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venerdì 30 settembre 2022

La domenica di Bouvines - Georges Duby

 
Il libro, pubblicato nel 1968 ma arrivato da noi un po' più tardi, è universalmente* considerato un imperdibile classico, di quelli che si dà per scontato che tutti abbiano letto almeno una volta e che ritornano spesso nella conversazione, ma in modo leggero, evitando con cura di citarne passi e dettagli.
Insomma, è una opinione universalmente accettata che chiunque si interessi di storia medievale abbia letto La domenica di Bouvines, e se non ne parla in pubblico è solo perché teme di dire cose ovvie, essendo questo testo assolutamente noto a tutti.
All'inizio dell'estate però ho improvvisamente deciso che la mia vita non era degna di essere vissuta se non avessi letto al più presto La domenica di Bouvines, e così me lo sono procurato in gran fretta e mi sono messa a leggerlo.
Arrivata a pagina 20 ho dovuto ammettere che probabilmente la mia vita poteva essere ricca e piena anche senza aver letto La domenica di Bouvines. Ormai però l'avevo cominciato e dai tempi della malattia ho sviluppato una strana incapacità di piantare un libro a mezzo solo perché mi annoia a morte; così ho continuato e arrivata a pagina 50 il tutto ha cominciato a decollare.

La battaglia di Bouvines, che si è svolta, come spiega il sottotitolo, il 27 luglio del 1214, non è molto conosciuta in Italia e i manuali di storia si limitano a qualche delicato accenno. Per la storia e soprattutto per la storiografia francese però è molto importante, un po' come da noi la battaglia di Legnano. I francesi la ritengono addirittura una battaglia fondante per il regno francese, e ha conosciuto momenti di grandissima fama. Si tratta insomma di una di quelle battaglie che diventano importanti quando le riguardi in prospettiva.
Bouvines era un villaggetto in territorio belga che si apre su una di quelle piane adattissime per una battaglia per qualche migliaio di partecipanti (i francesi erano 7000, gli avversari 9000, e nel medioevo erano due eserciti piuttosto importanti).
Il re di Francia si batteva contro una coalizione che comprendeva l'imperatore Ottone IV e il duca di Fiandra, entrambi scomunicati, e il mitico Giovanni Senza Terra detto il re più fasullo d'Inghilterra, di cui anche all'epoca tutti parlavano piuttosto male.
Il re Filippo Augusto di Francia invece non era affatto scomunicato, anzi appoggiava il papa Innocenzo III - un papa decisamente importante che tra le altre cose allevò Federico II e autorizzò la fondazione dell'ordine francescano.
I francesi vinsero alla grande e si ripresero una vasta serie di feudi che erano in mano inglese. La battaglia durò circa tre ore ma ebbe una serie di interessanti conseguenze.
L'anno dopo aver perso la battaglia di Bouvines  Ottone IV venne deposto dal papa, che guarda caso passò poi la corona imperiale a Federico II, suo figlioletto spirituale.
Re Giovanni d'Inghilterra invece l'anno seguente venne portato dai suoi baroni nel bel prato di Runnymede e convinto a firmare la Magna Charta, dove tra l'altro si impegnava a non avviare più guerre senza essersi ben consultato con i suoi feudatari, molti dei quali l'anno prima, a seguito della sconfitta di Bouvines**, si erano visti deprivati da un giorno all'altro dei loro legittimi feudi tornati ahimé in mano francese.
Il re di Francia Filippo II venne invece chiamato Augusto e diventò effettivamente il re di Francia e non più un re riconosciuto da tutti come re di Francia ma che di fatto poteva comandare solo nello spazio dei suoi vasti feudi e poco oltre***. Un aiutino, va detto, gliela diede anche la crociata contro gli albigesi, appoggiata da solito papa Innocenzo III e che gli permise di estendere il dominio anche sulla Francia meridionale.

