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venerdì 11 ottobre 2019

La signora di Wildfell Hall - Anne Brontë

Il secondo e ahimé ultimo romanzo di Anne Brontë si intitola, in inglese The Tenant of Wildfell Hall; tradotto vorrebbe dire "L'inquilina di Wildfell Hall", che sembrerebbe pure un titolo perfettamente accettabile per qualsiasi editore sensato, e anche molto pertinente perché in effetti la protagonista indiscussa del libro è proprio la signora che ha preso in affitto un po' di stanze (restaurate) in un'oscura e diroccata magione chiamata appunto Wildfell Hall e situata in una non meglio definita contea inglese. Aggiungo che magari chi legge in inglese può restare incerto all'inizio perché "tenant" come tutti i sostantivi inglesi è unisex, ma già a pagina sei viene svelato senza infingimenti che si parla di una donna.
Gli editori italiani comunque hanno stabilito che quel titolo proprio non gli piaceva.
La prima edizione, della Capitol nel 1965, opta per La misteriosa signora Graham
che volendo è un po' ingannatore perché la signora Graham non si chiama affatto così e gira sotto pseudonimo, come il lettore comincia a sospettare abbastanza presto visto che si presenta fin dall'inizio come creatura assai misteriosamente misteriosa. Comunque per un bel po' è l'unica edizione italiana (salvo forse la BUR grigia, di cui comunque nn ho trovato traccia in rete) e a giudicare dal numero delle pagine è anche completa. 
Questo è quanto finché non si muove Frassinelli, trentadue anni dopo. Nel 1997 arriva dunque una nuova traduzione sotto il demenziale titolo de Il segreto della signora in nero, che mi sembra adattissimo a far scappare qualsiasi lettore a gambe levate quando l'autore indicato in copertina non sia Ponsoin du Terrail, perché dà l'idea di un polpettone incredibilmente polpettonato. A tutto ciò si aggiunge una copertina che c'entra veramente il giusto 
visto che la bella addormentata ivi raffigurata indossa solo una camicia da notte molto chiara.
Ad ogni modo non mi lasciai distrarre né dalla copertina né dal titolo delirante e mi fiondai subito sul volume, ben felice di poter finalmente leggere il secondo romanzo di Anne Brontë di cui avevo tanto sentito parlare, ma solo in inglese perché in Italia di Anne Brontë non si occupava nessuno. L'edizione si esaurì nel corso degli anni e la conoscenza del romanzo rimase forzatamente limitata a pochi eletti fin quando, nel 2014 se ne occupò Neri Pozzi, con una copertina di singolare bruttezza e molto inquietante e un titolo un po' più fedele all'originale ma piuttosto fuorviante
perché il lettore è portato a pensare che, oltre ad abitare a Wildfell Hall, la protagonista ne sia anche proprietaria invece che inquilina, e non è affatto la stessa cosa.
Ultima, nel 2016, arriva la Newton, che mantiene il titolo di Neri Pozzi e ci mette una copertina un po' balorda (la protagonista ha i capelli neri, non rossi) ma che per lo meno non fa venire gli incubi

