Ci sono tutti gli ingredienti dei due libri precedenti: le suore di Nonnanton House, un po' di autobiografia, i racconti di parti decisamente avventurosi, il colore locale e la ricerca storica.
Parti gemellari e financo trigemini non previsti; la Gran Questione dell'espulsione della placenta (un momento, dal punto di vista medico, importante quanto l'uscita alla luce del nuovo nato ma molto più critico se intorno non c'è una persona preparata a gestire questa particolare fase del parto, importante quanto misconosciuta dai non addetti ai lavori e che, se non ben gestita, rischia di lasciare il nuovo nato orfano o a forte rischio di diventarlo; la sorpresa di ritrovarsi a gestire un parto su una nave mercantile, ovvero un posto dove in teoria non è ammessa la presenza di donne - ma evidentemente se c'è un parto allora c'è anche almeno una donna; e tante altre sorprese inevitabili in un lavoro come quello della levatrice, dove il bambino quando arriva arriva e non importa se non te ne sei accorta, se non è il momento giusto, se la situazione non è adeguata o semplicemente se quel bambino lì non dovrebbe proprio esserci.
La presenza della levatrice forza la situazione verso l'ufficialità, che ai tempi del parto in casa era tutt'altro che scontata - e ai bambini non registrati all'anagrafe è dedicato un capitolo che va dal fascinoso al terrificante, ma che dovrebbe portare gli storici al riflettere sulle lacune inevitabili in una storia ricostruita con fonti i redatte quasi esclusivamente al maschile.
Come nel primo libro Chiamate la levatrice ci sono sezioni storiche dedicate a tematiche mediche di vario tipo, ma stavolta sono più approfondite, e soprattutto vanno più indietro nel tempo aiutandoci a comprendere meglio l'Inghilterra della seconda metà dell'Ottocento.
Prima di tutto la tubercolosi - un argomento di cui tutti sappiamo qualcosa, non fosse che per avere visto un qualche adattamento della Signora delle camelie o di un qualche romanzo ottocentesco dove assai spesso si moriva per consunzione (magari in apparenza innestata da qualche dispiacere, di solito sentimentale) ma che difficilmente abbiamo presente con chiarezza in tutta la sua portata. Una pandemia, volendo - ma mai davvero registrata come tale, che ha covato sottotraccia in tutta Europa per molti e molti decenni, fin quando il vaccino è riuscito ad eliminarla in un paio di generazioni, e così bene che la scompoarsa della malattia ha a sua volta fatto sparire la vaccinazione.
Oppure le lavorazioni pericolose in fabbrica - per esempio la mandibola del fosforo. Vogliamo parlare della durata media della vita di un operaio o, peggio ancora, di una operaia?
E, di nuovo, la prostituzione e le malattie veneree - nonché la legge inglese ben oltre i limiti del sadismo che serviva, in teoria, a limitarne la diffusione; e qui di nuovo rientra in scena sorella Monica Joan che, forte di una esperienza che parte dalla fine dell'Ottocento, racconta molte cose all'autrice, che poi in seguito deciderà di approfondirle.
E anche, trattato molto diffusamente, un argomento che sembrerebbe agli antipodi per una levatrice: l'aborto volontario.
Ho così scoperto che l'Inghilterra sempre tanto all'avanguardia non lo era poi tanto: l'aborto lì divenne una pratica legale solo nel 1967 (da noi nel 1978, non molto tempo dopo a ben guardare) e fino a quel momento anche le donne inglesi dovevano arrangiarsi sui tavoli da cucina con i ferri da calza, i cucchiai e altre piacevolezze ma solo quelle povere, perché per quelle ricche c'erano da tempo medici ben attrezzati a disposizione).
Descritti dal punto di vista medico questi aborti erano non soltanto spaventosamente pericolosi, ma talvolta, addirittura inefficaci - e questa per me è stata una sorpresa, ma dopo la descrizione medica mi sono resa conto che in effetti la possibilità c'era, ed era tutt'altro che remota. Certo, quando ero ragazzina e i cortei femministi infuriavano la tragica realtà degli aborti clandestini era descritta per sommi capi in tanti articoli di giornale (molto, molto meno nelle trasmissioni televisive) ma sempre da gente che di medicina ci capiva il giusto e si concentrava soprattutto su cupe descrizioni della cruenta pratica dall'esterno. Ma di nuovo viene da domandarsi con che coraggio i vari parlamenti tollerassero (e ahimé, tuttora tollerino in tanti paesi) che le cittadine del loro paese si ritrovassero così sole e abbandonate in momenti così difficili - perché, esattamente come il parto e anzi ancor più a lungo, l'aborto è sempre stato considerato un affare che riguardava solo e soltanto le donne anche se il figlio è, per antica tradizione, qualcosa di cui si avvia la produzione in due.
Come annunciato dal titolo, il volume si chiude con la descrizione della fine di questa eroica avventura: la morte di Sorella Monica Jean, l'arrivo della pillola che indirizzerà le suore di Nonnantus House verso nuove missioni, risolvendo molti problemi alla radice, e le diverse scelte di vita delle varie infermiere, ognuna con la sua storia - a volte, invero, assai complicata, perché complicata è la vita, e non soltanto per le levatrici.
Lettura assai consigliata, dunque; e mi ha fatto davvero molto piacere scoprire dai commenti che, dal mio piccolo blog di periferia, anch'io ho contribuito in minima parte a diffonderne la lettura.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, in tono un po' minore perché, dopo diverse settimane tranquille, oggi la scuola media di St. Mary Mead festeggia l'entrata in classifica di ben due positivi in un giorno solo. E dunque, insieme ai soliti auguri di buona lettura, aggiungo per chiunque passasse di qua un caldo invito a mantenersi negativo e la solerte raccomandazione di usare sempre adeguati dispositivi di protezione e curare il distanziamento sociale.
Nessun commento:
Posta un commento