Vinse Filippo II Augusto re di Francia perché era bravo, devoto e pio, mentre i suoi avversari erano scomunicati o comunque di pessima fama, e addirittura avevano violato la tregua di Dio attaccando battaglia di domenica, mentre re Filippo accettò la battaglia solo dopo essersi raccolto a lungo in preghiera.
Tutto questo però, e tutti i retroscena legati ai vari partecipanti della battaglia, tra cui svariati cavalieri che cambiavano alleanza con la stessa frequenza con cui noi comuni mortali cambiamo la biancheria, Duby lo racconta molto sommariamente e dopo un po' il povero lettore non francese si perde alla grande, anche se intuisce che la storia dovrebbe essere interessante. 
Ma allora perché nessuno gliela racconta?
Questo l'ho scoperto solo leggendo l'introduzione. Il libro era nato per una collana dedicata a un gruppo di giornate-chiave della storia francese, ma tutti i retroscena che avevano portato alla battaglia erano già stati raccontati molto bene (dice Duby) da un paio di colleghi qualche decennio prima. Così lui decise di raccontare altro; e siccome i due storici francesi che tanto bene hanno spiegato come si arrivò alla battaglia di Bouvines (e ai quali Duby fa doveroso rimando) non sono citati in appendice, e sospetto che non siano nemmeno stati tradotti in italiano, dopo aver letto il libro di Duby sulla battaglia di Bouvines continuo a sapere solo quel po' che si trova sulla pagina di Wikipedia****.
Il libro si compone dunque di un riassuntino introduttivo dove tutto è dato per scontato, la traduzione della cronaca più antica della battaglia e una serie di dissertazioni molto interessanti: sulle battaglie e il modo di combatterle dell'epoca, sui tornei, sulla questione dei prigionieri e dei riscatti, su come in battaglia morissero un po' di fanti e di sergenti a cavallo (questi ultimi erano, in pratica, cavalieri non nobili) e i cavalieri perlopiù ne uscissero intatti, o al massimo in po' malconci, ma se sconfitti venivano rilasciati solo tramite pagamento di un congruo riscatto; e di fatto fornisce un trattato sulla cavalleria tanto interessante quanto utile per chi studia il periodo.
La maggior parte di quelle cose le sapevo, ma solo confusamente, e non mi ero mai preoccupata di raccoglierle in un quadro complessivo.
Ero invece del tutto digiuna dell'interpretazione storica data nel corso dei secoli della battaglia di Bouvines***** - battaglia che i francesi imparano a conoscere sin dall'infanzia ma che ha goduto di fortune alterne: in certi periodi popolarissima, in altri quasi dimenticata e in altri ancora lodata in virtù dell'avversario sconfitto, a seconda dell'andamento dei rapporti con la Germania o con l'Inghilterra; tanto per fare un esempio, per diversi anni dopo la sonora sconfitta francese nella guerra franco-prussiana del 1870  si puntò molto l'attenzione sul fatto che a Bouvines era stato sconfitto l'imperatore germanico, mentre in altri periodi di ostilità con l'Inghilterra piaceva ricordare la sconfitta di re Giovanni sorvolando garbatamente sul fatto che anche altri, quel giorno erano stati sconfitti. Di fatto è un fenomeno interessante, che ricorre in tutte le storiografie nazionali ma che si finisce per ignorare proprio perché è stato instillato fin dai primi anni di scuola - ad esempio ancor oggi mi sorprende dover spiegare qualcosa di così sconosciuto come la battaglia di Legnano, mentre ricordo benissimo quanto bene conoscevo (o meglio, credevo di conoscere) l'argomento all'età dei miei alunni, dopo che mi avevano fatto imparare a memoria il Parlamento e il Giuramento di Pontida di Carducci in quarta elementare e fatto leggere non so quanti brani sull'argomento, trasformando una reazione dei comuni della val Padana in un episodio di presa di coscienza nazionale dove l'Italia cacciava lo straniero imperiale.

In conclusione: un ottimo libro per chi cerca un trattato serio su cos'era davvero una battaglia nel basso medioevo, al di là dell'immane quantità di scempiaggini che oggi circolano sull'argomento. Consigliatissimo anche agli amanti della storia della cultura francese attraverso i secoli. 
Con una piccola riserva sulla prosa: so che Duby è considerato un ottimo scrittore, ma io l'ho trovato un po' barocco.
Infine, e anche se si tratta del protagonista principale della storia: se cercate notizie dettagliate su Filippo II Augusto, bussate ad altre porte perché qui non trovate quasi niente.

* universalmente tra gli appassionati di medievistica, intendo. Insomma, un universo leggermente di nicchia.
** è strano come una vittoria, vista dalla parte dei perdenti, assomigli tanto a una sconfitta - funziona un po' come per le doscese che, viste dal basso, sono molto simili alle salite.
*** un fenomeno, questo, relativamente comune nel medioevo, dove potevi con relativa facilità dichiararti re o imperatore di questo o di quello e tutti ti riconoscevano il titolo senza farsi problemi, ma dove di fatto comandavi solo sui tuoi feudi privati e se provavi ad allargarti rischiavi parecchi guai.
**** che per giunta non è nemmeno una voce delle più complete.
***** cosa non sorprendente, considerando che a malapena sapevo che c'era stata una battaglia a Bouvines

4 commenti:

Filippo ha detto...

