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venerdì 1 settembre 2023

L'anno in cui imparai a raccontare storie - Lauren Wolk


Anche questo è stato un acquisto della Mostra del Libro, comprato dopo aver dato una scorsa al riassunto della fascetta - ma proprio una scorsa, e molto distratta - ma confidando molto nell'editore Salani, che sceglie sempre con gran cura e di solito anche con ottimo gusto. 
Nella mia mente era un romanzo che raccontava come il personaggio principale avesse scoperto il gusto di raccontare storie ben congegnate - un gruppo di persone che si ritrovano intorno a un caminetto a sbucciare castagne e arriva la solita richiesta "Qualcuno ha una storia da raccontare?". E succede così di improvvisarsi raccontastorie e di scoprire che è una cosa che ti riesce bene.
Il realtà "storie" qui sta nell'accezione di "balle", ma si vede che la Salani ha preferito ingentilire un po' la questione. Il centro della vicenda è, appunto, legato al fatto che talvolta è opportuno mentire, o almeno raccontare solo parti scelte della verità. Non lo fa solo Annabelle, la protagonista; lo fanno anche gli adulti. Quasi tutti. E naturalmente lo fanno anche gli altri ragazzi, talvolta per interesse, talvolta per disinteresse - insomma, come succede spesso.
Il titolo originale è Wolf Hollow, ovvero la buca dei lupi. Ce ne sono parecchie, su una collina intorno al villaggio dove vive la protagonista, e il luogo è indicato con la forma al singolare. Buche scavate per intrappolare i lupi, che a un certo punto erano davvero troppi - si tratta di un villaggio di contadini, ognuno con la sua brava fattoria dove viene tenuto un bestiame abbastanza variato: polli, conigli, mucche, pecore...
Insomma, i lupi restavano intrappolati in quelle buche camuffate e non potevano più uscire. La mattina dopo i contadini passavano col fucile a sparargli, ed è un sistema di cattura che mi ha ricordato vagamente le foibe - dove però chi ci finiva dentro non lo faceva per imprudenza o distrazione, ma perché ci veniva buttato - qualche volta dopo che gli avevano sparato, ma ben di rado usando la cortesia di passare poco dopo a finirti caso mai il primo colpo non fosse bastato a completare l'opera.
Una partenza lugubre, dunque, per un romanzo bello, interessante, coinvolgente ma che certo non si può definire allegro come atmosfera. 
Annabelle è una ragazza di dodici anni di notevole sensibilità, capace di percepire le atmosfere e immedesimarsi in alberi, pietre, animali e quant'altro. In seguito a una determinata serie di avvenimenti si accorge che ci sono cose che vanno dette (o che non vanno dette) e responsabilità che vanno prese. Non se ne accorge in forma teorica, lo scopre un pezzetto per volta mentre un gruppo di eventi si aggroviglia intorno a lei. 
La cosa davvero notevole, e che ne fa un romanzo particolarissimo, è che non viene seguita la tipica trama in cui il giovane protagonista (o la giovane protagonista, quando si tratta di un romanzo di chicken literature) si immerge sempre di più in un groviglio inestricabile di bugie da cui non sa più come uscire finché non arriva una qualche crisi finale in cui si scopre che la cosa più comoda è comunque dire sempre la verità, soprattutto ai genitori. Il romanzo ha in sé molta tensione, ma questa tensione non è dovuta all'ansia messa al lettore dalla protagonista che si complica sempre di più la vita in modo sempre più assurdo, bensì nasce dallo svolgersi degli eventi  e quando Annabelle racconta via via ai genitori quel che ha taciuto (il che non avviene in una singola crisi catartica ma un po' a puntate) la cosa avviene sempre al momento giusto e in modo molto naturale.
Ma per quanto il rapporto della ragazza con la famiglia, con i nonni e con i fratelli sia buono, valido e solido (è il ritratto di una famiglia molto solidale ma, come dire, solidale nel modo giusto) la storia è molto complessa e anche molto triste perché la vita a volte si aggroviglia senza possibilità di uscita, e i genitori non sempre hanno in tasca la possibilità di sistemare tutto anche se lo vorrebbero.
Dunque è un romanzo che finisce male? No, non proprio. Ma non si può onestamente dire che finisce bene, e d'altra parte se finisse bene nel modo più convenzionale suonerebbe falso come suonano spesso falsi molti dei finali dei racconti per ragazzi al giorno d'oggi, preoccupati di essere educativi più che di mostrare, come in questo caso, di come spesso si finisce per educarsi da soli anche se sempre con molto aiuto dagli altri.
Lunghezza media, può riempire un pomeriggio o un paio di serate, e l'unico problema è che una volta partiti è molto difficile interrompersi - che è di per sé un pregio, ma può essere di intralcio al momento in cui intervengono le consuete circostanze che scandiscono le giornate.
Volendo, è anche una critica molto feroce verso la guerra - anzi, in effetti uno dei temi principali è proprio quello.

2 commenti:

Dolcezze ha detto...

Mi piace l’idea. Per ora sono alla ricerca di libri semplici ma di spessore per i ragazzi di Prima. Vedrò di procurarmelo. Grazie della dritta

Murasaki ha detto...

Se cerchi storie di spessore per ragazzi, ti consiglio di spulciare il catalogo Salani che riserva delle gran belle sorprese. Anche Giunti e la San Paolo cercano di offrire delle opere di pregio, ma la Salani ci riesce quasi sempre, e da molti anni ^__^