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venerdì 11 settembre 2020

Il regalo del Mandrogno - Pierluigi e Ettore Erizzo


Da bambina vedevo spesso questo libro in libreria. In qualche modo mi incuriosiva, ma non abbastanza da prenderlo in mano per leggere i risvolti di copertina. Anche se lo avessi fatto comunque non ci avrei capito molto.
Tanti e tanti anni dopo lo incrociai in rete, dove i pochissimi che l'avevano letto ne dicevano un gran bene. Che capolavoro ingiustamente conosciuto, che bella lettura, che splendido romanzo storico!
Incuriosita da tante sviolinate l'ho preso in biblioteca, e l'ho letto con gran piacere. Così mi aggiungo al piccolo coretto e anch'io dico che è un gran bel romanzo storico e che è un peccato che sia così sconosciuto.

Che sia proprio sconosciuto non è vero - nella zona di Alessandria, dove è in buona parte ambientato, è piuttosto conosciuto e molto amato. Fuori di lì purtroppo rimane abbastanza ignoto ai più.
Gli autori sono, o meglio erano, due fratelli avvocati di Genova  che gestivano insieme uno studio legale ereditato dal padre. Durante la seconda guerra mondiale si ritrovarono più tempo libero del previsto e decisero di scrivere una saga familiare: Storia indiscreta di una famiglia è il sottotitolo del frontespizio ma non viene mai riportato in copertina. 
Il romanzo uscì nel 1947 con grandi apprezzamenti della critica, ma lo lessero in quattro gatti. Venne però ripubblicato nel 1962, e per qualche anno circolò in libreria, in svariate edizioni rilegate. Non un successo travolgente, ma comunque un successo. Poi le acque della storia si richiusero su di lui, alla fine degli anni Settanta. 
Nel 2002 le edizioni Arabafenice lo ripubblicarono e con un po' di buona volontà non è impossibile comprarlo, anche in versione liquida. E poi ci sono le biblioteche,  e chi volesse provare a leggerlo non si troverebbe costretto ad attese interminabili perché è il classico libro che viene richiesto una volta ogni qualche anno.

