Il mio blog preferito

domenica 30 novembre 2008

Siegfried - Il più libero degli eroi è un ragazzino capriccioso


Di nuovo al Comunale di Firenze, con quasi altrettanta diffidenza di quando sono andata a vedere la Tosca: perché, se Wagner è il mio autore, il nutrimento per eccellenza dell'anima mia etc. etc., va pur detto che Siegfried mi è sempre sembrato l'anello debole della tetralogia.
Primo problema: il protagonista è un giovane idiota, un eroe per contratto, che fa le cose a casaccio ma gli vanno sempre bene perché ha letto in anticipo la sceneggiatura. Non è un puro folle trasognato come Parsifal, non è un nobile personaggio ammaestrato dal dolore e dall'esperienza come suo padre, è un giovane idiota punto e basta.
Secondo problema: la scena d'amore finale è indigeribile. Lunga fino allo sfinimento e idiota quasi quanto Siegfried.
Terzo problema: Siegfried è un ruolo incantabile, come Violetta. Per Violetta ad un certo punto è arrivata la Callas, per Sigfrid stiamo ancora aspettando. Fatto sta che finora chi aveva la forza e la voce per cantare la parte spesso non aveva... ehm... molta finezza interpretativa, e la voce comunque non gli bastava: di solito i Sigfridi fanno piuttosto bene la prima scena con Mime, stramazzano nella forgiatura della spada (che terminano agonizzando) e si arrangiano come possono nei due atti successivi. Il pubblico li applaude debolmente e esce da teatro mormorando "non ci sono più gli heldentenor di una volta", senza considerare che forse non ci sono più nemmeno le orchestre di una volta, e che oggi per suonare Wagner si ritiene doveroso sfoderare un orchestra à la Mahler, che per l'appunto esiste dai tempi di Mahler ma che ai tempi di Wagner era decisamente più contenuta.
Recentemente è sorta l'abitudine di alleggerire un po' l'orchestra, fare un po' meno casino e permettere così agli interpreti wagneriani di puntare a qualcosa di più della stretta sopravvivenza. Lo chiamano "un Wagner più sinfonico" e per quanto ho sentito produce risultati ottimi. In fondo, se proprio uno vuol sentir strillare, basta andare in un cortile di scuola elementare all'ora dell'intervallo dopo la mensa.
Ieri sera siamo arrivati quasi alla quadratura del cerchio. Premetto che è il primo Siegfried che ho visto: ho ascoltato l'opera diverse volte da disco o dalla radio, ma vedere un'opera in scena è sempre diverso (specie con una regia come quella della Fura dels Baus); sta di fatto che mi è piaciuto, un sacco.
Siegfried, che nella vita si chiama Leonid Zakhozhaev ed è russo, non ha molta voce. In compenso
1) canta che era una meraviglia
2) ci ha un gran bel timbro.
Ammetto, sì, l'ammetto, che un po' più di volume nella forgiatura di Notung non ci sarebbe stato male; ma immagino ci sia un prezzo per tutto.
Siegfried è un ragazzino, uno di quei ragazzini capricciosi che tanto irritano noi insegnanti. Vestito a modo suo, con le extention (che proprio non so dove si sia procurato, in quella foresta) e un insieme stracci&pellicce dall'aria firmata; irritante, maleducato, irrispettoso, irritabile, capriccioso, volubile, vuole sempre la mamma, risponde male a tutti (Mime, drago, Viandante) salvo cambiare completamente atteggiamento quando incrocia una ragazza. Manda al diavolo chiunque cerchi di insegnargli qualcosa, non ti sta a sentire, fa sempre a modo suo... e gli va bene. Comanda  a bacchetta il fabbro che l'ha allevato, non mostra mai un briciolo di riconoscenza (con buone ragioni, si scopre poi), pesta i piedi arrabbiato perché quello non sa fargli una spada e alla fine se la fa da solo, inventandosi una tecnica che va contro tutte le conoscenze del fabbro in questione... ma che funziona. Non dà ascolto al grande fabbro, non dà ascolto al Saggio Viandante, ma segue a puntino le istruzioni del primo uccellino di passaggio. Un disastro educativo sotto tutti gli aspetti, ma alla fine ha sempre ragione.
La scena d'amore... beh, continuo a trovarla un po' lunghetta, ma per la prima volta mi è sembrato che avesse un senso, se pure un po' prolisso.
Molto suggestiva la regia, bravi tutti gli altri interpreti, eccellente l'orchestra (anche se all'attuale governo non sembra che l'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino sia un'eccellenza da proteggere; ma va detto che di musica l'attuale governo capisce perfino meno che di scuola), molto bella la direzione di Mehta che, come sempre quando esegue Wagner, alla fine dell'opera ha fatto salire tutti gli strumentisti sul palcoscenico.

