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venerdì 11 giugno 2021

Le piccole donne crescono - Louisa May Alcott

Com'è noto il successo di Piccole donne fu enorme sin da subito e quasi subito le lettrici cominciarono a scalpitare per avere un seguito. Posso capirlo perché anch'io, quando vidi quella robaccia raffigurata a sinistra e lessi sul retro che era il seguito di Piccole donne mi precipitai a comprarlo, nonostante in famiglia mi avessero cresciuto con una certa diffidenza verso quella strana roba ibrida che sono spesso i seguiti. Per giunta, la copertina avrebbe fatto cascare i denti a un elefante, zuccherosa com'era, e anche le illustrazioni all'interno non erano certo da meno - senza contare che l'essere umano addetto a cotali illustrazioni aveva un solo personaggio maschile e un solo personaggio femminile (e, aggiungo, un solo vestito per ognuno dei due) al suo arco, cui all'occorrenza cambiava colore dei capelli - ma sempre mantenendo la stessa pettinatura, quella che vedete raffigurata in questa non memorabile opera grafica. Anzi no, per il professor Bhaer dovette cambiare qualcosa, e in effetti era l'unico che sembrava un essere umano.
Alcott era brava, operosa e prolifica e il seguito fu pronto nel giro di un anno; in seguito, venne considerato la seconda parte del primo. 
Ora che ci penso, il pubblico avrebbe probabilmente gradito una serie di romanzi uno per ogni anno della vita delle sorelle March senza che la scena cambiasse granché e con nuovi personaggi introdotti gradualmente. Alcott comunque vedeva la cosa in modo diverso e l'arco di tempo coperto dal secondo romanzo è di sei anni, più un quadro finale che si svolge sei anni dopo. A tutto ciò occorre aggiungere che il romanzo si apre con il matrimonio di Meg che, come annunciato sul finire del primo romanzo, si svolge tre anni dopo il suo fidanzamento. Le piccole donne quindi crescono assai, e in effetti alla fine della storia sono ampiamente adulte.
Dunque sedici anni, ma il cuore della vicenda ne copre sei. Meg si sposa, e godrà in seguito una vita coniugale tranquilla e soddisfacente, anche se con qualche inevitabile contrattempo. Anche Amy si sposa, ma dietro le quinte. Jo si limita a fidanzarsi (per poi sposarsi un anno dopo, come raccontato nell'ultimo capitolo) e Beth... Beth muore, come sanno assolutamente tutti su questo pianeta.
Perché Beth muore? Perché in un romanzo vittoriano (e in fondo, Piccole donne quello è) c'è sempre l'eroina angelica che muore in odore di santità, si pensa di solito. La questione però è più complessa.
Come sanno anche i sassi, le quattro ragazze March sono (quasi) esattamente le sorelle Alcott e anche i signori March riprendono parecchio dai genitori dell'autrice. La quale si prese, con le sue sorelle, le sue buone libertà ma con Beth non riuscì ad andare oltre al fatto, appunto, che Beth morì molto giovane. Aveva preso la scarlattina, era guarita... ma non del tutto, e dopo un lento declinare era morta di consunzione. Classica morte da Eroina Buona e Innocente, morte molto edificante... ma non era stata letteratura, era andata proprio così, e al di là di quello Louise non riuscì ad andare. Anni prima Charlotte Bronte si era tolta la soddisfazione di far vivere felice sua sorella, carattere indomabile ma poi domato dall'amore, un matrimonio assai felice e per giunta l'aveva trasformata in una ricca ereditiera che gestiva in prima persona un grandioso patrimonio. Louise non ci riuscì, o meglio non ci provò nemmeno. In qualche modo la morte di Beth era intrinseca al personaggio. E la morte di Beth, serenamente accettata dalla povera ragazza, si svolge in un lento smorzarsi, con grande edificazione della famiglia. Chi ci è passato sa che a volte succede proprio così, e in casa Alcott appunto così erano andate le cose. 

