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venerdì 1 maggio 2020

La torre di Babele - Antonia S. Byatt


Passano gli anni, la Byatt si prende il suo tempo ed ecco che nel 1996, ovvero 11 anni dopo Natura morta, arriva il terzo romanzo della quadrilogia.
Questa volta Frederica Potter è il personaggio centrale intorno cui ruota tutta la vicenda.
Sono passati otto anni dalla dolorosa conclusione di “Natura morta” e da sei Frederica è sposata e madre di un bel bambino. Anche per lei, come per la sorella, il matrimonio e soprattutto la maternità ha significato la fine degli studi e la contrazione del vocabolario, ma stavolta la volontà del marito ha avuto una parte determinante in questo e Frederica non riesce a trovare una particolare felicità che faccia da contrappeso a questa rinuncia. In pratica: il matrimonio si è rivelato un errore, e da quel matrimonio appare sempre più chiaro che è necessario liberarsi. Del resto, liberarsi da un matrimonio sbagliato che ha bloccato il processo di crescita è una tappa del tutto indispensabile per ogni protagonista femminile in una storia ambientata negli anni 60 e 70: visto come l’unico sbocco possibile per una ragazza di belle speranze, l’istituzione matrimoniale si presenta ben presto come una trappola, una tagliola, una prigione da cui è indispensabile uscire per ricominciare a vivere.
Liberarsi da un matrimonio però non è affare di poco conto, soprattutto quando il marito è decisamente contrario, e disposto a dimostrare questa sua mancanza di disponibilità nel più tagliente dei modi. In tanti han ricordato, davanti a una determinata scena, il brano Careful with that axe, Eugene dei Pink Floyd che in verità uscì nel 1968, cioè qualche anno dopo la scena in questione. Non saprei dire se il riferimento, per quanto implicito, sia voluto, ma è certo che il brano risuona nelle orecchie di chi legge, specie se il lettore è inglese.
Per divorziare si va in tribunale, naturalmente; e in contemporanea si va in tribunale anche per il processo a La torre del balbettìo, un romanzo di impianto assai spregiudicato e dalla tesi di fondo ancor più spregiudicata, accusato di oscenità - e dietro quest'ultimo processo incombe l'ombra del processo per oscenità all'Amante di Lady Chatterley, che infatti viene più volte ricordato; ed entrambe le sentenze segnalano in modo assai evidente che i tempi, nel bene e nel male, stanno cambiando.
I processi si prendono dunque una bella fetta dl romanzo, ma il vero tema conduttore del libro è la parola: sotto forma di grammatica e di insegnamento, come vediamo seguendo i lavori della commissione governativa istituita appunto per decidere il peso che l’insegnamento della grammatica deve avere nella scuola e le varie correnti di pensiero che in quegli anni si confrontano in merito; la parola come mezzo di diffusione del pensiero, anche di un pensiero tutt’altro che ortodosso, come avviene negli scritti letterari di quegli anni rappresentati ne La torre del balbettìo che richiama sin dal titolo le leggendarie vicende della torre di Babele; e infine la parola come mezzo di sussistenza: proprio grazie alla sua dimestichezza con le parole (oltre che alla rete di amici intellettuali che la sostiene con atti, pensieri e, appunto, parole) Frederica accumula una serie di lavori e lavoretti scarsamente redditizi che le permettono comunque di sopravvivere insieme al figlio: e così la vediamo insegnare letteratura inglese a giovani ed adulti e redigere schede di pubblicazione di manoscritti per una casa editrice un po’ di nicchia il cui proprietario è comunque ben deciso a partecipare al movimento di trasformazione culturale che segna l’Inghilterra negli anni ’60 - tra l'altro accollandosi la pubblicazione de La torre del balbettìo pur rendendosi perfettamente conto delle incognite che presenta tale pubblicazione (e delle grane che puntualmente arriveranno).
Come negli altri romanzi della quadrilogia c’è dunque molta letteratura, molto Lawrence (ma anche parecchio Forster) e, a sorpresa, anche parecchio Tolkien - un autore tra l'altro molto amato dal marito di Frederica. Si parte de Lo hobbit, che Frederica legge al suo bambino come libro della buonanotte, ma abbondano riferimenti a Tolkien come fenomeno editoriale, e al Signore degli Anelli come libro che influenza tutto l'ambiente letterario, talvolta come tormentone, fino ad arrivare alla scena finale dove appunto una rappresentazione ispirata a Tolkien viene bruscamente interrotta. E, in mezzo a tutto ciò, ampi stralci de La torre del balbettìo - romanzo ovviamente stracolmo di richiami letterari di tutti i tipi, ma anche il racconto a puntate che la compagna di appartamento di Frederica inventa per intrattenere un gruppo di bambini - un racconto fantasy, stavolta, ma non troppo tolkieniano.
Frederica ascolta, impara, sperimenta come sempre - in una vita sentimentale che non sarà priva di sviluppi imprevedibili (cosa del resto abbastanza prevedibile) - ma soprattutto si ritroverà a prendere in mano la sua vita e a darle pian piano una forma per lei accettabile nonostante (o grazie a) la presenza che il figlio le impone risolutamente e dal quale, si rende conto infine, lei non potrebbe stare lontana esattamente come lui non può stare lontano da lei per quanto ami suo padre.
Nonostante le complicanze della trama, una incredibile quantità di lumache che imperversano con rara invadenza e il cospicuo numero di personaggi, il romanzo è costruito con tale abilità che la lettura risulta davvero scorrevole, tanto che mi tenne gran compagnia e mi fu di notevole aiuto in uno dei punti più critici della malattia.

