Il mio blog preferito

giovedì 25 aprile 2019

25 Aprile ovvero il giorno del Maiale Cremisi

"Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale" proclama Porco Rosso

Quando ero bambina il 25 Aprile per me era un giorno di vacanza. 
Evviva, non si va a scuola!
Perché non si va a scuola?
Boh, c'è una di quelle feste di storia.
Prima o seconda guerra mondiale?
Mah, mi pare seconda...

Non ci facevamo 'ste gran domande, anche se gli adulti un po' ci tampinavano per raccontarci di che si trattava. 
Ce lo raccontavano ogni anno, noi ascoltavamo con educazione e poi lo dimenticavamo pochi giorni dopo.* Gli adulti invece sembravano prendere la cosa molto più sul serio. Per loro non era storia, erano ricordi, nemmeno troppo lontani. Eravamo alla fine degli anni 60, inizio dei 70. Intorno a noi abbondavano le commemorazioni, i ricordi commossi eccetera. 

Più avanti per me le cose cambiarono, e il 25 Aprile diventò il giorno del compleanno della mia amica del cuore. Regalo da scegliere con cura, torta con candeline eccetera. Sua madre che diceva "Per me è stato davvero il giorno della liberazione" perché la sua gravidanza era durata quasi dieci mesi, e comprensibilmente l'ultimo mese era stato decisamente sul faticoso (a quei tempi non si precipitavano a farti il cesareo al primo giorno di ritardo, e del resto non so perché avrebbero dovuto: la mia amica nacque forte e sana, solo si era presa il suo tempo per fare le cose per bene).

Adesso le cose sono cambiate: l'amica l'ho persa di vista da più di vent'anni, anche se tutti i 25 Aprile ripenso a lei.
In compenso quando arriva il 25 Aprile tutti intorno a me litigano. Non soltanto i politici, che passi. No, un sacco di gente molto più giovane parla e straparla del 25 Aprile e l'ha trasformato in una saga fantasy imbottendolo di leggende metropolitane.
La generazione dei miei padri l'ha vissuto, e se lo ricorda bene anche se è in via di estinzione; e anche se dopo settanta e più anni nessuno ricorda mai bene niente, perché sopra i suoi ricordi si è stratificato di tutto e di più.
La mia generazione l'ha vissuta come una cosa che non mordeva: era finita la guerra, quindi tutti erano contenti. Comprensibile, perché gli ultimi due anni erano stati davvero un bel casino. La guerra era finita e amen. 
Festeggiamo la fine della guerra? 
Massì, certo che la festeggiamo. Ci mancherebbe.
La generazione successiva ne ha fatto una roba stranissima su cui ogni anno ci si deve necessariamente accapigliare. E non è cominciato quest'anno, no, è cominciato quando Alleanza Nazionale, nata sulle ceneri del Movimento Sociale Italiano a sua volta nato dalle ceneri del disciolto partito fascista salì al governo nel 1994. Com'è comprensibile, sulla fine della seconda guerra mondiale aveva idee leggermente diverse da quelle di altri partiti. E voleva il revisionismo. Che non era, come pensavo ingenuamente agli inizi, una giusta rivisitazione della storia ad acque calme per rifare il punto della situazione, ma qualcosa di più profondo. Molto più profondo.

I partigiani erano cattivi, cattivissimi!
Beh, sì, effettivamente alcuni partigiani non avevano l'aureola.
I partigiani erano solo comunisti / i partigiani non erano affatto comunisti (una a scelta tra le due)
Beh no, veramente i partigiani erano un po' di tutto... alcuni erano perfino monarchici...
E i ragazzi di Salò non erano cattivi!
No, certo, non erano cattivi. Non tutti, almeno. Però avevano preso qualche abbagl...
E i comunisti erano peggio dei fascisti!
Mah, forse, in Russia... ma che cazzo c'entra? 
Anche in Jugoslavia! I partigiani comunisti erano cattivissimi!
Beh, può darsi, ma, di nuovo, che cazzo c'entra con noi?
E poi ci sono state le foibe!
Vero, le foibe non sono state una bella cosa...
Di cui non si parla nei libri di storia delle scuole!
Giusto, rimediamo subito.
E il 25 Aprile l'Italia fu sconfitta!
Eh, sssì, effettivamente dalla seconda guerra mondiale l'Italia uscì sconfitta ma...
Non c'è nessun motivo di festeggiare una sconfitta!
Via, adesso non esageriamo!
eccetera eccetera eccetera.

Da allora il 25 Aprile è diventato un gran tormento, soprattutto per chi ha fatto la stupidaggine di studiarsi un po' di storia; e ogni anno si sentono dire nuove scempiaggini in proposito, soprattutto da politici a caccia di polemiche e di visibilità.
Come per tutti i paesi che hanno fatto una guerra civile, il giorno della fine della guerra  risulta amaro per molti anche se poi dà quasi sempre frutti di notevole dolcezza (siamo sinceri, già il fatto che smettano di spararti addosso segna comunque un certo miglioramento nella qualità della vita).

Gli storici amano con passione la fine della seconda guerra mondiale in Italia e l'inizio della ricostruzione: è una torta a strati dove ogni strato riserva sorprese ancora a settanta e passa anni di distanza, e i documenti sono così abbondanti (soprattutto quelli individuali: epistolari, diari, libri di memorie) da farti quasi morire schiacciato dal gran peso; ma è un dolce peso, come lo era la mia amica per sua madre nelle ultime settimane prima della sua nascita. Purtroppo la manica di invasati che ogni anno parla del 25 Aprile come se fosse stato due mesi fa - inventandosi rancori personali e ingiustizie subite dal dì della sua nascita, rimproverando nel contempo gli ebrei sopravvissuti perché continuano a lagnarsi dei campi di sterminio che non erano esattamente degli alberghi a cinque stelle e si ostinano a insistere che, LORO, durante la seconda guerra mondiale han subito un po' di torti (robetta da poco: qualche deportazione, un po' di morti in famiglia, ecchessaràmai) - crea un tal rumore di fondo da disturbarli nel loro lavoro. Il che è un peccato, perché gli ultimi anni della seconda guerra mondiale in Italia sono stati una vera seccatura per chi li ha vissuti, ma per chi li guarda da lontano, da una tranquilla sala di studio in archivio, sono un soggetto fascinosissimo.
Sarebbe davvero bello che si inaugurasse un nuovo movimento di Resistenza - contro la stupidità, stavolta. Magari a colpi di torsoli di frutta e di verdura o di sguaiatissime risate - perché c'è pur un limite alle sciocchezze che un povero cittadino rispettoso della legge  e della storiografia ha il dovere di sopportare senza ribattere.

