In questi giorni capita spesso di vedere messi in discussione illustri personaggi storici e uomini di cultura che da vivi si sono talvolta comportati in modo allineato ai costumi del tempo, ma che ai nostri moderni occhi risultano aver agito in modo assai discutibile. sul piano etico.
A ciò risponde spesso il lamento "Ma sono 745 anni che onoriamo e rispettiamo il tal dei tali, proprio ora dovete svegliarvi e accorgervi che non rilasciava mai gli scontrini? Ai suoi tempi gli scontrini non c'erano!". Al che segue una risposta del tipo "Vero, non c'erano scontrini, ma comunque lui non rilasciava nemmeno le ricevute (che c'erano eccome) e su questa base non pagava le imposte dovute, con gran danno dell'erario". Il che magari un po' è vero, un po' no ma sappiamo tutti che i suoi servi non se la passavano granché bene e che aveva fatto mettere una tassa sui calzini gialli che non pagava mai, pur portandoli regolarmente in pubblico.
E tutto ciò un po' fa ridere e un po' ha un senso, e comunque nessuno è perfetto, ogni generazione ha i suoi idoli da distruggere, il tempo passa e le cose cambiano e non è vero che i gatti sono opportunisti e se ne fregano di te. Eccetera.
A questo proposito vorrei citare un personaggio che mi ha sempre lasciato incerta e dubitosa.
Nel corso della mia carriera scolastica ormai quasi ventennale ho insegnato in varie scuole, e si sa che ogni scuola ha un nome.
Alcune sono intitolate a grandi artisti e scienziati del nostro paese: Leonardo da Vinci, Dante Alighieri, Michelangelo Buonarroti, Benvenuto Cellini.
Altre a grandi figure internazionali che hanno condotto battaglie in nome dei diritti umani: Martin Luther King, Gandhi, Iqbal Masih, Malala Yusafzai.
Oppure a figure di spicco nella storia dell'istruzione e della pedagogia italiana: Gianni Rodari, Maria Montessori, Maria Maltoni, Maria De Mattias, Lorenzo Milani.
O a grandi scrittori degli ultimi due secoli: Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Luigi Pirandello...
... Giovanni Papini.
In Toscana ne abbiamo quattro, di queste scuole, e in una ho anche lavorato per diversi mesi, quando stavo a Firenze.
Sui meriti artistici di Giovanni Papini come scrittore si possono avere varie opinioni. La mia è sempre stata molto chiara e ben delineata, e personalmente non gli intitolerei nemmeno un tombino delle fogne o un cassonetto della raccolta indifferenziata. Aveva quel tipo di prosa tronfia e roboante che mi fa venire l'orticaria già dopo mezza riga. L'unica volta che ho letto una delle sue pagine anticlericali ho provato un intensissimo desiderio di iscrivermi ai focolarini, e l'unica volta che ho letto una sua pagina da cattolico (che mi sono pure dovuta imparare a memoria per una recita scolastica) il mio disamore verso la nascita del Redentore toccò punte mai raggiunte né prima né dopo e che perfino all'epoca trovai eccessive.
Giovanni Papini è uno di quegli autori che mi fa considerare con una certa larghezza di venute la possibilità di un rogo di libri.
Tra l'altro costui è l'autore di uno scritto che viene citato in numerosi manuali di storia delle scuole per meglio descrivere lo spirito interventista italiano ai tempi della prima guerra mondiale (e va detto che lo descrive proprio benino): Amiamo la guerra, che già dal titolo dire che fa a pugni con la nostra moderna sensibilità è una elegante litote.
Celebre e sempre riportata è la frase Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l'arsura dell'agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre.
Le classi la ascoltano sempre con sembiante assai perplesso.
Ma è il caso di dedicare delle scuole a un uomo che ha professato principi del genere, che possiamo solo non dico giustificare, ma ingollare bene o male che sia ricordandoci del tempo, del contesto, del gran desiderio di scandalizzare i borghesi eccetera?
Comunque Papini non è stato solo un guerrafondaio. Si è occupato di molte altre cose: di scuola, per esempio. Scrisse anche un trattatello dal suggestivo titolo di Chiudiamo le scuole. Tutte, di ogni ordine e grado. E pazienza per gli insegnanti che restano disoccupati. Chiudiamole tutte per il bene, prima di tutto fisico, dei giovani (non voglio sapere cosa avrebbe pensato dell'intervallo da trascorrere in classe. Probabilmente è un campo dove, a sorpresa, ci saremmo ritrovati uniti da una perfetta sintonia di animo e di cuore).
Chiudiamole poi anche per la loro totale inutilità che spesso e volentieri sconfina nel danno:
L’unica scusa (non mai bastante) di tale lunghissimo incarceramento scolastico sarebbe la sua riconosciuta utilità per i futuri uomini. Ma su questo punto c’è abbastanza concordia fra gli spiriti più illuminati. La scuola fa molto più male che bene ai cervelli in formazione.
Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé.
Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene – e non tutti ci arrivano.
Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati.
Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico.
Insegna (pretende d’insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d’ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Nonostante la scrittura assolutamente orrida a' miei occhi di dama hejan assai desiderosa di armoniose sfumature (e qui di ricerca di armonia ce n'è davvero pochina), ritengo che le argomentazioni di Papini non manchino di una loro validità; e sono infatti state riprese, tutte, qualche decennio dopo, in occasione del leggendario 68 - e in qualche misura han circolato anche prima e dopo. Tutte. Tra l'altro, magari in forma un po' attenuata, alcune trovano una certa risonanza anche in molti di noi che nella scuola, con la scuola e per la scuola lavoriamo.