E per le altre tre?
Ci sono invece dei bei cambiamenti. Louise Alcott non si sposò mai e per quanto ne sappiamo la cosa non le dispiacque. Nel romanzo però non poteva andare così - non so se l'editore disse qualcosa in proposito, ma l'autrice non viveva sulla Luna e ne era quindi assai consapevole. Non per questo accettò la soluzione più ovvia, quella che i lettori si aspettavano: Jo non sposa Laurie, con grandissima e generale disapprovazione (anche nel libro, dove nessuno si capacita e solo i genitori, sospirando, se ne fanno una ragione, ben consapevoli che il marito ha da piacere a chi si sposa e l'affetto non sempre basta a garantire la felicità coniugale. Invece avvia una fiorente attività di scrittrice, con i suoi inevitabili alti e bassi, e alla fine si sposa, sì, ma non col giovane, ricco bello e di onesti principi che da sempre è il suo migliore amico, bensì con il vecchio (beh, non troppo vecchio, ma certamente non adatto a entusiasmare le ragazzine innamorate di Laurie) professore tedesco, povero, immigrato e con un sacco di idee strane sul mondo e sull'educazione. Molti hanno visto in questo una scelta punitiva dell'autrice verso sé stessa - quasi che non si fosse mai visto il caso di una ragazza che, a dispetto dell'universo mondo, si sposa un uomo con parecchi anni più di lei; e qualcuno ha pure evocato il fantasma di un padre troppo amato. Eppure, secondo me, il punto è che Alcott voleva far sposare al suo alter ego una persona che le piacesse; e Laurie è sì un carissimo ragazzo, ma ripensandoci non solo ha un carattere piuttosto vago e indistinto, ma, in un certo senso, non esiste. Nel primo romanzo serve soprattutto come reagente - fa da voce della coscienza a Meg quando la trova alla fiera delle vanità, fa da fratello maggiore ad Amy quando è abbandonata dalla zia March per isolarla dalla scarlattina di Beth, fa da paraninfo più o meno inconsapevole tra Meg e John Brooke, aiuta Jo a tirare fuori Amy da sotto il ghiaccio - anzi, par di capire che senza Laurie la povera Amy sotto il ghiaccio sarebbe rimasta, perché Jo in quel momento ha perso completamente la testa - fornisce all'occorrenza la famiglia March di beni di conforto in varie occasioni, assiste moralmente Jo quando va a consegnare un paio di racconti a un editore, ma per tutto il primo libro non vive mai di vita propria e, al contrario delle ragazze, non attraversa alcun tipo di crisi, evoluzione o rinnovamento - del resto, perché mai un reagente dovrebbe vivere di vita propria?
Nel secondo romanzo, che dire - Laurie non fa in sintesi un bel niente a parte essere tenuto a distanza da Jo che lo vede troppo innamorato, diplomarsi e chiedere di sposarla. Sotto l'effetto del trauma da rifiuto si abbandona a una vita di modeste sregolatezze e a una certa inattività. Amy si prende l'incarico di fargli da voce della coscienza, lo risveglia e Laurie decide così di sposare lei. Non ho mai visto questa cosa come un ripiego, ma in effetti non si può non convenire che si tratti di una storia d'amore abbastanza smorta, e nei due romanzi successivi siamo sì abbondantemente informati che il loro matrimonio è felice, ma quando se ne parla il lettore si annoia, senza se e senza ma.  Anche perché - sorpresa! - non è un rapporto dei più dinamici e i due non sembrano mai interagire tra loro.
Altro piccolo dettaglio su Amy: nel corso di Piccole donne crescono anche lei prova a coltivare il suo talento per le belle arti, ma ben presto, guidata da un notevole senso critico che non le ha mai fatto difetto, finisce per rendersi conto che il talento, per quanto coltivato con cura e dedizione, non può evolversi in genio, e finisce per limitarsi a qualche garbata produzione privata (anche se a fine romanzo accenna di non aver ancora abbandonato le sue aspirazioni artistiche, in effetti). Una scelta curiosa perché, ho scoperto con una certa sorpresa, la sua controparte Abigail May Alcott diventò invece una pittrice di una certa rilevanza, anche se ebbe l'incauta pensata di morire prima di compiere quarant'anni. Ma in effetti per una ragazzina bionda, bella e di raffinati interessi artistici in un romanzo la fine giusta è sposarsi un eroe di tipo classico, giovane, bello e ricco - e d'altra parte Laurie aveva ben diritto a non sposarsi fuori dalla cerchia delle sorelle March, dopo avergli fatto da reagente in tante e diverse occasioni. Tra ,l'altro, quale lettrice avrebbe apprezzato di vederlo sposato alla simpaticissima signorina XY sbucata a metà libro dal nulla e del tutto estranea alla prima vicenda?

Cosa fare invece con Meg?
Meg all'inizio del romanzo si sposa, e conosce così il suo momento di gloria. Poi vivrà la sua serena vita coniugale nella casetta vicina a quella della sua famiglia, ma senza più interagire veramente con loro - con una sola eccezione. Le vengono riservati due cammei. Nel primo, a parte un quadretto di maniera su una drammatica vicenda a base di marmellate (e quale donna non ha provato almeno una volta in vita sua il disappunto della brodaglia che non ne vuol sapere di trasformarsi in marmellata? Solo le poche, savie creature che la marmellata la lasciano fare agli altri, e possibilmente agli addetti ai lavori) abbiamo una specie di seguito del viaggio di Meg alla fiera delle vanità - che culmina, sembra di capire, con una guarigione definitiva da certe tentazioni. 
Nel secondo è invece affrontato un tema decisamente serio, ovvero come impedire che il primo figlio rischi di scardinarti il matrimonio - e viene affrontato à la March, ovvero con teorie assai sennate ma che faticano tuttora ad affermarsi, e che possono essere riassunte nei due principi cardine "coinvolgi il padre nella gestione dei figli, e coltiva la tua vita perché stare solo con i figli ti svuota", principi che la saggia madre scodella alla figlia dall'alto di una considerevole esperienza - dopotutto, lei di figli ne ha avuti quattro - ma che gli editori italiani hanno sempre falciato con gran disinvoltura mentre sforbiciavano i romanzi destinati alle bambine, anche quando lasciavano l'unica scena d'amore tra Laurie e Amy (e su questa curiosa tendenza degli editori di libri per ragazzi negli anni 60 e 70 di rimuovere le scene d'amore anche e soprattutto dai romanzi che principalmente d'amore trattavano sarebbe forse interessante indagare, chissà).

Alla fine del romanzo, nell'ultima scena, abbiamo tre coppie felici, ognuna delle quali benedetta da qualche figlio - nazi quattro, contando i genitori delle protagoniste, e uno strano college che magari non farà mai tendenza, ma dove tutti stanno a meraviglia e si divertono un mondo e gli alunni sono allevati con criteri rivoluzionari che comprendono - orrore! - una considerevole dose di autonomia per tutti i giovinetti; e, come viene ripetuto più volte, non diventeranno mai ricchi.
Un lieto fine per tutti, dunque, e un'atmosfera rasserenante nonostante le traversie e traversine che non sono mancate nel corso del romanzo. 
Una lettura gradevole, carica di vitalità e che, vista nella prospettiva di un secolo e mezzo dopo non manca di ispirare riflessioni di vario tipo.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro come sempre felici letture a chiunque passi da queste parti.

