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venerdì 4 giugno 2021

Piccole donne - Louisa May Alcott



Da Natale a Natale, Piccole donne racconta le vicende di una famiglia tutta al femminile durante un anno della Guerra di Secessione. L'uomo di casa, ovvero il padre di famiglia, è al fronte a fare il cappellano militare, e della guerra non si parla altro che come grave e dolorosa circostanza che, appunto, costringe gli uomini al fronte per obbedire al richiamo della Patria. Di solito chi legge sa che la guerra in corso è una guerra civile, dove americani combattono contro altri americani e che verrà vinta dalla parte cui la famiglia March appartiene, ma anche se non lo sa la lettura non ne risente: nessuno legge bollettini di guerra, e nessuno commenta l'andamento del conflitto, papà è  al fronte perché c'è la guerra e questo è quanto. Per sostenere la guerra al fronte, la famiglia decide per solidarietà di devolvere all'esercito i soldi destinati ai regali di Natale. Poi, siccome Natale non sarebbe Natale senza regali, come proclama Jo in apertura del romanzo, concordano di tenersi qualche spicciolo per scambiarsi comunque dei piccoli regali simbolici.
La famiglia è composta dalla madre, donna saggia e misurata quant'altre mai ma che soffre acutamente la mancanza del suo amato marito (e dei suoi saggi consigli) più quattro figlie a scalare, che all'inizio del romanzo hanno rispettivamente sedici, quindici, tredici e dodici anni - quattro ragazze con caratteri molto diversi tra loro. Poi c'è Hannah, la fedele cameriera che è rimasta a servizio della famiglia senza stipendio ed è pure lei una personificazione del buon senso oltre che della fedeltà, fonte di aiuto concreto ma anche di consigli per le ragazze.
A tutt'oggi è un libro molto letto tra le giovinette, le quattro ragazze March sono rimaste nell'immaginario collettivo e nel corso di un secolo e mezzo dal libro sono stati tratti in continuazione film, cartoni animati, serie a fumetti e, almeno in Italia, una serie di versioni ridotte di cui secondo me potevamo fare benissimo a meno. Una di queste versioni ridotte mi fu regalata per Natale dai miei genitori - che erano del tutto inconsapevoli che fosse ridotta, altrimenti me ne avrebbero cercata una integrale. 
Siccome le ragazze sono quattro caratteri a tutto tondo è difficile riassumerle in una parola, per cui non ci provo nemmeno. Durante l'anno comunque ognuna di loro attraversa prove di vario tipo e momenti drammatici, uscendone cambiata perché a quell'età in un anno si cambia moltissimo. A fine anno, durante il secondo Natale, il padre ritorna, ancora debole dopo una lunga malattia, ed elargisce a tutte e quattro molti complimenti e un attestato di buona condotta.
La trama è tutta qui, e del resto la conoscono tutti. Posso aggiungere che è un libro interessante da rileggere nelle varie stagioni della vita, perché ogni volta ci si trovano dei nuovi spunti di riflessione - specialmente quando la versione integrale la leggi per la prima volta a trent'anni, com'è successo a me.
Qualcuno si dichiara seccato dal tono moralistico che pervade tutto il libro. Per me è invece uno dei tratti più affascinanti, perché è molto sentito e anche piuttosto originale. Di fatto, i valori della famiglia March sono abbastanza insoliti, e la base culturale anche. Qua e là le ragazze parlando lasciano scivolare (soprattutto Jo) citazioni abbastanza insolite di autori che normalmente nei libri per ragazzi non compaiono nemmeno di striscio. Si tratta insomma di una famiglia di intellettuali. Squattrinati.
Un tempo (qualche anno prima) la famiglia era piuttosto benestante, ma "il padre aveva perso i suoi soldi per aiutare un amico in difficoltà" - cosa su cui nessuna delle protagoniste trova da ridire, nemmeno col pensiero. Cresciute in una iniziale situazione di ricchezza le ragazze sono quindi state sbalzate in una situazione di relativa povertà, mantenendo comunque un giro di amicizie piuttosto ricche che frequentano senza farsi particolari problemi. Le due figlie maggiori lavorano a mezza giornata, con classici lavori da ragazze squattrinate di buona famiglia: rispettivamente istitutrice e dama di compagnia - e lo fanno al preciso scopo di aiutare in casa, ma la casa a quanto sembra non è poi messa così male.
La famiglia abita in una graziosa villetta con giardino, pratica un po' di beneficenza (che rischierà di pagare a caro prezzo, quando l'angelica Beth verrà contagiata proprio dalla famiglia da loro assistita), risparmiano soprattutto sui vestiti che sono piuttosto semplici  (e sulla servitù) e i problemi principali sono la mancanza di abiti da sera, stivaletti alla moda e un pianoforte professionale per la musicista di casa - e siamo d'accordo che non sono mancanze da poco, ma la tavola è comunque ben fornita e il carbone per il riscaldamento non manca, il bilancio di casa quadra senza troppi problemi e non ci sono fornitori insoddisfatti che vagano minacciosi intorno alla villetta. Una dignitosa povertà, insomma, che non ha niente da spartire con la miseria.
Il problema salta fuori principalmente per la presenza degli amici ricchi - non i vicini di casa Lawrence, da cui si accetta tutto o quasi senza difficoltà, anche perché sanno offrire con molto garbo, ma le compagne di scuola di Amy e soprattutto le amiche di Meg.
Uno dei miei capitoli preferiti, anche quando leggevo il romanzo in versione sforbiciata, è stato proprio quello dove Meg va alla Fiera delle Vanità: gli ospiti sono brave persone a modo loro, accolgono la ragazza con grande affetto e la coprono di cortesie ma per tutto il tempo la giovanissima lettrice fiorentina degli anni 60 sentiva che c'era qualcosa che non andava, anche se lo champagne era stato implacabilmente tagliato via dall'adattatore, insieme a buona parte dei commenti e dei sospiri legati all'abito di tarlatana, che gli ospiti trovano assolutamente inadatto pur sforzandosi di non farlo capire; e quando Meg si fa vestire all'ultima moda  dalle amiche assolutamente ben intenzionate (e lo fa sapendo di sbagliare e paga il suo errore con un lungo pentimento) la lettrice si rendeva conto che c'era qualcosa di sbagliato, ma non riusciva a capire con precisione di cosa esattamente si trattasse: in fondo era tutto molto rispettabile, la madre ospite non faceva nulla per impedirlo e quindi dov'era il problema?
Il problema, e alla fine ci arriva anche la lettrice sprovveduta, era che Meg viene infiocchettata per essere messa sul mercato della buona società - che è una cosa che il rigido codice morale dei March disapprova, e avrebbe con tutta probabilità disapprovato assai anche se la famiglia avesse mantenuto il trascorso benessere: lo champagne non andava bene, il busto stretto nemmeno, gli orecchini men che mai; e infatti anche il ricchissimo Laurie Lawrence disapprova. Il problema non è solo nella falsità dell'insieme, ma anche negli occhi di chi guarda interpretando il tutto con la mentalità di chi, su quel mercato, ci vive e ci mette anche le sue figlie senza farsi problemi. Meg scopre la verità ascoltando le chiacchiere degli invitati sulle mire matrimoniali attribuite a sua madre - e dopo aver "goduto" le gioie del bel mondo finisce per fidanzarsi senza ombra di rimpianto con un istitutore squattrinato, che le darà una vita dignitosa ma che certo ricco non diventerà mai - ma sarà un buon marito e soprattutto le piace (che è sempre il criterio più valido per scegliersi un consorte).

