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venerdì 15 giugno 2012

I miei insegnanti - Il prof. Pesce


Amo spesso raccontare che alla SSIS non ho imparato quasi nulla che mi sia poi servito in cattedra. Il prof. Pesce fa parte di quel quasi, e anzi ne costituisce la parte principale. Lo abbiamo incrociato nell'Area Trasversale - quello strano e soporifero corso composito che ci doveva istruire su diritto scolastico, storia della didattica, pedagogia, psicologia e simili e dove la nostra preoccupazione principale era arrivare il più tardi possibile, andar via il prima possibile e firmare sia in entrata che in uscita.
La sua lezione fu per me molto interessante. Scrivo "la sua lezione" anche se in apparenza ne fece una il primo anno e tre al secondo, ma in realtà ripetendosi parecchio. Con quel che ci disse complessivamente si sarebbe potuto mettere insieme una bella lezione di tre ore, comprensiva di intervalli e quarti d'ora accademici. Ricordo anche che ci diede una bibliografia di quattro suoi articoli che erano in realtà lo stesso testo fatto col copia-e-incolla ma cambiando l'inizio, la fine e qualcosina qua e là. Dal momento che non era uno stupido mi sono sempre chiesta se davvero sperava che non ci accorgessimo che i suoi articoli erano uguali (tanto più che ci aveva anche consegnato le fotocopie) oppure se li aveva segnati tutti per darci la possibilità di rimpolpare la bibliografia e farci fare più scena, o infine se non gliene fregasse niente di niente di quel che eventualmente avremmo pensato. Non escludo che la terza possibilità sia quella giusta.

Con lui si parlò di scuola: delle problematiche di gestione di una classe, di come impostare una lezione, cose così. Niente massimi sistemi e Approccio Ideale con l'Insegnamento, niente metafisica - solo un po' di banale scuola, ovvero il nostro futuro lavoro.
Ci spiegò il concetto di Zona di Apprendimento Prossimale, di cui a nessuno era venuto in mente di parlarci (anche perché contrastava pesantemente con la Didattica a Moduli che la SSIS di Firenze teneva in gran conto): in pratica, una lezione non doveva essere troppo facile, sennò i ragazzi si annoiavano a morte, né troppo difficile, sennò si sperdevano e si scoraggiavano. Doveva partire da un breve riepilogo del punto cui eravamo arrivati, proseguire UN PO' oltre, ma non troppo, dare un spizzico di anticipazione su quel che sarebbe arrivato in seguito ed essere infine sottoposta a un certo qual riepilogo per controllare cosa era arrivato agli alunni e in che misura. Doveva far riferimento a cose che i ragazzi  in parte già sapevano e fargli attivare il cervello costruendo collegamenti possibile verso quel che ancora non sapevano. Inoltre la lezione doveva tenere conto dei tempi di attenzione fisiologici degli esseri umani e avere le sue zone di pausa - diciamo di "respiro"; gli stimoli andavano scelti con cura per non disperdere l'attenzione in rivoli inconcludenti, i punti-chiave andavano ripetuti ed evidenziati in vari modi.
Più o meno istintivamente anch'io (come gran parte degli insegnanti) avevo sempre puntato in quella direzione, ma a tastoni. Dopo la sua spiegazione teorica ho imparato a calibrare molto meglio i tempi e a diffidare assai di quando il suono della mia bella voce, musicale e ben impostata, si sente troppo a lungo (un segnale preoccupante, per esempio, è quando smettono di interromperti per fare domande).
Altra cosa su cui insistette era il fatto che i ragazzi apprezzavano molto gli insegnanti che riuscivano ad organizzare la programmazione "in grandi arcate", così come apprezzavano quegli insegnanti che sapevano tenere il loro posto e farli stare al loro: "ricordatevi che vogliono il professore, non un amico. Gli va benissimo che siate un professore". E anche questo contrastava vivamente con quel che ci veniva detto da tutti gli altri insegnanti, che invero sembravano avere le idee un po' confuse in merito; in realtà non c'è motivo per cui un insegnante non possa essere una figura anche molto amichevole, di quelli che appena entra alla classe gli si allarga il cuore, di quelli cui ti rivolgi nei momenti di sconforto se hai un problema che con la scuola non c'entra nulla - ma deve essere comunque un insegnante, non solo un buon confidente o un allegro compagno di merende; anzi, il fatto di essere un insegnante lo rende per ciò stesso piò credibile come confidente o compagno di merende. Ma sto divagando paurosamente.

Insomma, il prof. Pesce, unico di quello strampalato team, sembrava consapevole del fatto che entravamo nelle scuole in primo luogo per insegnare, e a quello andavano finalizzati i nostri sforzi, e che era opportuno che lo facessimo con criterio. Il mondo che ci descriveva era un mondo concreto, terra terra. Passare durante gli intervalli davanti ai bagni riduceva gli episodi di bullismo, per esempio ("Che accidente c'entrano i bagni?" mi domandai mentre spiegava. Poi ho cominciato a passarci davanti, ai bagni degli alunni, durante l'intervallo, e da allora ho imparato molte cose). Non spiegare per più di venti minuti filati. Usare un certo numero di parole nuove per ampliare il lessico degli alunni, in modo graduale. 
Ripeto, tutte cose terra terra. Ma utili.
Qualcuna la sapevamo già, qualcuna chi già insegnava l'aveva intuita, a tastoni. Molte erano scritte, in un italiano orrendo e indigeribile, nella copiosa e illeggibile bibliografia che ci avevano assegnato all'inizio dell'anno (e che nessuno guardò prima di mettersi a scrivere le tesine, salvo lo stretto indispensabile per spilluzzicare qualche frase da inserire a mo' di citazione). Ma a nessuno degli altri insegnanti era venuto in mente  di farci una sana, banale e metodica lezione di base, comprensibile, ben organizzata e ben costruita sull'arte di fare lezione in classe.
Forse, nessuno di loro la sapeva fare?

2 commenti:

melchisedec ha detto...

Ottimi consigli quelli del prof. Pesce. Spesso proprio da chi crediamo di non potere imparare nulla provengono lezioni concrete, non fumose, libere dalle liane delle ideologie cui si aderisce consapevolmente o no.

Mi pare utile la ZAP, che talvolta sottovaluto, procedendo a ruota libera.

la povna ha detto...

Saper insegnare una serie di basi del saper insegnare non ha prezzo. E proprio per questo dai pedagogisti è spesso sottovalutato. Ho avuto la fortuna di avere in Uncle Rhemus, il mio maestro, un esempio di questo sapere molto artigianale e concreto.
Ma, soprattutto, l'anno in cui insegnai nel prefabbricato ai Cuccioli, di avere un sacco di utilissimi insegnamenti in questo senso da Snape. Ne ho fatto tesoro e sono stati, nel tempo, sempre più preziosi.

(Anche Barbie, quando ti dà consigli didattici, è molto così).