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martedì 28 luglio 2020

Haretica - Scuola e soldi: un rapporto perverso (e fortemente in passivo)


Come ho raccontato qualche tempo fa , da quando insegno, non ho mai speso niente, nemmeno il tradizionale centesimo bucato per la scuola. Gli do il mio lavoro, vedano di farselo bastare.
Adesso che ho un contratto dove pago una cifra fissa al mese per le telefonate faccio talvolta qualche telefonata di lavoro da casa (prima le facevo solo col telefono della scuola, e se c'era da aspettare aspettavo). Quel che dovevo stampare o fotocopiare per la scuola lo facevo a scuola, con la stampante della scuola, l'inchiostro della stampante della scuola e la carta della scuola. Qualsiasi spesa esterna mi trovassi a fare perché la scuola non disponeva di attrezzature adeguate era preventivamente autorizzata e immediatamente seguita da richiesta di rimborso; che poi il rimborso arrivava quando arrivava, a volte dopo mesi, ma alla fine arrivava sempre. 
Qualsiasi minima spesa fatta per la scuola avrebbe pesato sul mio cuore come un macigno e mi avrebbe persino causato dei sensi di colpa. Con tanti gatti affamati in giro, con tante belle cose da fare e da comprare, proprio alla scuola dovevo dare dei soldi? Il lavoro si cerca di farlo bene, ma non deve mai e poi mai costituire una fonte di spesa.

È un punto di vista che a me sembra dettato da semplice buon senso, ma che evito di esternare se non ne vengo richiesta perché mi sono accorta che non è affatto condiviso. Al momento di fare una telefonata di lavoro - al comune, ai colleghi, ai rappresentanti, ai genitori, ai centri di assistenza, ai musei per fissare una gita - la gran parte dei miei colleghi tira fuori il suo cellulare e chiama. Se il numero di fotocopie fissato per la classe è finito, l'insegnante va in cartoleria e paga. Se dalle elementari, dove al momento c'è l'unica fotocopiatrice disponibile a colori, per qualche motivo qualcuno della segreteria stabilisce che non dobbiamo fare fotocopie a colori, l'insegnante esce e va a farle per conto suo. Se serve un cartellone l'insegnante compra il cartoncino e spesso porta i pennarelli colorati da casa. Se serve un dizionario, per esempio di latino, l'insegnante porta da casa il suo, perché la scuola paga il corso di latino, ma non il dizionario (soprattutto se non le viene chiesto).
Io invece pesto i piedi, mi intrufolo negli armadi dove so che riposano strane scorte di cancellerie dimenticate negli anni, vado a mendicare senza alcun ritegno alle elementari o in segreteria (dove hanno sempre tutto), circuisco i custodi addetti alle fotocopie insomma ricorro a qualsiasi bassezza tranne mettere mano al borsellino - e questo è il motivo per cui non sono mai riuscita ad ottenere un cavo di collegamento maschio-femmina il cui prezzo credo fosse di pochi euro (probabilmente però se all'epoca la mia salute non fosse stata così precaria a forza di piazzate e di insistenze sarebbe arrivato anche il cavo, o almeno l'autorizzazione a comprarlo di persona in attesa di rimborso).
Insisto. Tormento. Trovo altre strade. Mi intrufolo. Chiamo la Dirigente. Se necessario ci spendo anche del tempo (ma il tempo speso in quel modo non mi sembra perso) e quel che mi serve prima o poi arriva.
Ci riesco perché sono fornita di determinazione, tempo libero e ostinazione, e perché quel che faccio mi sembra giusto. Mai avuto l'ombra di un senso di colpa in proposito.