Probabilmente costa anche un po' meno della Neri Pozzi, considerati i prezzi piuttosto stracciati della Newton.
Resta da capire cosa ci sia di così impresentabile nella parola "inquilina" nel titolo di un libro, ma si sa che gli editori son gente strana e quelli italiani più degli altri, sospetto. Ma in qualsiasi edizione lo leggiate resta sempre un ottimo romanzo anche se spezza il cuore - e del resto il fatto che spezzi il cuore indica che è bello e ben scritto.
Wildfell Hall (chiamiamolo così che si fa prima) uscì nel 1848 ed ebbe un tale successo che Anne riuscì a scrivere la prefazione alla seconda edizione prima di morire di tisi nel 1849 - prefazione che rispondeva alle solite critiche che venivano fatte spesso ai romanzi delle sorelle Brontë: linguaggio troppo diretto, contenuti crudi - e, naturalmente, inadatti a una donna. Al che l'autrice ha buon gioco a rispondere che proprio non si sa spiegare perché le stesse cose scritte da un uomo vadano bene e scritte da una donna siano sconvenienti.
Ufficialmente secondo la critica è un romanzo dedicato al cupo tema dell'alcolismo e rielaborato dalle esperienze del fratello di Anne, Branwell - che effettivamente morì proprio per l'abuso di alcool. Di alcool nel romanzo si parla parecchio, senza dubbio, ma se per questo anche di gioco d'azzardo, orge e altre dissolutezze. La storia però è imperniata assolutamente e totalmente sulle vicende di Helen ed è incentrata soprattutto sulla lenta dissoluzione di un matrimonio d'amore finito male che più male non si potrebbe. Charlotte racconta che la sorella sentiva il dovere morale di scriverlo appunto per mettere in guardia i lettori contro l'abuso di alcool ma che scriverlo la depresse molto e le costò molta fatica - ma Charlotte, quando parlava dei romanzi delle sorelle, diceva spesso cose piuttosto strane e non sappiamo quanto fosse in buona fede. È senz'altro credibile però che Anne abbia sofferto raccontando la tristissima vicenda di Helen, anche se poi le regala un lieto fine. Di sicuro io ho sofferto leggendola.
Di nuovo troviamo il tema assai caro ad Anne del mercato matrimoniale cui erano sottoposte le ragazze di buona famiglia; mentre nei romanzi di Jane Austen regna l'idea che una ragazza che sappia regolarsi e all'occorrenza riesca a resistere a pressioni indebite possa addivenire a una felice unione basata sulla stima e sull'affetto reciproco, dai romanzi di Anne appare chiaro che la pressione sulle ragazze è troppo forte perché questo avvenga: il modo in cui sono gestite le circostanze nella buona società è sbagliato in partenza e solo una colossale dose di fortuna può permettere a una ragazza bella e in possesso di un buon patrimonio di stringere una unione che non sia in partenza destinata a esisti disastrosi, mentre una ragazza non particolarmente provvista di grazie e di patrimonio può cavarsela molto più facilmente - anche perché le viene lasciata maggior possibilità di regolarsi per conto suo purché in qualche modo si procuri un marito e insomma le pretese sono meno irragionevoli.
Per l'appunto Helen è bella, molto bella - ce lo garantisce sin dalle prime pagine il narratore, dichiarandolo in proprio ma anche testimoniando la gelosia che altre giovani donne provano nei suoi confronti - e ha dei beni da ereditare sia dal padre che dagli zii senza figli che l'hanno allevata. Questa disastrosa combinazione le assicura due terribili corteggiatori: un vecchio libertino e un non troppo giovane uomo di una seriosità insopportabile che la ama contro la sua (di lui) volontà e si ripromette di redimerla dalla sua giovanile frivolezza. Entrambi hanno un solido patrimonio che garantisce loro il diritto ad aspirare alla sua mano e la tengono sotto stretto assedio. La povera Helen registra sul diario che entrambi le fanno venire il latte alle ginocchia o peggio e che lei in società si annoia a morte perché si ritrova sempre quei due appiccicati peggio che della colla di pesce, e non può mai dedicarsi a cercare qualcuno che potrebbe piacerle davvero, e cita un paio di ragazzi che le sembravano piuttosto interessanti e che le sono stati tenuti lontano con gran cura perché erano figli cadetti e quindi non avevano accesso a un patrimonio che la autorizzasse a dedicargli parte del suo tempo (e che magari, vai a sapere, sarebbero stati ottimi mariti).
Che succede a questo punto? Succede che Qualcuno rompe l'assedio, naturalmente - e questo Qualcuno è di famiglia troppo buona e di patrimonio troppo rispettabile per essere apertamente scacciato, anche se non piace ai due zii, che parteggiano apertamente per il corteggiatore pedante senza riuscire a capacitarsi che Helen non si renda conto di com'è adatto a lei.
Helen punta i piedi e resiste, con una forza d'animo davvero ammirevole considerando che la pressione è davvero forte; ma tutto ciò le rende ancor più dolce e appetibile il Qualcuno che è riuscito a intrufolarsi, che non può essere scacciato apertamente e che oltretutto è tanto bello quanto piacevole di modi.
La zia le spiega variamente che il Qualcuno non è un partito raccomandabile perché ha dei precedenti di dissolutezza. Anche un cieco può vedere chiaramente come la faccenda è destinata a finire: Helen lo sposerà con la granitica convinzione di riuscire a redimerlo, anzi con la certezza che non ci sia nemmeno granché da redimere e che alle spalle il bel giovine abbia soltanto qualche passo falso dettato dall'ardore della giovinezza e di cui la maggior parte della colpa spetta in realtà alle cattive compagnie e a una famiglia che lo ha trattato troppo freddamente (il padre) e troppo viziato (la madre).
Volendo la faccenda si può vedere anche in un altro modo: Helen è perdutamente innamorata e lo sposa perché non riuscirebbe a sopravvivere senza di lui, e tutto il resto son dettagli.
Il lettore però vede il bel giovane un po' scapestrato con occhio non alterato dalla passione e percepisce delle note stonate. Si rende conto che il sentimento c'è, anche da parte di lui, ma nota anche un paio di aspetti che Helen rifiuta costantemente di vedere: il bel giovane scapestrato gioca con la ragazza come il gatto col topo, ed ha una vena di prepotenza che tradisce  una singolare indifferenza per i sentimenti altrui. In pratica: è quel tipo di persona che fa il cazzo che gli pare e gli altri si impicchino pure - non esattamente il Perfetto Marito, viene da dire.
Il matrimonio va benissimo per i primi mesi, si regge decentemente per un paio di anni nonostante tutto, anche perché nel frattempo arriva un delizioso figlioletto (che il viziatissimo marito percepirà come un rivale) fino a sfaldarsi sempre più, lentamente e dolorosamente. Helen passa tutte le fasi della cecità e delle scuse possibili e immaginabili, ma gradualmente e inesorabilmente in lei si fa strada la certezza di essersi messa in trappola con le sue mani e di avere di sua libera volontà sposato una persona moralmente tarata e per cui  non riesce a provare altro che un generico affetto, e alla fine nemmeno quello.
A quel punto cercherà una via di scampo, non tanto per lei (è consapevole dei suoi errori ed è disposta a scontarli) ma soprattutto per il bene del bambino su cui l'influsso del padre si sta rivelando davvero deleterio. Lo strano è che riuscirà a trovarla, questa via di scampo, o meglio a costruirsela, aggirando leggi, convenzioni e ostacoli materiali di consistente rilievo.
Tanta determinazione non può andare sprecata ed ecco apparecchiato per lei un nuovo matrimonio, che si rivelerà ben più felice del primo, anche perché è nato da una scelta consapevole e non viene ostacolato da considerazioni economiche: Helen è di nuovo ricca alla fine del romanzo, ma anche indipendente e libera da condizionamenti e illusioni e sceglie sì guidata dalla passione, ma alloggiando tale passione in ben più meritevole oggetto.
Insomma, un romanzo di formazione dove la protagonista impara dai suoi errori e supera le illusioni dettate dalla giovinezza e dall'inesperienza.

