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venerdì 10 marzo 2017

Harry Potter e il Calice di Fuoco - J.K. Rowling

Ho scelto la copertina della prima edizione perché, caso davvero raro, è fedele alla storia: il Calice è una semplice coppa di scorza di legno con fiamme blu, che a un certo punto rivela di contenere il nome di Harry Potter, e lo stesso Harry è avvolto per buona parte della storia da una gran tristezza.
C'è poi il risvolto di copertina, che di solito dovrebbe contenere un po' di trama ma che stavolta lo contiene davvero - caso pressoché unico nell'editoria italiana:
"Harry Potter vuole davvero essere un normale mago di quattordici anni. 
Ma, sfortunatamente, Harry non è normale - nemmeno come mago. E stavolta la differenza può essergli fatale".
Su queste frasi rimasi a lungo a meditare, in libreria, incubando la decisione di procedere infine all'acquisto. Pochi giorni dopo feci la mia primissima supplenza, che si concluse con un alunno che mi esortò caldamente a leggere Harry Potter perché mi sarebbe piaciuto molto. In effetti non aveva avuto torto, scoprii alla supplenza successiva quando mi feci prestare i primi volumi dai nuovi allievi.
Arrivata alla fine del terzo successe un intoppo: l'alunno che doveva prestarmi il Calice era a casa con l'influenza e dunque non poteva prestarmi alcunché.
Saputa la triste notizia mi fiondai in libreria appena uscita di scuola e procedetti infine all'acquisto. Quando l'influenzato tornò, tre giorni dopo, avevo già finito il Calice in questione, ma con estrema pudicizia non dissi niente in proposito, limitandomi a prendere il libro che mi porgeva (e che gli riportai una settimana dopo senza quasi averlo toccato) e a ringraziarlo.
Entrai così nel tunnel di chi aspettava ululando alla luna l'Ordine della Fenice, che nei due anni che seguirono andò facendosi sempre più affollato - anche perché nel frattempo erano arrivati i primi due film che rilanciarono i libri che rilanciarono i film - e insomma furono due anni in cui l'unico modo per non sentir parlare di Harry Potter era rifugiarsi in una stanza insonorizzata, senza televisione, radio, Internet né giornali di qualsiasi tipo, e rigorosamente da soli.

Chiusa la parte autobiografica potrei magari dire qualcosina sul libro, che è molto bello ma soprattutto dotato di una scioglievolezza particolarissima che te lo fa andare giù come acqua di fonte. Ancora un capitolo, sì, ancora un capitolino... comincio quello successivo ma poi chiudo... posso smettere quando voglio - eccetera eccetera.
E' l'ultimo anno in cui Harry accetta le cose come vengono, affidandosi con totale fiducia agli adulti di sua scelta - e tanta fiduciosa fiducia culminerà in un vero disastro. Stavolta Silente è il capo indiscusso e assoluto di Hogwarts dall'inizio alla fine dell'anno, senza Dissennatori tra i piedi o genitori del Comitato che vogliono la chiusura della scuola; ma commette un errore enorme di cui si rende conto solo a poche pagine dalla fine e che segna una svolta decisiva nella vicenda.

Per la prima volta il volume non si apre con Harry che si annoia dai Dursley ma in un paesello di campagna dove c'è una villa un po' abbandonata ma anche qualche strana creatura che...
Più avanti abbiamo la solita tumultuosa partenza da casa Dursley, la finale della Coppa del Mondo, un paio di giorni in campeggio, un impeccabile viaggio sull'Hogwarts Express, la notizia del Torneo Tremaghi, l'arrivo delle delegazioni delle due scuole straniere, un nuovo e interessante insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, tanto colore locale... Tutto procede a meraviglia fino a pagina 233, quando dal Calice di Fuoco esce il nome del quarto concorrente del Torneo Tremaghi. Da quel momento la vita di Harry si trasforma in un letto di spine e una costante malinconia (spesso accompagnata da una notevole ansia che facilmente si trasforma in paura) lo accompagna lungo una serie di esperienze decisamente agre. La grossa crisi finale non schiarirà l'aria, e anche se il libro si chiude in un atmosfera di dolce rassegnazione il volume successivo ci mostrerà un ragazzo molto più spigoloso di quel che siamo abituati a vedere.

