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venerdì 25 giugno 2021

Piccoli uomini - Louise May Alcott



In tutta onestà, se dovessi fare un elenco dei miei libri preferiti questo non ci sarebbe. Tuttavia leggerlo è stato interessante sotto diversi aspetti, primo fra tutti per la sua notevole modernità didattica. Inoltre, facendo parte del  ciclo di Piccole donne è un classico per luce riflessa, senza contare che ha la sua brava parte di fan (alcuni lo ritengono anzi superiore al primo), anche se in rete non si trova molto in italiano, e persino la voce di  Wikipedia è piuttosto stringata.

Primo punto: più che un romanzo è un trattato sull'educazione, per ammissione della stessa autrice che dichiara che "questo libro non segue una vera e propria trama ed è, più che un romanzo, il resoconto di quel che succede nella scuola di Plumfield".  
E allora cominciamo spiegando cos'è la scuola di Plumfield, che magari non è mai esistita esattamente in quei termini, ma ha basi più reali di molte delle scuole narrate in letteratura.
Louise Alcott non ha mai gestito una scuola, ma era figlia di un insegnante decisamente molto avanti rispetto ai suoi tempi (e che per questo motivo passò la sua brava parte di guai) e frequentava gran copia di educatori e filosofi decisamente all'avanguardia.
La scuola gestita da Jo March e dal suo consorte, il professor Baher, non poteva quindi essere una scuola ordinaria.
Si tratta prima di tutto di una scuola altamente inclusiva: nel carnet di presentazione dei primi alunni troviamo un ragazzo che, a causa di quelle che un tempo venivano chiamate "febbri cerebrali" da intelligente è diventato idiota e un altro con una malformazione alla spina dorsale (di quelli che un tempo erano chiamati "gobbi"), e il nuovo alunno, introdotto nel primo capitolo, è disperatamente povero e viene da quello che oggi nelle relazioni scolastiche definiamo "un contesto socio-culturale degradato": in pratica, un trovatello che vive (male) suonando il violino per strada e dormendo in una cantina umida e fredda, dove si è ammalato di una brutta tosse che la malnutrizione ha contribuito a peggiorare. Più avanti, a rimorchio del trovatello, che se non altro nei primi anni della sua vita ha ricevuto un po' di educazione, anche se ben poca istruzione a parte quella musicale, arriva un altro trovatello, con alle spalle una infanzia ancor più disastrata. Per entrambi paga Laurie Lawrence, promosso per l'occasione da Reagente a Mecenate. Più avanti ancora arriverà una ulteriore orfanella dotata di un carattere piuttosto irruento, nota nella zona come "Nan la monella". Ma naturalmente i problemi possono arrivare anche con alunni all'apparenza normalissimi - e del resto, già intendersi sul concetto di normalità, in particolare se applicato a un ragazzino in età scolare, non è affatto semplice.
Che dire della disciplina? In realtà c'è, ma è una disciplina à la March, basata soprattutto sull'autocontrollo e la condivisione dei valori - il sogno della didattica moderna, insomma.
Cioè no, non del tutto: ad esempio sono previste anche zone franche, dove i ragazzi hanno l'esplicito permesso di scatenarsi - un accorgimento prezioso che vorrei tanto fosse a nostra disposizione anche nella moderna scuola, che vive nel terrore di incidenti, traumi (fisici), incidenti mortali e simili e per la quale, ahimé, il nobile principio improntato al migliore buon senso e citato nelle prime pagine risulta del tutto improponibile:
"Insomma come si fa a non concedere un po' di tempo libero in cui possano gridare, scatenarsi e combinarne di cotte e di crude come pare a loro?" osserva saviamente Jo durante una di queste zone franche, mentre intorno a lei i ragazzi si prendono festosamente a cuscinate e cavalcano i corrimano delle scale facendo un baccano fuor dall'umano.
Giusto, come si fa? Purtroppo sembra che oggi ci si riesca benissimo - ma non per questo scansiamo incidenti e traumi (fisici) vari; in compenso ci lamentiamo molto per le classi che, chissà perché, risultano spesso piuttosto irrequiete.