Quali sono i punti di forza di questo romanzo? Moltissimi, direi. Una vicenda decisamente originale dietro le apparenze - ad esempio nel fatto che l'eroina non sia una vergine insidiata ma una donna adulta che è scappata da un matrimonio infelice e ha trovato il modo di costruirsi una nuova esistenza guadagnandosi da vivere per sé e per il figlioletto. La descrizione dolorosa di come una donna di rispettabile intelligenza si possa volontariamente consegnare legata mani e piedi all'uomo sbagliato. La descrizione ancor più dolorosa della consunzione di un amore sincero e profondo, con dietro l'impressione che sarebbe bastato poco nei primi tre anni a fermare la dissoluzione dell'amore e a fare di quel matrimonio una unione felice. Una descrizione dolorosamente spietata delle dipendenze e delle "cattive compagnie" - ognuna cattiva a modo suo, ma Helen è riuscita a sposare l'uomo più debole del gruppo, specializzato nel farsi sempre portare dalla piena e risoluto a risparmiarsi sempre la fatica di prendere in mano la sua esistenza. Una gelida descrizione di quell'ossessione per il denaro che è la rovina di tante povere ragazze in una società molto moralistica e assai poco morale. L'elenco dei molti nomi dell'amore. Una trama molto ben costruita, con un continuo gioco di specchi e di rimandi: situazioni simili che portano a esiti diversi, situazioni apparentemente diverse che portano a esiti simili, convenzioni letterarie a volte rispettate e a volte no, sentimenti sinceri che sono in realtà trappole insidiose, sentimenti vissuti sinceramente che sono in realtà raffinati inganni... Anche descrizioni molto, molto accurate di scene di dissolutezza dove il peso delle convenzioni ma soprattutto la debolezza giuridica femminile impedisce alle donne che vi si trovano incastrate di difendersi se non con l'unica possibile tattica del "fare finta di niente" e scappare appena possibile, e sotto questo aspetto mi ha ricordato un po' Evelina.
Il lieto fine, per quanto un po' allungato (o forse proprio perché un po' allungato) scioglie in ultimo la tensione e lascia il lettore un po' scosso, molto stranito ma tutto sommato racconsolato. E' un romanzo cupo, angosciante e crudele ma si legge volentieri, molto volentieri, rubando il tempo agli amici e alle faccende di casa e allestendo improbabili scuse per ritagliarsi una serata libera e spengere la luce due ore più tardi anche se domani sarà una giornata faticosa.
Caldamente consigliato, non fa differenza se nella vostra vita esterna in quel momento siete allegri o infelici o stressati, il romanzo vi avvolgerà come una calda coperta e vi isolerà dall'ambiente esterno. 