Il perfetto post per le due di notte quando non si riesce a dormire. Solleva, perlopiù, dal dover leggere il libro, anche se non credo sia l'intento. La parte del trattato di cavalleria resta da approfondire, a me interesserebbe più che altro dopo aver visto The last duel. La Piccola Biblioteca Einaudi è una bella nostalgia degli anni universitari e post-universitari. La battaglia di Bouvines ora so sommariamente cos'è. Mi piace l'idea di atti di eroismo compiuti in nome di Dio.

Murasaki ha detto...

Lieta di aver contribuito ad alleviare la tua insonnia ^_^
Sugli atti di eroismo compiuti in nome di Dio potrei improvvisarti un trattato anche se svegliata alle tre di notte dal più dolce dei sonni - di fatto, è un tema abbastanza diffuso nella storiografia delle guerre; in quegli anni però andava di moda, perfino più del solito: eravamo nel cuore delle crociate e giusto in quegli anni le truppe francesi, con la benedizione papale, stavano sterminando gli eretici catari.
Quianto al mio intento... mah, più o meno era quello di descrivere il libro. Se poi uno vuole leggerselo, padronissimo di farlo.

Anonimo ha detto...

io invece avrei una domanda che colgo l'occasione di fare: in riferimento a Federico II più volte in vari libri e testi ho trovato accennato che fu "allevato" dal Papa: ma, di preciso, cosa fece il Papa per allevarlo? Lo accompagnava a scuola? Gli preparava la merenda? Magari faceva quello che le mamme medievali facevano per i loro figlioletti? Era almeno a Roma Federico? Oppure tutto si è limitato all'invio di sacchetti di denari e tutori a Palermo e gran pergamene con scritte beneauguranti?
Grazie
Betty

Murasaki ha detto...

@ Betty:
Domanda complessa, e non avendo risposta sono partita da un onorevole tentativo su Wikipedia fatto per onor di bandiera ma senza molte speranze. La voce invece è abbastanza nutrita: https://it.wikipedia.org/wiki/Federico_II_di_Svevia#Infanzia_ed_educazione_in_Sicilia
e dunque posso provare a risponderti sulla scorta di quel che so.
Il fanciullino nacque a fine 1194 e fu messo verso i quattro anni sotto tutela di papa Innocenzo III dalla madre, che morì poco dopo ma che lasciò una bella cifra per pagargli l'istruzione.
Nei primi tempi la questione fu delegata a Gualtiero di Palearia, vescovo di Troia e gran cancelliere del regno di Sicilia (pure lui ha una voce dedicata su Wikipedia). Ma già l'anno dopo, quando Federico aveva 5 anni, tal Marcovaldo di Annweiler prese la reggenza della Sicilia e tolse di fatto la tutela a Innocenzo III, ma non intervenne nell'educazione del bambino. La tutela di Federico passò di mano in mano fino al 1201 (Federico aveva sette anni), e i responsabili della sua educazione erano Guglielmo Francesco, Gentile di Manoppello e un imam musulmano, rimasto sconosciuto alla storia - e va da sé che l'intervento di un iman musulmano non era proprio la cosa più comune per un re occidentale; ci sono poi alcuni anni di vuoto poi rientrò in scena Guglielmo, fino al 1209 quando Federico II diventò maggiorenne.
La faccenda quindi è molto più complicata di come la presentano sui manuali di storia, e certo Innocenzo III, che nel 2016 morì, non fu esattamente un precettore assiduo che preparava le merendine al futuro re e lo indottrinava a piacer suo.
Alla fine di questo curioso corso di studi comunque Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo), era ampiamente alfabetizzato e aveva una conoscenza approfondita anche della cultura araba, che gli era assai cara, oltre ad aver ricevuto adeguata istruzione cavalleresca. Per quel che ho capito, a Roma non mise mai piede, e mi sa che Innocenzo III non ci fece mai nemmeno due chiacchiere a quattr'occhi, anche se immagino che si sarà tenuto in qualche modo in contatto con lui, almeno indirettamente.
Di fatto, per quel che pare di capire, da questo calderone emerse un giovinetto che aveva una certa indipendenza di giudizio e un notevole interesse per le belle lettere, ed era sempre stato in Sicilia, da quando ci era arrivato a tre anni.
Spero che questo ti basti, perché temo che non sia molto semplice saperne di più. Ci sono diverse biografie di Federico II, naturalmente; se posso azzardare un suggerimento, eventualmente proverei a partire da quella di Abulafia, che Einaudi ha ristampato di recente: 400 pagine per 14 euro, e quasi quasi provo a comprarmelo, visto che Abulafia ha una reputazione decisamente buona.