24 commenti:

Pellegrina ha detto...

Piccole donne è per me quello che per te è Possessione: mai riuscita a convincermi a leggerlo, malgrado le espressioni adoranti di tutte coloro (a pensarci bene solo femmine, strana ‘sta cosa: d’accordo che da così piccoli i bambini rifuggono spesso le coetanee, ma un po’ più adulti, nessun maschio si è mai interessato non professionalmente ai nostri tempi a come siano le donne da giovani?) che lo hanno letto e trasmesso alle figlie come romanzo essenziale fin da bambine. Un fenomeno a sé nella storia della lettura, direi.
Bizzarro perché ad esempio, la mia mamma aveva molto amato il primo romanzo, e una delle letture più importanti della mia preadolescenza e adolescenza, de Beauvoir, ne scrive con accenti appunto adoranti e delusi per via di Laurie nella sua, quella si da me adorata, autobiografia.
Ma niente mi ha mai smosso.
Cerco di capire perché.
1) probabilmente perché tutto volevo leggere tranne storie della quotidianità. Oggi quella tendenza si manifesta con una forte intolleranza all’intimismo in qualsiasi forma artistica (dio i film italiani che paaaalleee!). Da bambina leggevo ovviamente qualsiasi cosa trovassi, ma quello in casa non c’era. Ma le mie letture vere erano i miti greci (Dei e miti, il grosso dizionario mitologico, e i poemi omerici in prosa nella versione di Giuseppe Tonna della Garzanti) e poi le storie di pirati e di avventure: Salgari, tutti i cicli di Mompracem, della Giungla Nera (Garzanti e Mursia), mentre L’Isola del tesoro non mi piacque perché troppo dalla parte dell’ordine, probabilmente. E poi il ciclo di Tarzan di Burroughs. Qualsiasi cosa fosse fuori dall’ordinario, temporalmente, geograficamente, come trama e costumi e come possibilità. Più tardi, arrivò tutta l’autobiografia di de Beauvoir, scoperta a scuola alle medie, ma da sola (ettepareva) curiosando nell’intelligente antologia scolastica. Grazie Cesarani (credo) di aver aperto gli orizzonti del patrio, soffocante provincialismo patriottardo e benpensante. Queste erano le letture della passione. Un po’ meno veemente, ma diligente, curiosa e reiterata era la lettura di Verne, dove però mancavano dolorosamente personaggi femminili significativi. Infine di tutto un po’ dalla Bibbia ai classici. In questa temperie, non avrei mai chiesto di comprarmi Piccole donne!
2) Secondo motivo, più psicologizzante: quel libro mi metteva in una contraddizione profonda, perché la mamma aveva sempre cercato di non modellarmi su uno schema troppo femminilizzante e lezioso, dalle pettinature ai vestiti (cose queste su cui esagerò, direi oggi e sentivo allora) agli atteggiamenti e ai passatempi. Le bambine non salgono sugli alberi? Come sarebbe a dire? Le bambine non si infangano al parco? Come sarebbe a dire? La bambine non fanno le cose da maschi? Quali cose, prego? Le bambine non possono? Come sarebbe a dire? Quindi quel libro, il cui titolo risuonava e risuona in modo prescrittivo e che mi rinviava dalla copertina la quintessenza della leziosità, mi appariva tra l’estraneo e il respingente e il fatto che lei dichiarasse di amarlo tanto, apriva un interrogativo che mi lasciava nella più forte delle perplessità. La domanda è se mai perché non le abbia mai esternato il mio dubbio.
3) Proprio il senso prescrittivo che -per me- emana dal titolo. Come se per diventare donna si dovesse cominciare a esserlo sin dall’infanzia, azzerando la bambina e la SUA identità, e lo si dovesse diventare seguendo quel modello, su pressione dolcemente consensuale, certo (come tu spiegavi), ma fortemente predeterminato. Una negazione dell’infanzia, o meglio, del valore dell’infanzia. Una visione ottocentesca e pedagogica, per cui non si è bambini ma adulti imperfetti.
Non mi piaceva. Mi rivoltava.

Pellegrina ha detto...

(Segue) Forse avrei dovuto scrivere un post sul mio di blog, invece di spammarti. Ma è dialogando che vengono le idee.
Questione matrimonio che ho letto su de Beauvoir e qui, non avendo mai aperto il romanzo.
Direi che il perbenismo moralista fino allo champagne, tenuto a freno con opportuno mascheramento nel primo romanzo, diventa impossibile da non manifestare quando deve venire in gioco - perché le donne dopotutto crescono per essere buone mogli e madri, soprattutto nei romanzi di allora - la questione della sessualità.
Al di là delle esigenze narrative magari interpretate sulla scorta delle nostre attuali relazioni tra sessi, allora anacronistiche, quello che ci vedo è una forma di controllo sottile, ancora una volta, del femminile incrociato con l’autonomia e la dimensione intellettuale.
Non so cosa motivi il voltafaccia di Jo, accettiamo pure che i suoi orizzonti erano diversi da quelli di un giovanotto di buona famiglia ma niente di più. È il tipo di persona che si sposa a lasciare perplessi. Una donna autonoma che vive sola, guadagna e per di più scrive (mi pare che sia quello che fa Jo alla fine, giusto?) deve sposare un uomo che sia per forza una figura cui viene lasciata una qualche immagine di superiorità, ad esempio per l’età, se non c’è altro mezzo; una figura maschile che la controlli in qualche modo; e che ne indirizzi adeguatamente le ambizioni e soprattutto i mezzi, senza indulgere in spigliatezza: un apostolo, una guida, una missione, condivisa, ma altrui, cui eventualmente dedicarsi. Oppure deve restare sola. Non può sposare un ragazzo che le piace: sarebbe troppo per un romanzo con pretese di formazione. Sarebbe accettare troppe eccezioni. All’ipotesi che semplicemente abbia una NORMALE relazione prematrimoniale con lui come si fa oggi da ragazzi ovviamente non penso nemmeno, data l’epoca.
Poi la scelta originaria di lasciarla nubile può anche rispettare una realtà del tempo: una donna autonoma, istruita e intellettuale, ma povera, non trova facilmente un marito, per motivi di classe e di sesso. Ancora oggi le donne più a rischio di solitudine in Francia sono quelle non più giovani con alto livello di istruzione.
Ovviamente il tutto è molto sfumato e suadente, come tutto il tema del controllo del femminile che però pervade il ciclo.
Un romanzo a libertà controllata.