A questo punto, con un bel triplo salto carpiato abbandono la descrizione del mio personale rapporto con il denaro sul posto di lavoro (che non è poi 'sto granché, come argomento) e passo ad allargare il campo.
La scuola è un servizio gratuito che lo stato fornisce ai suoi cittadini e ai giovani ospiti sul suo territorio, perché tutti i giovinetti che calpestano l'italico suolo han diritto a un po' di istruzione. Siamo un paese ospitale e animato da sani principi, noi. La nostra Costituzione è chiarissima, sull'argomento: i giovani vanno istruiti.
A spese dello stato. E lo stato siamo noi. 
Qualcuno, a quel che sembra, è più stato degli altri.
Andiamo per ordine. Lo stato, grazie alle nostre tasse, paga gli insegnanti, i custodi, gli addetti alle pulizie (che a volte coincidono con i custodi e a volte no, in un pasticcio che non ho mai ben compreso), gli addetti di segreteria. Fornisce anche edifici a ciò preposti, e cura (un pochino) la manutenzione delle scuole superiori. Delle scuole materne, elementari e medie invece si occupano (un po') i comuni. Ancora lo stato dota tutte le scuole pubbliche di modesti e insufficienti  finanziamenti per la cancelleria, i laboratori, le biblioteche, gli strumenti di corredo. Per la primaria paga anche i libri di testo.
La Comunità Europea finanzia determinati progetti.
Per tutto il resto ci sono i genitori. I tanto deprecati genitori, così cattivi, rompiscatole, arroganti e pretenziosi, che pretendono di insegnarci il mestiere e che si lamentano sempre. Loro, sì.
I genitori pagano i libri di testo, a partire dalla scuola media. Quelli della lista da comprare a inizio anno, ma anche un sacco di altri libretti, libriccini e manualetti e libri di lettura che arrivano nel corso dell'anno, o addirittura a fine anno per le vacanze. E poi biglietti di musei e teatri, il noleggio dei pullman per le uscite (per una scuola di provincia come la nostra, i pullman sono sempre la parte più pesante del costo delle uscite didattiche, e ai pullman dobbiamo ricorrere quasi sempre perché i treni sono utilizzabili solo in casi particolarmente fortunati; comunque i genitori pagano pure i biglietti per quelli, anche per gli insegnanti).  Cancelleria e attrezzature varie. Corsi speciali di latino, musica, inglese e quant'altro. Assistenza per dislessici. Visite per certificare alunni con problemi di apprendimento (ché se aspetti le visite dell'ASL, i tempi sono decisamente lunghetti). E tante altre cosarelle che spuntano come funghi ogni giorno per ogni dove. Pagano, pagano e ancora pagano. "Pagherete caro, pagherete tutto" è il loro motto, scritto sul blasone che ricevono all'uscita dall'ospedale con il nuovo arrivato in braccio.
A St. Mary Mead (ma non siamo gli unici) pagano anche un contributo volontario di svariate decine di euro che qualche volta qualche Dirigente ha avuto lo stomaco di sollecitare - una pratica che il men che possa dire è che disapprovo ferocemente.
"Prof, ma il contributo è volontario, vero? Significa che possiamo anche non pagarlo?" "" è invariabilmente la mia risposta, qualsiasi cosa abbia scritto la Dirigenza nella circolare di sollecito (ne abbiamo avute, e arrossisco ancora a ricordarle).
A seconda delle annate, delle mattane del Ministero e delle varie leggi finanziarie questi soldi volontariamente forniti dalle pazienti famiglie servono per l'indispensabile (tipo carta igienica, per intendersi) oppure per qualcosa di meno brutale: computer nuovi, per esempio.
Altro cespite di entrata: i supermercati. Da qualche tempo alcune ditte o marchi assai diffusi (l'anno scorso c'era anche una marca di benzina, per esempio) offrono in certi periodi dei buoni da consegnare alla scuola. Ogni anno si aggiunge un marchio, e ormai l'ingresso di una scuola pullula di teche per la raccolta dei buoni. Poi qualche insegnante paziente li inserisce in apposito sito, scopre a quanti soldi abbiamo diritto e deposita sul tavolo della Sala Insegnanti i cataloghi di quel che possiamo scegliere. I supermercati eccetera offrono cancelleria, lettori di DVD, stampanti, fotocopiatrici, carta e cartoncini colorati ma anche LIM e computer (non sempre di qualità eccelsa, a quanto ho capito). Il loro contributo si rivela sempre molto prezioso. Ma anche quelli, a dirla tutta, sono soldi che vengono dai genitori: se non ci fosse questa iniziativa il supermercato gli offrirebbe punti, sconti, stoviglie, coperte, abbonamenti a teatro o altri tipi di premi. Di fatto, al supermercato importa il giusto della scuola, quel che davvero gli interessa è che il cliente sia soddisfatto e torni da loro il più spesso possibile, e cambia le sue offerte in base all'umore della clientela. Per esempio un tempo andavano di moda i pozzi in Africa.