La struttura è abbastanza insolita. C'è una cornice contemporanea (contemporanea o quasi del tempo in cui fu scritto, certo). Diciamo che la cornice si svolge tra 1930 e 1931 ma il libro, scritto una quindicina di anni dopo, offre anche qualche scorcio di quel che succede dopo. Erano gli anni del ventennio, ma al fascismo o al governo fascista non si accenna se non con lievissimi richiami legati all'italianizzazione dei nomi.
Trama della cornice: i due fratelli protagonisti, professionisti abbastanza affermati ma della cui vita non sappiamo quasi niente - diciamo due narratori trasparenti ma informati di una parte dei fatti, e sono narratori simpatici, garbatamente ironici ma che all'occorrenza sanno tirarsi da parte - si ritrovano esecutori testamentari di un prozio che muore all'inizio del romanzo lasciando un patrimonio, piccolo ma di una sua consistenza.
Al contrario dei narratori lo zio era una vera palla d'uomo: di lui vien detto che non aveva sperperato le sue forze, per poi correggere il tiro: rinchiuso nel suo sacro egoismo non aveva mai fatto nulla nella sua lunghissima esistenza. Non solo nel senso che non aveva concluso nulla, ma anche che si era sempre rigorosamente astenuto da qualsiasi attività grande o piccola.
Naturalmente, per quanto uno possa non far niente, il tempo è d'uopo passarlo in qualche modo, ed evidentemente nel suo molto tempo libero costui si era dedicato ai documenti di famiglia finendo per trarne una serie di conclusioni.
Così un bel giorno, molto tempo prima di morire, aveva fatto testamento; ed era un testamento decisamente strano dove, a parte la legittima per i quattro figli, il piccolo patrimonio era diviso tra quattro diverse persone, tre delle quali in apparenza non c'entravano niente con la sua famiglia, sostenendo il testatore di aver agito a favore di quanti conservino in sé, sia pure per vie ascose, la miglior linfa della imporrita pianta della famiglia - insomma, par di capire, lasciando quel che poteva a discendenti illegittimi.
Peccato che i quattro destinatari non abbiano alcuna possibilità di essere figli illegittimi del pigrissimo testatore (che del resto non sembrava essere mai stato uomo granché propenso alle avventure né a passioni di alcun tipo, clandestine o meno che fossero).
Piuttosto incuriositi i due esecutori testamentari cominciano a indagare anche loro tra le carte di famiglia e scoprono un bel po' di cose. Ne vengono fuori tre romanzi molto diversi tra loro e rinchiusi all'interno della cornice.
Il primo, Il romanzo di Rosina, descrive l'arrivo di un ufficiale francese ferito (e proprio lui viene presentato senza infingimenti come il regalo del Mandrogno) durante la battaglia di Marengo, combattuta non troppo lontano dalla villa padronale della non troppo illustre ma assai benestante famiglia dei Montecucco. L'ufficiale, che nella battaglia avrebbe in realtà svolto un ruolo importante, per quanto misconosciuto, verrà amorevolmente (è il caso di dirlo) curato dalla signora della villa, seguendo la corrente di storiografia sotterranea che vuole che i francesi, col loro arrivo in Italia, abbiano importato nuove idee, nuovi fermenti e... diciamo nuova linfa che ha risvegliato l'italico popolo che se ne stava un po' sonnacchioso (cfr. l'inizio della Certosa di Parma, ma se ne parla anche nella letteratura italiana dell'epoca).
Il secondo è Il romanzo del Canonico, diviso in due parti, che racconta la storia di uno dei discendenti della famiglia Montecucco: nella prima parte un ragazzo vivace e pieno di vita, carbonaro nell'anima e di carattere assai passionale; nella seconda un Canonico di grande intelligenza e successo mondano e culturale, ma di carattere più spento e intristito, per quanto assai virtuoso ed edificante. 
Ma la vita va avanti e, alla fine dell'Ottocento, arriva Il romanzo di Paoletta, una storia che solo degli avvocati avrebbero potuto descrivere così bene, che va avanti a colpi di sentenze, giudizi, cavilli legali sul tema di un matrimonio non consumato che tuttavia ha prodotto un figlio. Scopriamo così un sacco di cose sul diritto di famiglia dell'Italia postunitaria e diamo ragione a Paoletta quando dice che la sua è una storia figlia dell'Ottocento, e già una decina di anni dopo si sarebbe probabilmente svolta in modo assai diversa perché non tanto le leggi, quanto la mentalità nel frattempo era assai cambiata.
(Il figlio del matrimonio fantasma comunque muore senza lasciare discendenti... legittimi. Ma è morto a 36 anni e aveva un carattere piuttosto vivace, quindi riesce difficile non immaginare che un piccolo Montecucco in incognito, o anche più di uno, viva da qualche parte anche se gli autori non ne fanno cenno. E invero ci sono diverse cose cui gli autori non fanno cenno e altre cui fan cenno limitandosi a rilevare alcune specifiche caratteristiche di alcuni dei protagonisti, prima fra tutte un particolare colore di capelli).
E veniamo al titolo: cosa sarebbe questo regalo del Mandrogno? E, prima ancora: chi diamine è il Mandrogno?
No, non è un nome proprio, come Adalberto. "Il regalo di Adalberto", e ci immaginiamo Adalberto che arriva con un pacchetto e lo dà in mano a qualcuno dicendo "Cento di questi giorni" o frase analoga.
Mandrogno non è un nome proprio. È una attribuzione geografica, come dire "il regalo del Fiorentino".
E deriva da un paesello vicino ad Alessandria, Mandrogne, i cui abitanti rappresentano una specie di isola genetica: alti e belli, capelli bruni e naso aquilino, vagamente... tzigani, baschi, saraceni?
Ma secondo uno dei protagonisti della storia, l'avvocato Cadeo, la storia è diversa:
Non credo che i Mandrogni derivino da una penetrazione straniera: io sono convinto che essi rappresentano un avanzo purissimo della razza primogenita dei Liguri preromani che occupavano l'alta Italia, dal mare sino alle pendici delle Alpi (...). Questi, nel loro attuale dialetto, conservano intatta la caratteristica parola dei loro padri, così come ne conservano intatti i caratteri somatici: il colorito bruno, i capelli neri, il viso angoloso, il corpo esile e asciutto; tratti che l'Issel attribuisce agli antichi Liguri (...). E quando essi passano al trotto (...) in piedi a gambe larghe sulle loro carrette, mostrano, pur a traverso la loro attuale povertà, le non distrutte tracce di una nobiltà atavica: è la incorrotta fierezza dei Padani preistorici, che si chiamano Marici perché discendenti da quel Mares, che la leggenda afferma essere stato il primo abitatore d'Italia, mezzo uomo e mezzo cavallo...
Un popolo magico, dunque, che si è conservato una piccola enclave nel mondo moderno. I Mandrogni del romanzo vivono di piccolo commercio e trattano affari non sempre limpidissimi, padroni di un piccolo territorio in cui dettano le regole e dove la Legge e l'Ordine sono tenuti a debita distanza. Poveri? Mah, certo non particolarmente ricchi, ma in pratica fan quel che vogliono, che a ben guardare è una forma di ricchezza. 
Il capostipite della famiglia Montecucco, uomo di un certo genio e soprattutto capace di trarre fuori opportunità anche nelle circostanze più strampalate, aveva avuto molto a che fare con loro e i Mandrogni avevano preso a benvolere la sua famiglia, tanto che uno di loro offrì appunto alla famiglia un regalo, sotto forma di  ufficiale francese ferito.
Nel corso della storia i Mandrogni interverranno più volte, per esempio offrendo rifugio agli innamorati clandestini, oppure aiutando certi personaggi a districarsi da situazioni complicate o a giocare scherzi alle autorità costituite. Di sicuro, in quasi 600 pagine di fitta scrittura (ma a seconda dell'edizione possono essere più di 800) nessun Mandrogno appare solo per fare scena: intervengono sempre con una funzione precisa di cui sono perfettamente consapevoli e orientando sempre la storia in favore del ramo, diciamo bastardo, della famiglia.
Abbiamo dunque un romanzo storico costruito con finissima cura, e che all'occorrenza si occupa anche di riempire qualche vuoto delle cronache. Anzi i narratori arrivano a sostenere la tesi che proprio l'assenza di menzioni del loro trisavolo francese negli annali della battaglia di Marengo dimostri l'importanza del ruolo da lui avuto nello svolgimento di detta battaglia, trovando così la soluzione al mistero della battaglia di Marengo, che sarebbe stata una sconfitta per Napoleone se all'ultimo momento utile non fossero arrivati dei rinforzi casualmente appunto chiamati in causa dallo sconosciutissimo ufficiale francese: ci sembra proprio di non dover avere eccessivi rimorsi se ci permettiamo di pensare che il suo nome  non sia passato alla storia soltanto perché rimasto sepolto centotrentun anno nella soffitta del Cucco proclamano alla fine di una serrata disamina dove comparano tutte le varie spiegazioni proposte dagli storici sull'arrivo degli imprevisti rinforzi.
C'è poi una avvincente saga familiare, con una pregevolissima galleria di personaggi di tutti i tipi che si snoda su tre generazioni ed è ricostruita dalla quarta (l'albero genealogico presentato prima dell'inizio del libro è davvero utile, oltre che assai affascinante per quel che dice e soprattutto per tutto quello che non dice) più un interessante studio genetico, di quelli che andavano tanto di moda ai tempi della letteratura naturalista.
Abbiamo poi un esercizio letterario piuttosto interessante: la cornice è narrata con una distaccata ironia, molto tipica di quando descriviamo la nostra amatissima e a volte assolutamente insopportabile famiglia, mentre i tre romanzi sono scritti con tre stili diversi (anzi quattro, perché il romanzo del Canonico è diviso in due parti con un intermezzo) e tipici anche per trama dell'epoca in cui si svolgono; in omaggio col pacchetto, anche un tocco magico-determinista che ci sta d'incanto. Il tutto con uno stile e una costruzione che non ha nulla a che vedere con la letteratura contemporanea dell'epoca in cui fu scritto (ai miei occhi è un grandissimo pregio, perché quasi tutta la letteratura italiana del Novecento mi fa venire l'orticaria; e ne ho letta poca ma spelluzzicata parecchia).

