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venerdì 29 settembre 2023

Diario di Hiroshima - Michihiko Hachiya

Da bambina ho letto, minimo sei volte, Il gran sole di Hiroshima e per questo mi sono sempre considerata una grandissima esperta della bomba atomica senza mai approfondire la questione più di così. Quando arrivò il bonus per gli insegnanti però mi balzò tra le mani in qualche modo la segnalazione di questo libro: un autentico diario scritto da un autentico medico di Hiroshima che la bomba l'aveva conosciuta sia da essere umano bombardato e da essa malridotto, sia come medico curando infiniti pazienti pure loro assai malridotti. 
Potevo lasciarmelo sfuggire?
Assolutamente no, e infatti lo comprai già alla prima mandata di acquisti. Lo riposi diligentemente nello scaffale dei libri in attesa di lettura* e lì lo lasciai a riposare al calduccio.
Questa estate però Red Komet, uno dei miei YouTuber preferiti per seguire la guerra in Ucraina che un tempo, nelle intenzioni, teneva un rispettabile canale dedicato alla storia militare e qualche volta ci prova ancora, fece un video dedicato appunto al celebre lancio delle due bombe sul Giappone. In quel video tira fuori dal cassetto la celebre teoria che sostiene che gli USA lanciarono le bombe per costringere alla resa il Giappone, che pur avendo già chiaramente perso la guerra rifiutava con tutte le sue forze di arrendersi e quindi allo scopo di risparmiare molte vite sia giapponesi che, soprattutto, americane.
Nel video Red Komet cita statistiche, rapporti americani eccetera eccetera e ammetto che qualche dubbio in merito è riuscito a farlo scivolare perfino nel mio cuoricino pacifista e antibombarolo, anche perché nel corso dei decenni mi erano arrivati diversi accenni in merito dai vari esperti di Giappone che ogni tanto incrocio e che puntavano parecchio in quella direzione; tuttavia sospettavo, e continuo a sospettare, che quel lancio forse si sarebbe potuto e dovuto evitare.
Ad ogni modo, ormai che ero ritornata in argomento, mi decisi a tirare fuori dallo scaffale il Diario che, dopo un forte sbadiglio, si è aperto e reso disponibile alla lettura.
Il dottor Hachiya scrisse il suo diario nei primi due mesi dopo il bombardamento, partendo da quella mattina in cui stava facendo colazione dopo una notte di turno all'ospedale dove lavorava e dove tutto cambiò in un attimo. Il poverino si ritrovò nudo come un verme e con una serie di schegge nel corpo, sulle rovine della sua casa che poi prese fuoco. Lui e sua moglie riuscirono molto fortunosamente ad arrivare attraversando un inferno di fiamme, fumo e cadaveri più o meno spappolati e scorticati fino all'ospedale, che non se la passava per niente bene ma dove in qualche modo riuscirono ad occuparsi di lui e di svariati altri feriti. Venne operato, ricucito e messo in degenza in una camera senza vetri (come tutte le camere dell'ospedale) e naturalmente fece del suo meglio per rimettersi in piedi il prima possibile per aiutare gli altri medici a curare i feriti. Nel diario si racconta di come progressivamente arrivò la notizia che quella che aveva colpito la città trasformandola in un tappeto di macerie era stata una "bomba atomica", ovvero una roba stranissima mai sentita. Nei primi tempi si pensò che la bomba avesse anche lanciato dei virus, perché gli ammalati spesso annoveravano tra i sintomi una forte diarrea e un altrettanto forte vomito. Solo col passare delle settimane si insinuò il sospetto che non si trattasse di una epidemia ma di sintomi collaterali.
Essendo il diario scritto da un medico, vomito, diarrea, eritemi, problemi di smaltimento delle feci eccetera hanno una parte davvero notevole, e ciò è cosa buona e giusta. I problemi all'ospedale erano infiniti: occorreva procurarsi forniture di medicinali (in quantità industriale), disinfettanti, cibo, attrezzature mediche per sostituire quelle polverizzate dalla bomba. Alleluja, c'è un microscopio! Evviva, sono arrivati tamponi e disinfettanti! Che bello, oggi si mangia pesce e c'è anche della frutta! - insomma, le solite questioni legate a qualsiasi emergenza, per esempio un forte terremoto. 
Molti pazienti morivano, qualcuno si riprendeva, qualcuno che arrivava assai malridotto alla fine si rimetteva in sesto e qualcuno che arrivava magari al seguito di un ferito e stava benissimo improvvisamente crollava nel giro di pochi giorni, e tutto ciò lasciava parecchio perplessi i medici che non si erano mai trovati ad avere a che fare con gli effetti delle radiazioni atomiche. In compenso per le forniture si ricorreva spesso al classico sistema delle cordate di amici perché il comando militare centrale aveva stabilito che a Hiroshima non c'era una vera emergenza.
E poi arrivarono anche i militari americani, che nella mente dei giapponesi erano una via di mezzo tra unni in grande spolvero e animali feroci di malumore, solo che molti non potevano scappare e quindi si ritrovarono costretti a subirne la presenza per poi scoprire che alla fine c'era di peggio e che non sembravano disponibili a violentare e uccidere qualsiasi cosa si muovesse, fosse pure un foglio di carta portato dal vento.
Col passare delle settimane e l'arrivo di qualche microscopio si comincia a capire che c'è un legame tra la bomba, l'aumento dei globuli bianchi e il calo a picco dei globuli rossi - cosa ai nostri giorni del tutto ovvia e nota a chiunque, ma naturalmente a quel tempo nessuno sapeva un accidente sugli effetti delle radiazioni atomiche.
Insomma è il racconto di un uomo coraggioso, forte, molto appassionato del suo lavoro, molto ragionevole, e anche molto affezionato all'imperatore - con una forza che nessuno dei nostri presidenti della repubblica ha mai suscitati nemmeno nei cittadini più attaccati alle istituzioni.
L'imperatore è uno dei personaggi nascosti del Diario; chiaramente non compare mai in scena ma anche le avventure per salvare e mettere al sicuro il suo ritratto nel bel mezzo delle infinite rovine di Hiroshima lasciano assai sorpresa la lettrice occidentale. No, non è il dottore a salvarlo, ma riporta dettagliatamente le peripezie di un funzionario che fece i miracoli per portare in salvo la preziosa imago.
Ma dove i miei occhi sono diventati davvero grandi come tazze da tè e forse anche come ruote da mulino è stato durante il racconto del celebre messaggio dove l'imperatore comunicava la resa alla popolazione - e siccome il celeste imperatore era un uomo saggio, la comunicò in un giapponese assai aulico e quasi incomprensibile, per far filtrare l'odioso contenuto un po' per volta, in modo omeopatico. Tutto il personale e i pazienti che riuscivano a muoversi si riunirono intorno alla radio e ci capirono il giusto, ma non appena il contenuto, evidentemente comunicato a funzionari e dirigenti anche in un giapponese più alla portata di tutti, arrivò dalla bocca del direttore tutti si disperarono. Medici e ammalati, in una città completamente devastata dalla bomba, piangevano a dirotto, minacciavano il suicidio e insorsero, compreso il nostro eroico medico autore del diario. Voglio dire, medici e infermieri non sono di solito categorie particolarmente guerrafondaie, e quanto ai pazienti vien da pensare che anche il più fedele dei sudditi del celeste imperatore della guerra ormai ne avesse fin sopra i capelli (che molti peraltro stavano perdendo per colpa delle radiazioni); e insomma ci si ritrova a pensare che forse la leggenda della determinazione giapponese a combattere comunque fino alla fine era qualcosa di più che una leggenda.
Comunque il pensiero dell'imperatore, che non aveva voluto la guerra ma gli era stata imposta dai generali, che poi avrebbe dovuto trattare con gli americani eccetera accompagna i pensieri dell'autore del Diario in una specie di contrappunto. Il suo caro, amatissimo imperatore che si trovava in quella orribile situazione...
E si capisce dunque perché, a dispetto di tutti, l'imperatore aveva deciso di comunicare la resa in un messaggio radio a tutta la popolazione, ma anche perché Hirohito fu l'unico capo di stato dell'asse che non solo mantenne la sua posizione, ma conservò la devozione dei giapponesi. Si trattava insomma di un uomo consapevole che il ruolo di un sovrano comporta anche una serie di doveri e di rischi - un concetto che non sembra essere stato molto presente nel re d'Italia.