Di nuovo il Trio entra in crisi: per più di un mese Ron rompe con Harry, e la mediazione di Hermione non basterà - solo un drago riuscirà a schiarire le idee di Ron e riconciliarli.
In seguito anche Ron ed Hermione hanno svariate divergenze, principalmente per causa di uno degli stranieri, giovane promessa internazionale della magia ma anche del Quidditch. Il lettore segue con un certo divertimento le contorsioni mentali di Ron, ma ogni tanto si domanda perché Hermione non lo strozza, punto e basta. La risposta sembrerebbe che quei due sembrano destinati a finire insieme ma che Ron non lo ha ancora capito a livello conscio (della serie "va bene essere duri, ma ci dovrebbe essere un limite a tutto").
Scopriamo com'è stato il tempo delle purghe dopo la scomparsa di Voldemort: indagini decisamente spicce, processi sommari, esecuzioni capitali come se piovesse, lacerazioni profonde anche dentro le singole famiglie - insomma, scopriamo che, una volta sconfitti i cattivi, i buoni non semore si sono dimostrati molto buoni; veniamo poi a sapere che Piton è stato in passato un Mangiamorte, anche se cambiò idea all'ultimo momento, e che in tanti raccontarono ai vari tribunali che erano passati al Lato Oscuro perché costretti dalla maledizione Imperius e qualcuno di loro venne anche creduto - la famiglia Malfoy, per esempio - e soprattutto che, anche se sono passati tredici anni, molte ferite sono ancora aperte.

Hermione è la prima del Trio che si apre verso l'esterno e comincia a valutare la struttura e le regole del mondo magico. La prima e più grossa ingiustizia che le salta agli occhi è quella perpetrata ai danni degli elfi domestici, ignobilmente sfruttati e abilmente condizionati ad amare questa loro condizione di sfruttamento. Dobby sembra essere un caso a parte (e forse i Malfoy sono stati dei padroni particolarmente insopportabili?) ma vediamo come tra elfo domestico e padrone si sviluppa spesso un legame di dipendenza decisamente morboso.
Il tentativo di Hermione di sensibilizzare i maghi sullo sfruttamento degli elfi domestici cade nel vuoto, inizialmente - anche perché lei stessa, così ragionevole e razionale, fatica a capire i legami morbosi cui la schiavitù può indurre sia gli schiavi che gli stessi padroni. Tuttavia, ascoltando le micidiali lamentele di Winky mi è sempre tornato in mente una coppia di versi di Omero sulla schiavitù: Zeus / che vede ogni cosa, leva a un uomo metà del suo valore /se il giorno della schiavitù lo coglie*. 
Aggiungo che ho sempre visto delle notevoli somiglianze tra la sindrome di Stoccolma di cui sembrano soffrire gli elfi domestici e alcuni aspetti della condizione femminile nel mondo occidentale.
(Comunque, all'unico elfo domestico che gli ha chiesto di essere pagato ed avere dei giorni liberi Silente ha offerto condizioni di lavoro assai dignitose. Troppo dignitose, anzi, e l'elfo le ha assai ridimensionate prima di accettare).