Pellegrina ha detto...

E tu, perché non sei mai riuscita a convincerti a leggere Possessione?

Pellegrina ha detto...

P.S.: mi pare che Jo salga anche sugli alberi, a un certo punto. Il mio corto circuito avveniva tra titolo e copertina.

Murasaki ha detto...

Partiamo dall'inizio:
Con tutti 'ste cartacce della fin dell'anno sono rimasta indietro anche col blog e alla fine non ho mai risposto all'accorato appello che mi hai lasciato in uno dei post dedicati alla Byatt un paio di settimane fa (...o sono diventate tre, le settimane? Cenere sul capo) per dirti che, dopo tutta quella sviolinata, non volevo vanificare la fatica che mi avevi dedicato e lo avevo messo nella lista delle letture da fare, visto che un tuo parere in fatto di letteratura non è da sottovalutare, considerando anche che abbiamo in comune tante preferenze. Quindi puoi anche scrivermi su altri argomenti ^__^
Questo non vuol dire (credo) che lo leggerò durante l'estate, ma solo che è in lista - probabilmente per l'autunno.
Last but not least: il mio disinteresse per "Possessione" è di fresca data, e risale ai tempi della malattia, quando mi venne consigliata la quadrilogia e mi misi a leggerla, apprezzandola molto ma scoprendo che tanti dicevano che "Possessione" (di cui scoprii in quel periodo l'esistenza) era meglio. Ora, in quel momento a me di Possessione non importava niente, volevo solo leggere gli altri volumi della quadrilogia e Possessione lo lasciavo volentieri a chi lo voleva.

Poi: fermo restando che una bambina, una ragazza e poi una donna è perfettamente in grado di condurre una vita ricca e appagante anche senza avere letto Piccole donne, e che il libro ha anche la sua schiera di ammiratori al maschile, che ne parlano con gran rispetto, si tratta senz'altro di un libro "per donne", come Orgoglio e pregiudizio, per intendersi. Piace soprattutto alle donne, perché parla di argomenti seri e non di tutte quelle seghe cui gli uomini danno tanta importanza in letteratura. O comunque, piace soprattutto alle donne, punto. Per molte è un importante libro di formazione, e credo lo sia stato anche per me.
Ma, in tutti i casi, lo rileggo volentieri perché le storie di donne che chiacchierano davanti al caminetto mi piacciono un sacco (l'intimismo, appunto).
Comunque anch'io, come molte altre bambine, non ho CHIESTO di leggere Piccole donne: me lo regalarono per Natale, lo presi e lo lessi. Anch'io a quell'età leggevo qualsiasi cosa mi mettessero davanti, dopo ho cominciato a mettere dei paletti perché di cose da leggere davanti me ne capitavano troppe e la giornata aveva solo 24 ore.
Per quanto riguarda il modello femminile (che mia madre, più che contrastare, ignorava con grande serenità) sì, la scuola pedagogica di Alcott è quella ottocentesca che hai descritto, e Jo è diventata un personaggio così famoso proprio perché lo rifiutava E IN FAMIGLIA GLIELO LASCIANO RIFIUTARE, almeno entro certi limiti, proprio perché il modello ottocentesco in versione Alcott è, come dire, piuttosto diverso e sostiene che ogni persona ha comunque diritto ad esprimersi per quel che è. E il titolo sì, ha qualcosa di irritante, tanto che l'espressione "ormai sei una piccola donna" contrapposto a "ormai sei un ometto" oggi fa venire l'orticaria. Un po' la faceva venire anche quando ero bambina, almeno a me - e non è escluso che la facesse venire anche alla Alcott ma... erano altri tempi e le parole avevano un significato diverso, oppure un titolo molto allineato poteva nascondere messaggi abbastanza alternativi. Non saprei, comunque il titolo non le è stato imposto, l'ha scelto lei.

Murasaki ha detto...

@ Pellegrina 2:
Terzo punto: fermo restando che non possiamo discutere di un matrimonio in cui non conosci i protagonisti, di per sé il fatto di non volere sposare l'amico d'infanzia ma tutt'altri non è una cosa così insolita: nei romanzi lo è, d'accordo, ma nella vita di tutti i giorni succede spesso - e se l'alchimia non scatta, non scatta e questo è quanto.Qualche volta tutti restiamo contrariati davanti a certe scelte, ma è un problema nostro e secondo ime i protagonisti di un romanzo sono i migliori giudici dei loro affari, se lo scrittore sa il suo mestiere.