Lo Stato dunque ha scelto di defilarsi sempre più, lasciando che gli utenti del servizio Scuola si arrangino come possono, anche con l'aiuto del supermercato, se necessario. Che vuoi che sia pagare qualche rotolo di carta igienica, un po' di detersivi, qualche barattolo di pennarelli, un po' di lavagne cancellabili, le carte geografiche, le uscite per il laboratorio sul razzismo o sulla legalità, le visite al museo dell'arte vetraria o all'accademia delle belle arti? Il Buon Genitore deve essere contento di pagare per l'istruzione dei suoi figli, giusto? Altrimenti è uno Schifo di Genitore.
(E quand'anche lo fosse? La scuola pubblica non è nata anche per compensare il divario di chi ci ha degli Schifi di Genitori, o semplicemente dei Genitori Poveri o che sull'orlo della povertà navigano perigliosamente facendo quadrare il bilancio a suon di aggiustamenti? In ogni caso, i giovinetti han diritto a essere istruiti, indipendentemente da quanto schifo possano fare i loro genitori, che comunque non ha scelto da un catalogo, ma gli sono capitati in sorte).

In un commento due post fa la povna scrive sarebbe ora di fare tutti una enorme ammenda collettiva e pensare che sostituendoci a chi quei materiali doveva fornirli non abbiamo fatto un atto di supplenza civica, ma abbiamo avallato la sostituzione individuale per beneficenza di un diritto sociale. E forse ha ragione e forse no.
Può darsi che il problema sia più profondo di così. 
Perché abbiamo accettato di fare quest'atto di supplenza civica invece di andare non dico a Roma con i forconi (con le punte avvelenate) ma almeno dai sindacati per schiarirgli le idee?
Può esserci che c'entri qualcosa il fatto che la scuola è in mano alle donne? 
Non parlo solo di insegnanti (che telefonano al museo etrusco a spese loro) ma anche, appunto, di genitori: perché la maggior parte dei genitori che gestiscono il rapporto con la scuola sono donne.
La gran parte del cosiddetto lavoro di cura in Italia, come in molti paesi, è in mano alle donne, in particolare quella parte che non è retribuita ma senza la quale il bilancio dello stato e la società tutta andrebbe a rotoli in men che non si dica. 
Si tratta di un lavoro non retribuito, che vive nell'ombra e che è fatto spesso di aggiustamenti, arrangiamenti, espedienti, dove il motto predominante è "intanto risolviamo il problema presente in qualche modo, mettendoci una toppa, dopo penseremo a trovare un rimedio più stabile"; ma quando arriva il "dopo" ci sono altri settecentoventotto problemi minuti di cui occuparsi subito e che non possono aspettare che tu stia ancora a rimuginare sul primo, che bene o male con la toppa che ci hai messo per il momento è stato aggiustato.
Per i genitori la scuola è solo una parte dell'esistenza. Per le insegnanti, anche. Dopo c'è da pensare a tutta la minutaglia che forma il tessuto della vita, perché nessuna di noi ha una moglie che pensi a tutto l'insieme di piccole incombenze che la vita quotidiana ci impone.
La carta igienica, il cartoncino per il tabellone, le fotocopie a colori servono adesso, ma c'è ancora tutto il resto da fare. Paghi la carta igienica, poi telefoni all'idraulico perché il rubinetto perde (adesso), dopo vai a fare i moduli dell'ISEE (adesso) e a cercare il regalo per il nonno Attilio (adesso) e a prendere la figlia in palestra (subito) e a portare il cane a fare il vaccino (prima che il veterinario chiuda). Si mette la toppa e si spera che per il momento basti.
Per il momento infatti basta, ma tra due settimane la carta igienica servirà di nuovo. E di nuovo andrò pagata. E ci sarà un nuovo cartoncino da comprare per farci un tabellone sulla struttura dell'inferno in Dante o sulla mappa dei sentimenti (da distinguersi dalle emozioni). E via e via, fino alla fine dell'anno.

Non ho soluzioni da offrire se non 
1) dismettere, tutte, ogni lavoro di cura non retribuito (tranne quello di cura dei gatti, naturalmente) e lasciare che il mondo si arrangi. Forse il mondo si arrangerò e forse no, ma ci sarebbe molto più tempo libero per tante di noi
e
2) andare a Roma con i forconi (dopo averne avvelenato per bene le punte), profittando del tempo libero in più di cui disponiamo, al grido non di "banchi rotanti!" bensì di "Alabarda spaziale!"
ma soprattutto
3) evitare di sentirsi in colpa anche per l'effetto serra - perché non sempre la colpa delle porcate altrui è nostra "perché glielo permettiamo".

16 commenti:

Betty ha detto...

