Il romanzo è stato pubblicato da Marsilio nel 2021 e ristampato poi nel 2022 per l'Universale Economica di Feltrinelli. Probabilmente non lo avrei mai preso in considerazione se I dolori della giovane libraia non gli avesse dedicato una lunga recensione inserendolo in un macrotema piuttosto trascurato nella letteratura contemporanea, ovvero il rapporto col lavoro.
Cominciamo dalla copertina, che davvero non aiuta: una povera ragazza completamente accasciata su una scrivania su uno sfondo rosa caramella, e che grida da ogni centimetro quadro chicken literature! Quanto al titolo, non ho la minima idea se sia una traduzione del titolo originale o racchiuda in sé un lampo creativo occidentale, ma in inglese suona un po' differente anche se la copertina è molto, molto simile alla nostra.
La protagonista è una giovane donna - non troppo giovane, in realtà: trentasei anni, dunque non una pischellina. E' reduce da un colossale esaurimento dovuto al suo amato lavoro, che troppo l'ha assorbita fino a mandarla completamente in crisi in quanto si sentiva non solo inadeguata, ma soprattutto divorata viva.
Adesso è a caccia di un lavoro tranquillo, meccanico, che non la coinvolga troppo e che possa prendere o lasciare a suo capriccio.
La responsabile dell'ufficio di collocamento le trova diversi di questi lavoretti, e ognuno rivelerà misteriose insidie rivelandosi molto più complesso e coinvolgente di quanto si era mostrato all'inizio.
Fino alle ultime pagine non sapremo qual era il misterioso Lavoro Divorante che ha causato l'esaurimento, e per tutto il romanzo (non molto lungo ma nemmeno cortissimo, diciamo poco più di 300 pagine, ma molto scorrevoli) non sapremo quasi niente della sua vita privata, se non che vive sola e, a quanto sembra, non ha una vita sociale troppo intensa - solo qualche vaghissimo accenno ci fa comunque capire che ha avuto delle storie d'amore e ha tuttora degli amici. L'unico evento del suo passato su cui si sofferma è l'esaurimento (di cui comunque non racconto quasi niente) che sembra aver tagliato in due la sua vita; in pratica è la storia di una creatura appena rinata che riparte per un nuovo inizio, con ancora addosso qualche segno delle ferite passate ma con uno sguardo fresco e innocente.
Il primo di questi lavori sembra effettivamente rientrare nel quadro richiesto: si tratta di sorvegliare uno scrittore attraverso telecamere piazzate nella sua casa per cercare di capire dove custodisce la droga che, in modo del tutto involontario, viene spacciata attraverso di lui. Passivamente dunque la protagonista sbobina le lunghe ore di filmato dove un tale fa la sua vita custodendo inconsapevolmente (e passivamente) merce illecita: un lavoro ottimo per annoiarsi a morte ma che davvero non sembrerebbe offrire occasioni per farsi coinvolgere troppo, e anzi sembra avere come unico effetto collaterale il rischio di morire per la gran noia. Eppure...
Eppure sarà proprio lei a capire il meccanismo con cui viene raggirato il poverino, e a risolvere il caso. L'istituto che le ha offerto il lavoro sarebbe contentissimo di assumerla in pianta stabile con un buono stipendio, ma la protagonista giustamente scappa.
Il secondo lavoro, di nuovo, non sembra nascondere insidia alcuna e si mostra come la routine più banale e innocua di questo mondo: preparare annunci pubblicitari da registrare per poi farli ascoltare in autobus -certo meno noioso che sbobinare le giornate di uno scrittore sedentario, e con in più un un certo qual piacere creativo - eppure anche lì, mentre compila annunci nel suo quieto angolino, i tentacoli del Coinvolgimento arriveranno fino alla soglia dell'ufficio.
Di nuovo la protagonista scappa, anche se la ditta sarebbe più che disponibile a rinnovare il contratto. La tappa successiva sarà andare ad affiggere manifesti. Un po' di moto, finalmente, un lavoro all'aria aperta, e sfido chiunque a lasciarsi coinvolgere da un'attività innocua come quella di incollare manifesti, eppure...
Sì, appunto, può succedere anche questo.
L'alternarsi dei lavoretti dall'apparenza innocua ma stranamente coinvolgente - vissuti comunque sempre dall'esterno e con la possibilità di scappare da un momento all'altro, forniscono alla protagonista una sorta di apprendistato dove imparerà molto sul mondo del lavoro, ma soprattutto moltissimo su di sé - perché anche a trentasei anni puoi essere la protagonista di un romanzo di formazione (anche a cento, se per questo).
L'ultimo di questi lavoretti innocui (sappiamo che sarà l'ultimo perché le pagine rimaste ormai sono poche) si presenterà fin dall'inizio come il meno innocuo e il più denso di mistero e conterrà una curiosa chiave di volta che riporterà la protagonista all'inizio della sua storia, ma con una consapevolezza e una capacità di comprensione molto diversa, che le permetterà, forse, chissà...
Ho scritto che è un romanzo di formazione, ma volendo si può definire il racconto di un percorso iniziatico - che in fondo è un altro modo di dire la stessa cosa.
La scrittura è garbata e scorrevole, ma anche piacevolmente ironica e leggere. Qualcuno l'ha trovata anzi un po' troppo leggera e senza spessore, qualcuno l'ha definito un buon libro di evasione, molto gradevole. Io l'ho trovato un buon libro punto e basta, me lo sono spolpato in tre giorni, penso che mi abbia fatto molto bene - e, forse, un pochino ho anche invidiato la protagonista: cinque lavori così insoliti in un anno non me li ha mai offerti nessuno; o forse, chissà, me li hanno offerti e io non sono stata capace di riconoscerli?
4 commenti:
Ho letto questo libro l'anno scorso e con molto piacere, anche perché piuttosto insolito come trama, come situazioni. Però alla fine, non so perché, mi sono come sentita presa in giro allo scoprire quale fosse il lavoro che le aveva causato l'esaurimento nervoso.
Non dico qual è per non spoilerare, comunque la "delusione" forse è dipesa dal fatto che mi aspettavo che l'esaurimento fosse causato dai ritmi della società giapponese, come la si immagina e come anche è, probabilmente. Lavoro, lavoro a tutte le ore e con l'ansia da prestazione che parte già dai bambini e dai compiti e dai test che fanno. Aspetti che poi fanno parte anche dello stile competitivo americano (e immagino anche qua, in certi settori), dove c'è sì la meritocrazia, ma appena hai un attimo di calo, c'è subito qualcun altro che ti prende il posto.
Forse pensavo che il tema ruotasse attorno a questo, invece no. Trovo umanamente comprensibile il suo esaurimento, perché dovuto proprio al tipo specifico di lavoro e anzi, mi sembra quasi strano che poi avesse vissuto il tutto come un'epifania incredibile.
Ad ogni modo, la lettura è stata piacevolissima.
Chissà se il computer fisso, almeno lui, mi riconoscerà; e comunque sono Murasaki.
Io, che lavoro quasi in quel settore (il burn-out tra gli insegnanti pare sia molto comune) non sono invece rimasta molto sorpresa e credo sia una questione di canali energetici o una roba del genere. Ammetto però che anch'io davo per scontato che fosse tutta colpa dei ritmi della società giapponese - anche se forse, in un certo senso, è così, perché in Giappone l'ansia da prestazione raggiunge livelli davvero elevati.
Ovvia, almeno il computer mi riconosce. Champagne per tutti!
@ Filippo:
In effetti è la tesi dell'autrice. Ed è anche molto vero!
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