Ultimo punto: Jo sale sugli alberi, sissignore, e sugli alberi, a cavallo di un suo ramo preferito, legge per ore intere, non una volta ma per consuetudine e la famiglia non ci trova nulla da ridire, salvo forse Amy che trova che tutto ciò "non è distinto". Perché questo non si vede mai nelle copertine? Mah, prova a indovinare... (BTW, leggere per ore a cavallo di un ramo d'albero lo faceva anche Alcott da giovinetta)

Lurkerella ha detto...

Alcott è una scrittrice mediocre, mi piace tanto il ciclo di Piccole Donne (vabbè, i primi due) perché li ho letti da piccola, in quelle versioni cartonate illustrate (male) e tagliatissime che usavano allora. Ho avuto modo di rileggere recentemente Una ghirlanda per ragazze e non me lo ricordavo così bestialmente melenso. Anche le sue cose "pulp" sono un po' così. Dice tante belle cose, almeno nelle versioni non censurate, ma il come è un filo datato. Ho letto anche una cosa che si chiamava, credo, Gli otto cugini e/o Rosa in fiore, e finiva con orripilante, incomprensibile matrimonio tra cugini. Ci rimasi maluccio anche allora. Meglio Una ragazza fuori moda, anche se l'unica cosa che mi è rimasta è una gran voglia di manicotti di pelliccia, magari finta.

la povna ha detto...

Sul fatto che Laurie sia sostanzialmente un catalizzatore concordo, è il motivo per cui non possono sposarsi, sono compagni di giochi e di marachelle. Invece in questo modo come già dicevo l'altra volta tutti e due hanno le spalle coperte esattamente come quando erano ragazzini. In più, credo sia vero che Jo non può sposare Laurie per quel principio così bene enunciato da Mr. Bennett quando dà il consenso per il matrimonio di Lizzy: "tu sei troppo intelligente figlia mia per sposare qualcuno che non stimi più di te stessa". Bhaer rappresenta quella cosa lì: l'esperienza letteraria e artistica, colui che può dare il placet. Sempre di placet si tratta, e, lo ripeto, a mio avviso di paternalismo ricercato (non tanto di Bhaer dunque ma da parte di lei).
Resta il fatto che il matrimonio di Laurie e Amy resta a mio avviso combinato, ma ne capisco la funzionalità di trama.
Sul resto, secondo me nel secondo volume di Piccole donne sono belle anche alcune parti della vita di Jo a New York, che fanno da contraltare alle esperienze più chic di Amy all'estero.

Infine, un consiglio a Lurkerella sulla lingua e lo stile del romanzo: consiglierei di dargli una chance in lingua originale, perché di Alcott si possono dire molte cose, ma non che scriva male, onestamente (ovviamente nelle cose ben riuscite) - specie se la lettura di Piccole donne e del resto dei romanzi di letteratura giovanile l'hai fatta sforbiciata (il matrimonio tra cugini è invece una prassi assolutamente normale in quel contesto sociale, culturale e letterario, a partire, di nuovo, da Pride and Prejudice, in questo l'arrivo di Rose tra i Campbell in qualche modo postula fin dalla prima pagina che ci sarà, anche, una questione di lasciare in famiglia l'eredità).

Lurkerella ha detto...

Eh, @povna, hai ragione, e del resto c'è anche il proverbio. Rileggere i libri che si sono amati da piccoli riserva sempre delle sorprese, e non credo che l'inglese possa ricreare una magia che è svanita solo perché non ho più 9 anni. Baher però mi piace ancora, perché è massiccio e affidabile, come Chewbecca

Murasaki ha detto...

@ Lurkerella:
Non tutti gli autori sono nelle nostre corde, ma non definirei Alcott una scrittrice mediocre. In tutti i casi, i primi due del ciclo le son venuti molto bene, ma non ho letto nient'altro di lei anche se vorrei provare. Il punto è che in italiano han tradotto poco e male, tagliando, e soprattutto han tradotto *a suo tempo*. La traduzione recente di Einaudi comunque è scritta bene, voglio dire in italiano moderno. Comunque i matrimoni tra cugini non hanno nulla di insolito nel mondo anglosassone, nei romanzi se ne trovano a pacchi. Una ragazza fuori moda è uno dei miei sogni nel cassetto, e mi sembra che l'abbiano tradotto di recente, vorrei provarci.

@ La povna:
Sì, ci sono tutta una serie di motivi strutturali, ma anche il fatto che Laurie non le può dare niente di nuovo, e Baher sì. In effetti io non la trovo una coppia forzata.Non trovo forzata nemmeno la coppia Amy-Laurie, salvo il fatto che... boh, non esiste.
Insomma, mi sembra che siamo d'accordo su tutto.

Pellegrina ha detto...

@Murasaki: caspita è una bella responsabilità! Mi auguro che ti piaccia. Anche io manderei sinceramente a quel paese chiunque insistesse per farmi leggere un libro mentre ne sto leggendo avidamente un altro « perché è meglio ». Sicuramente sì, ma aspetterà.

Pellegrina ha detto...

Per quanto riguarda il matrimonio della discordia, vale lo stesso per tutto il resto del romanzo: io lo conosco tutto e solo attraverso i racconti tuoi e di de Beauvoir, un po’ di mia mamma, titoli e copertine.
Per carità, ovvio che non ci si sposi sempre con gli amori d’infanzia, quasi mai in ambienti aperti. Il punto non è quello: è il tipo di marito. Non saprei dire se sia un bisogno di autopunizione. Di certo la donna che sposa un uomo più grande e votato a una missione abbastanza tradizionale per di più (de Beauvoir definisce il marito una sorta di apostolo) è un personaggio tradizionalissimo dei secoli scorsi. Quando questa scelta la compie un’eterodossa come Jo, qualche interrogativo una simile predilezione lo suscita.
Data l’impostazione di lasco controllo che pervade il romanzo, ci vedo questo: un controllo dell’eccezionalità, per quei tempi, di una donna come presentate Jo.
Forse anche Laurie potrebbe giocare un ruolo del genere nei confronti di Amy? Dato che esserci quando serve sembra, sottolineo sembra, essere un po’ il suo ruolo principale e lei ha la reputazione di « sventata »? Ma qui proprio non lo so, perché sono personaggi meno decifrabili senza aver letto nulla.
Insomma: le piccole donne cresciute, continuano ad aver bisogno d’essere tenute d’occhio da un marito « giusto », cioè in qualche modo superiore - per età, per ricchezza, per adesione alle convenzioni sociali dei ruoli sessuali - oppure no?
Invece sono molto curiosa sugli uomini ammiratori del romanzo.

la povna ha detto...