sabato 22 novembre 2008

Manuale del Perfetto Insegnante - La Classe di Gattemorte


Cos'è mai una classe di gattemorte? Presto detto: è una classe di ragazzi silenziosi, molto educati e molto disciplinati.
Chi tutti i giorni combatte all'arma bianca con torme di studenti maleducati, polemici, irrispettosi, chiacchieroni e magari pure violenti penserà che una classe di gattemorte sia l'Eden di ogni insegnante, il sogno proibito di tutti noi.
Errore. La classe delle gattamorte è un limbo ovattato che riuscirebbe a demotivare Maria Montessori in persona. Ti logora, ti spolpa e ti lascia a sbiancare sulla sabbia.
Il Silenzio degli Alunni è debilitante. Certo, non il silenzio dell'attenzione assoluta, quando i ragazzi ti guardano con grandi occhioni spalancati e sembrano bere le tue parole - tutti lo abbiamo provato, qualche volta, ma sappiamo che è un silenzio di breve durata: qualcuno chiede di andare a riempire la bottiglietta dell'acqua, qualcuno vuole sapere l'ora, qualcun altro fa una domanda pertinente alla lezione e qualcuno la fa non al legittimo e stipendiato docente, bensì al compagno di banco.
Il silenzio delle gattemorte è eterno. Non fanno domande, parlano solo se interrogati (ma non sempre per dire cose memorabili), ti guardano mentre parli e ti risucchiano l'anima - no, non per nutrirsene nel complesso procedimento della crescita individuale. Te la succhiano e basta, come se fossero buchi neri.
Non fanno domande, non si pongono problemi, assai raramente studiano a casa. Non si lamentano per i cinque e quattro che incassano, e si fanno bocciare senza particolari lamenti. Abbiamo i loro corpi, ma non la loro anima.
Replicanti?
Chissà.
Non ho mai avuto una classe di gattemorte. Potrei sfoderare un bel sorriso e aggiungere "Nessuna classe di gattemorte lo rimarrebbe a lungo, con me in cattedra" - ma so che non è vero. Ne ho vista una dall'interno, e sono esperienze che non si dimenticano.
Successe che per qualche settimana mi ritrovai in certe ore a sostituire il sostegno di un disabile piuttosto grave (che non è una cosa molto legale, ma diciamo che c'era stata una serie di sfortunati eventi). Così assistei ad un buon numero di lezioni in una classe di gattemorte, rischiando pure di addormentarmici. Non era colpa degli insegnanti, che anzi erano - o meglio, in condizioni normali sarebbero stati - due fulmini di guerra, apprezzati in qualsiasi classe normale. Lì erano accolti e insabbiati in un rispettoso silenzio che...
Ecco, insabbiati. Come quei ruscelli che vanno a spegnersi nel deserto, inghiottiti dalla sabbia, succhiati via in un imbuto invisibile.
Il tutto mi fece ricordare una bella canzone degli Hooters dal titolo assai evocativo di All You Zombies.
Dopo quell'esperienza ho guardato con assai maggior considerazione alla mia classe: un po' casinista, certo, non molto amante dello studio e della letteratura, qualche volta anche un pochino esasperante.
Ma sono vivi!

venerdì 21 novembre 2008

Mia madre ha un gatto nero, nero, nero!



L'arrivo di un gatto nero va sempre salutato con gioia, e non solo perché è un buon presagio: il gatto nero infatti è notevole per bellezza perfino tra i gatti, animali belli per eccellenza, e riesce a conferire grazia a qualsiasi casa di campagna o di città; inoltre è simpatico, piacevolmente dispettoso, molto dolce, di ottima compagnia, assai filosofico e dotato di grande comprensione ed empatia.
In questo caso però la gioia è molteplice, perché ormai da anni mia madre desiderava un gatto nero (più o meno da quando aveva conosciuto la mia gatta nera...) e, strano ma vero, non riusciva mai a procurarsene uno. Invece questa è arrivata con due fratellini praticamente alla porta della sua casa. I due fratellini (parimenti neri) sono stati ottimamente collocati e a lei è rimasta la femmina - e si sa che l'unica cosa migliore di un gatto nero è una gatta nera che ti viene a cercare spontaneamente.

E' una gattina mignon, di quelle che non cresceranno mai molto (come la mia Ninfadora) ancora senza nome perché, si sa "dare un nome a un gatto è un serio affare"; le altre gatte di casa le han fatto un'accoglienza tutto sommato decorosa (i primi giorni di un inserimento possono essere drammatici, come ben sa ogni insegnante). Mio padre come sempre ostenta grande sufficienza verso "queste storie di gatti" ma una predilezione per i neri e i grigi ce l'ha anche lui.
Adesso la bella gattina ancora senza nome è saldamente insediata sul letto di casa e nelle prossime settimane andrò ad omaggiarla come si conviene.

