anch'io che il clima da pandemia abbia influito sull'arrivo dell'attacco, anche perché (a parte che l'interrogazione non era esattamente in modo punitivo e cerava solo di innestare degli automatismo) Eola è una ragazza molto coscienziosa, interessata e partecipe, ma non sembra vivere con molta ansia la scuola: le interessa far bene ma soprattutto imparare, e anche se i bei voti chiaramente le fan piacere, sembra molto più interessata all'apprendimento piuttosto che al voto.
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