Yeeee!!! Posso gettare sul rogo anche il reggiseno che oggi dato il caldo mi da molto fastidio?

Betty

PS: ho letto da qualche parte un articolo di Daria Bignardi che diceva più o meno la stessa cosa, non la parte della scuola ma sul mollare tutto, almeno in vacanza...

romolo ha detto...

Sai che mi hai convinto. A volte supplire le mancanze altrui risolve il problema contingente, ma è paradossalmente funzionale al persistere dello stesso problema strutturale. E non certo solo a scuola...mi sa che su questo troverò tempo per approfondire. Comunque se vieni a Roma, posa il forcone e passa a trovarmi!

Murasaki ha detto...

@ Betty:
Mh, se posso permettermi un consiglio al tuo posto userei le forbici, più che il rogo. Molto meglio Ottobre, per i roghi, secondo me 😓
A dirla tutta, non credo che avrei scritto questo post nello stesso modo se non avessi letto pochi giorni fa "Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano" di Caroline Criado- Perez che, al di là delle solite fascette trionfalistiche, effettivamente ti fa vedere tante cose in una luce diversa 🤔

@Romolo:
Infatti, è un problema molto più vasto della scuola. Io lo vedo nella scuola perché è lì che lavoro, ma si trovano esempi dappertutto in quantità..
E naturalmente se passo da Roma e vengo a trovarti non avrò alcun forcone, al massimo un kimono a gatti 😃

la povna ha detto...

Innanzi tutto grazie. Credo che in realtà quello che tu dici non sia in contraddizione con quello che dicevo io, complementare. La nostra differenza di opinioni è se mai su che cosa consideriamo cornice e che cosa parte. A mio avviso, sulla scuola, che è diverso da altre cose perché l'art. 32, il 34 e il 36 della Costituzione quelli sono, e dunque per la nostra Repubblica i diritti sociali fondamentali anche: Salute, Istruzione, Lavoro, la questione che pongo io è cornice (una attitudine italica a sopperire per beneficenza, che a mio avviso fa agio su una mentalità civica ancora giovane, e sull'educazione cattolica, concrezione profonda anche quando non pratica, di questo paese e quella che poni tu parte esplicativa metodologica. Mentre per te è prevalente la questione femminile e la beneficenza derivante parte. Resta il fatto che la consapevolezza di dover erigere un diritto fondamentale latita, per una ragione o per l'altra, e - con lodevoli eccezioni come la te stessa che tu testimoni - tendiamo a farlo tutti, troppo.
Perché non si spiega altrimenti come accettare di mandare i propri figli in certe strutture sia considerata una prassi su cui la percezione del diritto poco fa agio.

Anonimo ha detto...

È un po' che faccio la corte a Invisibili, sembra molto interessante. Lo sciopero delle donne lo fecero in Islanda, qua non si riesce neanche a organizzare un aperitivo, poi là son pochi e mezzi parenti. L'idea però è buona, se lo fate mi aggrego con piacere. Non ho trovato l'emoji del forcone 📗📘📙📚📖📕📒📃📜📝 va bene se porto i cahiers de doléance?
Lurkerella Tappabuchi de Mettipezza

Murasaki ha detto...

@ la povna:
ma infatti l'intenzione non era di contraddirti, ma di vedere la questione anche sotto altri aspetti. Poi in Toscana entra in gioco anche un altro fattore, una specie di senso comunitario che ti porta a contribuire alle cose che senti tue - caso classico, le raccolte di fondi di enti vari per comprare ambulanze, defibrillatori e simili, visti come un contributo della comunità e non un rimedio alle carenze del servizio sanitario - che da noi funziona anche piuttosto bene. Vista in quest'ottica, non c'è niente di male se i genitori raccolgono fondi per comorare, poniamo, un forno per cuocere la ceramica, che è una cosa utile e ci consente una migliore offerta formativa. Il laboratorio di informatica però avrebbe dovuto essere pagato dallo stato, lerché ormai non si tratta più di una "aggiunta", è qualcosa di indispensabile in una scuola.

@ Lurkerella
Materiale per i Cahiers ne abbiamo quanto ne vuoi, e in Invisibili si parla anche dello sciopero del Venerdì di cui non sapevo niente, Quello che mi ha davvero colpito però è il capitolo intitolato "Spalare la neve è sessista?". Molto, molto interessante. Si trova anche in biblioteca, nonostante sia ancora piuttosto fresco

la povna ha detto...