Nel breve periodo in cui sul 25 Aprile e dintorni in Italia stava aleggiando un cauto accenno di buonsenso, all'inizio degli anni 90 e più esattamente nel 1992, mentre la fine della seconda guerra mondiale sembrava avviarsi a diventare storia passata e non più storia contemporanea, il grandissimo Hayao Miyazaki creò e diresse lo splendido film a cartoni animati Kurenai no buta che tradotto significa "il maiale cremisi" e che da noi venne tradotto con Porco Rosso, ambientato in Italia fra le due guerre, in cui racconta le non banali vicende di un eroico asso dell'aviazione italiana che diventò (...scelse di diventare?) un maiale rosso, il tutto continuando a fare il pilota d'aereo, ma non più nell'esercito italiano, perché "piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale", unico film storico (beh, storico... cioè, insomma...) che il regista giapponese ha ambientato nella reale geografia politica europea dell'epoca. Per una serie di misteriosi motivi (politici, viene da pensare) il film però in Italia non arrivò, nonostante nel fandom se ne facesse un gran parlare e tutti gli amanti degli anime smaniassero per vederlo. Nel 2003 fu fatto il doppiaggio ma poi il tutto fu lasciato a candire in un angolo finché i diritti del film non scaddero e in conclusione fino al 2010 il film in Italia non si vide, nemmeno in DVD**. E tutto ciò gli ha impedito di conseguire in questo paese l'universalissimo plauso che gli spettava più che di diritto.

Ma ogni anno su Facebook, mentre in tante pagine imperversano in lungo e in largo polemiche e commemorazioni sul 25 Aprile, negli angolini occupati dagli appassionati di anime, nella fatidica data appare regolarmente qualche foto da Porco Rosso, a volte addirittura senza la didascalia "meglio maiale che fascista", ché tanto è implicita.

Buon 25 Aprile a tutti.

*sto parlando del mio piccolissimo entourage, non sto descrivendo l'universale stato d'animo di una generazione. Io e i quattro gatti che avevo intorno, insomma.
**e FINALMENTE potei farlo vedere alle mie Terze, che assai lo gradirono.

domenica 21 aprile 2019

È tornata!



Buona primavera
Buona Pasqua
e felice rinascita
a tutti
(e possa il cioccolato non mancarvi mai)


venerdì 19 aprile 2019

Persuasione - Jane Austen

Di nuovo una piacevole certezza: questo romanzo non soltanto non è assolutamente il primo di Jane Austen, ma siamo ben sicuri che sia l'ultimo. In compenso c'è chi sostiene che sia incompleto. Personalmente non lo credo ma è possibile che, se fosse vissuta più a lungo, l'autrice ne avrebbe riscritte alcune parti: ci sono infatti diversi punti in cui si intravedono le ossa della narrazione e la successione degli eventi avviene in modo piuttosto meccanico, senza quel delizioso gioco d'acqua che caratterizza gli altri romanzi, dove zampillano gli uni dagli altri con perfetta naturalezza. In compenso ci sono molti punti dove la prosa è particolarmente bella e ricca di implicazioni, insomma dove la scrittrice scrive meglio di quanto abbia fatto mai - e infatti ci sono molti lettori che lo ritengono il romanzo migliore e lo tengono sull'altarino.
Ecco, proprio sull'altarino forse non lo metto, ma senza dubbio è molto bello.

Chi ha frequentato un po' di Harmony sa che c'è una collana dedicata alle...riprese? Ritorni di fiamma? Ad ogni modo il sottotitolo è "C'è sempre una seconda occasione per amare". Per amare lo stesso uomo o la stessa donna, intendono. 
Funziona così: lui e lei si sono incontrati qualche anno prima (sei, sette, comunque meno di dieci), amati follemente e qualche volta perfino sposati, hanno condiviso qualche notte di passione... poi si sono bruscamente divisi, convinti che essersi amati sia stato il più stupido errore della loro vita e che l'altr* li abbia solo sfruttati e/o presi in giro.
C'è una causa meccanica di cui entrambi sono all'oscuro naturalmente, di solito organizzata da parenti o... mah, chiamarli "amici" mi sembra eccessivo, visto il loro comportamento, comunque da persone di cui si fidano e, nella maggior parte dei casi, un buon tasso di idiozia da parte dei due innamorati. Passato qualche anno i due però si incontrano nuovamente; in teoria sono convinti di essersi ormai emancipati dal loro sciocco amore di gioventù, ma naturalmente non è vero e pian piano le cose si chiariscono e a fine romanzo li vediamo finalmente uniti in modo stabile. Ecco, credo che il capostipite di questo ramo della narrazione sia stato proprio Persuasione, perché non mi sembra che questa traccia sia stata mai narrata prima del presente romanzo.

I due innamorati descritti da Jane Austen comunque non sono affatto idioti e non c'è stato equivoco nella loro separazione, solo una certa  debolezza (e molta ingenuità) da parte di lei.
Anni prima - otto anni prima, per la precisione, la giovanissima Anne Elliot ha conosciuto il giovane tenente di marina Frederick Wentworth. I due si sono subito piaciuti e poi fidanzati. Lui però era povero e di incerta carriera (le due cose sono strettamente collegate, perché un Wentworth padre ricco e influente avrebbe sistemato già da tempo la questione) mentre lei era la figlia di un baronetto di scarsa intelligenza ma di grandissima superbia, convinto di occupare i gradini più alti della scala sociale e del tutto immune a sentimenti insulsi quali l'affetto per la figlia o l'interesse della di lei felicità.
Non c'era stata una vera opposizione, solo molta freddezza e una certa dose di pressione - o di persuasione, se così ci piace chiamarla. La sorella maggiore di Anne aveva appoggiato il punto di vista del padre, anche perché non voleva che la sorella si sposasse prima di lei e soprattutto con un partito così squalificante per la nobilissima (maddeché?) famiglia degli Elliot. Anne si era così trovata sola ad affrontare il malumore paterno perché la madre era morta da qualche anno e la seconda sorella, ormai sposata, non aveva mai saputo nulla di quella storia. Tuttavia, per quanto giovane, tenera e sprovveduta avrebbe affrontato le pressioni con una discreta fermezza, anche perché era molto innamorata del suo tenente spiantato. Purtroppo però era intervenuta anche Lady Russell, grande amica della defunta madre che alle sue cure aveva affidato la carissima figlia e che sulla nobiltà della nobile famiglia Elliot la pensava esattamente come lo sciocco baronetto e l'insipida figlia maggiore. Davanti alle insistenze di colei che ai suoi occhi era una sorta di delegata della madre, Anne aveva ceduto.
Ho abbondato senza risparmio con gli aggettivi, soprattutto quelli rivolti a Sir Walter Elliot e alla sua primogenita, perché qualsiasi lettore che non abbia mandato il cuore alla raccolta differenziata dei rifiuti per farne compost, dopo aver letto lo scarno resoconto delle vicende di Anne e soprattutto gli effetti che questa storia ha avuto su di lei viene colto da una incontenibille irritazione e comincia a mandare mentalmente insulti di tutti i tipi al tronfio baronetto - che peraltro non fa nulla nel corso del romanzo per riscattarsi sia pur  minimamente agli occhi del lettore o di un qualsiasi protagonista del libro.
Come il padre di Emma, Sir Elliot è un uomo provvisto di senno tutt'altro che sovrabbondante e assorto in pochi ma assai ostinati pensieri; ma mentre il padre di Emma è universalmente benvoluto anche dai molti che ne sono esasperati, prima tra tutte la figlia, grazie a un temperamento affettuoso e gentile - e in effetti tende molto, moltissimo a preoccuparsi degli altri e soprattutto della loro salute, ma è anche decisamente generoso e tutt'altro che assorto nella contemplazione della grandezza del suo casato, che pure è più che rispettabile - Sir Water Elliot guarda tutti dall'alto in basso e vive ossessionato dal pensiero dal decoro dovuto alla sua nobile stirpe e dalla bellezza sua e dalla mancanza di bellezza degli altri. Di per sé l'amore per la bellezza e il rispetto per i propri antenati non sono certo difetti,  né vi è alcun motivo per cui un uomo debba lamentarsi di essere stato dotato di un bell'aspetto dalla natura; quando però la conversazione e i pensieri dell'uomo in questione si basano quasi esclusivamente sull'importanza di non farsi deprivare di alcuno dei suoi diritti, quando su questi "diritti" si hanno pretese del tutto irragionevoli e quando la bellezza e il rango sono assolutamente gli unici criteri con i quali viene valutato qualsiasi altro essere umano senza alcuna attenzione alle sue qualità morali o intellettuali, e insomma quando alla base di questi sentimenti c'è prima di tutto una grettezza del tipo più miserabile, difficilmente chi li prova è oggetto di grande popolarità. Per aggiungere qualche ciliegina sulla torta e mettere in moto la vicenda occorre aggiungere soltanto il fatto che Sir Elliot è convinto che un gentiluomo non deve vivere all'altezza dei suoi mezzi, bensì sono i mezzi che devono adattarsi alle sue legittime aspirazioni - insomma trova del tutto incompatibile con la sua posizione non tenere almeno due carrozze, mentre essere continuamente tampinato da creditori insoddisfatti non gli crea motivo di onta, solo un forte senso di fastidio.

