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venerdì 15 maggio 2020

Una donna che fischia - Antonia S. Byatt


Nel 2002, a cinque anni di distanza da “La torre di Babele” Antonia Byatt pubblica il quarto romanzo della quadrilogia dedicata a Frederica Potter, che in Italia arriverà solo nel 2006. Come nel primo La vergine nel giardino l'azione si svolge in un solo anno, ben preciso. Il 1968, guarda un po'.
Il titolo, ci spiega l'autrice, viene da un detto che recita Una donna che fischia e una gallina coccodè – dice l'uomo – non piacciono né a Dio né a me; non è che il lettore, dopo averlo saputo, ne capisca molto più di prima - salvo considerare che Frederica non piace necessariamente a tutti: perché è una donna che fischia, cioè che si mette in mostra senza aspettare permessi dagli altri? O che fischia e fa sentire alta la sua voce che lo si voglia o no? Oppure che poiché fischia risulta inevitabilmente fuori dal coro, discutibile e discussa?
Forse per un inglese il titolo è più chiaro; o forse no, perché con la Byatt l'intreccio dei riferimenti è sempre piuttosto complesso - l'unico autore così stratificato che conosco è Pratchett (Joyce non l'ho mai letto, forse anche perché mi mancavano troppi addentellati).
Ci sono comunque delle donne che fischiano, nel romanzo - cioè, non proprio donne, entità femminili, piuttosto: le temutissime Fischianti, protagoniste delle ultime pagine della lunghissima storia che Agatha, la convivente di Frederica, inventa per i loro figli nelle domeniche pomeriggio ormai da molti e molti mesi: dopo averle sentite a lungo menzionare con terrore da chiunque incrocino,  finalmente i protagonisti riescono a incontrarle, e per quanto temute queste Fischianti si rivelano in realtà piuttosto ospitali. Il racconto finisce poco dopo questo incontro, con grande delusione dei bambini e degli altri ascoltatori che col tempo si erano accumulati nel salotto delle due donne. Il racconto finisce, sì,  ma ricomparirà nel corso del romanzo, perché Agatha lo mette su carta, lo invia a un editore che lo pubblica senza dargli gran peso... per poi ritrovarsi tra le mani un grandissimo best seller. Cose che capitano, nell'editoria, e Tolkien, nominato a spizzichi nel corso della storia,  ne sa qualcosa.

Il romanzo si snoda su tre diversi fili conduttori, destinati a intrecciarsi nel finale. Frederica è più o meno la protagonista, certo, e in qualche modo tiene insieme la trama, ma non come personaggio dominante, quanto piuttosto grazie a una curiosa trasmissione televisiva che le affidano - una di quelle trasmissioni da salotto che negli anni 80 hanno fatto capolino anche da noi, dove tre personaggi di una qualche celebrità commentano un tema e un paio di oggetti avviando percorsi di conversazione assai vasti in una cornice salottiera. Perché Frederica ha una caratteristica invidiabile a chi lavora o vorrebbe lavorare in televisione: la telecamera non le fa paura, e riesce a far scorrere la trasmissione senza dominarla né esserne dominata.
Ma veniamo ai tre fili che compongono la parte principale della trama: c'è l'Università, la cara e solida e tradizionale Università, col suo rettore dotato anche di una certa apertura verso le novità, che organizza un articolatissimo congresso sui rapporti tra corpo e mente; e poi c'è una sorta di Controuniversità organizzata tra l'altro anche da un ramo di studenti sovversivi dove si sguazza in quella che di lì a qualche anno verrà chiamata cultura New Age: pensiero alternativo, droghe, nuove percezioni, astrologia, incontri con altre culture, musica... I due universi paralleli quasi convivono perché la sede della Controuniversità, una struttura molto leggera a base di tendoni e roulotte, prende forma proprio ai margini dei terreni dell'Università. E si guardano con ostilità apparentemente moderata e una certa civiltà.
Nella stessa zona troviamo poi... una comunità? Una comunità a sfondo religioso? Una comunità a sfondo religioso con tocchi di fanatismo sempre più appariscenti? Sì, insomma, una setta. Non nasce come setta, naturalmente, lo diventa, in modo impercettibile... sempre meno impercettibile... e verso la fine diventa è che la vena di follia che la attraversa è molto consistente. 
In quella setta si nasconde una infiltrata: una giovane antropologa intrufolatasi sotto mentite spoglie per osservare. I suoi resoconti occupano una buona parte del romanzo; lunghe lettere dettagliatissime scritte a un esterno che non risponde mai e non dà cenno di vita, scopriremo poi perché: e il suo silenzio trasporta sia l'antropologa che il lettore in una sottile dimensione di angoscia che con l'andare dei capitoli è sempre meno sottile. Quanti capi carismatici può avere una setta? Di solito uno basta e avanza, ma qui ce ne sono due, e uno dei due è un capo carismatico involontario che segue un percorso interiore di cui la setta è solo un aspetto secondario, e che completerà a modo suo. Due distinti capi carismatici quando già uno solo basta a far impazzire un gruppo di persone che si isolano sempre più dal mondo rappresentano una combinazione decisamente rischiosa, e viene il momento in cui il povero lettore si sente davvero preoccupato. Ma non ci sono solo due capi carismatici, ci sono anche due osservatori interni: l'antropologa, certo, ma anche un medico che finisce per ritrovarsi (o finalmente riesce) ad essere travolto da tutto l'insieme.
L'Università, la Controuniversità e la setta contengono ognuna alcuni dei personaggi della quadrilogia. I tre mondi finiranno naturalmente per scontrarsi in vari modi, e alla fine sulle macerie i protagonisti - molti dei quali non hanno mai avuto la benché minima intenzione di scontrarsi con alcunché - si ritroveranno per tirare le fila e continuare la loro esistenza, e con grande sollievo del lettore l'antropologa ne esce viva e in buona salute e con abbondante materiale per costruirsi un nuovo titolo accademico. 
Quanto a Frederica, non è mai stata in pericolo e se la cava benissimo, ma ha ancora molte avventure da vivere e da giocare.
Un romanzo dedicato a uno snodo nascosto della storia, quel 1968 spesso citato a sproposito, dove successero molte cose ma le più importanti non hanno una data a cui aggrapparsi. E in tutto il romanzo, dove ogni tanto si continuano ad affacciare Tolkien e Lawrence e Lewis Carroll in un gran gioco di specchi non c'è una sola riga dedicata ai Beatles, anche se parecchi dei personaggi fanno musica.
Abbiamo però una coppia di gemelli, che un po' si amano, un po' si odiano e si intromettono con gran forza l'uno nella vita dell'altro - e tu guarda la combinazione (che forse è una combinazione davvero, vai a sapere) si chiamano Paul e John.

Con questo post ai limiti dell'incomprensibile, dedicato a un romanzo che non sono sicura di aver capito ma che di sicuro ho molto apprezzato, partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma in un fine settimana che promette grandi piogge e che quindi mi riserverà molte ore di lettura, alla faccia della didattica a distanza di cui comincio sinceramente ad essere assai stufa. 

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