Sì, diciamo che se quello che la scuola provvede a fornire è una buona e bella torta, può andare bene, con giudizio, che un privato ci metta la glassa, ma non che fornisca gli ingredienti base all'impasto (ingredienti che per la primaria e l'infanzia sono la carta prima dei pc, tra l'altro).

Ps. Sempre a proposito di supercazzole, hai pensato di fare un post anche sull'art. 231 bis del decreto rilancio? Quello sulla assunzione temporanea e senza diritti dei precari eventuali?

Murasaki ha detto...

Non ne sapevo niente, in tutta onestà. Ma messa così mi sembra materia da ricorso, più che da post.
Funziona come gli stranieri, regolarizzati a tempo e a scadenza come le mozzarelle?

Pellegrina ha detto...

Sapessi quante volte mi è stato suggerito in maniera più o meno palese di mettere io mano al portafogli per le cose che servivano in ufficio.
Mi sono sempre rifiutata, per una questione di principio che tu hai perfettamente enunciato; ma psicologicamente è una pressione non indifferente: o passi da spilorcia tu, o da pazza, o da rompiscatole, o da tutte e tre.
La differenza è che a me le cose non le comprano: anzi mi si fa arrivare la lavata di capo del nume di turno che mi fa pressioni di tutti i generi perché io smetta di chiedere mezzi di lavoro e attrezzi ergonomici.

Pellegrina ha detto...

Dispositivi ergonomici, meglio.

Unknown ha detto...

Esattamente. Il mio saggio preside, che sospetto apprezzeresti, non a caso proprio ieri chiosava: “chiediamo classi e ci offrono schiavi con caporalato”.

Unknown ha detto...

Scusami, ero la ‘povna inopinatamente sconosciuta.

Fatevi i Gatti Vostri ha detto...

Quando uno Stato è incapace di far quadrare i propri conti succede questo e anche di peggio.
Nel pubblico sono contrario a ogni forma di intervento con soldi propri, fosse anche una spesa di un euro, perché sono stati versate tasse in abbondanza e se non si sanno amministrare non si deve chiedere la carta igienica alle famiglie o le fotocopie a un insegnante. Diversa cosa nel privato, essendoci una contrattazione alle base dei rapporti tra dirigenza e corpo insegnante una scuola o una università può chiedere a un docente di provvedere in proprio al materiale che gli serve per espletare la propria funzione, compresa la toga e il tòcco.

Hai ancora titoli di films recuperati inseriti per te nei "disponibili"
Un abbraccio
Bobby

Melchisedec ha detto...

Purtroppo faccio parte di quei fessi, che ci rimettono di tasca propria...tranne le telefonate alle famiglie, rigorosamente da scuola. Pensa che c’è stato nella mia scuola un ricorso, che era fondato proprio sulla cattiva abitudine di una collega di comunicare con i genitori di un alunno tramite telefono privato. Costoro, appresa la notizia della bocciatura del figlio, hanno tentato di negare di aver ricevuto comunicazioni da parte della scuola sulle benemerite imprese del figlio. Non l’hanno spuntata.

Murasaki ha detto...

@Pellegrina:
Ecco, a noi se non altro le smusate le risparmiano. Quasi sempre.

@ la povna:
Ti consolerà (ti consolerà? Ne dubito) sapere che è una vecchia pratica. Usava già negli anni 60 e mia madre la deprecava moltissimo. C'è di buono che alla fine lo Stato è costretto a fare le sanatorie. Che poi è una cosa buona fino a un certo punto, ma è colpa dello statop se si mette in condizioni di doverla fare.

@ Fatevi i Gatti Vostri versione Bobby:
Adire il vero non vengono esplicitamente CHIESTI: ufficialmente lo fa l'insegnante di sua spontanea volontà. In realtà non lo farebbe, se le attrezzature fossero adeguate.

@ Mel:
A dire il vero le telefonate ai genitori sul telefono personale da noi sono la norma (tranne io che tendo a non farle proprio). Non credo sia mai venuto in mente a nessuno che in questo modo la telefonata perde ufficialità - ma forse non è così, perché di fatto i genitori di cui parli persero il ricorso (vivaddio)

Melchisedec ha detto...

A me non è mai capitato di ricevere una notifica di una qualsivoglia amministrazione pubblica da un telefono privato, quindi ritengo che l’ufficialità abbia il suo peso. Il fatto è che talvolta gli insegnanti siamo così presi da serafico ardore per gli alunni che dimentichiamo il versante ufficiale.