Anne Elliot è del tutto estranea a questa mentalità, e di conseguenza né il padre né la sorella maggiore la tengono in alcuna considerazione. Per giunta non è bella, che in quella famiglia è una sorta di peccato mortale. 
In effetti era stata molto bella ai tempi del suo fidanzamento, tanto che il consiglio (o meglio la persuasione) esercitata da Lady Russel era stata dettata anche dalla paura di bruciarla troppo presto sul mercato matrimoniale perché poteva aspirare a ben di meglio che a un marinaio spiantato. 
Peccato però che Anne la pensasse diversamente.
Anne è una protagonista anomala per un romanzo di Jane Austen, anzi per un romanzo dell'epoca in generale: non è una ragazza giovane e inesperta del viver del mondo che fa il suo apprendistato imparando dai suoi errori - quella fase ormai l'ha passata e i suoi errori li ha fatti, imparando parecchio ma uscendo quasi spezzata dalla prova. Quando la incontriamo ha ventotto anni, un carattere malinconico, diversi rimpianti e un aspetto sfiorito. Non c'è stata una carta migliore di Frederick Wentworth da giocare sul mercato matrimoniale, principalmente perché Anne non si è più innamorata; forse in realtà non si è voluta innamorare, oppure il destino è stato un po' scortese con lei non mettendole sulla strada qualcuno in grado di rimpiazzare il perduto amore. Sta di fatto che, lentamente ma irreversibilmente, si è spostata su un ruolo diverso da quello della ragazza da marito: quello della donna nubile e destinata a restarlo, delizia dei nipotini, balia asciutta delle sorelle, molto apprezzata da chi la conosce per averne assistenza e appoggio morale, ma del tutto priva di una vita personale, tranne le parentesi con Lady Russell.
La persuasione si è rivelata mal spesa anche sul piano più pratico: nel corso degli anni, mentre lei sfioriva, il marinaio spiantato, pur avvolto in una nuvola di rancore (e di involontaria fedeltà, perché nemmeno lui ha minimamente rimpiazzato il suo amore di gioventù) grazie alle guerre napoleoniche ha fatto una carriera assai brillante e messo su un bel patrimonio, senza peraltro sfiorire affatto. Quando si ritrovano quindi lui può permettersi di guardarla dall'alto in basso e di trattarla con freddezza. Almeno all'inizio.

Altra caratteristica insolita di questo romanzo: nemmeno il lettore più sprovveduto riesce a credere seriamente che i due non torneranno insieme, nemmeno nelle prime pagine dopo il loro nuovo incontro. Qui non si tratta di sapere con chi finirà per accasarsi l'eroina, quanto di vedere quando e in che modo lo farà. I due, come appare chiarissimo, hanno mantenuto intatta la capacità di leggere nel cuore dell'altro - Frederick dimostra in varie occasioni di capire perfettamente gli stati d'animo di Anne, e Anne a sua volta capisce immediatamente quando l'ormai capitano Wentworth cede le armi e smettendo di mentire a sé stesso ammette in cuor suo di essere ancora innamorato di lei. Il loro sentimento era profondo e ben radicato e si era basato su una valida comprensione dell'altro e riallacciare gli antichi legami sarà davvero questione di poco.
Più complesso sarà sistemare le cose tra Lady Russell e il capitano Wentworth, ma è probabile che sarà comunque affare meno complicato di quel che potrebbe sembrare, considerando che entrambi hanno assai a cuore la felicità di Anne.
Come per tutti i romanzi di Jane Austen, ogni scusa è buona per leggere o rileggere Persuasione e ogni stagione offre buoni spunti per raccomandare tali letture.
Volendo, ci sono anche due film da vedere: il primo, del 1995, per la regia di Roger Michell l'ho visto e mi è sembrata la classica pellicola con la quale e senza la quale il mondo resta tale e quale, anche se le ville e i paesaggi recitano molto bene; chi vuole vederlo (in inglese) lo troverà qui. Il secondo, che non so nemmeno se è arrivato in Italia, è del 2007, fu fatto per la televisione in più episodi ed era diretto da Adrian Shergold; su YouTube si trovano diversi video, anche lunghi.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti ottime letture primaverili pasqualine, anche sotto gli alberi in fiore se avete un giardino o un parco vicino a casa. Auguri, e che le uova siano con voi!