giovedì 20 novembre 2008

Contrasti generazionali




St. Mary Mead, come molti paesi della Toscana, non viene da una tradizione di secolare miseria - il che non vuol certo dire che trent'anni fa lì fossero tutti ricchi o anche semplicemente benestanti: diciamo che non facevano la fame e, a partire dagli anni 50, i bambini han sempre avuto le scarpe ai piedi.
La posizione geografica è buona e grazie alla ferrovia il paese non era tagliato fuori dal civile consorzio; resta il fatto che era fuori dell'orbita della Città e lontano dal Grande Paese. Le medie furono costruite nel 1963 e fino a quel momento chi voleva continuare a studiare dopo le elementari doveva prendere il treno (e nel primo dopoguerra nemmeno quello, perché la ferrovia era sfasciata). Insomma è un paese di brave persone, oneste e lavoratrici, ma non è detto che chi è nato prima del 1950 abbia necessariamente una gran cultura, ecco.
Altra cosa si cui tener conto è che, nonostante i toscani siano convinti di parlare italiano di default, il fiume in cui Manzoni e altri vennero a sciacquare i loro panni non passa per St. Mary Mead. Per intendersi il loro è un italiano abbastanza originale, ecco. Creativo.
Il vero problema non sono i vari "si dice" per "diciamo", "si mangia" per "mangiamo" ("e poi s'è mangiato tutti i tortelli fatti dalla zia e l'arrosto girato", dove l'insegnante è tentato di aggiungere a lato "la volta prossima ricordatevi di invitare anche me"; "gli s'è detto che la smettesse di fare così"): con un po' di pazienza scompaiono quasi da soli quando i ragazzi realizzano che fan parte del registro parlato ma non di quello scritto. La vera difficoltà arriva con i verbi autenticamente dialettali: andiedi, potenno, stettimo, friggerono. Dove si rischia seriamente l'incidente diplomatico.
"Cos'è quest'orrore?" chiedo schifata, durante la correzione degli esercizi di grammatica dati per casa, quando uno scolaro mi scodella serenamente un "fecino".
Lo scolaro sgrana gli occhioni, irraggianti lampi di innocenza "Me l'ha detto il nonno; io volevo mettere "facemmo", ma lui mi ha detto di scrivere così".
Attimo di panico. I nonni, è risaputo, sono amatissimi. C'è chi mi ha scritto dei poemi d'amore sui nonni, in quella classe. Criticare i nonni è proprio fuori questione, senza contare che se i nonni non han studiato e quindi non parlano proprio un italiano dei più correggiuti, non è detto che sia stato per loro scelta.
"Ehm, i compiti li devi fare tu, non tuo nonno. E poi ricordate sempre che forma parlata e forma scritta sono due cose diverse" spiego, dopo aver velocissimamente montato ai piedi e alle mani le ventose per arrampicarmi sugli specchi. La gomma stride un po', ma fa niente.
Col tempo abbiamo imparato tutti quanti a manovrare meglio: io limito le mie esclamazioni di orrore a quel che scrivono in classe e sono mooolto più diplomatica su quel che fanno a casa, e loro han smesso di chiedere ai nonni e talvolta perfino ai genitori, mettendo in pratica l'ottimo detto "Non datemi consigli, so sbagliare da solo".

martedì 18 novembre 2008

Dovrebbe pur esserci un limite....


E' noto che il nostro glorioso parlamento ne ha viste di tutte; a volte però verrebbe da pensare che dovrebbe pur esserci un limite.

Ora, io capisco che nel parlamento ci siano o cerchino di esserci mafiosi, collusi, cacciatori di appalti e di forniture, aspiranti golpisti - è tutta gente che non solo ha i suoi validissimi motivi per cercare di entrarci, ma soprattutto gode di appoggi bastevoli a prendersi il seggio. 
Quel che non capisco è la quantità di piante leguminose (fave da baccello, per intendersi) che pullulano tra i nostri presunti rappresentanti; perché d'accordo che gli italiani non sono un popolo tanto furbo ma, insisto, dovrebbe pur esserci un limite. Persino per i deputati della Lega, che da qualche tempo intervengono pure loro nel dibattito scolastico con dichiarazioni e suggerimenti.
E così dopo la simpatica tirata sugli insegnanti del Sud che non conoscono la cultura del Nord e quindi "massacrano" i giovani studenti padani, dopo la brillante pensata delle classi-ponte, c'è anche la pensata di corredare l'iscrizione con un certificato medico. Tutti, italiani e stranieri
Come raccontano colà "La richiesta è contenuta in una interrogazione dell'on. Grimoldi che verrà discussa in Commissione Cultura nei prossimi giorni. Secondo Grimoldi si tratta di scongiurare la trasmissione di decine di malattie, dall'HIV, all'epatite fino alla gonorrea, alla sifilide, all'amebiasi e alla tricocefalosi.". 
L'articolo non ci spiega se la questione riguarda gli studenti di materne, elementari, medie o superiori; di sicuro, la scena del bambino di sei anni che va a farsi il suo bravo test per l'HIV e la gonorrea è troppo italiana per essere improbabile.
Soltanto, due modeste domande: ammesso che qualche bambino abbia la gonorrea, come diavolo pensa l'on, Grimoldi (che posso solo augurarmi non faccia il medico) che possa trasmetterla ai compagni?