Anche stavolta la lista delle new entry è lunga e corposa:
- Alastor Moody, detto Malocchio che impariamo a conoscere sotto vari aspetti: è il nuovo, abilissimo e un po' impressionante professore di Difesa Contro le Arti Oscure, non ha paura di scendere nel concreto quando fa lezione... e odia i Mangiamorti in libertà. Ha le sue ragioni, va detto.
- Wilhelmina Caporal (Grubbly-Plank nell'originale): insegnante supplente di Cura delle Creature Magiche, si rivelerà più avanti anche un ottima veterinaria.
- la rappresentanza della scuola di magia Durmstrang del Grande Nord, con il suo preside Igor Karkaroff, un mago antipatico, stizzoso, rompiscatole e, in definitiva, molto pauroso. Con i suoi bravi motivi per esserlo, questo sì.
- la rappresentanza della scuola di magia Beauxbatons dall'assolata Franscia, guidata dalla preside Madame Olympe - una signora dalle ossa grandi, un po' come Hagrid.
Viktor Krump, campione scelto dal Calice per Durmstrang: un ragazzo perennemente accigliato e dall'apparenza non molto amichevole, molto bravo a Quidditch. Purtroppo, nei libri successivi sarà sottoutilizzato, con mio grande rimpianto.
- Fleur Delacour, campionessa scelta dal Calice per Beauxbatons. All'inizio guarda tutta Hogwarts dall'alto in basso ma col tempo impara ad apprezzarne molti aspetti, inclusi i visitatori, e decide di restare un po' in Inghilterra per ameliorare il suo inglese.
- Rita Skeeter, giornalista. Personaggio molto interessante ma non dei più amabili, e se mai le fosse capitato di guardare un basilisco negli occhi il poverino sarebbe senz'altro rimasto pietrificato senza speranza di riaversi mai più.
- Narcissa Black, sposata Malfoy: la madre di Draco, nonché cugina di Sirius; una bella signora, ancora giovane, un po' sdegnosetta.
- Bellatrix Black, sposata Lestrange, sorella di Narcissa Malfoy. Mangiamorte della porima ora, assolutamente non pentita. Ha anche un marito, Rodolphus Lestrange, ma costui non è esattamente una figura di primo piano.
- Winky, elfa domestica. Un essere lamentoso e perennemente con le lacrime in tasca, che si lascia andare alla deriva invece di brindare con il migliore champagne perché il suo antipaticissimo padrone l'ha vestita, ovvero allontanata dal servizio. Più avanti scopriremo che la sua situazione è più complessa di quanto può sembrare a prima vista, ma resta comunque (e resterà nei volumi successivi) una grandissima e lamentosissima palla.
- Tutti gli elfi di Hogwarts, ovvero quelli che mandano avanti la baracca e lavorano per tutti, e mai un cane che si ricordi di dirgli grazie.
- Il popolo del lago: sirene, tritoni e un sacco di altra gente non troppo rassicurante, ma che va d'accordissimo con Silente. Purtroppo anche loro avranno un ruolo abbastanza marginale nei libri successivi.
- Nagini, grosso serpente da latte (?!?) molto importante per Voldemort.
- il Veritaserum, ovvero una pozione che ti costringe a dire la verità. Difficilissima da fabbricare, ma Piton ne tiene con sé una buona scorta.
- il Pensatoio: un bacile di pietra con sopra incise molte rune, pieno di una sorta di gas liquido, dove si possono travasare ricordi e riguardarli. Per quanto se ne sa, esiste solo quello di Silente. 
- le Passaporte, ovvero un altro dei molti modi di viaggiare usati nel mondo magico. Ci vuole molta abilità per confezionare una Passaporta, ma in compenso puoi farla con qualunque oggetto, anche vecchio e logoro, e chi toccherà quell'oggetto potrà andare solo e soltanto in un determinato posto. 
- Il negozio Tiri Vispi di Fred e George Weasley. Al momento è solo un idea, un progetto, quasi un sogno. Nel corso del romanzo andrà prendendo forma finché Harry gli darà una concreta possibilità di esistere.
- Il Marchio dei Mangiamorte, che vediamo per la prima volta stagliarsi in cielo composto da tante stelline verdi, ma che compare anche su diverse braccia: un teschio con un serpente che gli esce dalla bocca. E' il marchio che caratterizza i Mangiamorte, e quando fa la sua prima comparsa nel romanzo non si vedeva più da tredici anni (con grande rimpianto di alcuni e grande sollievo di altri).

