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venerdì 10 gennaio 2014

Il mulino dei dodici corvi - Otfried Preussler


Il romanzo è del 1971 ma in Italia arrivò solo nel 1989, corredato da un riassunto di copertina che, nel bel mezzo della trama, spiegava di come esso romanzo fosse "una saga vendica (i protagonisti sono tutti sorabi della Lusazia)".
All'epoca non avevo la benché minima idea di cosa accidenti fosse una saga vendica, e non parliamo dei sorabi della Lusazia; ero anche consapevole che il lettore medio non ne sapeva più di me, né capivo perché l'editore si fosse preoccupato di chiarire un dettaglio del genere in un testo che in teoria doveva invitare all'acquisto del romanzo, e non far scappare a gambe levate davanti a tanta pedanteria l'aspirante lettore.
Ad ogni modo è vero, i protagonisti sono tutti sorabi della Lusazia, ma il libro si legge benissimo anche senza sapere chi sono i sorabi (una popolazione slava che abita in Germania) né dove stia la Lusazia (che, per la cronaca, è nella Germania orientale); e infatti la frase fu tolta nelle edizioni successive, anche se tra i miei amici è rimasta come modo di dire per diversi anni. Quanto alla saga vendica, i vendi erano un popolo pagano di origine slava che abitava in quelle regioni tra Germania Orientale, Boemia e Polonia.

E' una storia ambientata in Germania, più esattamente in Lusazia, nel Seicento. Ma non importa granché sapere nemmeno questo, perché è una storia per molti aspetti fuori dal tempo e dallo spazio.
Un ragazzo orfano di nome Krabat, sui quattordici anni, vagabondo senza fissa dimora dopo la morte dei suoi genitori, viene chiamato in sogno ad un mulino. Ci va e viene assunto come apprendista. Con lui al mulino ci sono undici garzoni di età tra i quattordici e i trent'anni. Il padrone del mulino è un uomo di una certa età senza un occhio, esperto in magia nera. La insegna anche ai suoi lavoranti, una volta alla settimana, dopo averli trasformati in corvi - dodici corvi, appunto. E il mulino non è un mulino qualunque: si macina grano trasformandolo in farina, certo, ma che fine faccia la farina e da dove viene il grano non è molto chiaro - certo non viene dal paese vicino, dove il mulino è considerato con grande diffidenza e dove nessuno porterebbe mai a macinare nemmeno un sacchetto di frumento. E nelle notti senza luna arriva il Compare, di cui il padrone del mulino ha una certa paura, e allora si macina di notte, ma non si sa bene cosa si macina, né si ha alcun desiderio di approfondire la questione. E una volta all'anno uno dei lavoranti scompare... vabbé, non è necessario raccontare la trama in tutti i suoi dettagli, immagino.
Krabat comunque si rende conto che il mulino presenta una serie di risvolti piuttosto inquietanti e per niente salutari, e comincia a pensare che forse restare là non è una buona idea. Andarsene via dal mulino, però, non è affatto semplice, anche perché il mago esperto di magia nera sorveglia con molta attenzione i suoi dodici lavoranti. Occorreranno molta cautela e alcuni aiuti.

Si potrebbe classificare questo libro nella letteratura fantasy o nella narrativa fiabesca - sono state fatte entrambe le cose. Si può anche lasciare il compito della classificazione a chi vuole occuparsene e limitarsi a leggere il romanzo, che è bellissimo e molto ben scritto e tratta i soliti, eterni argomenti di cui parlano sia la fantasy che le fiabe nonché tutta la letteratura: di inganni e di fiducia, di apparenza e di realtà, di prigioni e di fughe, della vita, della morte, dell'amicizia e dell'amore e dei messaggi che possono mandare i sogni - Krabat sogna moltissimo, e i suoi sogni sono sempre molto interessanti.
La narrazione scorre veloce: per leggere le due-trecento pagine bastano un pomeriggio lungo o un paio di serate. Si può leggere dai dieci anni in su a qualsiasi età e lascia una piacevole sensazione, come di avere fatto un bucato all'anima e di averla stesa ad asciugare, e di avere nel contempo imparato molte cose. Diciamo che, oltre a parlare di magia, è anche un libro magico.

Consigliato caldamente a chiunque, in qualsiasi stagione e in qualunque stato d'animo, ma in particolare a chi si trova immerso in una situazione aggrovigliata e desidera un consiglio ma nel contempo vuole staccare un po'.

Con questo post partecipo ai Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti i partecipanti e a chiunque passi di qua, un felice fine settimana e buone letture, nonché un radioso 2014. 

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie per questa bellissima recensione.
Ho appena finito di rileggere il libro - la prima volta che l'ho fatto avevo quindici anni e oggi... beh, qualcuno di più.
E come te mi sono arrovellato per decifrare quella frase sul risvolto di copertina. Se per sorabi e Lusazia Internet è venuto in largo aiuto, non riesco assolutamente a spiegarmi quel "saga vendica". Cosa potrebbe significare? "Vendico", come aggettivo, significa "vendicato"... ma cosa mai sarebbe una "saga vendicata"?

Grazie ancora!
Paolo

Murasaki ha detto...

A(io invece mi sto arrovellando per capire che fine hanno fatto la manciata di commenti che c'erano a questo post. Che fa blogspot, se li mangia?)

Ahem. Ben trovato, Paolo, e passo a illuminarti.
"Vendica" non è imperativo presente del verbo vendicare, anzi il verbo non c'entra nulla.
Capii veramente quella strana frase solo qualche mese dopo, quando mi trovai a recensire per una bibliografia medievale un articolo in inglese sulle crociate del Nord, ovvero quelle spedizioni fatte con la benedizione della Chiesa (soprattutto dai cavalieri teutoni, ordine monastico militare) nel XII-XIII secolo verso nord-est, in regioni con nomi non proprio conosciutissimi ai più (tipo la Livonia, oggi compresa tra Estonia e Lettonia), abitata da pagani da convertire, e lasciamo perdere i modi con cui li convertirono. Tra queste popolazioni pagane c'erano i vendi (in inglese wendi), di cui puoi trovare qualche notizia su http://it.wikipedia.org/wiki/Venedi.
Quindi la frase parla di una saga con protagioniste popolazioni di ascendenza vendica, ovvero i famosi Sorabi della Lusazia.
E tutto ciò è senz'altro molto colto e raffinato, nonché pedissequamente pedante!

Murasaki ha detto...

E ho provveduto ad aggiornare il post spiegando (all'incirca) chi erano i vendi e linkando la pagina di Wikipoedia ^__^

Anonimo ha detto...

Ma sei davvero un grande! :-D
Parlandone ieri al telefono con mia madre, ma senza mezzi informatici e non a portata di mano, lei ha ipotizzato proprio l'esistenza di una qualche etnia da cui sarebbe dovuto derivare l'aggettivo vendico.
Ma proprio non avevo mai sentito nominare i vendi!
A questo punto ti do completamente ragione sull'infelice scelta di chi ha riassunto la trama del libro: come si fa a nominare vendi, sorabi e Lusazia come se si stesse descrivendo un paesaggio di montagna?!
Grazie ancora!
Paolo

P.S.: è ho molto apprezzato l'ironia di quel "famosi"!

Anonimo ha detto...

Ops, "una" grande!
Chiedo venia...

P.