Foto di gruppo della Compagnia prima della partenza
Al momento di formare la Compagnia dell'Anello, Tolkien avvisa Elrond che questo è un sequel de Lo hobbit, col risultato che gli unici personaggi veramente nuovi rispetto al romanzo precedente sono i due uomini.
La Compagnia è multirazziale (sì, con Tolkien possiamo parlare di razze senza essere scientificamente scorretti, anche se probabilmente lui ci spiegherebbe che sono comunque tutte nate da Iluvatar e che farne una scala gerarchica non avrebbe senso perché ogni razza ha i suoi pregi e i suoi difetti) e in teoria dovrebbe comprendere rappresentanti di tutti i popoli liberi della Terra di Mezzo, ma scopriremo poi che non è così; del resto, invitare anche un Ent sarebbe stato un problema, viste le distanze e i problemi di comunicazione con le zone al di là delle montagne, anche se probabilmente Legolas avrebbe assai gradito.
Abbiamo dunque quattro hobbit, due dei quali imparentati con Bilbo che tutti hanno conosciuto di persona (Pipino meno degli altri, essendo ancora un bambino quando Bilbo lasciò la Contea), e tutti e quattro conoscono la Cerca di Erebor come se l'avessero fatta loro.
Abbiamo dunque quattro hobbit, due dei quali imparentati con Bilbo che tutti hanno conosciuto di persona (Pipino meno degli altri, essendo ancora un bambino quando Bilbo lasciò la Contea), e tutti e quattro conoscono la Cerca di Erebor come se l'avessero fatta loro.
Poi c'è lo stregone, Galdalf, che la Cerca di Erebor l'ha fatta per davvero e addirittura in buona parte organizzata e diretta. Al fianco porta la spada elfica Glamdring, trovata per l'appunto durante la Cerca e "compagna della spada Orcrist che giaceva ora sul petto di Thorin sotto la Montagna Solitaria" - una frase cupa, che sembra anticipare le cupe ombre di Moria e i suoi ancor più cupi abissi di fuoco, e che ci ricorda Thorin - che della Cerca di Erebor era stato uno dei principali protagonisti ma che a questa particolarissima impresa, che consiste nel perdere irreversibilmente un tesoro invece di ritrovarlo, contribuisce solo con la cotta che ha regalato a Bilbo.
Poi ci sono il Nano e l'Elfo. Nel vasto assortimento di Elfi di cui dispone Gran Burrone, tutti di altissimo lignaggio e di grandi poteri ma che per la Compagnia sarebbero utili quanto la tradizionale bicicletta per un pesce, viene scelto l'unico che ha un qualche vago legame con la Cerca, anche se nel romanzo precedente non è mai comparso (probabilmente perché l'autore non aveva ancora pensato a crearlo): Legolas, il figlio di re Thranduil di Bosco Atro, che non tarda a dimostrarsi ben più gentile e simpatico del padre, e assai più aperto di vedute.
Infine Gimli il Nano, anche lui collegato alla Cerca. E' il figlio di Gloin, uno dei tredici nani della spedizione che però, in tutto il romanzo precedente, non ha fatto o detto niente di particolare e che cominciamo a conoscere solo quando si presenta a Frodo durante il banchetto.
Certo, anche Gloin è un discendente di Durin e parente di Thorin Scudodiquercia (ramo laterale); ma ci si sarebbe forse aspettati di vedere un figlio o nipote di Balin, il nano più amico di Bilbo nel romanzo. Gloin, chi se lo ricorda? E cosa ha fatto durante la Cerca per farsi ricordare?
Comunque sia, Gimli al momento è l'unico nano di età abbordabile per partecipare alla missione (l'assortimento dei nani di Gran Burrone è molto ridotto, e in verità solo l'accortezza del romanziere permette che ce ne sia almeno uno candidabile per la Compagnia). Non sappiamo se ha chiesto di partecipare o se gli è stato offerto, in ogni caso accetta con consapevolezza e si dimostrerà fedele e leale, oltre a rivelarsi un eccellente amico per tutti. Forse perché non è un nano sperso in un gruppo di tredici nani, nessun lettore ha mai la minima difficoltà a ricordarsi di lui.
Per me, che ho letto Il Signore degli Anelli prima de Lo Hobbit, è stato il primo nano - e dopo aver conosciuto lui, devo ammettere che i nani della Cerca di Erebor sono stati una delusione: Gimli ha certamente più costanza, più forza d'animo, più lungimiranza e maggior sensibilità di tutti loro messi insieme, e certo non deve arrivare al letto di morte per farsi venire il sospetto che, forse, gli amici hanno un valore non inferiore all'oro e alle gemme; anzi, dà l'impressione di saperlo già prima della partenza.
Come capirà subito Galadriel.
2 commenti:
Già, Gloin chi se lo ricorda, hai ragione. E poi, chi legge Lo Hobbit dopo, proprio in onore di quel gran Nano di Gimli cerca nel testo le gesta e le parole di suo padre quasi automaticamente, rimanendo, invece, un po' deluso...
Ma niente di grave, credo. In fondo neanche nella vita reale i Grandi lo sono per nascita.
Sì, Linda, è successo anche a me. Non solo Gimli ma anche tutte le storie collegate ai nani nel Signore degli Anelli (il Mirolago, le porte di Moria con quella scritta amichevole, le storie su Durin) non sono molto compatibili con quei tredici nani che partono alla ventura senza minimamente preoccuparsi di come affrontare il drago (un grosso punto debole, come osserva Bilbo quando la questione è serenamente scaricata su di lui). Credo che le Appendici sul popolo di Durin cerchino di mediare un po' la questione.
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