I miei insegnanti - Massimo Bordin

Massimo Bordin se n'è andato*
Non ricordo quando ho cominciato ad ascoltare  la rassegna stampa di Radio Radicale dal titolo impercettibilmente polemico di Stampa e regime, ma sapevo già da tempo che era un cult.
Per quanto cult fosse, comunque, non c'era davvero motivo che perdessi con sì insulso soggetto le belle ore della mattinata, che ai tempi dell'Università passavo principalmente a dormire dopo essermi addormentata ad ore invereconde. 
Ad un certo punto della mia vita però cominciai a lavorare, ad orari irregolari, presso un centro di studi in qualità di bibliotecaria, sguattera e fattorina (come tutti là dentro, non è che a me fosse riservato un trattamento più indegno che agli altri) e insomma capitava spesso che la mattina fossi sveglia a fare colazione con qualcuno dei miei conviventi, e regolarmente la radio era sintonizzata su Radio Radicale, che quello passava: dalle sette e mezzo alle nove, poi alle dieci partiva la replica che durava fino alle undici e passa. In casa cominciammo a prenderci gusto, anche perché in Italia stavamo passando politicamente un periodo, diciamo, piuttosto buffo (che dura tuttora).
Immagino che le tifoserie politiche ci fossero sempre state, ma a me arrivavano piuttosto filtrate e soprattutto sapevo già in partenza chi aveva torto e chi ragione, chi era buono e chi cattivo. Non ti serve una rassegna stampa, se sai già tutte queste cose. In quegli anni però le tifoserie abbandonarono ogni ritegno e pudore e pian pianino, ascoltando i vari articoli (perché Stampa e Regime non si limitava ad accennare gli argomenti trattati dai giornali, ma leggeva ampi stralci di articoli, ottenendo spesso un effetto piuttosto perplimente per gli ascoltatori - specie quelli candidi e ingenuotti come me) nel mio animino fiducioso cominciò ad insinuarsi il sospetto che talvolta, ogni tanto, in qualche occasione, poteva pur capitare che anche i buoni fossero leggermente faziosi, che altre volte piantassero grane ignobili per cose che anche loro facevano e che quando facevano avevano l'aria di trovare normalissime, e che altre volte ancora piantassero dei gran casini apparentemente senza un perché. Insomma, continuai ad essere candida e ingenuotta (e lo sono ancora) ma cominciai a pormi qualche domanda, anche se molto raramente mi davo poi qualche risposta (ad avercele, le risposte, uno se le darebbe anche. Ad avercele).
La voce del presentatore, tal Massimo Bordin, era una bella voce di basso, piuttosto rilassante, e i suoi commenti erano assai vari: talvolta farciti di precedenti storici non sempre rassicuranti (ad esempio spesso qualche partito minaccia di "ritirarsi sull'Aventino" in segno di protesta che non è esattamente un buon presagio, visto come andò a finire chi si ritirò sull'Aventino ai tempi del Ventennio), talvolta di citazioni che l'ascoltatrice giovane avrebbe faticato assai a capire se non le fossero stati spiegati puntualmente e con grande chiarezza; spesso veniva commentata la pagina scelta dal giornale per trattare un argomento (se era pari o dispari, se era una delle prime eccetera) o venivano descritti gli effetti grafici, le foto, i rimandi iconografici contenuti nella foto. Per me, che di arti figurative sapevo quasi soltanto che esistevano, si apriva un mondo. Spesso poi venivano ricordati i precedenti di un argomento trattato, anche quelli di trenta o quaranta anni prima. Lì ero un po' meno spersa, perché in famiglia di politica si era sempre parlato, ma certo quando parlavano di quel che succedeva trent'anni prima io non li ascoltavo perché stavo nel box a giocare con i cubi o gattonavo per il salotto abbracciando le gambe dei tavolini e simili, e prima dei quindici anni il giornale lo usavo solo per avvolgerci oggetti delicati o per tenere al sicuro il tavolo quando adoperavo le tempere. 
Altre volte infine Bordin ripercorreva le posizioni che i vari politici avevano tenuto su determinati temi nel corso degli anni, e lì c'erano spesso delle sorprese davvero divertenti; per tacere poi dei precedenti filosofici, giuridici, processuali e socioculturalbocciofili di certi temi. 
Imparai così un sacco di cose, e col tempo venni perfino sfiorata dal dubbio che i buoni e i cattivi non fossero così facili da identificare sempre e con certezza.
Chiaro che, dopo aver ascoltato Stampa e regime tenuta da Massimo Bordin qualsiasi altra rassegna stampa risultava una roba insipida e inconcludente, perfino quando era tenuta apparentemente con lo stesso metodo ma da altre persone, che conoscevano meno la storia della repubblica italiana (e anche di parecchi altri stati, soprattutto europei). Non è che Taradash o Cappato siano dei poveri sprovveduti o non cerchino di fare un buon lavoro, ma certo il piatto che servono è meno sostanzioso. Quanto a Capezzone, che per lunghi anni diresse il Partito Radicale... beh, in effetti mi faceva sempre venire il latte alle ginocchia quando parlava, quindi non mi sorprendevo di non riuscire ad ascoltare la sua rassegna per più di cinque minuti senza ritrovarmi a pensare a tutt'altro o a decidere che era il momento giusto per telefonare a Ermengarda o a Cutberto, oppure che potevo riordinare quell'avvincente mucchio di scartoffie che ingombrava il tavolo e aggiornare i conti di casa (Capezzone faceva la rassegna di Domenica, e quindi purtroppo di solito non potevo andare a lavorare), o magari continuare a stirare ma ascoltando Radio One o qualche altra rispettabile emittente che mandasse un po' di musica decente.

Massimo Bordin strutturava la sua rassegna a rami: prima c'era l'indicazione degli argomenti più trattati, poi la recensione dei vari titoli degli articoli per ogni argomento, divisi di nuovo in rami: quelli irriverenti, quelli catastrofici, quelli lamentosi, quelli aggressivi...  e quelli ingannevoli, soprattutto quando riportavano le cosiddette dichiarazioni-choc di cui poi non c'era traccia nell'articolo: poniamo "D'Alema confessa: 'mi piacciono gli uomini', poi andavi a leggere e scoprivi che D'Alema aveva detto "Sì, stimo X e Y e mi piacciono molto, trovo che abbiano fatto davvero un lavoro eccellente nella commissione Agricoltura"; così ho imparato che il titolo di un articolo identifica molto più dell'articolo stesso l'indirizzo politico, e magari anche il committente, del giornale che lo pubblica.
Seguivano poi i riferimenti ai radicali nei giornali (altrimenti detto "L'incrocio tra radicali e carta stampata" in gergo agricolo più che politico) - a volte poca roba, a volte quasi niente, a volte moltissimo, a volte dei veri deliri da ricovero in ospedale. 
Si arrivava poi ai vari argomenti di politica interna, che di solito costituivano il piatto principale: la polemica sul 7 Febbraio, la polemica sulle ingerenze mafiose, il congresso del partito Rettiliano, la lite tra il ministro dell'economia e qualcun altro (perché il povero ministro dell'economia è sempre occupato a litigare con qualche altro ministro che vorrebbe che i soldi crescessero sugli alberi), la posizione della CGIL, la posizione di Confindustria, la crisi della Banca del Melarancio eccetera. Per ogni argomento che andava avanti da giorni Bordin ricordava all'ascoltatore dov'erano arrivati nell'ultima puntata, e quando un tema riemergeva dopo un silenzio carsico di qualche settimana o qualche mese ripercorreva le tappe precedenti. Ti ritrovavi a seguire certe storie a puntate che nemmeno Dickens e Dumas e improvvisamente ti accorgevi che, mentre quattro giorni prima tutti ti spiegavano che Renzi da tempo tramava per sbarcare sulla Luna, improvvisamente di nuovo tutti ti spiegano che era noto e stranoto da anni che Renzi era un grandissimo avversario di ogni forma di esplorazione spaziale e anzi aveva tagliato i fondi perfino alla NASA.
Piano piano le cose assumevano una forma, un senso, talvolta traspariva perfino  (ma qui forse l'affetto mi fa velo e davvero sto esagerando) un embrione di logica in quel che stava succedendo.
Seguiva poi la politica estera, e infine gli ultimi minuti erano dedicati a commemorazioni, onorificenze, anniversari, interventi di intellettuali e simili. E dopo novanta minuti di rassegna stampa, per qualche misterioso motivo alchemico, l'ascoltatore non solo non aveva né un colossale mal di testa né un travaso di bile, ma si sentiva perfino affiorare un fondo di buon umore. Siamo un paese di pazzi, si sa, ma in qualche modo sembra che tiriamo avanti lo stesso.
A Massimo Bordin devo grande riconoscenza per le ore di svago che mi ha regalato, per le moltissime cose che da lui ho imparato e per avermi insegnato come anche il più complicato argomento si possa trattare in modo chiaro e perfino brillante anche quando ti rivolgi a dei poveri diavoli per loro fortuna abbastanza disinformati, nonché per avermi fatto capire qualcosa delle infinite complicanze in cui ogni giorno la politica è costretta a navigare - talvolta rischiando il naufragio, talvolta schiantandosi contro iceberg di tutti i tipi, talvolta riuscendo perfino a portare la navicella in porto, per quanto un po' ammaccata.
E dopo la sua morte gli devo anche la scoperta che quella rassegna dall'aria così tecnica non la ascoltavano solo gli addetti ai lavori, ma tanti comuni mortali come me che cercavano di capire qualcosa dello strano mondo che ci circonda. Dai social questi comuni mortali hanno fatto sentire la loro voce per ringraziarlo, il giorno della sua morte, e mi hanno aiutato a sentirmi meno sola e meno orfana.