Da questo romanzo è stato tratto un film dagli effetti speciali assai scintillanti ma slegato nella trama, con pochissimo Viktor Krum e senza l'ombra di un elfo domestico né di Tartufo. Particolarmente infelice anche la scelta di Fleur (alla faccia del fascino magnetico!). 
La scena dei gemelli Weasley che cercano di passare la linea dell'età e vengono ornati di una lunga barba in perfetto stile ZZ Top era molto carina, come pure l'entrata del Ballo del Ceppo, con Cedric e Cho e Hermione con Krum: 

In effetti sono le uniche che ricordo, a parte un lunghissimo e noiosissimo duello col drago dove vengono distrutti i tetti di mezza Hogwarts senza alcuna necessità. Purché si fosse letto il libro con cura, o ci fosse con noi qualcuno che lo aveva letto per riempire i buchi della trama, era comunque un film che si lasciava vedere abbastanza volentieri.

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a tutti una bella giornata e un caldo e luminoso fine settimana di primavera.

*Odissea, XVIII, 324-26

giovedì 9 marzo 2017

Parlando dell'8 Marzo il 9 Marzo (e pure in tarda serata)


In realtà mi sarei adattata di buon grado a scrivere questo post anche ieri, e molto volentieri l'avrei fatto se la connessione non fosse stata assai sfuggente per tutto il pomeriggio. A sera invece funzionava benissimo, peccato che io avessi a quel punto il primo evento mondano dell'anno, ovvero andare in pizzeria con le vicine a festeggiare l'8 Marzo e, nel mio caso, anche una convalescenza ormai decorosamente avviata.
La pizza era buona (e ne ho mangiati quasi due terzi oltre all'antipasto che comprendeva un  prosciutto tanto roseo quanto squisito), la compagnia molto piacevole e la conversazione  
non comprendeva il più vago accenno alla questione femminile, ma tutte abbiamo ricevuto un rametto di mimosa come segnaposto.
Dopo questa premessa occorre comunque ammettere in tutta onestà che la condizione femminile italiana al momento non è delle più esaltanti, soprattutto per quel che riguarda le nuove leve.
Per qualche motivo che sfugge del tutto alla mia debole mente infatti la classe imprenditoriale quasi al gran completo sembra convinta che l'Italia possa uscire da questa misteriosa entità chiamata Crisi buttando sistematicamente nel cassonetto dell'organico la metà delle risorse umane e intellettuali, ovvero quelle femminili, e non solo quelle presenti, ma anche e soprattutto quelle future.
Il bombardamento mediatico cui vengono sottoposte le nuove generazioni ha qualcosa di sbalorditivo nella sua monotonia, e per neonate, bambine, fanciullette e ragazzine solo tre questioni sono meritevoli di attenzione: abbigliamento&accessori (possibilmente rosa), amore e maternariato, maniacale attenzione verso il proprio aspetto fisico - il tutto sotto l'inquietante ala dell'essere o non essere zoccola, questione oggi considerata con estrema serietà dalle nuove leve in questione.

Fin qui non ho detto assolutamente nulla di nuovo, né lo dirò più avanti.
Ma mi domando: la scuola non potrebbe fare qualcosa per spezzare questa barriera di spine che imprigiona i giovani cervelli colpevoli di essere nati dalla parte sbagliata?
No, non sto parlando di Grandiosi Interventi Didattici in occasione dell'8 Marzo (che possono comunque essere fatti, e non mordono); né di Grandiosi Laboratori sul diritto allo studio e all'emancipazione per le donne del terzo mondo (che dovrebbero comunque essere fatti, e poche storie); né di Pensosi Interventi di Esimi Psicologi sull'Importanza di Apprezzarsi Per Quel Che Siamo (che si possono fare, certo, ma se non son fatti veramente bene secondo me lasciano assolutamente il tempo che trovano).  
Sto parlando dei piccoli, banali interventi che gli insegnanti fanno ogni giorno in  classe.Perché a noi, soprattutto a noi, è affidata la cura dei giovani cervelli in divenire. Non  è da noi che le nostre alunne impareranno ad essere belle o eleganti, ma in effetti non ci pagano per questo: ci pagano perché ognuna di loro diventi consapevole di avere una  mente brillante e destinata a ben altro che a lavare piatti e passare l'aspirapolvere in camera di maschi 
troppo svagati per farlo loro - e che questa mente brillante non è destinata in alcun modo a intralciare le loro più frivole inclinazioni né ad esserne intralciata.

