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venerdì 8 ottobre 2021

Ione - Euripide


Nonostante il titolo, Ione non è un trattato sulla struttura dell'atomo bensì uno dei più screditati drammi di Euripide e nessuno sembra disposto a prenderlo sul serio a parte me.
Chi avesse interesse a documentarsi in merito, infatti, o chi per sua libera scelta ha deciso di seguire un corso di storia della letteratura greca, troverà solo pochi e scarni commenti dedicati a quest'opera, nei quali si mette in rilievo l'insolito intreccio, più adatto a una commedia nuova, di quelle dove c'è sempre un trovatello o una trovatella che inevitabilmente sono riconosciuti da qualche nastro, stemma di famiglia o quant'altro che permette di identificarli alla fine come di libera nascita, di cittadinanza ateniese e spesso anche come discendenti di una nobilissima famiglia - la quale nobilissima famiglia lo stava cercando invano dopo esserne rimasta separata per un deplorevole insieme di circostanze. L'essere di libera nascita (e di cittadinanza ateniese) permette inoltre al non più orfanello di convolare con l'amato bene  a felici nozze, fino a quel momento precluse appunto dal mistero legato alla sua nascita.
Ma mai nessuno che spenda mezza parola sull'aspetto che mi ha colpito sin dalla prima lettura (perché l'ho letto diverse volte ed è uno dei miei drammi preferiti anche se Euripide mi piace un po' tutto).

Non è una tragedia, è un dramma - nel senso che va a finire abbastanza bene. Non si conclude con un matrimonio, ma alla fine della storia ognuno ha ottenuto quel che voleva - Creusa e Xuto un figlio, e Ione una famiglia.
Ma la tragedia c'è stata, diversi anni prima della vicenda rappresentata in teatro, quando il dio Apollo "aveva preteso amore" dalla principessa Creusa. 
E siccome il dio Apollo, com'è noto a chiunque abbia anche solo sfogliato un manuale di mitologia greca, aveva un concetto tutto suo dell'amore che non contemplava minimamente la possibilità che la controparte potesse avere una sua qualche opinione o preferenza, la cosa è finita con uno stupro in una grotta, come Creusa ricorda con amarezza quando anni dopo si ritrova nel tempio di Apollo.
Dopo lo stupro venne poi la gravidanza (com'è noto gli dei sono fertili, molto fertili). Creusa la tenne nascosta a tutti, non disse niente nemmeno a sua madre e partorì da sola, una notte, in quella stessa grotta - altra esperienza che ricorda con comprensibile angoscia.
E dopo mise il figlio in una cesta (con gli usuali contrassegni di cui sopra) e lo abbandonò nel bosco perché le fiere lo divorassero, o perché Apollo lo salvasse - ma quest'ultima possibilità non la vedeva molto probabile.
Invece Apollo, che dopo lo stupro non si era più fatto vedere né sentire, salvò il bambino, facendolo portare in zona Delfi da Hermes e poi facendolo trovare da una sua sacerdotessa che lo adottò e gli diede il nome di Ione (che alla fine, ammettiamolo, è sempre meglio di Protone o Neutrino, e anche di Xuto).

Il piccolo Ione all'epoca della storia è un fanciullo cresciuto nella dimora di Apollo, che lavora al tempio e considera quel tempio la sua casa. Del resto, non ne ha mai avute altre, e da bravo orfanello è molto riconoscente verso chi l'ha adottato.
Proprio a quel tempio, anni dopo, Creusa e suo marito Xuto, re di Atene, che dell'involontaria maternità della moglie non sa niente di niente, approdano per chiedere ad Apollo se potranno mai avere un figlio.
Naturalmente Apollo dà un responso che crea a tutti una gran serie di equivoci, difficoltà e incomodi - notoriamente i responsi del Lossia sono un disastro sempre e comunque e fan più danni della grandine -  tuttavia alla fine le cose si sistemano: madre e figlio si ritrovano e si riconoscono, mentre Xuto rimane convinto che Ione sia suo figlio, avuto da un suo trascorso prematrimoniale (di cui non ha nemmeno chiaro quando e come e con chi) e gli lascerà quindi il trono di Atene.
Il prologo viene recitato da Hermes, l'epilogo da Atena (in qualità di nume tutelare della città di Atene).
Apollo non compare mai in scena, e fa benissimo.

