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domenica 11 novembre 2018

11 Novembre - Martino di Tours (ero straniero e mi avete accolto)

Il dipinto è del 1945, opera di tal Tosi o Rosi (recentiores non deteriores) e si trova nella chiesa di Santa Maria Assunta in Campagna, a Ferno.

La prima volta che ho letto la storia di san Martino e del suo mantello è stata sul libro di lettura delle elementari, e mi piacque molto: ho sempre apprezzato le persone concrete che, davanti a una situazione di grave necessità, non fanno domande e trovano un modo di dare un aiuto purchessia.
La vicenda è piuttosto nota: vissuto in Francia nel IV secolo, Martino fu per diversi anni un soldato, più esattamente un circitor, ovvero addetto alle ronde, specie quelle notturne. Nell'inverno del 335 trovò un mendicante molto infreddolito e gli diede metà del suo mantello d'ordinanza - evidentemente piuttosto grande - tagliandolo a metà con la spada. Quella stessa notte un sogno lo convinse a battezzarsi. Più avanti diventò monaco, vescovo di Tours e insomma un personaggio molto importante per la chiesa francese.
Il nome di Martino di Tours è legato a una infinità di tradizioni, superstizioni e fatti storici e probabilmente si innesta su qualche figura pagana preesistente; ma è un santo vero, che ha lasciato una solida impronta nella storia e non è in alcun modo frutto dell'immaginazione popolare.
Tra i molti aspetti collegati alla sua figura c'è naturalmente quello legato alle sette opere di misericordia corporale, elencate nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, quando Gesù, nel giorno del Giudizio, chiama a sé coloro che gli hanno dato da mangiare quando aveva fame, da bere quando aveva sete eccetera (e che lo hanno accolto quando era straniero, donde il nome di una proposta di legge per rivedere la legge Bossi-Fini e permettere una gestione più equilibrata e sensata dei flussi di migranti in Italia).

Basandosi su questa caratteristica del santo, nel 1442 venne fondata a Firenze la Congregazione dei Buonuomini di San Martino, dedicata principalmente all'assistenza dei poveri vergognosi, ovvero quei poveri che lo erano diventati per incidenti o rii casi della vita e che quindi si vergognavano di chiedere la carità pubblica, abituati com'erano a dipendere dal proprio lavoro. La Congregazione era composta da dodici uomini della classe dirigente di Firenze che giravano a coppie (due per sestiere, ché all'epoca Firenze non era ancora divisa per quartieri) scovando e assistendo i poveri vergognosi e, naturalmente, assistendoli con somma discrezione e quasi di soppiatto.
L'abitudine alla discrezione è rimasta: anni fa ricevetti l'incarico di schedare l'archivio della Congregazione, invero piuttosto incasinato e alluvionato e disastrato, e convincere quei dodici rispettabili signori che gli archivisti appunto schedano i documenti e non li leggono fu affare piuttosto complesso. Fu un periodo felice, della durata di circa tre anni: il posto era freddo, scomodo e ignobilmente polveroso ma il lavoro mi diede una gran soddisfazione e lo feci bene: alla fine, su una bella scaffalatura nuova, le serie della documentazione e i vari fondi delle famiglie estinte che avevano lasciato grosse donazioni alla Co0ngregazione erano facilmente reperibili, ben organizzate, spolverate e ordinate - un vero piacere per gli occhi - almeno ai miei occhi di archivista. Assistetti anche al Gran Miracolo di alcuni ammassi di fango che, dopo l'accorto e lungo e costoso intervento del laboratorio di restauro dell'Archivio di Stato di Firenze (che ai tempi dell'alluvione aveva fatto un sacco di pratica disincrostando la nafta dai molti documenti alluvionati ed era così diventato un punto di eccellenza in tutto il mondo) si erano trasformati in bei registri perfettamente leggibili e sfogliabili. 
Gli interventi dei Buonuomini erano molto concreti: non si limitavano a distribuire vesti, cibo e vino, ma davano doti alle ragazze povere per permettere loro di sposarsi e assistevano le puerpere, come si mostra in questo bell'affresco della bottega del Ghirlandaio che decora la cappella dell'Oratorio eccetera. L'assistenza alle puerpere mi è sempre piaciuta molto perché portare pollame (da cui ricavare del buon brodo nutriente) uova e vino alla donna fresca di parto ma troppo povera per poterseli comprare mi è sempre parsa cosa bellissima e degna di lode:

Viviamo in anni crudeli, dove i poveri sono schedati in base alla nazione di origine e al grado di meritevolezza e dove si cerca di far sembrare ingiusto che la puerpera senegalese o nigeriana abbia meno diritto a una buona assistenza di una puerpera italiana. Spero che lo spirito di Martino di Tours, che a quel che risulta dalle fonti non fece tante domande al povero mendicante infreddolito e si limitò ad aiutarlo come poteva, torni ad illuminarci, garantito dalle leggi italiane e dalla costituzione italiana che i nostri padri (e madri) scelsero di darci; e che qualcuno decida di rimettere mano a quello schifo di legge che è la Bossi-Fini, piuttosto che far passare angoscianti decreti che ci promettono improbabili sicurezze.

2 commenti:

dolcezzedimamma ha detto...

San Martino è l'emblema della condivisione CHE E' GIUSTIZIA. Un uomo giusto non può accettare di avere un mantello enorme e in parte inutilizzato mentre c'è chi muore di freddo, l'egoista se lo tiene stretto perché preferisce che lo mangino le tarme piuttosto che darlo ad un altro. San Basilio diceva che il mantello che tieni nella cassa è quello del misero che batte i denti e i sandali di riserva quelli dello scalzo sul ciglio della strada. Senza arrivare alla spoliazione francescana, rinunciare a qualcosa di superfluo perché tutti abbiano l'indispensabile non sarebbe dififcile, ma preferiamo non correre rischi e permettiamo ai pifferai magici di farci credere che l'altro è il nemico, non il compagno di strada, messo dalla sorte in una condizione di bisogno.

Melchisedec ha detto...

Molto interessante la storia sui poveri vergognosi che racconti; temo però che l'esempio di San Martino resterà confinato sui vecchi libri Delle scuole elementari. Già da tempo è in atto una disumanizzazione, che è endemica a tutti i livelli. Forse anche culturalmente. A noi docenti spetta il compito di una nuova umanizzazione. Difficile, ma si tenta.