Così, ecco un picciol gruppo di domande che ogni insegnante dovrebbe farsi ogni tanto, specie prima dei Consigli di Classe:
1) Sono abituato/a a valutare il cervello e la capacità di apprendere dell'alunna X indipendentemente dal suo grado di frivolezza, da quanto si trucca e da come si veste? O accetto da lei prestazioni mediobasse che trasformo in sufficienti, convinto/a che tanto non possa fare di più?
2) Al Consiglio o in Sala Insegnanti, passo più tempo a commentare l'abbigliamento delle mie alunne o la loro variegata vita sentimentale, piuttosto che il loro profitto?
3) Valuto con due scale diverse la condotta di maschi e femmine, partendo dal postulato che le femmine sono più tranquille mentre i maschi sono comunque più agitati? (non mentite: la risposta è quasi sempre SI')
4) Quando faccio i classici esempi tratti dalla vita quotidiana, do per scontato che la mamma lava i piatti mentre il babbo guarda la partita? Provo mai a mettere la mamma a leggere un libro o giocare a biliardo mentre il padre lava i vetri?
5) In qualità di insegnante di Arte, mi sono ricordato di spiegare il Grande e Definitivo Motivo per cui prima del XIX secolo, quando la pittura diventò attività facilmente praticabile con un cavalletto e una valigetta di colori comprati già fatti, le pittrici si contano sulla punta delle dita di una mano?
6) In qualità di insegnante di Scienze Motorie, ho parlato mai di come fino a qualche decennio fa l'attività fisica, specialmente all'aperto e in squadra, era considerata piuttosto sconveniente per le fanciulle e sulle resistenze avanzate dai comitati olimpici, nazionali e internazionali ad accettare le più varie discipline femminili? E del trattamento ricevuto dalle (pochissime) donne che nonostante tutto sono riuscite ad accostarsi alla Formula 1?
7) In qualità di insegnante di Italiano o di lingue straniere, ho fatto molta molta molta attenzione alla scelta delle letture, evitando come la peste quelle paternaliste o eccessivamente ricche di stereotipi?
8) In qualità di insegnante di Italiano mi sono limitata a prendere atto che le ragazze scrivono meglio e sanno analizzare meglio i loro sentimenti mentre i ragazzi preferiscono gli argomenti pratici o ho preso a calci (didatticamente parlando) gli uni e gli altri finché i maschi non hanno imparato a descrivere decorosamente quel che pensano e sentono e le femmine non hanno sviluppato un linguaggio preciso senza svicolare dall'argomento principale per rifugiarsi in un mondo di nuvolette e cuoricini?
9) In qualità di insegnante di Italiano ho studiato con attenzione e con cura la questione del femminile delle cariche più importanti, ricordando di spiegare ai miei allievi che al momento c'è un po' di confusione e diverse possibilità ma che è abbastanza probabile che ben presto l'italico orecchio si abituerà alle temutissime parole sindaca, ministra, avvocata* nonché ad altre consimili?
10) In qualità di insegnante di Matematica, sono sicuro/a di essermi arreso/a dopo lo stesso numero di tentativi quando a non capire proprio la materia  erano un maschio o una femmina?
E soprattutto:
11) Mi sono ricordato/a di ricordare alle mie alunne che un giorno potrebbero presiedere il Consiglio dei Ministri o la stessa Repubblica? E magari prima l'uno e poi l'altra?