Adesso Massimo Bordin non è più con noi. Di Stampa e regime come la faceva lui dovremo imparare a fare a meno, e ognuno dovrà elaborare il suo lutto come meglio gli riesce. Io, per provare a elaborarlo, ho scritto questo post, e mi è stato di grande conforto.

*ore 14.40 del 17 Aprile 2019

martedì 16 aprile 2019

Vita in rete - Il mondo cambia, e cambiano anche i blog (post nostalgico & autobiografico)


Quando ho aperto questo blog Internet era in una fase di transito - come lo è stata all'incirca ogni giorno da quando è nata - e in particolar modo era una fase di transito per i blog: qualcuno si lamentava, ricordo, perché stavano spegnendosi uno ad uno, come le luci sull'Europa la sera dell'attentato a Sarajevo, qualcun altro invece si lamentava che se non avevi un blog davvero non eri nessuno e si sentiva quasi costretto ad aprirne uno.
Con gli anni ho assistito a molte di queste struggenti lamentele incrociate: i blog erano in crisi per colpa di Facebook, i blog di foto erano in crisi per colpa di Instagram, tutti quelli che scrivevano aprivano un blog, anche quelli che non avevano nessuna voglia di tenerne uno; tutti aprivano blog letterari per recensirci libri, tutti aprivano blog di cucina - e qui la smetto per pietà verso chi legge. E ci fu naturalmente la falcidia quando si estinse da un giorno all'altro la piattaforma di Splinder, e molti che si stavano stufando di avere un blog ne approfittarono per tagliare la corda e sparire senza lasciare recapito.
La mia personale impressione è che i blog siano sempre stati in contrazione e nello stesso tempo in espansione, contrariamente alle galassie o all'universo che ci dicono limitarsi ad espandersi - per quanto, anche sulle galassie corre voce che ci siano dei momenti di crisi anche piuttosto seria, e a quel punto arrivano i buchi neri a sostituirle. Sembra. Pare. Ci dicono. 
Poi per i blog ci sono le mode, com'è giusto molti blog, e così abbiamo assistito alla migrazione periodica di molti grossi stormi di blog diretti verso terre più calde, ad esempio YouTube, dove proseguono come vlog (ovvero video blog), oppure verso Facebook, dove la lunghezza media dei post va allungandosi  come l'età media dei partecipanti.

Perché molti blog si estinguono? Ahem, la risposta è piuttosto semplice: perché sono organismi viventi e come tali una volta nati possono crescere, agonizzare e morire, a volte piuttosto bruscamente.
Essendo organismi viventi poi, quasi tutti cambiano pelle periodicamente nel corso della loro esistenza. La cosa ha senz'altro un senso: se apro un blog perché sto attraversando un particolare momento di crisi, intesa come "nuova fase della mia vita" - mi sto separando, per esempio, oppure mi sono sposata, ho cambiato lavoro, ho fatto un figlio - a un certo punto intervengono nuovi cambiamenti: il nuovo lavoro mi ha stufato, ho smesso di scrivere, i figli sono cresciuti, il matrimonio è finito, la passione per un certo tipo di letture è sparita... i blog sono organismi viventi, i loro tenutari anche e a volte si stufano oppure cambiano vita, e nella loro nuova vita il posto per il blog non c'è più.
A volte ci si stufa anche del contorno di un blog: frequentatori, commentatori, troll, rompiscatole che ti si attaccano peggio dei gattini alle sottane, persone che per un certo periodo sentivi vicine come fratellini di latte e che improvvisamente ti risultano estranei... 
Sono tutti motivi validi e chi pianta il suo blog quasi fosse un carciofo (ma senza tornare al momento del raccolto) fa bene, anzi benissimo - e quand'anche qualcuno pensasse che fa male, i tenutari dei blog hanno comunque il sacro diritto di levare le tende quando più gli sembra opportuno. Perfino le amicizie più lunghe e solide si rompono, perfino i migliori matrimoni, figurarsi se non puoi piantare un blog, magari perché sei emigrato in Bessarabia o sei entrato nell'ordine dei Camaldolesi Penitenti di Bressanone.
Lasciare un blog è semplice, basta smettere di scriverci - tanto, se vuoi, puoi tornarci quando vuoi. E lo stesso succedeva prima dei blog, con i forum e i gruppi di conversazione, e lo stesso succede anche con i social.
E a un certo punto chi ti stava intorno si guarda indietro e si accorge che l'autore di uno dei blog che seguiva è scomparso, magari dopo aver diradato i post con i più vari e validi motivi. Oppure proprio scomparso non è, ma il blog è diventato "privato" e ci accedi solo attraverso invito - che può arrivare o non arrivare, dipende; ma se non arriva, viene da pensare, forse è meglio lasciar perdere e non approfondire la questione.
Sono in rete da più di vent'anni ormai (se non ricordo male saranno ventuno tra una settimana) e di cari amici di rete scomparsi ormai ho un bel carnet - gente sparita e mai più tornata, gente ritrovata in qualche zona imprevista della rete, perfino gente con cui i contatti sono continuati nella cosiddetta Real Life.