@Pellegrina: no, Laurie non salva Amy, Amy viene salvata dall'ambizione sociale del matrimonio di interesse in maniera molto sotto traccia dalla malattia di Beth, mentre è lei che (questo è detto) salva Laurie dalle modeste dissolutezze cui si dà in Europa dopo la delusione per Jo. Baher è in tutto e per tutto una replicazione del padre, figura cruciale per Jo, lontana e autorevole (è per lui che si taglia i capelli). Cruciale, ma lontana, che è esattamente quello che succede a Baher tanto è vero che la Alcott molto opportunamente fa morire Marmie in modo da relegare Baher in eterne conversazioni con il signor March in modo da levarlo di torno mentre Jo gioca da sola o con Laurie.

@Murasaki: dimenticavo, Possession è un autenticissimo Romance of the Archives ambientato tra età contemporana, vittoriana e archivi e biblioteche. Credo effettivamente che sia improbabile che possa non piacerti!

minty ha detto...

Ciclicamente questa discussione fra donne su "Piccole donne crescono" risalta fuori. L'ultima volta dopo l'uscita del film più recente tratto dall'opera, e ricordo pure lì un gran discutere, l'eterno discutere, fra team-Laurie e team-Baher.

Sgombriamo il campo da ogni ambiguità: io sono team-Baher da sempre. Fondamentalmente per ciò che dice Lurkerella: preferisco il massiccio e affidabile tedesco all'azzimato quasi-dandy Laurie. Laurie che, semplicemente, di fronte a Jo imho non ha mai mostrato sufficiente carattere per fare da sponda al vulcano che è lei. Sì, i giochi, gli scherzi, i battibecchi, ok. Ma c'è un momento vero in cui Laurie non assecondi l'amica? E secondo voi, una come Jo, avrebbe mai potuto accettare di passare la vita con un uomo che la asseconda in tutto o quasi? Mah!
D'accordo, Baher non sembra una scelta buona a soddisfare le idealità romantiche delle lettrici, e c'è tutta quella teoria per cui il matrimonio con lui è una resa di Jo alle convenzioni della società benpensante e un rientro nei ranghi di un'esistenza pacata. Però, sleggiucchiando qua e là io ho trovato anche una spiegazione più semplice alla scelta di Alcott di accasare Jo con il "vecchio" professore: molto banalmente, c'è chi dice che da giovinetta l'autrice si fosse presa una vaga "cotta" per uno dei pedagogisti amici di suo padre (probabilmente Henry David Thoreau, con cui Luoise ebbe sempre un forte legame), e semplicemente abbia modellato il marito di Jo su di lui.
Comunque, consapevole di aver sempre letto una versione "tagliuzzata" del secondo romanzo della saga (però nel mio il discorsino di mamma March a Meg sulla gestione del matrimonio in presenza di figli c'era XD), me ne sono recentemente procurata un'edizione Rizzoli sedicente integrale (mi spiace, ma la traduzione Einaudi a me proprio non piace!), e prima o poi rifarò la lettura da capo, per rinfrescarmi la memoria su tutti questi risvolti Jo-Laurie, Jo-Baher, Amy-Laurie, ecc. e giudicare con occhi adulti di tutta la faccenda :D

Postilla: forse a me l'idea di Jo sposata Baher non dispiace anche perché io ho letto tutti e quattro i libri della saga, e SO che il rapporto fra i due sarà sempre piuttosto paritario. E' vero che a un certo punto Baher un po' scompare (ma in parte anche Jo, dato che i protagonisti diventano i ragazzi della scuola da loro gestita), comunque, per ciò che si vede, egli è davvero più che altro un solido compagno anziché il paternalistico marito-padrone tanto paventato da alcuni.

Hint finale: non ci sarà riuscita Jo, ma nel quarto libro della saga un personaggio femminile compie la "parabola" definitiva di emancipazione,



SPOILER

SPOILER

SPOILER

SPOILER

SPOILER



rinunciando a sposarsi e dedicandosi a una carriera che, ai tempi, era spesso quasi solo maschile.
A chi vagheggia una versione di Jo che compia scelte più "femministe", consiglio di andare avanti con la saga, anche se il terzo e quarto romanzo sono più "pedagogici" e "a tesi" rispetto ai primi due (io comunque, forte di un'edizione ridotta, ma tradotta dalla pregevolissima Fausta Cialente, nella vita ho letto e riletto più spesso "Piccoli Uomini" che "Piccole donne" XD).

Murasaki ha detto...