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma, salutando con dispiacere Anne Brontë e rimandando per il momento l'incontro con Emily (non di molto, comunque). Lurkerella, dove sei?

8 commenti:

Hermione ha detto...

E io che pensavo di aver letto tutto il leggibile delle sorelle Bronte, scopro (con gioia) che qualcosa mi è sfuggito. Non conoscevo proprio questo romanzo e rimedierò presto. Certo magari eviterò l'edizione con in copertina la donna con gli occhi come i vampiri di Twilight. 😅

Anonimo ha detto...

È sempre un piacere leggere le tue recensioni. Devi essere una prof fantastica!
Paola

Anonimo ha detto...

Sembra davvero un gran romanzo. In effetti, in genere, la Neri Pozza editore, della mia città, anzi, addirittura di proprietà di un intellettuale della mia città ormai defunto che era un conoscente di mia madre, ha la tendenza a pubblicare materiale molto interessante, in effetti però la copertina è alquanto inquietante... Bridigala

Murasaki ha detto...

@ Hermione e Bridigala:
Sulla copertina non potrei essere più d'accordo - tanto più pensando che ha richiesto un certo lavoro di progettazione, scelta ecc. e di solito le copertine Neri Pozzi non sono male. Quanto al romanzo, è veramente bello, e infatti in Inghiterra mi risulta sia tenuto in gran considerazione. Insomma, almeno sanno che esiste!

@Paola:
Grazie! ❤️❤️❤️

Anonimo ha detto...