*quest'ultima peraltro in uso dalla notte dei tempi come testimonia il Salve Regina

lunedì 6 marzo 2017

Peter Pettigrew (Peter Minus, nella vecchia traduzione) ovvero scegliere tra rancore e paura


Nel momento in cui Silente spiega ad Harry che aver permesso a Peter Minus di salvarsi è un azione che potrebbe portare frutti anche molto positivi, il pensiero di qualsiasi lettore di Tolkien corre alla celebre conversazione dove Gandalf assicura a Frodo che la pietà di Bilbo potrebbe cambiare il corso di molti destini, dando per scontato che il topastro avrà un ruolo importante nello scioglimento della vicenda, come lo ha Gollum nel Signore degli Anelli.
Ma, si scoprirà, non è così che funziona: Gollum è un personaggio che fin dall'inizio si dimostra pericoloso, e più avanti mostra segni di una certa grandezza: non solo sa sempre cavarsi dagli impicci ed è molto abile sia nel cacciare che nell'eludere la caccia, ma mostra una forte evoluzione spirituale, arrivando quasi a pentirsi, sa mentire, sa frodare, sa fare seri danni, ama l'Anello di un amore maniacale e selvaggio ma certamente profondo. Il lettore lo odia, ama odiarlo, odia averlo a tratti in simpatia, a volte quasi lo ama... 

Peter Minus invece è un povero diavolo, dal terzo al settimo volume - una creatura patetica ma talmente ignobile che è difficile provare una sia pur vaga scintilla di compassione per lui. Bilbo risparmia Gollum per pietà e perché non vuol colpire senza necessità, Harry salva Peter Minus dal giusto furore di Sirius perché Peter Minus gli fa completamente schifo ed è convinto che suo padre non avrebbe voluto che Sirius o Remus si macchiassero di assassinio solo per sopprimere costui - e lo risparmia, sì, dalla morte immediata, ma con l'idea di mandarlo ad Azkaban perché se c'è qualcuno che merita di stare laggiù è proprio lui - opinione che, a quanto mi risulta, nessun lettore ha mai criticato o censurato in alcun modo.

Sappiamo che sin dall'inizio il rapporto tra i quattro Malandrini non è alla pari: sono amici, ma Peter è in posizione subordinata e subisce il fascino degli altri con dolorosa umiliazione. D'accordo, sono ferite che possono scavare nel profondo, ma da lì a giustificare un tradimento come quello di Peter Minus ce ne corre.
Peter tradisce gli amici, andando a spiattellare il nome del custode dell'Incanto Fidelius a Voldemort, un po' per rancore e molto per paura.
"Lui... Lui stava conquistando tutto! Che... che cosa c'era da guadagnare a dirgli di no?" prova a giustificarsi con Sirius, Remus e i ragazzi.
L'eterno lamento dei codardi e dei collaborazionisti. Cosa c'era da guadagnare a opporsi?
Solo qualche vita innocente, gli ruggisce Sirius in risposta (e anche un po' di decenza personale, lascia intendere).
Altri sono accorsi da Voldemort perché condividevano le sue idee, amavano il Lato Oscuro della Forza, erano affascinati da lui o erano affamati del potere che gli avrebbe dato. Invece Peter Minus (ma non è l'unico) passa dalla parte di Voldemort per paura. Allo stesso modo per paura farà accusare Sirius di strage (non senza avere ammazzato dodici persone), trascorrerà dodici anni con gli Weasley in forma di topo, passerà un anno a perdere il pelo per paura di Sirius quando scoprirà che è fuggito da Azkaban, tornerà per paura da Voldemort alla fine del terzo volume perché non sa dove altrimenti andare.
E Voldemort lo sa benissimo, e non dimentica mai di rinfacciarglielo. Non c'è ombra di gratitudine né di rispetto in lui verso quel miserabile topastro, e lo tratta con minor riguardo di quello che il più menefreghista dei padroni può avere per il suo elfo domestico.
Usa Peter Minus come lacché, balia asciutta, tirapiedi, infermiera e attinge tranquillamente al suo sangue per la resurrezione senza una parola di ringraziamento. Quando non gli serve più lo parcheggia da Piton, che lo considera con altrettanto freddo disprezzo.
Per tutto il tempo Peter Minus continua ad avere paura: paura di Voldemort, di Nagini, di Piton, di Bellatrix, dell'aria che respira...