Quando ho cominciato a tenere questo blog sembrava che tutti gli insegnanti che mai avessero occupato una cattedra, fosse pur per poche ore, non avessero altro desiderio che quello di raccontare dettagliatamente le loro impressioni, emozioni e vicissitudini.
Siccome il mio era un blog monotematico e parlava quasi esclusivamente di scuola, invece del blogroll consueto mi costruii una Sala Insegnanti, che era piuttosto nutrita. Quando dico che non era un blogroll intendo dire che non comprendeva tutti i blog che seguivo: era solo una lista di insegnanti. Gli altri blog che frequentavo erano in uno schedario a parte, nel mio computer - qualcuno ci è rimasto per breve tempo, qualcuno è emigrato verso altri lidi abbandonando il suo blog, qualcuno lo seguo fedelmente dalla notte dei tempi.
Passarono gli anni e la Sala Insegnanti andò spopolandosi. In particolare, cominciò a latitare il comparto della scuola media, che a ben vedere era quella che mi interessava di gran lunga di più. Così presi atto dello sfoltimento e aggiunsi una sezione "Intorno alla Sala Insegnanti" di blog che ritenevo in qualche modo collegati alla scuola: gli sbufalatori, per esempio.
A un certo punto gli insegnanti sono quasi andati in estinzione, perché anche quelli che continuavano a scrivere spesso e volentieri parlavano soprattutto di cose che con la scuola non avevano molto a che fare. Del resto quest'anno anch'io mi sono pericolosamente avviata su questa china, anche se conto di redimermi presto: la vita a volte ha il sopravvento anche sulle migliori intenzioni e quando gli insegnanti che frequenti con te parlano soprattutto della tua salute o delle commissioni che hanno fatto, fanno e faranno per te, la scuola appare un mondo sempre più lontano, evocato tutt'al più da qualche pettegolezzo che ti riferiscono al solo e dichiarato scopo di farti fare due risate.
Insomma, dopo lunga riflessione degna senz'altro di miglior causa ho deciso di fare un normalissimo blogroll dedicato ai miei blog preferiti  - gente che magari seguo da anni ma che non avevo mai inserito solo perché non stavano in cattedra, oppure ci stavano ma di scuola parlavano solo in rarissime occasioni.
E gli altri? Gli scomparsi? L'infinita collezione di scomparsi accumulata in vent'anni, che fine hanno fatto?
Una fine ottima, credo. Ognuno di loro aveva senz'altro i suoi buoni motivi per andarsene, e chissà che la vita o la rete un giorno non ci rimetta in contatto. Ma se anche non succederà, gli auguro ogni bene e felicità.

Talk Talk - Renee

venerdì 12 aprile 2019

Salvate Radio Radicale!


Come ho raccontato, i Radicali hanno fatto parte della mia vita fin dalla prima adolescenza.  Con loro, molto presto, arrivò anche una novità attraverso l'etere: Radio Radicale.
Nata verso la fine del 1975, con l'arrivo delle cosiddette "radio libere" (quelle fatte nel tinello di casa col minestrone che bolliva nella cucina lì vicino) per qualche tempo fu un fenomeno locale limitato alla zona di Roma, ma col tempo, non ricordo come e quando, si diffuse per tutta l'Italia. Nella mia zona all'inizio era schiacciata nell'ultimissima parte delle modulazioni di frequenza, poi si assestò verso il centro ma prenderla non è stato mai semplicissimo. Con l'arrivo dell'informatica però le cose si semplificarono e in rete è diventata una specie di radio on domand dove ognuno può scaricare in podcast quel che più gli interessa della sua programmazione per ascoltarselo quando gli fa comodo (nel mio caso soprattutto quando stiro, cucino o riordino qualcosa, anche se la rassegna stampa del mio amatissimo Massimo Bordin in diretta la mattina mentre prendo il caffé ha un suo fascino tutto particolare).
Per molti anni mi sono domandata se permetterci di ascoltare in diretta le sedute del parlamento valeva tutte le complicazioni che richiedeva a noi per trovare la sintonia  e a Pannella per trovare i finanziamenti. In effetti non ha esattamente l'impostazione di una radio da teen-agers e l'unico supporto musicale che a brevi tratti inframezzava le varie trasmissioni era costituito solo e soltanto da brani tratti da una bella edizione del Requiem di Mozart (quella diretta da von Karajan, pare) e qualche brano da qualche altro requiem parimenti blasonato. C'era poi qualche rubrica e una valanga di dirette: dal parlamento, dai processi, dai congressi dei più vari partiti, conferenze di argomento altamente istituzionale e naturalmente un po' di notizie sulle varie campagne radicali, poche per volta ma assai insistite.
Era una radio da adulti, e per uno specifico tipo di adulti. Mi ci affezionai un po' per volta, nel corso dei decenni, soprattutto quando succedeva qualcosa sul piano istituzionale che mi interessava particolarmente: elezioni del Presidente della Repubblica, sedute parlamentari su determinati argomenti, congressi di partiti... i congressi dei partiti, soprattutto, mi piacevano molto: sentire un discorso politico completo, dall'inizio alla fine, mi interessava molto di più che leggere le frasette staccate dell'intervento con tanto di code e commenti dei giornalisti o vedere i piccoli assaggi che trasmettevano in televisione. Del resto, si sa che ognuno ha le sue perversioni e avevo imparato a concentrare i lavori di casa più monotoni in coincidenza con gli eventi che più mi interessavano.
Negli ultimi anni, cioè da quando sono diventata per gli strani casi della sorte una docente di Geografia, ho imparato a sfruttare le rubriche di approfondimento di politica e soprattutto di economia estera - anche perché la normale informazione, quella della RAI, per intendersi, alla politica estera dedica sempre meno attenzione - non dovessimo perderci dietro a scemate come la via della seta e perderci l'ultimo tweet dei viceministri o l'ultima proposta di legge sulla castrazione chimica, per carità.
Dopo molti anni di vita travagliata per mancanza di fondi Radio Radicale si assestò grazie a una convenzione con lo stato che garantiva regolari finanziamenti e cominciò ad avere un palinsesto piuttosto vario - ma sempre molto politico, per carità: volendo c'era anche un sacco di gossip, ma era sempre gossip molto ben documentato e la trasmissione dell'evento integrale e senza mediazioni né filtri permetteva all'ascoltatore di farsi opinioni in proprio sulle questioni più strane e sui partiti all'apparenza più insignificanti. Le fonti integrali in diretta, non manipolate: immagino che il problema al momento sia tutto lì, per l'attuale governo, formato da due partiti che hanno sempre praticato una notevole manipolazione delle informazioni a tutti i livelli manipolando, distorcendo o semplicemente inventando le notizie.
Sta di fatto che con l'ultima legge finanziaria hanno stabilito di dimezzare i finanziamenti a Radio Radicale in nome di una più sana gestione dell'economia statale che riducesse gli sprechi ma senza cambiare la quantità di programmazione, togliendosi di torno una buona volta quei rompiscatole che insistevano a trasmettere tutto il congresso, tutto il dibattito, tutto il processo eccetera eccetera - insomma, di farla chiudere per fame.
Potranno i Radicali cadere senza combattere? Certamente no. Il problema è che per combattere non hanno molta forza sui tempi brevi perché di fatto stanno sull'anima a tutte le forze politiche esistenti al momento, tranne la piccola PiùEuropa. 
Hanno diffuso appelli, si capisce, e lanciato una raccolta di firme, che sta pure andando benino; ma sappiamo tutti benissimo che il potere delle raccolte firme è, come dire, piuttosto limitato. Una sommossa popolare avrebbe probabilmente miglior esito, ma una sommossa popolare in nome di Radio Radicale sembra eventualità abbastanza improbabile perfino al mio incrollabile ottimismo. In fondo l'approccio diretto con la fonte è un tema che interessa solo i cosiddetti radical chic da salotto, quelli che nell'immaginario popolare collettivo vivono nei loro ricchi attici in piazza Navona e nulla sanno dei veri problemi della ggente.
Radio Radicale chiuderà alla fine di Maggio, lasciandomi nelle ambasce e nelle angosce e senza più informazioni attendibili cui attingere. Oh sì, quando si forma un vuoto si trova sempre chi lo riempie e non ho nessun dubbio che intorno a noi pioveranno informazioni alterate a vari livelli - con scarsa verosimiglianza se indirizzate ai terrapiattisti, più curate quando il pubblico da convincere è più addentro al viver del mondo ma comunque tutte accentrate sull'Italia perché il resto del mondo fuori dall'Italia, notoriamente, non esiste e se esiste è fatto solo da persone molto cattive ed egoiste, che vogliono soltanto invaderci o ridurci alla fame. Insomma resterò sola e disarmata, senza più anticorpi e col mio solo buonsenso a proteggermi contro le voci false e tendenziose - che è come spedire un nudista armato di fionda e pallini di carta ad affrontare un drago.
Certo, almeno per la politica estera potrei sempre rivolgermi con fiducia agli articoli dell'Avvenire, che notoriamente ha una sezione curatissima sull'argomento. C'è purtroppo il piccolo dettaglio che anche l'Avvenire è a rischio di chiusura per colpa dei tagli previsti per l'anno prossimo verso l'informazione indipendente. Certo, la Chiesa cattolica e apostolica romana ha risorse più vaste  cui attingere e potrà forse ignorare la stretta economica che l'attuale governo cercherà di imporgli. Forse. Vedremo.
Io però, lo confesso, preferivo Radio Radicale che era gratis all'Avvenire che, giustamente, dovrei pagare.