Ecco Lurkerella! Non riesco a farmi pubblicare i commenti che scrivo sul cellulare, ma leggo sempre con gioia le cose che scrivi, e aspettavo queste recensioni. La mia cara Anne Brontë merita più fama, ma temo che senza un film/sceneggiato di successo e con attori adeguatamente bravi e piacenti ci sia poco da fare. Del resto anche per me i primi contatti con le sorelle Brontë, la Austen e la Garkell sono passati attraverso la tv, con serie tv o vecchi film - qualcuno ricorda il Darcy di Olivier? O il suo Heatcliff.
La signora in nero che paga l'affitto* a Wildfell Hall è uno dei miei libri preferiti in assoluto, desolato e aspro com'é - anche il nuovo fidanzato all'inizio è un coglione, e il suo lieto fine deve sudarselo. Anche le coppie collaterali sono interessanti. L'avevo trovato in biblioteca, quasi trent'anni fa, ma sono riuscita a comprarlo solo l'anno scorso, nell'edizione Neri Pozza. Le copertine insulse o brutte sono la prassi, ma trovo quelle della Newton particolarmente repellenti, tanto che le fodero sempre con carta da pacchi, e anche i titoli tradotti in modo assurdo abbondano. Ortolani, per i film, postula l'esitenza del malvagio dio Uottefak, probabilmente anche i titolisti dei libri lo venerano!
*con soldi duramente guadagnati perché la dote se l'è tenuta il marito

la povna ha detto...

Mi accodo buona ultima per dire che è davvero un gran romanzo, migliore senza dubbio di Agnes Grey e, a mio avviso, anche di una prima timida prova di Charlotte come The Professor. Aggiungo che secondo me alcune intuizioni di Anne furono fatte proprie, e anche ripercorse ampliandole, da Wilkie Collins in alcuni dei suoi romanzi, e persino da George Eliot (onestamente, con maestria inarrivabile) in Daniel Deronda. Eliot che, a questo punto, se già non l'hai adocchiata, ti consiglio caldamente.
Aggiungo solo che di film (per la TV) ce ne sono stati non uno, ma due, di cui l'ultimo, con Rupert Graves (https://www.imdb.com/title/tt0115387/), del 1996, sospetto che sia stato concausa del ritorno di interesse per riedizioni e traduzioni.

Anonimo ha detto...

Ah, la BBC! Fa sempre tante belle cosine e qui non arriva quasi niente, anche Northanger Abbey l'ho comprato su amazon, in inglese coi sottotitoli in inglese, che nervi. Non ricordo di avere letto niente di George Eliot, ma non vuol dire, mi ero dimenticata di aver letto Villette. Di Collins ho tentato di leggere La Pietra di Luna - una palla micidiale. Però credo che se avessi letto Daniel Deronda me lo ricorderei. Grazie da Lurkerella

Murasaki ha detto...

@ Lurkerella:
Commentare il mio blog sta diventando impresa sempre più complessa, lo so, e non posso farci niente. Ma visto che Anne Brontë ti stava a cuore (giustamente) mi sarebbe dispiaciuto che tu non avessi letto i miei post su di lei, visto che ion Italia se ne parla davvero poco. Probabilmente dipende dal fatto che i film di cui parla la pèovna qui non sono mai arrivati in italiano, ed è un peccato.
Ricordo benissimo Laurence Oliver: sarebbe stato un perfetto Darcy se gli avessero dato una sceneggiatura decente, ed è stato un perfetto Heathcliff nonostante tutto anche se avrei torto volentieri il collo agli sceneggiatori del film - anche se lì quella che aveva davvero ragione di lamentarsi era la povera Merle Oberon, che hanno trasformato in una signorina dabbene senza nessun legame con Catherine che dabbene non era proprio per niente. E non mi è piaciuto nemmeno l'ultimo film che hanno fatto su Jane Eyre.
Se la Pietra di Luna non ti è piaciuta non so se avresti apprezzato gli altri romanzi di Collins. O forse sì? Potresti provare forse con "Senza nome" (che non credo sia più in commercio, ma ho visto che stanno pubblicando tutto Collins, credo con Neri Pozza o con Fazi.

@ la Povna
Leggendo Anne Brontë anche a me è tornato in mente Wilkie Collins (appunto con "No name") e anche Daniel Deronda. Credo sia il tema del matrimonio infelice ma anche della legge inglese sul matrimonio dove, fino a una certa data, la sposa non aveva più diritti sulla sua dote. Su quel tema è basato anche una buona parte della seconda metà di Cime Tempestose.
Il dio Uottefak per i romanzi vittoriani lavora parecchio, almeno in Italia!