Quindi, una scuola che rientra nel ramo permissivo, dove fruste e bacchette sono del tutto fuor di questione: l'unica volta che infatti viene presa in mano la frusta si ha cura di notare come fosse coperta da uno spesso strato di polvere - e detta frusta non viene usata dall'insegnante sull'alunno bensì...dall'alunno sull'insegnante, in un passo didatticamente davvero geniale. Le sanzioni sono quindi del tutto non-violente (per gli alunni) e accuratamente motivate al diretto interessato.
E' poi una scuola con programmazione individuale: al momento del saggio di fine anno infatti chi sa scrivere scrive, in modo assolutamente personalizzato, ma chi non sa ancora scrivere perché è troppo piccolo se la sbriga in altra maniera, per esempio con una esposizione orale.
Una scuola molto laboratoriale: nel corso del romanzo assistiamo all'allestimento di un museo di scienze naturali con ampia scelta di animali vivi e morti; gli alunni tengono i loro pet (no, non solo cani, gatti, tartarughe e topolame vario, ma anche vermi, cavalli, polli e quant'altro) e hanno ognuno un orto a disposizione da coltivare a loro piacimento - e qualcuno ci riesce e qualcuno no, e allora gli viene spiegato alla fine dell'anno dove e come abbia sbagliato, acciocché possa migliorare nell'anno successivo. C'è anche un corso di cucina (se ne occupano le ragazze. Evvabbé). Inoltre viene incoraggiato lo spirito imprenditoriale, consentendo ai ragazzi di organizzare piccoli commerci di animali, piante, uova e altro.
Oltre alle ordinarie lezioni, ha grande importanza anche l'apprendimento tra pari in varie forme, e all'insegnamento partecipano anche giardiniere, cuoca e personale domestico in generale.
E si fa molto esercizio fisico, di tutti i tipi: non solo Scivolata sul Corrimano, Arrampicata sugli Alberi e Lotta con i Cuscini, ma anche tante altre tipi di sport.
Scuole di quel tipo esistevano e sono esistite anche in seguito, e sono sempre state scuole di nicchia - ma gli alunni che le hanno frequentate e le frequentano di solito le apprezzano assai e ne ricevono una preparazione assai completa. Naturalmente sono molto complicate da gestire, ed è per questo che sono piuttosto rare. Piazzare tutti i ragazzi in una stanza fornita di banchi e limitarsi a interrogarli è senz'altro più pratico per chi ci lavora, anche se meno stimolante. Inoltre, funzionano solo con numeri piuttosto ridotti, e va pur riconosciuto che le Grandi Scuole hanno qualcosa di rassicurante per molti, se non per tutti.

Sul piano educativo dunque è un libro molto interessante. Come romanzo però mi attento a dire che si è visto di molto meglio, anche nel resto della produzione della Alcott.
Abbiamo un ottimo primo capitolo, quando arriva il Violinista Randagio, e un eccellente capitolo intitolato "Damone e Pizia" (ma pare che il vero nome dei protagonisti della leggenda  fosse Damone e Finzia) sul valore dell'amicizia, che ripercorre molto bene le dinamiche interne di un gruppo di ragazzi in quelle circostanze. Poi c'è un bel gruppetto di storie e storielline che l'autrice assicura essere prese di peso dalla vita reale, e non vi è motivo di dubitarne. Tuttavia la narrazione nel suo insieme non è delle più avvincenti e anche se una trama in qualche modo c'è, o meglio anche se alcun i dei protagonisti seguono un loro percorso, non è una di quelle letture che mi ha spinto a tenere la luce accesa più del dovuto per andare avanti. E va anche detto che quella bellissima cosa che si chiama sintesi non sempre brilla per la sua presenza e insomma il brodo a tratti non è dei più sostanziosi.
Insomma, in certi punti mi sono proprio annoiata.
Alla fine del libro comunque, oltre ad avere individuato alcuni commercianti in erba, sappiamo che tre dei protagonisti hanno già individuato chiaramente la loro strada: il Violinista Randagio è, appunto, vocato al violino; il suo amico ancor più randagio è decisamente vocato allo studio delle scienze naturali, cui è stato instradato da tale Mr. Hyde (che immagino sia un alter ego di Henry Thoreau); e infine la monella Nan, fermamente decisa a studiare medicina (con l'appoggio di Jo).