Con questo post partecipo al Venerdì del libro di Homemademamma, ritornato felicemente in salute dopo i problemi della scorsa settimana, e auguro buone feste di fine reclusione a chiunque passi di qua.

4 commenti:

acquaforte ha detto...

Come sai raccontare tu un libro.......
Della Byatt io ho cominciato un romanzo, Possessione. Avevo visto il film, mi era piaciuto molto, soprattutto per gli attori, Aaron Eckhart e la Jennifer Ehle che era stata Elizabeth Bennet jn Orgoglio e Pregiudizio, edizione BBC del 1995.

Non credo di averlo finito, ho trovato un segnalibro a pag 370. Il romanzo ha un impianto giallo molto coinvolgente ma credo di essermi persa ad un certo punto tra il passato e presente. Come dici tu, la scrittrice non fa sconti a nessuno e la parte letteraria del passato e del presente rende pesante la lettura. Ci gioca molto ed è molto brava a farlo.
Dovrò riprenderlo in mano.

Fatevi i Gatti Vostri ha detto...

Mi fa piacere ti sia garbata la Biatte. Dani me la consigliò ma so svogliata e co na stoia addosso che mi lessa l' idee e ho prencipiato solo l primo. Intanto so dietro a nfiascà Dantonne e le Donne n bilico. Fra n po' so pronti.
Un abbraccio e grazie de complimenti che m'hai fatto
Zanza

Murasaki ha detto...

@ Acquaforte:
Sembra che tutti abbiano adorato Possessione e lo preferiscano di gran lunga alla quadrilogia - almeno su Anobii raccontano così. Io, non so perché, non mi sento la minima inclinazione a provare a leggerlo - anche se immagino che prima o poi un tentativo lo farò, almeno per onore di bandiera. La quadrilogia però mi è piaciuta davvero molto ^_^

@ Esserino (in realtà Zanza):
Grazie per i film! Però dovresti provarci sul serio, con la quadrilogia. Almeno come romanzo storico è impagabile - anche se l'inizio non è dei più accattivanti, almeno per le prime 50-80 pagine. Dopo va giù che è una meraviglia.

Pellegrina ha detto...

Faccio parte degli adoratori di Possessione, mentre non sono riuscita a leggere nient’altro di Byatt, e bizzarramente mi dà l’idea che si tratti di un libro che dovrebbe piacerti molto: epoca, personaggi, intrigo, divagazioni difficili, qui sotto forma di poesie in stile vittoriano, simboliche, allusive e del tutto incomprensibili ai mortali di oggi, ma che divengono molto più chiare una volta svelati gli intrecci biografici (forse è questo che non ti invoglia?), ritmi, più dei dettagli che non dico ma dovrebbero esserti affini. È una macchina di letteratura perfetta come poche, con una scena culminante che unisce il giallo al Falstaff sotto la quercia e ai racconti gotici, risolta in chiave di ricerca storico-letteraria. Rapinoso.
Ovviamente penso tutto il Jackson possibile del film, banalizzazione hollywoodiana di qualsiasi frizione sociale e di ogni complessità del romanzo e del suo stile. Da non vedere!
Pensa che ero alle terme sull’Amiata per una settimana e avevo regalato quel libro a chi mi accompagnava, il quale ci visse in simbiosi mollandolo solo per un tuffo nella vasca scoprendo poi con estrema delusione all’uscita dalla vasca medesima che qualcun altro lo aveva trovato così avvincente da portarselo via. Passò il resto del tempo in crisi d’astinenza, finché tornati a casa riuscii a ricomprarglielo.