@ Pellegrina:
Ma non mando al diavolo proprio nessuno! Un consiglio di lettura è sempre gradito, specie se viene da una persona affidabile. Soltanto, non sarà oggi e nemmeno domani, come ti ho spiegato.
Per il resto, Alcott scrisse in una lettera "non credo che il N. 2 avrà lo stesso successo del N. 1; gli editori sono gente molto ostinata, e non lasciano fare agli autori di testa loro, così le mie piccole donne devono crescere e farsi sposare in un modo molto sciocco".
Qualcosa di testa sua chiaramente l'ha fatto, o almeno ha raggiunto un compromesso, rinunciando se non altro alla coppia Jo-Laurie e scegliendosi per marito qualcuno che la interessava. Sulla possibilità, citata dalla povna, che Baher fosse una variante di qualche sua passata predilezione, mi sembra la cosa più ragionevole da pensare, fosse Thoureau o qualcun altro degli amici di casa, o anche una persona che ha conosciuto in un qualche momento della sua vita. Di fatto, quando ha scritto il romanzo, il destino di Meg (sposata per amore a un buon figliuolo) e di Beth (morta in modo edificante) erano già segnati, quindi la libertà di scelta era limitata alle ultime due sorelle, visto che Amy al momento era ancora libera e si sarebbe sposata solo qualche anno dopo, quando la sua controparte letteraria era già unita a Laurie in legittimo matrimonio.
E sì, concordo con Minty che il rapporto Jo-Baher resta semopre paritario. E perché non dovrebbe? Baher non è il tipo che cerca una figlia. In un caso ha fatto la morale a Jo, proprio sulla base della sua esperienza. Ma in questo gruppo di romanzi di formazione tutti si fanno la morale l'un l'altro, spesso con buone intenzioni e spesso con buon esito - e del resto nella vita son cose che capitano.

@ la povna:
Sì, so che circola la teoria che Baher è una figura paterna e ricalcata sul padre (presente nei romanzi con un altro avatar, che però è piuttosto indefinito al di là del ruolo, appunto, paterno e che parla pochissimo in prima persona, a parte sul finale del primo libro quando rilascia gli attestati di buona condotta. Il fatto che lui e Baher facciano delle gran chiacchierate sui massimi sistemi non è strano, soprattutto se consideriamo la teoria che vuole in Baher la trasposizione di un amico di famiglia (con cui Alcott padre avrà, si suppone, fatto davvero lunghe chiacchierate). E' un fatto comunque che il signor March e Laurie non scambiano praticamente una parola nel corso dei quattro romanzi.

Pellegrina ha detto...

@Murasaki: qui internet ci sta incartando. Non ho pensato che mi mandassi a quel paese, nel modo più assoluto. Oltretutto avevo preso la frase come rivolta a chi ti incitava a leggere Possessione mentre eri palesemente assorbita dalla quadrilogia, non a me.
Il mio era un modo colorito per dire che ovviamente ognuno si legge quel che progetta in tutta e ovvia autonoma tranquillità. Davvero, mi dispiace di non essere stata chiara. Soprattutto perché mi sentivo proprio lusingata e con sincero piacere dalla fiducia che riponi nei miei consigli di lettura, indipendentemente da quando deciderai che è giunto il loro momento!
Quindi l’è tutta al rovescio, come direbbe l’Alessandro.
Buoni esami, buona estate - siamo quasi al solstizio!!! - e buone letture.

Pellegrina ha detto...

@Minty: io non sono pro Laurie, di cui non so nulla.
Sono se mai per relazioni tra coetanei scevre da pedantismo, o meglio: la differenza di età squilibra comunque un rapporto e, in letteratura a livello narrativo-morale, ché questo è PD, una scelta simile pone degli interrogativi.

minty ha detto...

@Pellegrina
Io non lo ricordavo, ma ho letto in un articolo che Fritz dovrebbe avere 16 anni più di Jo. Non mi sembra un'enormità, né una cifra tale da farne un secondo padre. Né mi sento di dire che una differenza di età fra gli sposi sia SEMPRE foriera di squilibrio. Dipende da chi sono le persone coinvolte. Come ho già scritto, leggendo tutta la saga, più si va avanti, e meno ti accorgi che Baher e Jo non siano coetanei. Davvero.

Murasaki ha detto...

@ Pellegrina e Minty:
Fermo restando che la data di nascita non è l'unico criterio (né, di solito, il più importante) in base al quale ti scegli un coniuge, il professor Baher non è solo un uomo con qualche anno più di Jo: ad esempio è anche un uomo squattrinato (che nei romanzi non viene presentato come un criterio di attrazione per un futuro marito); e, soprattutto, è un uomo onesto, saggio... e molto originale - cosa che Laurie, pace all'anima sua, non è. Anticonvenzionale, vivace, abituato a ragionare fuori dagli schemi e dai luoghi comuni, insomma in questo molto simile alla sua futura signora. Quando li vedi insieme non pensi alla loro età, ma ti accorgi subito che sono due spiriti affini, che si comprendono bene perché ragionano nello stesso modo. C'è molta complicità, tra loro.

Pellegrina ha detto...

@Minty: No, Minty, proprio no. Cerchiamo d’ora in poi di non far più dire agli altri quel che non hanno detto, d’accordo?
1)Come non parlo di Laurie, io non parlo di padre (tra parentesi, abbiamo letto di genitorialità di sedicenni che oggi ci sembrano eccessive, ma all’epoca non erano affatto considerate tali), parlo di tutela sociale che l’età garantisce. All’epoca il solo fatto di essere più anziano era percepito come un merito e un potere legittimo sui più giovani. Per di più questo fa pure il maestro. Tutela doppia: di natura (più vecchio) e di mestiere (« educatore »).
2) Sedici anni sono quasi una generazione. Davvero molti e per impegnarsi a vita ancora di più. Lo sono a venti, lo sono a quaranta, lo sono a sessanta. Le prospettive son diverse sotto tutti i punti di vista.