In ultimo, una curiosità letteraria: verso la fine del libro spunta dal nulla un capitolo intitolato "John Brooke". Niente di strano, all'apparenza, visto che John Brooke è il marito della sorella maggiore di Jo, e anche il padre di due dei bambini di Plumfield. In questo capitolo John Brooke muore, dopo brevissima malattia, e ne viene tessuto un lunghissimo elogio funebre (che è anche una delle parti più scialbe del romanzo) dove, tra le altre cose, si racconta come il signor Baher aveva perduto con John Brooke un amico e un fratello insostituibili anche se nelle uniche due occasioni in cui li abbiamo visti insieme, i due non scambiano una parola che sia una.
Molto perplessa, dal momento che tale morte non incide minimamente sulla trama, sono andata a controllare; e ho scoperto che il vero John Brooke è morto nel 1870, dopo dieci anni di matrimonio - un dettaglio che viene ripetuto più volte durante quel micidiale capitolo. Sembra anzi che l'intero romanzo sia stato scritto proprio per provvedere alla sorella ormai vedova e con figli a carico.
In tutti i casi, oltre che di una noia mortale, quel capitolo contraddice il romanzo precedente: dove dieci anni dopo il matrimonio con Meg, John Brook gode ancora ottima salute, e anzi  ben due anni dopo la sua morte se ne stava a Plumfield a giocare a cricket con i ragazzi senza mostrare alcun segno di malessere fisico, nel capitolo finale.

Come ci ricorda Wikipedia, il romanzo ha avuto ben due adattamenti cinematografici e pure una serie televisiva di 26 puntate, ma anche un anime in 26 puntate che da noi è stato titolato Una classe di monelli per Jo ma l cui titolo originale era La piccola donna Nan e l'insegnante Jo dove la vicenda è incentrata appunto su Nan e su quella specie di passaggio di testimone tra lei e Jo accennato anche nei libri.

Con questo post partecipo in pectore al Venerdì del Libro di Homemademamma che da un paio di settimane latita e, come sempre, auguro piacevoli letture a tutti.

10 commenti:

Lurkerella ha detto...

Non ricordo l'elogio funebre di Brook e quindi o la versione era tagliatissima o mi sono dimenticata tutto spontaneamente. Cioè, sapevo che Brooks moriva prematuramente ma non che fosse nel libro. Ricordo benissimo la parte delle frustate, il piccolo violinista, Nan e un po' di cinni assortiti. Ho recuperato il libro in uno di quegli scaffali autogestiti prendi un libro/metti un libro ma non l'ho ancora aperto, provvederò

Pellegrina ha detto...

Ma che sfiga Meg!

Kukuviza ha detto...