Il libro è scorrevole, ben scritto, offre amplissima gamma di spunti di riflessione e a modo suo è a lieto fine, per quel che un libro su questo argomento possa essere a lieto fine. Lettura consigliatissima per chiunque sia interessato a vedere la guerra dal punto di vista giapponese o ne voglia sapere di più su quel disgraziatissimo lancio.

* ovvero tre palchetti tre regolarmente strapieni

Come bonus chiudo con una delle mie canzoni preferite, dedicata appunto al lancio della prima bomba atomica nel 1982.

1 commento:

minty ha detto...

Ci sono tanti aspetti della mentalità giapponese che risultano del tutto imperscrutabili a un occhio occidentale. Nel considerare il rapporto tra i giapponesi e l'imperatore, spesso noi dimentichiamo che c'è in mezzo anche la religione: tecnicamente la famiglia imperiale nipponica discende dalla Dea Amaterasu, per cui l'imperatore non è solo il capo di una chiesa, ma è egli stesso direttamente una divinità del pantheon shintoista.
Quanto al confronto fra il comportamento di Hirohito e quello del nostro re, non c'era da aspettarsi niente di meno, perché l'assunzione di responsabilità a qualsiasi costo fa proprio parte della forma mentis giapponese. Quindi, o quello, o un suicidio rituale onorevole. Il sottrarsi non era proprio contemplato...

Grazie per questa recensione! Avevo adocchiato questo libro tempo fa, ora mi hai fatto venire voglia di recuperarlo... ^^