@Murasaki: qui non sono d’accordo, temo. I legami che sfiorano l’annullamento delle differenze tra generazioni pongono un interrogativo importante e di fondo non sono del tutto sani. All’epoca erano considerati « normali », ribadendo così la pretesa inferiorità intellettiva delle donne, di fatto prigioniere in rapporti profondamente diseguali. Cosa può dire di sensato una sedicenne a uno che ha il doppio della sua età, una sua vita, una sua attività professionale? Ma non era un’epoca che rispettasse molto l’identità femminile...
Per quanto riguarda il caso singolo di Jo, ovviamente la cosa è declinata alla March, il che è interessante in sé e per l’intreccio narrativo che suscita, cioè l’autrice non le fa sposare uno con cui non ha proprio niente da dirsi e magari si prende anche una compensazione del proprio passato, se è vero che lo sposo raffigura un (secondo?) suo idillio incompiuto. Oggi sembrerebbe normale che Jo, cresciuta, cercasse e trovasse un’intesa sessuale e intellettuale in un coetaneo conosciuto da grande. All’epoca sarebbe stato « troppo »? Per lungo tempo si sono rappresentate le donne autonome e istruite come tarpate nella femminilità, seriose, tutte intelletto, austere, goffamente missionarie. L’autrice, che non è scema, sfugge agli aspetti più caricaturali di questa rappresentazione. Si trattava di controllare la sessualità di donne diventate troppo « come un uomo » per essere socialmente riconosciute « anche » donne, cumulando il potere di entrambi i sessi.
Ovviamente con potere intendo il potere degli uomini di condurre la propria vita e quello da sempre attribuito alla sessualità femminile di rappresentare un disordine dai tratti eversivi da tenere sotto tutela e controllo, cromosomico, generazionale e sociale.

Comunque: anche per motivi di cui ti dirò credo sia giunta l’ora di prendere in mano questo romanzo, cosa che senza questa discussione non avrei fatto. L’edizione di Einaudi 2006 è affidabile? In biblioteca c’è quella. (-:

Murasaki ha detto...

@ Pellegrina:
Com'è giusto non far dire agli altri quel che non hanno detto, forse andrebbe anche preso in considerazione il fatto che un legame intergenerazionale non è necessariamente malsano solo perché tu hai stabilito così. Di fatto, si sono spesso visti casi in cui nel matrimonio c'è una notevole differenza di età tra coniugi e (ciò nonostante? Appunto per questo?) il matrimonio funziona benissimo; e per come la vedo io un matrimonio fatto di buon genio dagli sposi va bene comunque, a prescindere.
Baher ha diverse caratteristiche, insisto, oltre al fatto di avere parecchi anni più di Jo: è povero (e infatti per qualche tempo i due disperano addirittura di riuscirsi a sposare, e ce la fanno solo perché zia March, da bravo motore immobile, ci mette una pezza.
Inoltre coltiva idee stravaganti, che sono poi le stesse della sua signora. Non a caso, fino a quel momento Baher non si è mai sposato: perché era povero (ma un sacco di gente povera si sposa) ma anche perché non aveva trovato la classica "donna giusta per lui". E la stessa Jo che si sposa ormai non più giovanissima (dovrebbe andare sui 28 anni quando succede) non si è sposata appunto perché non aveva mai trovato un uomo che le andasse a genio.
Comunque sì, credo sia tempo che tu ti legga almeno i primi due romanzi, che sono davvero piacevoli e moraleggianti (nonché piacevoli appunto perché moraleggianti) ^__^

Murasaki ha detto...

@ Pellegrina, again:

E già che ci siamo: ho visto che sul blog di Mel avevi espresso interesse per la discussione su Antigone e il diritto: la conferenza che ho ascoltato è su Radio radicale:
https://www.radioradicale.it/scheda/552860/presentazione-del-libro-di-marta-cartabia-e-luciano-violante-giustizia-e-mito-con

e riguarda, appunto, un intero libro dedicato alla questione e scritto da Violante e Cantabria in collaborazione.

Ma di questo libro Radio radicale si è occupata più volte quando uscì, e all'apposita scheda troverai ben SEI eventi vari, di lunghezza variabile:
https://www.radioradicale.it/cerca?search_api_views_fulltext=Antigone+e+violante&raggruppamenti_radio=All&field_data_1%5Bdate%5D=&field_data_2%5Bdate%5D=

nell'eventualità che tu desideri cimentarti con qualcosa di un po' più stringato ^__^

La ricerca è stata fatta con la stringa "Antigone Violante"

Pellegrina ha detto...

Murasaki
Grazie per le indicazioni su Antigone.
Per la lettura dato che ne sai più di me la quadrilogia Einaudi 2006 è integrale e accettabile? Se comincio li leggo tutti.
L’idea che i legami che alterano rapporti tra generazioni abbiano tendenzialmente qualcosa di poco sano non è assolutamente mia, che non ne ho nemmeno esperienza diretta, viene piuttosto dalla psicoanalisi. Anche se in questo momento non ho il nome di un autore sottomano, tenterò di informarmi più precisamente.

Murasaki ha detto...

La versione Einaudi è quella che ho letto di recente, e a tratti mi ha lasciato perplessa. E' senz'altro integrale, ma è stata fatta al massimo negli anni 70, probabilmente anche prima. Credo che quella Rizzoli (altrettanto integrale) sia più moderna e qui c'è qualcuno (Minty? Lurkerella? Qualcun altro?) che sta leggendo appunto quella.
Quanto alla psicanalisi, come tutte le correnti di pensiero è stata ed è figlia dei suoi tempi e dunque non tutto quel che dice si deve necessariamente prendere per oro colato, credo.