In casa March vige una ferrea disciplina: si obbedisce ai genitori, punto (nel caso in cui ci sia solo la madre, chiaramente, si obbedisce alla madre). Si può cautamente provare a insistere, allora la madre spiega pacatamente le sue ragioni, che non sempre convincono appieno le ragazze, almeno all'inizio - ma la possibilità della disobbedienza, aperta o nascosta, non è nemmeno presa in considerazione. "Mamma non vuole" e "Mamma ha detto di no" sono due argomenti definitivi, che non ammettono replica. Tutto ciò non per evitare una punizione (non ci sono punizioni in casa March; o almeno, non ci sono punizioni elargite dai genitori, che si fanno un punto d'onore di guidare le ragazze esclusivamente attraverso l'amore e la libera discussione), ma talvolta è la vita stessa ad elargirle, senza alcun intervento genitoriale. Molto spesso, addirittura, non ci sono nemmeno rimproveri, ma solo amorevoli segnalazioni di dove si è sbagliato. A rendere obbedienti le ragazze non è la paura di una sanzione o di un rimprovero, ma la paura del dispiacere che proverebbero per avere in qualche modo addolorato i loro genitori. Quando ci sono stati errori però questi vengono accuratamente analizzati nelle motivazioni e a quel punto le esortazioni a fare meglio e i buoni consigli non mancano. In tutti i casi le ragazze sono consapevoli che l'amore dei genitori è garantito, qualsiasi cosa succeda - quello che non è invece garantita proprio per niente è l'approvazione o l'aiuto a perseverare nell'errore o a scansare le conseguenze dell'errore. Di violenza fisica, naturalmente, manco a parlarne, anzi la madre disapprova fortissimamente le bacchettate ricevute da Amy a scuola per una disobbedienza - ma senza scusare in nessun modo la disobbedienza; solo, le bacchettate proprio no, in ogni caso. Nella scuola della fine del secolo scorso era un ragionamento addirittura rivoluzionario, e faticò non poco a diventare legge (da noi le percosse agli alunni sono state ufficialmente vietate solo verso la fine degli anni 60, anche se già mia nonna, durante la guerra, andò a rampognare l'insegnante che aveva bacchettato la figlia minore in una scuoletta di campagna, ai tempi dello sfollamento, e per quanto ne so a Firenze negli anni 30 non si vedevano né bacchettate né i tradizionali ceci secchi dietro la lavagna su cui tenere in ginocchio gli alunni rei di qualche errore, pure molto spesso citati nei modi di dire).