E qui chiudo e ritorno alla domanda iniziale: cosa ci fa certa gente in parlamento? Non protegge interessi leciti o illeciti, non procura appalti né forniture; si limita a rompere le scatole a colleghi e cittadini e a dare qualche spunto ai giornalisti per un po' di colore locale (che è un'attività utile all'incirca quanto provvedere gli eschimesi di frigoriferi o  insegnare a Totti a giocare a calcio).
Qualcuno, tempo fa, ha raccolto firme perché alle camere fossero ammessi solo parlamentari incensurati. L'idea non mi ha mai entusiasmato; mi piacerebbe invece promuovere una raccolta di firme perché il grado di alienazione mentale dei nostri rappresentanti non passi una certa soglia.

venerdì 14 novembre 2008

Crisalide





Nei tre anni delle scuole medie ad ognuna delle creature mutanti che ci vengono assegnate capita in sorte di chiudersi in un bozzolo e poi uscirne - almeno una volta, abbastanza spesso due. Il fenomeno è senz'altro faticoso, ma la cosa più curiosa è che chi lo attraversa lo fa senza esserne consapevole. Ho un'ottima memoria, ma ricordo benissimo di non ricordarmene, né ricordo che qualcuno me l'abbia mai raccontato. Più avanti nella vita le metamorfosi sono molto più consapevoli.
Di solito i genitori osservano solo che "il ragazzo sta cambiando" - ma i genitori, vivaddio, non passano il tempo a interrogarti o a leggere quel che scrivi. Se in una normale conversazione sul tempo, la politica, il fatto che stai troppo alla playstation o l'ultima storia di Naruto l'esposizione del figlio non è logica, sintetica e brillante come al solito, il genitore non ci fa gran caso - anche perché non si preoccupa di classificare ogni intervento della prole in base agli indicatori OSA  o agli obbiettivi formativi, cerca solo di godersi il tempo passato con il figlio (almeno si spera). Inoltre, spesso è troppo occupato a colpevolizzarsi e/o crearsi alibi per riuscire a osservare spassionatamente la carne della sua carne.
Quanto agli amici... mah, gli amici stanno entrando o uscendo dalla crisalide come te. E poi anche lì la comunicazione avviene su altri canali.
Da dietro la cattedra invece il fenomeno è molto evidente. Chi li interroga o corregge quel che scrivono si ritrova per forza di cose a constatare che lo Svagato da qualche tempo fa particolarmente onore al suo nome e Hermione Granger ha una scrittura incomprensibile e risponde fischi per fiaschi.
Dovrebbe essere l'età della crescita e dell'evoluzione ma improvvisamente i ragazzi involvono. Rispuntano vecchi errori di ortografia faticosamente debellati e addirittura ne spuntano di nuovi, le frasi diventano confuse, la calligrafia si attorciglia, le ragazze mettono su quell'orribile scrittura a festoni dove M, N e U si confondono in un'unica marmellata che non prende un senso nemmeno quando lo sventurato insegnante si mette a contare pazientemente tutte le zampette - perché va tenuti conto che spesso le I perdono i puntini e le T si abbassano improvvisamente, senza contare che le A e le O, che si sono sempre molto somigliate, cominciano a confondersi anche con le E. In compenso molti maschi adottano scritture talmente microscopiche che l'insegnante, in preda al mal di testa, arriva a contemplare l'acquisto di un paio di occhiali nuovi.
Tutti, maschi e femmine, diventano più insofferenti e vittimisti. Dal loro punto di vista la cosa ha un senso: hanno l'impressione di lavorare come prima, e non riescono a capire perché improvvisamente tutti i professori sbuffano appena loro aprono bocca, mentre quel che scrivono ritorna sempre indietro coperto da varie, indignatissime correzioni. In realtà lavorano un po' meno di prima, ma soprattutto sono molto meno concentrati, però non ne sono consapevoli. Per forza di cose, quelli che protestano meno sono quelli che han sempre lavorato poco, e che a vedere le annotazioni indignate sui compiti si sono abituati e ci si tormentano il giusto. Gli altri, quelli abituati a studiare e ad essere di ciò adeguatamente remunerati, vi cominciano a guardare con antipatia, più raramente con aria di scusa. E proprio non capiscono cosa c'è che non va.
In effetti la cosa ha un senso: provateci un po' voi, a guardare attraverso la parete di una crisalide, e ditemi se vedete tanto chiaro. Provate voi a concentrarvi mentre tutte le forze del vostro organismo sono impiegate per costruire il filo per il bozzolo. Provateci voi a studiare mentre l'organismo, stanco dopo il lungo sforzo, si immerge in un piacevole letargo rigenerator... (ronf... ronf... ronf...).