Ho letto con piacere i tuoi post dedicati a questi libri. Avevo il volumone coi 4 romanzi, ma credo di essere arrivata a questo senza peraltro finirlo.
Leggendo anche i commenti in uno degli altri post, mi chiedo se non debba davvero provare a leggerli in originale, forse sparirebbe un po' della zuccherosità della prosa che c'è nella mia edizione. Mi ricordo di aver letto una versione di Tom Sawyer che aveva una traduzione che mi dava proprio l'idea di una leziosità tipica di una certa letteratura per l'infanzia (che non mi piace molto). Poi in libreria, avevo dato una scorsa a un'altra traduzione che mi aveva dato tutt'altra impressione. Quindi può essere che anche con le piccole donne mi si verifichi lo stesso.
Interessanti le tue considerazioni su Laurie, personaggio dalla consistenza propria non pervenuta. In effetti... ma forse sono proprio i personaggi maschili a essere meno delineati, delle specie di cartonati che fanno la loro comparsa al momento in cui servono. Forse il professore di Jo un po' meno, ma anche lui mi pare che esista un po' in funzione di lei (non perché non abbia una vita sua, ma per quello che si vede di lui, se non sbaglio almeno).

la povna ha detto...

Confermo assolutamente che la lettura in lingua originale non solo ripaga, ma consente di inserire meglio il libro in un filone tematico e ideologico ben preciso, di cui in quegli anni è capostipite ma che pervade quasi o tutta le letteratura giovanile americana del periodo, da Twain a Montgomery arrivando a Gilman.
A me il romanzo piacque subito, e parecchio. Ma già allora avevo letto Thoreau e Emerson e stavo iniziando a sviluppare diverse idee su come avrei voluto una idea di scuola, dunque quell'aspetto mi sedusse non poco.
Qui è dove quell'aspetto funzionale di Laurie (e dunque di Baher) di cui dicevo nel post precedente mi pare assuma il suo aspetto di, mi scuso per il termine molto tecnico narratologico, ma quello è, "funzione attanziale" quasi in purezza: Laurie porta scompiglio nella cornice familiare, dall'esterno ma un esterno non pericoloso. Questo non sarebbe stato possibile se fosse stato il di Jo marito. Dunque funzione di Baher è fare di Jo a) la moglie di qualcun altro; b) la moglie di qualcuno di cui cerchi la approvazione (con questo replicando lo schema della Jo giovinetta). Il resto, banalmente, a mio avviso, consegue.
Su John Brooke, non è il capitolo che preferisco, ma confesso che ho sempre pensato che il titolo giochi ambiguamente con il piccolo romanzo di formazione di Demi che si evoca in nuce in quello stesso capitolo. Cioè, in sintesi, mentre commemora, per occasione, il marito di "Meg", Alcott contemporaneamente allude al passaggio da Demi e John del maggiore in grado della generazione minore.

Murasaki ha detto...

@ Lurkerella & Pellegrina:
Sì, la povera Meg è stata davvero sfigata, tanto più che la sua precoce vedovanza non deriva da questioni di trama ma soltanto dalle vicende reali della sua corrispettiva nella vita reale.
Detto questo, ribadisco che l'elogio funebre del bravo John Brooke è davvero una palla.