Le regole saldamente interiorizzate consentono alle ragazze March una notevole libertà: al contrario delle ragazze italiane dell'epoca e ben più delle ragazze vittoriane loro contemporanee, le sorelle March coltivano i loro interessi, vanno a teatro, pattinano, organizzano un circolo più o meno culturale e recite casalinghe e in più dispongono di  un solido e amorevole punto di riferimento cui confidare dubbi e difficoltà (due punti di riferimento, alla fine del romanzo, quando il padre ritorna) - che non è una fortuna che capita a tutti i ragazzi. Come ho già scritto, le sedute di autocoscienza in casa March abbondano, e perfino quando la famiglia sarà quasi dispersa, nel momento più critico del romanzo, quando sia il padre che una delle sorelle sono in punto di morte, anche la piccola Amy approfitterà del forzato soggiorno dalla zia per dedicarsi all'introspezione e meditare sui suoi difetti proponendosi di emendarli.
A questo proposito vorrei aggiungere che Amy, giovane aspirante arrampicatrice sociale e assai dedita alle frivolezze (ma sempre in modo molto compito, assistita com'è da un buon gusto che nel resto della famiglia sembra scarseggiare) ai miei occhi di lettrice adulta è risultata il personaggio più interessante proprio perché è quella che per natura più si discosta dai valori morali che predominano in famiglia e che dunque si ritrova con il cammino più difficile da percorrere; il fatto che la sorella più vicina a lei per età sia universalmente riconosciuta come un angelo incarnato - stato che raggiunge senza grandi difficoltà perché invece assai predisposta a questo appunto dalla sua natura completamente diversa da quella della sorella -  non le semplifica certo le cose.
Una delle tesi di fondo del romanzo potrebbe dunque essere "E' possibile essere persone autentiche in un mondo che sembra dare importanza soprattutto alle apparenze? Sì (segue dibattito)". Tesi affascinante, e affrontata con incrollabile ottimismo. Alla fine del romanzo il fondo di originalità dei March è rimasto intatto, e i fatti e la buona sorte gli han dato ragione: padre e figlia sono sopravvissuti alle malattie, Jo ha pubblicato il suo primo racconto, Meg si è fidanzata (fidanzamento assai deprecato dal Bel Mondo, per l'occasione impersonato dalla zia) e Amy... beh, per il momento Amy ha rimediato solo un paio di graziosi anellini, ma è anche definitivamente uscita dall'infanzia dopo qualche esperienza piuttosto brusca.
Nel romanzo ci sono infine anche alcuni graziosi gattini che allietano il quadro.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a chiunque passi da qui buone letture all'aperto, ché l'estate alla fine è arrivata davvero.