Una mattina la crisalide si apre. Lo scolaro si scrolla le ali ancora un po' bagnate (e nel frattempo cambia di nuovo scrittura) si asciuga un attimo al sole, si pettina le idee e riparte non da dove era rimasto, ma da un bel pezzo avanti.
L'insegnante fa appena in tempo a rallegrarsi della cosa che già le sue attenzioni sono assorbite da Cuorcontento e Riservata, che han lasciato a mezzo il compito di matematica, infilato una singolare serie di scemenze in quello di inglese, spostato l'Unità d'Italia nel 1848 e avviato una simpatica collezione di stò, fù, quà e via sgrammaticando.
Perché non gli viene nemmeno in mente di sintonizzarsi, alle nostre farfalline.
(Ad averci un bel pannello di polistirolo e qualche spillo...)

mercoledì 12 novembre 2008

Voti a rendere


Sulla spinosa questione dei voti il nostro ineffabile Ministero ci ha lasciato del tutto sprovvisti di indicazioni. Il nostro quasi altrettanto ineffabile Nuovo Preside pure: al collegio di Settembre disse che non conveniva mettere voti perché dal Ministero non erano arrivate comunicazioni; al collegio successivo, un mese dopo, accennò vagamente un "i voti mi sa che dovrete metterli, perché qui non mandano a dir niente".
Quando qualcuno provò a suggerire una commissione per individuare qualche linea guida, borbottò che magari sì, poteva essere un'idea. Di fatto in quella scuola abbiamo commissioni sulle cose più strane, ma la commissione sul passaggio dai giudizi ai voti decimali non è mai nata. 
Abbiamo iniziato l'anno scolastico all'insegna della più totale anarchia, chi con i voti, chi con i giudizi, chi con entrambi e chi rimandando il momento di segnare le valutazioni (io ero e sono tuttora tra quelli che segnano voti e giudizi).
Nel frattempo il decreto è diventato legge a tutti gli effetti, regolamenti applicativi non se ne sono visti e l'unica certezza è che nelle schede del quadrimestre dovremo mettere i voti.
Un paio di settimane fa abbiamo ricevuto una lettera dal Coordinamento Provinciale dei Poli di Aggregazione Funzionale (ebbene sì, si viene a sapere che c'è pure quello) che aveva per oggetto Suggerimenti riguardo la valutazione numerica degli alunni e che ci comunicava come, "sollecitati dalle perplessitò espresse da molti docenti" avevano pensato di elaborare delle linee guida a livello provinciale onde evitare che ogni insegnante andasse per i cazzi suoi (si esprimeva in modo più forbito, ma il concetto era quello), fermo restando che ogni scuola poteva pur sempre fare a modo suo.
Insomma, ci hanno mandato una tabella di conversione. Ne ho fatto una fotocopia ingrandita e l'ho incollata al tavolo centrale della Sala Professori. Non dico di essere d'accordo in tutto e per tutto con quel che c'è scritto, ma finalmente qualcuno ci ha dato uno straccio di criterio, meglio tardi che mai.
Anche noi non andiamo sotto il 4. Il 6 equivale al Sufficiente, il Buono va dal 6 al 7, il Distinto va dal 7 all'8 e l'Ottimo dal 9 al 10, ricordando comunque che "il voto espresso in pagella non è solo il risultato della media aritmetica delle votazioni riportate nelle prove di verifica".

Ho cominciato a dare i voti.
Non dico di non riuscirci, ma nemmeno di trovarmici a mio agio. Con i giudizi è sempre stato diverso - la sera del terzo giorno della prima supplenza ero a correggere verifiche di italiano e le valutazioni arrivavano da sole alla fine della correzione. Immagino fossero valide, perché quando le trascrissi sul registro scoprii che erano molto simili a quelle che assegnava la titolare.
Comunque adesso do i voti. I ragazzi seguono questo processo di trasformazione con molto interesse e al momento del verdetto dopo le interrogazioni nella classe cala un silenzio pieno di curiosità - più di quello che calava negli anni scorsi, intendo.
Per loro ha ancora il fascino del giocattolino nuovo ma io, ogni volta che scrivo un numero su quel registro, vorrei avere tra le mani Tremonti per strozzarlo con le sue medesime budella.
Nel corso di questa navigazione a vista ho tratto grande conforto da due preziosi amici che non ho dovuto cambiare in quanto perfettamente compatibili con i voti (ricordo di avere preso parecchi degli uni e degli altri al liceo): il più e l'impreparato (NP, in registrese).
Esiste anche il meno, naturalmente, ma non l'ho mai usato molto.
A cosa equivalgono non è del tutto chiaro nemmeno a me, ma sono entrambi utili compagni di viaggio. L'NP sostituisce validamente qualsiasi due, tre e meno due.
"Come si rimedia un NP?" chiede ogni tanto qualcuno. "Si dimostra di conoscere il programma" rispondo con una punta di minaccia nella voce. In realtà non si rimedia: avere qualche NP sul registro vuol dire essere tagliati fuori da qualsiasi valutazione sopra il Buono da Confermare.
Il + è un'entità ancor più indefinita e perciò ancora più utile: serve per segnalare che i più menci hanno fatto bene gli esercizi, o che tutta la classe ha mostrato di avere ben compreso la differenza tra attivo e passivo, che Hermione Granger ha fatto un bell'intervento a geografia o che l'Imbranato è subentrato al compagno che si è arenato sulle secche della presa di Roma, completando l'interrogazione al posto suo. 
Il meno di solito indica che il malcapitato non ha fatto gli esercizi per casa o che ha sparato un'irragionevole quantità di sciocchezze sull'uso dei pronomi personali o simili.
Non ho ancora fisicamente scritto un 4: i due NS dei ragazzi che hanno tirato un po' troppo al risparmio nei diari del mese erano corredati da una frase minacciosa del tipo "Non ho voglia di scrivere certi numeri, comunque è proprio quello che pensi" ; dunque al momento il voto più basso è un cinquemmezzo,  il più alto un novemeno.
Ritengo altamente improbabile, al momento, di ritrovarmi a scrivere un 10.

martedì 11 novembre 2008

Ah, le nuove tecnologie...