Lettura adatta a tutte le stagioni. Nonostante la mole il romanzo è molto scorrevole, ma non è il tipo di libro che si presta a una lettura di poche pagine al giorno perché tiene assai avvinti ed è quel tipo di libro che si è felici di ritrovare la sera e per il quale si rinuncia agli impegni mondani spiegando che abbiamo il mal di testa. Anche se ci sono molti avvenimenti drammatici lascia un buon retrogusto e una particolare vitalità, e dispiace quando finisce.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, che dopo la pausa estiva continua a latitare, e auguro buone letture a chiunque passi da queste parti.

6 commenti:

dolcezzedimamma ha detto...

Libro per me sconosciuto, ma decisamente interessante. Non trovando nessuna indicazione su homemademamma ho pensato fosse sospeso il venerdì del libro e ho pubblicato senza il link. Provvederò appena possibile.

Murasaki ha detto...

Io ho pubblicato il link nel dubbio. Ma se il Venerdì è sospeso, perché presentare 10 libri 10 proprio di Venerdì?
(della serie "complichiamoci la vita nel caso non sia bbastanza complicata di suo in questi giorni")
e sì, te lo consiglio caldissimamente, potrebbe piacerti assai ^_^

Romolo ha detto...

Non lo conoscevo, ma mi hai incuriosito

Pellegrina ha detto...

Me lo leggerò volentieri anche se non pare di facilissimo reperimento.

Pellegrina ha detto...

Pardon! E ti pareva che QUI non c’era?
https://catalogue.bnf.fr/search.do?mots0=ALL;-1;0;Mandrogno&mots1=ALL;0;0;&&pageRech=rav

Murasaki ha detto...

@ Romolo:
Lietissima di averlo fatto ^_^

@ Pellegrina:
Wow, addirittura in Francia!