10 commenti:

sara di croce ha detto...

Scusa ma ricordo male o Beth muore? Nulla da questionare circa il post, chiedo solo per capire se uno dei miei traumi infantili sia o meno autofabbricato

Murasaki ha detto...

Niente di autofabbricato, Beth muore nel secondo volume della quadrilogia. Se ne parlerà dunque tra una settimana o due :(

Ornella ha detto...

Louise M. Alcott non è stata femminista né sufragetta, non erano i suoi tempi. Ma è difficile, credo, trovare uno scrittore del suo secolo di mente più aperta e di idee più sane. Quando in "Piccoli Uomini" il suo discepolo scapestrato, Dan, le prospetta di ripresentarsi con una moglie indiana pellerossa, Jo March coniugata Baher non solo non batte ciglio, ma si dichiara contenta.... e siamo ben lontani, lontanissimi, dalle rivendicazioni dei nati vi americani.

Murasaki ha detto...

Louise M. Alcott veniva da un ambiente con una mentalità molto aperta (e anche piuttosto femminista, anche se non nel senso che intendiamo oggi). In un libro per ragazzi si tiene abbastanza a freno, ma ogni tanto lancia qualche frecciata, come nel caso da te citato ^_^

la povna ha detto...

Ammetto che Amy mi ha sempre irritato, anche nella seconda parte del primo volume, trovo la sua marcia indietro da Fred Vaugh pochissimo preparata psicologicamente, così come del resto l'innamoramento di e per Laurie, reso appena appena più accettabile sotto trama dal post trauma causato dal lutto.
Ho sempre pensato che Alcott avesse bisogno semplicemente di mantenere Jo e Laurie compagni di giochi, e dunque complici, e questo narrativamente non era possibile con un marito e una moglie, ma diventa invece una formula infinitamente replicabile quando lo mette sposo alla sorella e li trasla tutti grosso modo nello stesso luogo. Così Jo e Laurie possono continuare a scappare a pattinare all'infinito, solo che Amy diventa abbastanza saggia da non seguirli.
Io sono sempre stata una fan di Beth, come lettrice di getto, anche se chiaramente non ho avuto bisogno di arrivare a studiarlo all'università per capire che narrativamente è un personaggio piatto, che non evolve mai.

Infine, una piccola nota bio-letteria: Alcott lo è stata eccome, sia femminista, sia militante per il Women's Suffrage Movement, che è uno dei motivi per i quali la 'resa' a Bhaer mi è sempre sembrata, again, funzionale alla trama (Jo ha sempre bisogno della figura paterna e lontana) ma un poco deludente per come viene preparata e realizzata).

Un bel saggio, un po' datato, ma molto puntuale, sulla militanza di Alcott, culturale e pratica, qui: https://www.jstor.org/stable/30227455?seq=1

Lurkerella ha detto...