Un insegnante di St. Mary Mead sospira sconsolato 
davanti al computer che non entra in rete


Che dire delle nuove tecnologie?
Massì, le trovo utili, simpatiche e soprattutto comode.
Non dico che siano indispensabili sempre e comunque per tutte le materie, in fondo italiano si insegna bene anche con carta, penna e lavagna. Certo, se la lavagna è interattiva eviti di coprirti di gesso da capo a pié, e se fai storia o geografia ogni scusa è buona per pescare qualche immagine con Google.
Ecco, ragazzi, qui vedete una tipica casa giapponese.  Pareti scorrevoli, qui c'è il giardino, qui c'è Ranma, qui c'è Ryoga che è appena finito nella fontanella e si è trasformato in porcellino.
La stampa a caratteri mobili? Ecco, in questa stampa è rappresentata una tipografia del cinquecento. Qui compongono i fogli con i caratteri, questo signore invece sta preparando i fogli da mettere nel torchio.
Una volta portai una classe al laboratorio di informatica - un modello extralusso, la cui principale caratteristica era FUNZIONARE. Venti computer che andavano come schegge, tutti con il collegamento in internet con l'ADSL. Gli feci fare una ricerca sulle leggende metropolitane: ogni coppia doveva trovare una leggenda metropolitana, analizzarla e commentarla. Fu piuttosto divertente, e anche illuminante: tre coppie scelsero la storia del mostro di Loch Ness, pescando in tre siti diversi. Tutti e tre i siti spiegavano che era stata un'invenzione giornalistica, ma davano date e autori e origini diverse. Mi dissi che se non esisteva una versione univoca sulla nascita di una leggenda relativamente recente, non c'era niente di strano che in cento e passa anni non si fossero ancora messi d'accordo sull'origine della leggenda di Rolando e della battaglia di Roncisvalle, nemmeno quanto bastava a stabilire se era una leggenda o meno (personalmente sono convinta che sia una leggenda, ma ci ho studiato più di un anno per la tesi).

A St. Mary Mead... ecco, a St. Mary Mead siamo abbastanza lontani da tutto questo. Abbiamo una lavagna interattiva, ma è in una classe. Gli insegnanti ci han detto "quando volete farci una lezione, basta che ce lo diciate e noi vi lasciamo la classe libera e andiamo da un'altra parte".
Molto gentili, ma io la lezione la vorrei anche preparare, pasticciando un po' per conto mio, e non posso farlo se la classe è occupata.
Poi abbiamo... avremmo... dovremmo avere la banda larga, niente meno. Il comune ce l'ha promessa. Nell'aula multimediale infatti di solito funziona, all'incirca due volte su tre. 
Per quanto riguarda il piano terra, dunque...
Computer in sala professori: senza stampante e senza collegamento in Internet.
Computer in segreteria: non funziona il monitor. Anzi, sembra che non funzioni nemmeno il computer. Non sappiamo quando lo ripareranno. Prima o poi succederà, immagino.
Computer in presidenza: c'è la stampante ma non il collegamento.
Sorvolo pietosamente sul laboratorio di informatica - diciamo che non è attrezzato con materiale recentissimo, ecco. Sorvolo anche sulla cosiddetta Aula Multimediale, ma mi riprometto di parlarne in un altro momento.

Poi dovrei prendere sul serio Brunetta quando dice che nel giro di due anni vuole informatizzare tutta l'amministrazione per risparmiare carta. Ottima idea, non discuto, ma mi sembra che manchino un po' di premesse, al momento.

Sì, a me le Nuove Tecnologie piacciono. Non dico che ci farei grandi cose, ma le idee vengono un po' per volta, col tempo e l'abitudine all'uso. E poi sono disposta a imparare. Non mi trovo male con i computer. Non sono un fulmine di guerra ma li uso volentieri e non mi hanno mai fatto paura.
Non credo di essere io il problema, in effetti.