@ Kuku:
La questione dello zucchero... va considerato prima di tutto che i cosiddetti "classici per ragazzi" oggi non sono granché letti dai ragazzi del nostro tempo (anc he se "Piccole donne" sotto questo espetto è una eccezione): trovi senz'altro il singolo che ne ha letto qualcuno, e probabilmente quasi tutti ne hanno incrociato qualcuno nella loro infanzia, magari perché l'hanno trovato in casa tra i libri dei genitori. Inoltre molto spesso parenti ben intenzionati gliene regalano qualcuno (dietro suggerimento del libraio, di solito, che ripiega su quelli perché il parente in questione nutre una certa diffidenza verso i libri per ragazzi contemporanei, mentre dei cosiddetti Classici per Ragazzi ha almeno sentito parlare), ma quando ero bambina si trattava di Letture Universalmente Diffuse e nessuno dei miei coetanei o della mandata successiva è scampato a queste letture, spesso in forma ridotta. Era roba che ci era familiare e costituiva una specie di canone comune.
Al giorno d'oggi ogni editore per ragazzi avvia una collana di Classici per la Gioventù che la Gioventù legge solo occasionalmente, con grande desolazione di molti adulti "Ma come è possibile che non leggano questo, questo e quest'altro?" si domandano sconsolati. Di fatto il canone letterario è cambiato e i romanzi dell'Ottocento vanno molto meno di quando ero giovane. I cosiddetti Classici per Ragazzi fanno appunto parte di un canone di lettuire ottocentesche e i ragazzi ci si entusiasmano con moderazione. In molti casi le traduzioni sono quelle che leggevo io negli anni 60, a loro volte spesso tradotte negli anni 30 e 40 - anni che all'epoca erano molto vicini - e insomma sono traduzioni VECCHIE, perché negli ultimi 40 anni il lessico e la lingua sono cambiati parecchio.
Converrebbe quindi cercare delle traduzioni RECENTI. Sotto questo aspetto Eimaudi avrebbe fatto un buon lavoro, mi sembra, ma nel caso dei romanzi delle Piccole Donne temo che non siano traduzioni proprio fresche di giornata: Luca Lamberti, il traduttore, era della classe 1924 ed è morto, circondato da gran cordoglio, nel 1979 - improbabile, a mio avviso, che abbia tradotto il ciclo dall'aldilà, e il suono non è proprio aggiornatissimo.
Sotto questo aspetto vale il suggerimento della povna di cercare i romanzi in lingua originale, o di rassegnarsi a un suono un po' datato - che per me non è un gran problema, visto che si tratta del suono che ha accompagnato la mia infanzia.

Murasaki ha detto...

@ la povna:
oh sì, l'improvviso cambio di nome di Demi in John non mi era sfuggito ed è molto, molto significativo. John diventa istantaneamente il Capo della Casa e quindi nel romanzo successivo avrà il diritto di fare quel che vuole.
Sottoscrivo pienamente per la parte sulla funzione di Laurie, ma per quanto riguarda Baher ritengo che ne avesse almeno altre due:
1) stupire il borghese (o meglioLA borgese) con un colpo a sorpresa
2) ricordare al gentil lettore che i matrimoni nella vita sono una roba strana, anche se nei romanzi più consueti funzionano che un bel giovane di buoni sentimenti, possibilmente ricco, ottiene automaticamente una bella giovinetta di buoni sentimenti e insieme vivranno vita lunga e felice: di fatto spesso, quando la scelta del partner è almeno in parte libera, i fattori in gioco vanno al di là del contratto sociale tra persone alla pari almeno sul piano fisico ed emotivo. Jo si sposerà, d'accordo, visto che è così indispensabile che si sposi; ma almeno lasciamola stupire il lettore!

minty ha detto...

Sono sempre stata una grande fan di questo libro. Soprattutto nella sua versione ridotta XD
Le vicende della scuola di Plumfield e dei suoi allievi hanno sempre esercitato su di me un grande fascino. Sarà che quando lo leggevo avevo, più o meno, l'età dei ragazzini protagonisti; sarà che non mi sarebbe dispiaciuto studiare con Jo e soci, piuttosto che nella mia scuola media (che a fine anni '80 non aveva ancora ben recepito i dettami della riforma istituita 20 anni prima, ed era ancora molto rigida, simil collegio, e dotata di corpo insegnante assai poco empatico...)
Come ho detto altrove, è il libro della quadrilogia che ho più riletto, negli anni. Anche se ho trovato la sua edizione integrale, in traduzione Einaudi, non poi così divertente °_° Lo rileggerò in traduzione Rizzoli e vedremo se è colpa dei contenuti o di un linguaggio non indovinato in italiano ;)