Nessuno, per quanto ne so, si è mai soffermato sulla vera particolarità di quest'opera: è l'unica narrazione, in tutta la letteratura classica, di uno stupro visto dalla parte della vittima.
Per la cultura greca e romana, par di capire, lo stupro è una pratica amatoria come tante altre, e giammai autore alcuno mi risulta essersi soffermato sul fatto che tale pratica possa eventualmente lasciare qualche strascico emotivo alla persona che l'ha subito - chessò, un senso di sopraffazione, una punta di amarezza, qualche traccia di rancore o vergogna, insomma una qualsiavoglia impressione negativa.
Euripide, a quel che sembra, qualche sospetto in merito invece l'ha avuto. 
Del resto Euripide è un autore molto particolare e sul tema della prepotenza e della sopraffazione davvero non c'è chi possa reggere il confronto. Tre delle sue tragedie che il Gran Canone Alessandrino ha ritenuto opportuno conservarci sono dedicate per intero a "le donne schiave dopo la caduta di Troia" e il tema del letto forzato cui le donne si ritrovano costrette è sviolinato per lungo e per largo, per tacere della magnifica tirata che Cassandra fa a sua madre quando la portano da Agamennone (e lei sa benissimo come andrà a finire) dove le spiega che quel suo matrimonio forzato è degno di grandi festeggiamenti e i troiani, che hanno perso, sono assai più fortunati dei greci che hanno vinto - con argomenti all'apparenza folli, ma che filano perfettamente e devono aver lasciato un profondo senso di inquietudine agli ateniesi che assistevano allo spettacolo.
Molti dei personaggi femminili di Euripide, in vari e numerosi drammi, si soffermano spesso sull'ingiusta condizione in cui sono tenute le donne - il passo più famoso è il monologo con cui Medea si presenta al pubblico, ma ce ne sono molti altri - e non uno solo sembra fuor di luogo e campato in aria, letto da occhi moderni. 
Eppure, ho scoperto con grande sorpresa, Euripide era spesso criticato per la sua misoginia dai contemporanei; e davvero, pensare che nella Atene dell'età classica che chiunque fosse passibile di misoginia lascia sbalorditi, considerando che si tratta di un sistema sociale dove la posizione delle donne era di poco migliore di quella delle donne afghane sotto il regime talebano.

Nello Ione  non c'è un racconto dello stupro, naturalmente, e nemmeno una descrizione dettagliata del parto. Eppure i pochi accenni di Creusa mi hanno sempre fatto venire i brividi, e la scena dove nella notte la ragazza madre abbandona a morte praticamente sicura* nella notte il bambino che piange ha qualcosa che buca i secoli. Leggendoli affiorano spontanee alla memoria  tutte quelle storie (alcune anche molto recenti) di donne che partoriscono di nascosto e abbandonano il bambino sulla porta della chiesa o della caserma del paese quando va bene, nel cassonetto della spazzatura quando va molto, molto male, e dalla pagina sale tutto il carico di paura e di orrore che c'è dietro a ognuna di quelle storie, molto meglio che in qualsiasi romanzo verista - e senza in realtà raccontare quasi niente. Tutto quel carico di violenza, sopraffazione e dolore cascato addosso alla povera Creusa, che non aveva fatto assolutamente nulla per procurarselo spezza davvero il cuore. O almeno, ha molto addolorato il mio, ma a quanto pare sono stata l'unica a notarlo.
Vai a capire.

Con questo post alquanto pensieroso partecipo di soppiatto al Venerdì del Libro di Homedemamma e auguro buone letture a chiunque passi da queste parti.

* anche se nella letteratura classica abbandonare un bambino nel bosco in mezzo agli animali selvatici è di gran lunga il modo più sicuro per garantirgli una vita lunga, prospera e ricca di eventi interessanti in barba a qualsiasi tasso di mortalità infantile. Ma Creusa non sapeva di essere un personaggio della letteratura classica, e dunque era convinta di lasciare il bambino a morire di fame e di disperazione o in pasto alle fiere.

2 commenti:

dolcezzedimamma ha detto...

Bellissimo post. Confesso che non avevo dato questa lettura alla tragedia ( ma confesso di averla letta almeno trent’anni fa. Come dici tu, non è molto quotata). Penso che la riprenderò. Il monologo di Medea è un capolavoro assoluto

Paola ha detto...

Interessantissima recensione! È sempre bello leggerti.
Paola