lunedì 10 novembre 2008

Yes, I can



Nell'ultima terza che mi è passata tra le mani, tre anni fa, evitai con cura di fare anche un solo minuto di Educazione Civica: eravamo infatti a un passo dal referendum che, ragionevolmente, avrebbe dovuto bocciare la riforma costituzionale malamente partorita dall'allora maggioranza - ma che magari l'avrebbe confermata, e allora a che serviva far perdere tempo ai ragazzi con una Costituzione in via di rifacimento?
Quest'anno hanno appena ricominciato a parlare di Bicamerale, il che vuol dire che per almeno altri 15 anni l'attuale Costituzione resterà intatta. e dunque sto torturando quei poveri ragazzi con avvincenti temi quali "l'iter delle leggi in parlamento" "morto un governo se ne fa un altro" eccetera. 
Non abbiamo testo. Prima mi faccio una bella ricerca in rete, poi ci ricavo un file a dimensioni d'uomo e infine gli detto un po' di appunti rimpolpati con spiegazioni ed esempi del momento - in effetti scelgo argomenti di stretta attualità.
Al momento i poverini stanno cercando di memorizzare uno schema dedicato ai presidenti della repubblica in Italia, Francia e USA: procedure elettorali, funzioni e via dicendo.
Su questi appunti interrogo una buona metà della classe, valutando soprattutto la precisione dei termini e la chiarezza della lingua; tutti se lo studiano con grande ardore perché do voti molto alti, se l'esposizione è chiara, e valgono sia per storia che per italiano. E' un esercizio un po' mnemonico ma non inutile, vista la deplorevole tendenza di quella classe ad usare un linguaggio non tanto informale quanto sciatto.

E poi così seguono meglio i notiziari, e magari si abituano all'idea che ognuna di quelle strane procedure ha un suo senso. Forse.
Non si può mai sapere cosa resta davvero delle nostre lezioni - e probabilmente è meglio così.

domenica 2 novembre 2008

Nunc est referendum!

Non ho votato per Veltroni alle primarie e non l'ho mai trovato particolarmente entusiasmante. D'altra parte non ho mai capito perché, dopo averlo voluto come segretario con tutte le loro forze, al PD non gli lascino fare il suo lavoro in pace per cinque minuti di fila invece di saltellargli intorno proponendogli di fare tutto, il contrario di tutto e contemporaneamente anche alcune vie intermedie. 
Ancor meno capisco perché mai, una volta tanto che ha avuto una buona idea, cioè far sottoporre la legge Gelmini a un referendum, tutti i suoi colleghi di partito si precipitino a spiegare in lungo e in largo come qualmente sia un'idea cretina.

Prima di tutto ci han spiegato che il referendum non si può fare perché la legge Gelmini fa parte della finanziaria. Ora, quel che fa parte della finanziaria sono i famosi tagli di Luglio, e per quelli il referendum ovviamente non si può fare; ma la legge Gelmini non parla di tagli: parla di un sacco di altre cosacce, invece, tra cui l'ormai famigerato Maestro Unico. Su quello si può fare il referendum, direi (e lo dice anche tal Stefano Ceccanti, in apposita intervista).

Poi è intervenuto l'ineffabile D'Alema, che di scuola non sembra saperne molto più della Gelmini in quanto sostiene che "le norme della Gelmini, se e quando il referendum si facesse, cioè all'incirca nel 2010, avranno già prodotto i loro effetti". Ma il perfido disegno di legge sul maestro unico nel 2010 non avrà prodotto grandi effetti, perché nel migliore (per il governo) dei casi sarà entrato in vigore solo a partire dal Settembre 2009 per le classi prime, e forse non sarà ancora entrato per niente, perché sembra che ci siano una buona dose di problemi con le Regioni, che in questo campo han da dire la loro e che il governo ha cercato di scavalcare a pié pari anche per i tagli, causando una vera e propria levata di scudi.

Ultima della serie (per ora) è arrivata l'on. Emma Bonino, che di solito si distingue per l'accortezza dei suoi interventi e che sui referendum può vantare una notevole competenza - ma che stavolta ha dimostrato che ogni tanto, come Omero, anche lei può sonnecchiare, chiedendo "Ci avete sempre detto che i referendum si fanno sulle grandi questioni di principio. E ora su cosa lo facciamo, sul grembiule?" dimostrando, se non altro, che tirare in ballo quell'accidente di grembiule è stata un'eccellente idea da parte della Gelmini, perché tutti i non addetti ai lavori ne sono rimasti talmente ossessionati da non riuscire letteralmente a vedere altro. Per loro ormai scuola = grembiuli, Gelmini = grembiuli, protesta studentesca = (contro i) grembiuli, e l'ormai mitico grembiulino è come una coltre onnipresente che avvolge tutto ciò che riguarda la scuola - e sì che la Maria Stella si è limitata a citarlo distrattamente in un paio di interviste, ma si è ben guardata dall'infilarlo in un qualche disegno di legge.