@Kuku
Tom Sawyer è un caso molto particolare. L'originale di Twain era pieno di sgrammaticature, gergo, espressioni "dialettali". L'autore ovviamente l'aveva scritto così apposta, per mimesi con l'ambiente e i personaggi narrati. Ma ovviamente, importando il romanzo per l'edificazione dei fanciulli italici, era impensabile che simil prosa passasse indenne le forche caudine di una traduzione a fini pedagogici. Indi per cui, per moltissimo tempo, il romanzo è stato pubblicato solo in un italiano terso e pulitissimo, del tutto estraneo all'originale.
Io stessa, che avevo letto e riletto l'edizione di mio padre (edizione San Paolo, nientemeno!), ignoravo completamente questa cosa finché non mi è capitata fra le mani una copia di "Tom Sawyer" molto più recente, e ho scoperto, a 30 anni suonati, il "vero volto" del romanzo.
In pratica, finalmente, a fine anni '70, la Rizzoli si è decisa a far uscire una nuova traduzione del libro, fedele allo stile del testo originario (quindi piena di "errori", espressioni popolari e costruzioni dubbie :D), e da allora la sua è la versione che circola maggiormente. Ergo, se ti procuri un'edizione BUR successiva al 1979, corri il serio pericolo di leggere il "vero" Tom Sawyer ;)

Murasaki ha detto...

@ Minty:
la storia della traduzione di Tom Sawyer mi mancava.
Ripensandoci, l'idea di rivedere le bucce a Twain è talmente assurda che non era davvero possibile che non venisse in mente a qualcuno.
Sarebbe carino avviare una serie di classici in versione corretta: l'Ulisse di Joyce, per esempio. O anche il Signore degli anelli, dove Sam parla un inglese piuttosto colloquiale (e un po' a dire il vero l'hanno anche fatto...)

Quanto alla traduzione Einaudi di Piccoli uomini, è abbastanza vecchia ne quindi risulta piuttosto paludata - anche se il traduttore è uno dei più blasonati della casa editrice. Anzi ERA, perché non è più tra noi da più di 40 anni (vedi commento sopra).

minty ha detto...

@Murasaki
Come ho già avuto modo di scrivere, la mia traduzione prediletta (ma purtroppo ridotta) di Piccoli uomini è della sempre-sia-lodata Fausta Cialente.
Quello che scrivi di Luca Lamberti mi meraviglia, perché ero convinta che la traduzione Einaudi presente nel librone che riunisce tutti e quattro i libri del ciclo March fosse assai più recente. Aldilà dello stile un po' barboso (che per quanto ne sapevo io poteva pure essere farina del sacco della Alcott, ai tempi mitigato dalla Cialente), a urtarmi è stato anche il fatto di ritrovare dei calchi diretti delle costruzioni di frase inglesi, che in italiano erano per me assai poco digeribili, ma che potevano far capo a certe teorie della traduzione emerse in decenni a noi un po' più vicini (se non ho frainteso il discorso fattomi da Sorella, che oltre ad avermi prestato il libro in questione, è anche laureata in traduzione editoriale).
Incuriosita dal fatto, ho cercato Luca Lamberti su Google (principalmente per confrontarne le date di nascita/morte con quelle della Cialente) e ho scoperto che... costui non è mai davvero esistito! XD O meglio, è uno pseudonimo redazionale usato in Einaudi da tempo! :-O Il suo ideatore è, sì, defunto nel 1979, ma a quanto pare in casa editrice hanno continuato a far "lavorare" il Lamberti da allora senza grossi ripensamenti. Ergo, non possiamo davvero sapere quando LL ha tradotto ciò di cui parliamo.
Trasecolo, ma pare proprio sia così:

https://rivistatradurre.it/il-piu-longevo-prolifico-e-poliedrico-traduttore-delleinaudi/

Tu lo sapevi? :-o

(Chissà se l'assonanza con il Duca Lamberti di Scerbanenco, nato molto dopo lo pseudonimo redazionale Einaudi, è pura combinazione o no XD)

Murasaki ha detto...

No, non lo sapevo - e a questo punto tutta la mia tirata sulle traduzioni antiquate va allegramente a farsi benedire.
E grazie della segnalazione, è il classico articolo che... uhm, diciamo che dà da pensare.