Avrei tanto voluto che Dan sposasse Bess. Pare che Alcott volesse lasciare Jo single, ma l'editore ha insistito e allora le ha rifilato uno straniero, un profugo tedesco pure più vecchio di lei, che ho avuto il piacere di vedere interpretato da 1) Rossano Brazzi 2) Gabriel Byrne con un curioso accento francese 3) da un tizio di cui non ricordo niente, salvo che non era Fassbender, peccato

Anonimo ha detto...

Bella recensione con spunti interessanti, come sempre. Personalmente detesto Amy perché brucia il quaderno a Jo, non ce la fa a riscattarsi ai miei occhi neanche con la sua piccola evoluzione. È il secondo libro che ho letto autonomamente, in anni recenti l'ho letto ad alta voce alle mie figlie e continua a piacermi. Difficile non affezionarsi alla famiglia March!

Fatevi i Gatti Vostri ha detto...

Mai avute ste donnine, ora ce l'ho digitali ma devo ancora aprirle. Quando avevo l' età giusta i libri me li passava Dino e qualche volta Dante ma l' Alcott non era di loro gusto si fosse chiamata Alcool sarebbe stata un'altra storia.
In privato a Murachan t'ho risposto pe l' audioteca vota.
Un abbraccio
Zanza

Murasaki ha detto...

@ la povna:
Grazie del commento, del link e delle informazioni ^__^
Mi pareva vagamente di ricordare qualcosa non tanto sul femminismo della Alcott, ma dell'ambiente in cui è cresciuta - un ambiente antirazzista, pacifista, non autoritario e pure ecologista - insomma, un ambiente quacchero. Non è che fossero gli unici ad avere certe idee, ma la maggior parte dei comuni mortali quando le sentiva sospirava o si scandalizzava per quanto gli Alcott fossero rispettabili e, reddito a parte, abbastanza "gentry". Louise condivideva le idee di famiglia non tanto perché fossero le idee di famiglia ma perché le sentiva giuste - e d'altra parte i cromosomi erano quelli e l'humus anche. Ma al momento di tirarci fuori un romanzo per ragazzi interviene una garbata ma ferma censura. I principi restano intatti, ma si sorvola garbatamente su certi aspetti più spigolosi - non c'è una parola né sugli schiavi né sui neri in generale, ma alla fine del secondo romanzo l'allievo preferito di Jo, guarda caso, è un mulatto, ma tu guarda il caso.
Su Laurie e Jo: molti fiumi di inchiostro (e spesso inchiostro deluso) sono stati versati su questa coppia. Non sono sicura di avere una vera opinione in merito, ma confesso che, passato il primo sbalordimento da lettrice di nove anni, quando qualsiasi marito sopra i vent'anni mi sembrava improponibile, ammetto di avere sempre avuto molta simpatia per il professor Baher mentre Laurie mi è sempre parso un po'... inconsistente.

Murasaki ha detto...

@ Lurkerella:
Ma a quel che ho capito Bess non ha mai nemmeno avuto la possibilità di RIFIUTARE Dan: alla fine ha fatto tutto lui, cos'avrebbe fatto lei lasciata a sé stessa non ci è dato sapere. Triste storia, comunque.

@ Anonimo:
Sì, è un gesto imperdonabile e merita di essere lavato col sangue - e solo per un caso infatti dal sangue non sarà lavato. Eppure tutte le volte che rileggoi quel capitolo resto ammirata dalla naturalezza con cui il litigio tra sorelle albeggia, sorge, s alza, monta, diventa incandescente e finisce per rendere possibile quell'orribile gesto da parte di una ragazzina che mostra di avere in cuor suo demoni davvero pericolosi (e che da quell'episodio impara a ricacciarli senza pietà in fondo al cuore).

@ Zanza:
Louise May Alcool... suona bene per una scrittrice, e per un'enologa ancora meglio ^__^