A me invece il referendum sembra un'idea ottima perché

1) NON sarebbe un referendum "sul grembiulino" 
2) Sarebbe invece un referendum sul maestro unico, il quale
3) per noi insegnanti è una questione importante. Lo so che va di moda dire che siamo una corporazione aggranchiata come un'ostrica ai suoi privilegi etc. etc., ma non vedo perché si debba dare per scontato che, siccome siamo corporativisti e privilegiati, non possiamo avere anche noi un'anima: il nostro è un lavoro che coinvolge profondamente e che si fa sia col cuore che col cervello. Abbiamo convinzioni, riguardo al nostro lavoro. Le abbiamo tutti. E ci riteniamo competenti in materia. Il parlamento può aver votato la riforma dei moduli perché era un modo per assumere più persone (nel qual caso non ha avuto una gran pensata perché non ne ha assunte MOLTE di più, se ci si prende la briga di fare due conti:  è vero che ogni classe ha due insegnanti principali, ma d'altra parte ogni insegnante ha due classi), ma gli insegnanti hanno proposto e caldeggiato questa riforma perché ci credevano sinceramente, e l'hanno applicata con passione e buona volontà, rompendo schemi e consuetudini per loro secolari e - dicono le indagini internazionali ma anche il buon senso e l'osservazione diretta - con risultati apprezzabili.
4) Le firme si raccoglierebbero con facilità: basta andare davanti alle scuole. Mettete in fila gli insegnanti, gli insegnanti in pensione (anche loro hanno un'anima) i precari, gli ATA (cosa c'entrano gli ATA? Parecchio, direi. I bidelli sono gli essenziali cardini su cui gira la scuola, e la conoscono assai bene perché aiutano non poco a tenerla in piedi) e i genitori, non credo che arrivare alle sei-settecentomila firme necessarie sia un grande problema. Anzi, raccoglierle molto in fretta potrebbe avere un utile effetto  sul governo.

Profe, che cos'è un sabba?

















Alla fine della lezione del 31 Ottobre saluto i ragazzi augurandogli un buon fine settimana e raccomandando alle fanciulle di divertirsi al sabba.
"Sabba?" mi chiedono interdetti.
"Beh, è la notte delle streghe. Ci metteremo tutte l'abito nero, il cappello a punta e a cavallo delle nostre scope andremo tutte a qualche sabba, immagino" rispondo serenamente.
Mi guardano sempre più perplessi. Il cappello a punta, l'abito nero e la scopa come mezzo di trasporto gli sembrano perfettamente congrui alla serata che ci aspetta, ma...
"Che cos'è un sabba?".
Casco dalle nuvole, pardon, dalla scopa.
"Non sapete cos'è un sabba?" chiedo, vagamente indignata.
No, non lo sanno. Ma via, mi dico, possibile che questa generazione cresciuta a pane e Harry Potter...
Un momento, mi ricordo, in Harry Potter le streghe abbondano, Halloween è praticamente una festa comandata, ma non ci sono sabba.
In effetti nella letteratura moderna le streghe sono assai presenti, ma di sabba si parla relativamente poco. Certamente non ci vanno le streghe della Rowlings, né quelle di Pullman della Bussola d'oro, men che meno quelle del Mondo Disco di Pratchett...
"Ehm, un sabba è... una riunione di streghe e di demoni" improvviso. E chi la sa una definizione precisa di sabba? Non è una cosa che ai miei tempi si imparava, si assorbiva un po' per volta, e certamente a tredici anni si aveva ben chiara. Forse per merito della Notte sul Monte Calvo in Fantasia? Poi io avevo letto anche Il maestro e Magherita, con il più bel sabba della storia della letteratura.
"E cosa si fa a un sabba?"
Ossignori, accidenti a me e a quando apro bocca.
"Ehm, incantesimi. E' una notte molto potente, sapete. Ci si va a cavallo della scopa. Avete presente la classica immagine della strega sulla scopa contro la silhouette della luna?"
Assentono. L'hanno presente.
"Sta andando a un sabba".
Di nuovo i ragazzi assentono, poi riprendono a preparare gli zaini. L'idea di una riunione di streghe, ovviamente, non ha nulla di strano ai loro occhi.
Quanto a me, mi sento vagamente ipocrita ma mi sono rifiutata di spiegargli che nei sabba le streghe si accoppiano col diavolo. Mi è sembrata una cosa terribilmente sconveniente da dirsi.
Accoppiarsi col demonio in segno di sottomissione. No, non è roba da raccontarsi a giovani creature in formazione. Ormai le streghe sono viste soprattutto come donne rispettabili, un po' più potenti delle altre, qualche volta anziane. Non è il caso di scombinargli le idee con strane perversioni.
La prof. McGranitt che si accoppia col demonio? Assurdo. Serafina Pekkam che si accoppia col demonio? Inconcepibile. Le Weyrd Sister di Pratchett che... No, nemmeno da pensarci.
E in fondo anche la prima vera strega della mia vita, la Margherita di Bulgakov, partecipa al sabba, anzi ne è la regina, e non solo non le viene richiesto alcunché di licenzioso, ma anzi si sobbarca tutta quella fatica per liberare il suo innamorato.
Per trovare una strega sottomessa al demonio ormai occorre cercare nei romanzi storici dove, almeno nei processi, almeno sotto tortura, almeno nella mente più che malata degli inquisitori, il gran sogno di quelle povere donne era riunirsi per avere commercio carnale con lui: quanto alle streghe di concezione moderna, hanno sì la loro vita privata, ma di solito non ha niente a che vedere col lavoro...

Tanto per ricordare che non sempre i buoni valori dei tempi andati sono così buoni.