venerdì 5 aprile 2019

Tokyo Express - Matsumoto Seicho





















Nonostante le apparenze si tratta dello stesso libro in due diverse edizioni. 
Naturalmente l'edizione Adelphi è filologicamente corretta e completa in ogni sua parte, mentre l'edizione del Giallo Mondadori è stata sforbiciata qua e là, sì come usavano fare nella redazione del Giallo Mondadori dove avevano deciso che un buon giallo doveva avere un dato numero di pagine e parole e non di più.
In Giappone è stato pubblicato nel 1958, in Italia arrivò nel 1971 grazie appunto a Mondadori e piacque assai, tanto che molti appassionati di gialli se lo ricordano ancora e nel 2018 si sono quindi precipitati a comprare la nuova edizione di Adelphi. 
L'autore è molto famoso (in Giappone naturalmente, ma anche altrove) ed è stato soprannominato il Simenon giapponese - non so se anche per merito di questo libro, che non mi sembra abbia molto a che fare con Simenon, ma ammetto che l'ultimo libro di Simenon l'ho letto intorno ai quindici anni e quindi potrei non aver colto la somiglianza nell'atmosfera. Mi ha ricordato invece moltissimo le Cinque piste false di Dorothy Sayers per l'immane quantità di orari di treni che rovescia sul povero lettore lasciandolo completamente stordito. Matsumoto mostra maggior riguardo verso chi lo legge, che in effetti potrebbe seguire le vicende dei sospettati con una certa facilità... se soltanto tutti quei nomi di località giapponesi si sgranassero facilmente davanti ai suoi occhi su una mappa mentale del Giappone; ma noi poverelli quando abbiamo imparato a collocare Tokyo, Osaka, Nagasaki, Hiroshima e Sapporo ci sentiamo dei veri draghi in geografia giapponese e ci pare di aver fatto chissà quale prodigio, e qui ci vuole ben altro. 
Adelphi in effetti ci ha provato, a corredare il libro con una cartina con i nomi di località citati, ma mancano le indicazioni delle linee ferroviarie e soprattutto per il lettore italiano, con poche e rare eccezioni, sono e restano  nomi appiccicati lì e difficili da collocare per chi non conosce il Giappone.

Il racconto parte dal ritrovamento di due corpi su una spiaggia: un uomo e una donna, piuttosto giovani, distesi l'uno accanto all'altro. Nulla di cruento, niente segni di lotta, solo i sintomi di avvelenamento da cianuro. I due vengono identificati senza problemi e non sono sposati. La polizia ne conclude che si tratta di un suicidio d'amore, una categoria di suicidi relativamente comune in Giappone e quasi codificata in certe circostanze. Lui lavorava al ministero X, dove stava montando uno scandalo legato a... tangenti e appalti? L'autore resta squisitamente sul vago, e questo l'ho trovato molto gentile da parte sua. Del resto, essendo nata e vissuta in Italia, di queste vicende ne so abbastanza per sapere che si somigliano tutte e che di solito i funzionari di grado più alto, che  sono anche i principali colpevoli, non soltanto non pagano di persona ma riescono a rovesciare tutte le colpe su funzionari di grado più basso. Così succede anche in Giappone, con la non lieve differenza che in più di un caso i leali funzionari di grado più basso tendono a suicidarsi pur di evitare di incriminare i loro amati superiori, coinvolgendo talvolta nel suicidio anche la loro amante che non vuol più vivere senza il suo amato (e questo, ammettiamolo, in Italia è decisamente più raro nonostante la tanto decantata passionalità dei nostri amori). La polizia sa che nel Ministero X l'inchiesta sta andando avanti a grandi passi e che presto il morto ritrovato sulla spiaggia sarebbe stato imputato - e, nonostante ancora nessun procedimento penale fosse stato avviato, evidentemente lo sapeva anche il funzionario.
Sembra quindi che non ci sia alcun mistero da chiarire e l'inchiesta sarebbe ben presto archiviata se il bigio e dimesso ispettore di lungo corso Torigai Jutaro non venisse insospettito da un paio di dettagli che gli suonano strani.
Nonostante il supplemento di indagini che Jutaro avvia, in accordo con i suoi superiori, non salta fuori niente di sospetto e l'ispettore di lungo corso si darebbe per vinto se da Tokyo non arrivasse un giovane ispettore rampante, tal Mihara Kiichi, pronto ad accogliere tutti i suoi dubbi e le sue perplessità e a proseguire le indagini. L'inchiesta perciò va avanti, snodandosi lentamente, costellata dallo scambio di lunghe lettere alquanto formali e molto cerimoniose dove i due poliziotti si scambiano impressioni e suggerimenti fino al completo chiarimento della vicenda, che arriva diversi mesi dopo e lascia il lettore più che sorpreso.
Se infatti si comprende abbastanza presto chi sia il colpevole, vista l'encomiabile pazienza e cura con cui per decine e decine di pagine il poliziotto giovane e quello anziano si dedicano a smontare l'alibi di una persona che non era lì, non poteva essere lì e d'altronde non aveva assolutamente alcun motivo per essere lì, ricostruire le modalità del delitto (perché infine un delitto c'è stato) e soprattutto le motivazioni è decisamente complicato.Niente infatti è come sembra, e non soltanto perché il presunto suicidio non è esattamente un suicidio, ma perché a lungo si lavora sulle persone sbagliate attribuendo loro ciò che non hanno fatto anche se all'apparenza tutto sta a indicare che l'hanno fatto.
Quando infine l'investigatore più giovane chiarisce ogni singolo dettaglio in una lunga lettera inviata all'ispettore anziano, la disposizione che le carte avevano mantenuto imperterrite per tutta la durata del romanzo si capovolge improvvisamente e il lettore scopre di essere stato ingannato per tutto il tempo da svariati errori di prospettiva, oltre che da qualche pregiudizio.
Abbiamo dunque una bella soluzione a sorpresa, una serie di colpi di scena che si sgranano solo nelle ultime pagine e, come dicevo all'inizio, un grandissimo squadernarsi di treni e traghetti e perfino aerei che, con grande sorpresa del lettore italiano, arrivano sempre sempre sempre in orario, spaccando il minuto e a volte perfino il secondo. La geniale trama è resa possibile solo dal perfetto funzionamento dei mezzi di trasporto giapponesi, che lascia il lettore ammirato quanto invidioso, ma certo non fornirà mai ad alcun assassino qui residente lo spunto per organizzare un qualche delitto quaggiù, dove i treni e tutto il resto (particolarmente gli autobus) non solo arrivano spesso e volentieri in ritardo, ma facilmente sono in buon ritardo già alla partenza, se pure non vengono soppressi prima ancora della partenza, e dove ogni pendolare ha una bella collana di racconti uno più surreale dell'altro cui attingere per ingannare l'attesa con i compagni di sventura - e forse sì, questi pendolari in cuor loro meditano omicidi a raffica, ma non si fiderebbero mai a organizzarne nemmeno mezzo basandosi su un orario dei mezzi di trasporto.