E di nuovo sorge la domanda: è il caso di dedicare delle scuole a un uomo che esorta senza mezzi termini a chiuderle tutte?
Forse. Magari lo si potrebbe fare in nome di una scuola non autoritaria e non repressiva, per esempio. Come monito per tutti quelli che nella scuola ci lavorano - qualcosa, insomma del tipo "Dimostriamogli tutti insieme come avesse torto". Perché no?
In quel caso però le scuole in questione andrebbero decorate con grandi scritte che riportino passi scelti di questa sua opera, come monito e incoraggiamento a ben operare verso una Scuola Ideale, non basata sulla repressione e l'autoritarismo.
In questi giorni va di moda distruggere statue. Io, più quietamente, sarei disponibile a togliere qualche targhetta dedicatoria.
Insegna moltissime cose inutili, che poi bisogna disimparare per impararne molte altre da sé.
Insegna moltissime cose false o discutibili e ci vuol poi una bella fatica a liberarsene – e non tutti ci arrivano.
Abitua gli uomini a ritenere che tutta la sapienza del mondo consista nei libri stampati.
Non insegna quasi mai ciò che un uomo dovrà fare effettivamente nella vita, per la quale occorre poi un faticoso e lungo noviziato autodidattico.
Insegna (pretende d’insegnare) quel che nessuno potrà mai insegnare: la pittura nelle accademie; il gusto nelle scuole di lettere; il pensiero nelle facoltà di filosofia; la pedagogia nei corsi normali; la musica nei conservatori.
Insegna male perché insegna a tutti le stesse cose nello stesso modo e nella stessa quantità non tenendo conto delle infinite diversità d’ingegno, di razza, di provenienza sociale, di età, di bisogni ecc.
Nonostante la scrittura assolutamente orrida a' miei occhi di dama hejan assai desiderosa di armoniose sfumature (e qui di ricerca di armonia ce n'è davvero pochina), ritengo che le argomentazioni di Papini non manchino di una loro validità; e sono infatti state riprese, tutte, qualche decennio dopo, in occasione del leggendario 68 - e in qualche misura han circolato anche prima e dopo. Tutte. Tra l'altro, magari in forma un po' attenuata, alcune trovano una certa risonanza anche in molti di noi che nella scuola, con la scuola e per la scuola lavoriamo.
E di nuovo sorge la domanda: è il caso di dedicare delle scuole a un uomo che esorta senza mezzi termini a chiuderle tutte?
Forse. Magari lo si potrebbe fare in nome di una scuola non autoritaria e non repressiva, per esempio. Come monito per tutti quelli che nella scuola ci lavorano - qualcosa, insomma del tipo "Dimostriamogli tutti insieme come avesse torto". Perché no?
In quel caso però le scuole in questione andrebbero decorate con grandi scritte che riportino passi scelti di questa sua opera, come monito e incoraggiamento a ben operare verso una Scuola Ideale, non basata sulla repressione e l'autoritarismo.
In questi giorni va di moda distruggere statue. Io, più quietamente, sarei disponibile a togliere qualche targhetta dedicatoria.
8 commenti:
Vittorio Emanuele III. Uno dei più prestigiosi istituti superiori di Palermo. E più non dico.
Ovvero colui Che Ci Lasciò Tutti In Mutande? Beh, questa è veramente un pezzo in là 😓😳😖😵
Boia dé! Vesto Vladde mi pare n'ometto nteressante. Proverò a sognallo sperando che r palo rientri in quarcosa d'umano.
T'ho mandato la tesserina dala mi mail personale quindi se vedi una mafabbri.reporter non è una rompipalle. So' io.
In cineteca hai 4 ore di Hamlet e presto l' Hurricane.
Un abbraccione
ZZZanza (mariangela)
Ma grazzissime, mo' vado a rifarmi gli occhi.
Quanto a' i Vladde... un uomo interessante, senza dubbio, di quelli con cui non rischi certo di morir di noia, ma forse non sempre attentissimo alle più delicate sfumature della nostra complessa anima femminile, ecco 😅
Colui. Anche colui che se ne andò con gli archivi regi dello stato nell'esilio, inter alia.
Be' del resto la biblioteca nazionale centrale di Napoli non si chiama forse Vittorio Emanuele III pur'essa http://www.bnnonline.it/ (in basso a dx: noblesse oblige all'ex principe di Napoli, suppongo) e quella di Roma VEII?
Solitamente lo cito a scuola, perché rappresentativo di un periodo storico e di una congerie culturale complessa, raro leggerlo invece. Ad essere sincero, non mi piace questa sorta di damnatio memoriae che opera la scuola. È preferibile che certi autori siano proposti da noi a scuola ben contestualizzati piuttosto che gli alunni li scoprano, che ne so, a 22 anni in un centro sociale fascista.
@ la povna:
e sempre serberemo un cantuccio speciale per lui, nel nostro libro nero, per questo e per tutto il resto
@ Pellegrina:
E qui strabilio.
"Ma a Napoli l'hanno avuto per un anno in più".
Appunto, ancor più strabilio.
Per tacere del fatto che un nome si può sempre cambiare.
@ Mel:
Beh sì, citarlo alle superiori ha un senso, era un influencer di rilievo.
E sono assolutamente d'accordo sulla contestualizzazione, anche se sospetto che nei centri sociali leggano altro.
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