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giovedì 30 ottobre 2008

Le parole per dirlo


Il modesto casino di caccia di Carlo Teodoro, elettore del Palatinato (XVIII secolo)
Anch'io, come tanti insegnanti di lettere, conduco con ogni classe la mia battaglia contro il casino.
No, non contro la confusione (cioè sì, all'occorrenza anche contro quella) ma proprio contro la parola "casino", che i ragazzi usano ormai con assoluta naturalezza e del tutto ignari del suo reale significato. 
"Non si dice casino, e tanto meno si scrive in un tema" gli spiego compunta "A meno che, naturalmente, non stiate parlando di un casino di caccia."
Mi guardano, palesemente sorpresi "E perché?".
"Lo sapete cosa vuol dire casino?"
Certo, rispondono sereni, vuol dire confusione.
Allora gli spiego cos'era un casino e come funzionava. Ascoltano sempre più perplessi, ma cominciano a capire la sconvenienza del termine. Ogni anno ho sempre più il sospetto di combattere contro i mulini a vento, perché casino è ormai una parola di uso comune e quasi sempre priva di riferimenti alla prostituzione, legalizzata o meno. Eppure, mi dico, sono un'insegnante di italiano; spetta a me insegnargli i vari registri linguistici, e che non in tutte le circostanze e con tutte le persone si usano le stesse parole.
A questa terza, quando era una prima, ho fatto due lezioni dedicate alle cosiddette parolacce: quelle che non si devono usare con gli insegnanti, ma che magari si possono dire negli intervalli parlando con i compagni; quelle che non si devono usare per niente (salvo, magari, in privato, con persone con cui si è in stretta confidenza), quelle che possono esporti a rischi penali, più un excursus su come si possa tranquillamente offendere qualcuno (se lo si vuole offendere) usando parole normalissime. Mi sono esibita in autentiche acrobazie verbali per spiegargli il significato di parole piuttosto comuni, ma di cui ignoravano talune implicazioni (e d'altra parte, saper fare quel tipo di acrobazie è parte integrante del mio mestiere) ho fatto un bel discorso a parte sullo spinoso tema dell'omosessualità: "si dice gay e soltanto gay, mi raccomando, se proprio volete offendere qualcuno non usate mai e poi mai parole che si riferiscano all'orientamento sessuale, perché oltre alle implicazioni penali rischiate pure di fare la figura dei poveri ignoranti che conoscono solo un modo per insultare le persone e più che insultare qualcuno finite per squalificare voi stessi". E via dicendo.

Sono state lezioni seguite con grande attenzione, ricche di domande e di puntualizzazioni. Hanno portato i loro frutti, anche se a volte è stato necessario qualche ulteriore chiarimento.
"Profe, ho fottuto la Cerbiatta" grida soddisfatto Cuorcontento durante l'intervallo. La Cerbiatta, di buon carattere, ride a sua volta: perché il ragazzo le aveva fatto uno scherzo (piuttosto innuocuo) e lei ci era cascata in pieno.
"Non è una parola da gridare ai quattro venti" provo a spiegare dopo l'inevitabile sobbalzo sulla sedia.
"Perché, cosa vuol dire?"
"Ehm, si usa per indicare un rapporto sessuale completo: Ora, non credo che voi..."
I due si guardano, poi ridono fino a rischiare di soffocare: sono da sempre in buoni rapporti ma, per quel che è dato sapere, solo in modo assai amicale.

Ieri ho fatto fare il primo tema. La Cerbiatta, ragazza dolce, piena di sensibilità e amante della poesia, dai grandi occhi sognanti e vellutati, che da tempo ha deciso di fare il liceo classico per il grande amore che le ispira la letteratura, ha svolto la traccia sull'amicizia; mi racconta del deteriorarsi di un rapporto per lei molto importante e di come, dopo un episodio molto critico, la madre e la zia l'abbiano consolata dicendole "Tutti abbiamo avuto delle amiche stronze".
Sono certa che la madre e la zia si sono espresse esattamente in questi termini - dicendo, tra l'altro, una grande verità; ma è chiaro che una frase del genere mi obbliga ad andare sotto la sufficienza, anche se il tema è fatto piuttosto bene.

Sarà un bel casino spiegarglielo.

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