Si tratta insomma di un buon giallo di impianto classico, che lancia molti segnali al lettore ma lo convince con abilità a guardarli dalla parte sbagliata; ma è anche, credo, un noir: la soluzione infatti è molto cupa e questa cupezza invade il lettore un po' per volta, sin da quando il meccanismo è ancora completamente nascosto e non solo niente lascia immaginare la crudeltà del delitto, ma nemmeno che un delitto in effetti ci sia.
Consigliato nei giorni di pioggia o di nebbia, quando si hanno a disposizione molte ore di lettura, è perfetto anche per i pendolari delle linee più a rischio, quelle dove spesso i treni vengono soppressi (con tecniche indolori, mi auguro) e gli aerei accumulano ore di ritardo. Se lo leggete alla fermata dei tram, invece, fate attenzione a posizionare la borsa in modo sicuro per evitare che qualcuno approfitti della vostra distrazione quando sarete molto immersi nella lettura.
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro felici ore di letture a tutti, profittando di questo ultimo scorcio di inverno: presto tornerà per tutti il tempo delle passeggiate nel verde e delle gite in bicicletta tra gli alberi in fiore.

lunedì 1 aprile 2019

Aggiornamenti del 1 Aprile (no, non è un pesce)


Scrivo questo post all'unico scopo di non far preoccupare qualcuno dei lettori che, nonostante i vuoti e le lunghe pause, continua con immutata gentilezza a seguire le mie vicende.
No, non c'è stata nessuna ricaduta. No, la mia interiorità va rinsaldandosi di giorno in giorno, le mie condizioni migliorano e le forze ritornano. Mi sento infine disponibile ad un certo ottimismo e comincio ad ammettere in cuor mio che forse la tempesta stavolta è passata davvero. Quello che seguirà è un breve bollettino medico e  contiene dolo buone notizie, anche se devo ammettere che mi aspettavo una ripresa più veloce; devo però ammettere, in accordo con i medici che mi rampognano garbatamente dicendo che anzi la mia ripresa è ottima e velocissima, che insomma le cose procedono piuttosto bene.
Ho ripreso a curare la casa: l'immane confusione che regnava sovrana sta pian piano lasciando posto a una certa pulizia generale, le pile di carte abbandonate qua e là alla rinfusa si van riducendo di volume e di altezza, i tavoli cominciano a mostrare piccoli spazi liberi, i pavimenti hanno assunto un aspetto abbastanza decoroso, la cucina, per quanto frequentata e vissuta, ha ripreso un aspetto frequentabile e i suoi scaffali sono ben riempiti.
Non mangio ancora di tutto ma la scelta degli alimenti si è assai allargata e ho ripreso a mangiare regolarmente frutta, verdura e legumi, nonché la mia amata pasta integrale; e tanto mi racconforta il poter finalmente mangiare senza conseguenze insalate crude, mele con la buccia e arance non spremute (altra frutta fresca per il momento scarseggia, ma a Maggio conto di rifarmi anche su quel fronte, quando i nuovi raccolti me lo consentiranno) nonché zuppe di lenticchie e fagioli all'uccelletto che ho anzi avviato una Quaresima vegetariana, ovvero frutti della terra arricchiti con uova, pesce e latticini vari. Siccome sono convalescente da lunga e cruda malattia potrei quando voglio prendere tutta la carne che voglio, ma in effetti la carne non mi interessa granché e anche gli insaccati al momento non mi attirano molto - così ho rimandato l'incontro con salame, salsicce e soprassata a dopo Pasqua.
Ho mangiato la mia prima cena cinese dalla notte dei tempi e ho in programma un ristorante giapponese a tempi brevi. 
Ho comprato un  nuovo ferro da stiro e sto pian piano venendo a capo di una pila piuttosto imponente di biancheria varia. Salgo le scale senza troppi problemi e sono perfino in grado di salire su una corriera. Preparo gustosi spuntini per gli amici che vengono a trovarmi e ho risistemato il termostato di casa. Cammino, anche: dopo qualche uscita incerta dove esitavo anche per salire e scendere su un marciapiede, adesso ho sviluppato una autonomia di circa tre chilometri. Da acciughina scarna sono passata a sardella di media taglia e conto di farmi promuovere a sgombro nel giro delle prossime settimane.
Siccome esco spesso, anche se per tempi brevi, passo molto meno tempo davanti al computer. La capacità di concentrarmi in compenso sembra diminuita:  probabilmente ho passato troppo tempo quest'inverno a scrivere e leggere e adesso il mio organismo si è stufato e brama attività diverse - oppure tutte le energie sono concentrate sulla ripresa fisica.
A scuola tornerò soltanto a Maggio: pare che orde di virus gastrointestinali e influenzali siano acquattati ovunque e aspettino solo di far scempio delle mie ancora molto tenui difese immunitarie. Mi sono arresa di buon grado alla sorte, perché tornare a Maggio vuol dire non rientrare in classe ma restare a disposizione - e dal momento che praticamente in nessuna delle classi che la prudente Preside mi aveva assegnato mi conoscono, mi sembra molto meglio per i ragazzi se finiscono l'anno col supplente, che mi è parsa persona assai sennata e capace e con cui scolari e colleghi sembra si siano trovati benissimo.
Niente rientro in classe il 1 Aprile, dunque, anche se quest'anno avevo anche gli orecchini a forma di pesce e quindi avrei potuto fare ottima figura.
Così ai pesci mi limito a dedicare una canzone, cantata dai delfini:



So long, and thanks for all the fish!