Di Antonia Byatt non avevo praticamente mai sentito parlare se non molto di sfuggita fin quando tre anni fa, all'inizio della mia interminabile convalescenza, nel blog di Esserino & Balena un'adorabile signora inglese con cui Dani era entrata in contatto nel corso delle sue, ahimé troppo brevi, avventure inglesi consigliò la lettura del libro che oggi vado a presentare, e lo presentò come primo di una quadrilogia. La stessa Dani lo procurò tosto ai lettori in formato audiolibro dalla lussuosa audioteca di RadioTre - e in effetti al momento gli audiolibri erano adattissimi alle mie precarie condizioni fisiche.
Lo trovai un libro particolare... insolito. Ma c'era qualcosa che mi prese e grazie alla biblioteca locale mi procurai anche gli altri tre, che in seguito lessi in varie stagioni e tappe - continuando sempre e comunque a trovarli insoliti.
Ci tengo a citare il blog di Esserino & Balena perché senza il loro suggerimento mai e poi mai sarei entrata in contatto con questi quattro libri - e davvero mi sarei persa qualcosa.
Ma andiamo per ordine; la quadrilogia è la storia della formazione di una giovinetta che poi diventa donna e del suo modo di rapportarsi col mondo che ha intorno e che è in gran trasformazione, e si tratta di un genere che ho sempre apprezzato molto anche per la ricostruzione storica che questi romanzi finiscono inevitabilmente per sobbarcarsi.
La qualità della scrittura è buona; la Byatt scrive bene e presenta le varie situazioni in modo limpido e accurato, con una certa crudeltà di tocco. È comunque una scrittura molto densa, di quelle che se ci immergi un cucchiaino sta in piedi da solo, e i protagonisti amano indagare i campi più strani dello scibile umano: il bene e il male , l'amore e la morte, naturalmente, e l'esistenza di dio e il suo ruolo nelle nostre vite - e fin qui siamo ancora in zona facilmente gestibile, ma arrivano anche il funzionamento del cervello umano e di quello delle chiocciole (difficile immaginare quante tipologie di chiocciole esistono al mondo), il rapporto tra pensiero e realtà, tra libertà e potere, tra conoscenza e cultura, tra raziocinio e istinto, tra il colore e la tela, tra...
Normalmente detesto questo tipo di massimi sistemi e quando mi ci imbatto pianto il libro senza ombra di rimorso, ma qui tutto mi è sembrato molto pertinente alla vicenda - insomma, non c'è niente che non dovrebbe esserci, anche se a volte la lettura non va speditissima. Aggiungo comunque che tutta la storia è piena di sorprese, gestite anche molto bene dall'autrice.
La quadrilogia comincia nel 1978 con La vergine nel giardino, e si concluderà solo nel 2002 con Una donna che fischia. Il primo romanzo comunque è ambientato nel 1953.
Per l'Inghilterra è un anno particolare: si è finalmente scrollata da dosso il ricordo del razionamento e dei sacrifici richiesti dalla guerra e comincia a lasciarsi alle spalle un po’ della polvere imperiale dei decenni appena trascorsi, rivedendo anche il suo canone letterario - un problema, questo, molto sentito dalle due sorelle protagoniste - figlie di un professore universitario di storia della letteratura, cresciute all'interno del recinto dorato del college e imbevute e quasi annegate sin dall'infanzia nella letteratura (perché, esiste forse qualcos'altro?).
La coppia di sorelle si presenta sin dall'inizio come una specie di proiezione e revisione della coppia di sorelle protagoniste di Donne innamorate - uno dei molti autori di cui va accuratamente ponderata la ricollocazione nel canone letterario (e che è destinato a ricomparire spesso nella quadrilogia). In realtà il libro è pieno zeppo di citazioni, allusioni, riferimenti, riproposizioni e parodie legate alla letteratura inglese e sono assolutamente sicura che per una che sono riuscita a cogliere me ne sono sfuggite almeno quattro.
Due sorelle, dunque, molto giovani e di belle letture, con un padre molto intellettuale, molto irritante e molto scomodo sia come padre che come marito, un po' meno come collega dell'università.
Stephanie si mostra come la più terrena e concreta delle due, mentre Frederica ondeggerà in una complessa opera di formazione e trasformazione dove conciliare le sue ambizioni, i suoi interessi e la sua personalità ancora allo stato di abbozzo sembra a tutta prima un affare piuttosto complicato. È ancora acerba, perfino come protagonista, tanto che la scena sarà occupata per lo più da Stephanie, dalla sua bizzarra storia d'amore e dal conseguente matrimonio che, nonostante la feroce opposizione paterna, molte apparenti incongruenze e qualche ostacolo esterno, finirà per rivelarsi assai felice.
Frederica dunque è la vergine del titolo (e solo in chiusa del romanzo infatti la sua verginità verrà abbandonata) ma c'è anche un riferimento molto marcato alla Vergine per eccellenza della storia inglese, ovvero la Regina Vergine, Elisabetta I, cui uno dei protagonisti dedica un dramma in versi intitolato “Astrea” - un apparente anacronismo letterario, in tempi di revisione del canone. Ma è il 1953, anno dell’incoronazione di Elisabetta II, e in barba alla revisione del canone letterario l'anacronismo risulta non soltanto assai pertinente e opportuno, ma sortirà anche un grosso successo di pubblico e di critica. Il romanzo, a struttura corale, ci racconta appunto della preparazione dello spettacolo: assistiamo dunque alla scelta del luogo delle rappresentazioni, alla selezione degli interpreti, alla preparazione dei costumi e alle prove fino alla lussuosa prima della rappresentazione. Frederica, la futura protagonista della quadrilogia, è apparentemente in second'ordine rispetto ad altri personaggi ma il lettore viene garbatamente avvisato che l'apparenza può ingannare: sarà lei infatti ad ottenere il ruolo di Elisabetta Tudor da giovane, negli anni in cui sembrava sempre che il trono toccasse a qualcun altro.
E poco prima dello spettacolo andrà in scena un altro e ben più grandioso spettacolo, ovvero l'incoronazione della sua nuova sovrana, Elisabetta II, che addirittura verrà trasmessa in televisione in diretta - con grande entusiasmo del popolo tutto e grandissimo sconcerto degli intellettuali, che comunque seguiranno la diretta televisiva esattamente come la plebe pur deprecando l’intrinseca volgarità della spettacolarizzazione di sì augusto avvenimento.
L'Inghilterra sta cambiando, dunque, la letteratura sta cambiando e anche il mondo segue una sua qualche evoluzione, mostrata anche da quello strano aggeggio catodico, Frederica pure sta cambiando e il romanzo si chiude, gravido (sì, parecchio gravido) di nuovi sviluppi.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e come sempre auguro a tutti quelli che passano di qua buone e lunghe letture, favorite anche da una Pasqua decisamente insolita in cui le gita fuori porta sono state messe sotto embargo.
2 commenti:
Della Byatt ho letto Ragnarok e Il genio nell'occhio dell usignolo, forse qualche altro racconto ma non mi ricordo. Mi erano piaciuti abbastanza, credo. Ora sono alle prese con Angeli e insetti e non lo sopporto - leggo ringhiando. Non è affatto brutto, ma anche meno pippe mentali, grazie. Un'irritata Lurkerella
Per ora ho letto solo questi quattro, quindi non so commentare. Ma va pur detto che quando si tratta di incamminarsi sul difficile e sul complicato, la signora non fa sconti di sorta al lettore.
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