Sul finire della storia, quando Harry è nelle sue mani e gli ricorda di averlo risparmiato, la sua coscienza - o forse solo quel legame che si è creato tra i due quando Harry lo ha graziato - manda un pallido segnale, e risparmia Harry permettendogli di liberarsi. Questo attimo di esitazione gli costerà la vita (Voldemort lo condannerà ad autostrangolarsi) ma J.K. Rowling non darà alcun risalto alla sua fine: la rapida scena è soffocata all'interno di una sequenza molto animata, e quasi scivola via tra cento e cento altre cose.
Non c'è riscatto né conversione per Peter Minus, e nemmeno il diritto a una paginetta di assolo, dove si dia al lettore uno straccio di motivo per ammirarlo o almeno soffermarsi su di lui con un po' di attenzione e di interesse. Peter Minus vive squallidamente e muore squallidamente, senza nessuno dei fuochi d'artificio che sigillano la fine di Gollum - e il lettore è contentissimo così, perché Peter Minus non lo sopporta nessuno.

Dunque il confronto con Gollum è improponibile; tuttavia, per il lettore italiano è evidente la somiglianza con un personaggio parimenti squallido e miserabile, ma messo in più modeste occasioni di fare del male (occasioni che comunque si ingegna di sfruttare al loro meglio): don Abbondio, il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, il cui motto, se decidesse di abbandonare l'immortale "se uno il coraggio non ce l'ha non se lo può dare", potrebbe benissimo essere "Che cosa avevo da guadagnare a oppormi?".
Pochi di noi avrebbero la tempra e la forza necessari per essere un Oscuro Signore, ma in quasi tutti noi sonnecchia un piccolo, miserabile, paurosissimo Peter Minus, ignobile, egoista e incapace di guadagnarsi un barlume di rispetto ai suoi stessi occhi. 
Pure, questa miserabile creatura un tempo si era conquistato l'amicizia degli altri tre Malandrini; il fatto di essere meno bello e meno brillante di loro non lo condannava affatto a un  esistenza miserabile. 
Come ci ricorderebbe Silente, sono state le sue scelte a fare di lui quello che è diventato.

venerdì 3 marzo 2017

Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban - J.K. Rowling


Il terzo libro è quello della svolta. Leggendolo scoprirete se siete interiormente potteriani o no: se alla fine dell'ultima pagina graffiate le pareti e date in escandescenze perché volete leggere il seguito subito, qui, immediatamente!, allora amerete tutto il seguito. Se invece chiudete il terzo volume di quella che è una gradevole o tollerabile lettura e nessun senso di entusiasmo o di attesa pervade il vostro cuore, allora conviene davvero che abbandoniate il coraggioso esperimento, smettiate di perdere tempo e vi dedichiate a letture o passatempi più consoni ai vostri interessi.

Il Prigioniero è un libro meno rassicurante e meno educativo dei precedenti: la società dei maghi mostra diverse crepe e i ragazzi riescono a far quadrare i conti alla fine solo infrangendo una quantità davvero notevole di regole e di leggi, comprese quelle del tempo.
La prima enorme crepa naturalmente sono i Dissennatori: esseri decisamente demoniaci, che si nutrono di felicità e buoni sentimenti umani. La prigione dei maghi inglesi (Azkaban, un isoletta spersa nei mari del Nord) è sorvegliata da costoro. Adesso che un detenuto è scappato, si sono messi a cercarlo. 
Naturalmente l'ultimo posto sulla faccia della terra dove simili creature dovrebbero stare, che cerchino o meno un prigioniero, è un college strapieno di fanciulli di rosee speranze, ma si dà il caso che tutti siano convinti che il prigioniero voglia attentare alla vita di Harry Potter. Solo con grande difficoltà Silente riesce a gestire questa scomodissima e non sempre controllabile presenza, che disapprova completamente ma che non può evitare. In compenso il ministro Caramel ha ampia possibilità di mostrare la sua singolare mancanza di spina dorsale davanti ai potenti, nonché una stupidità davvero notevole. 
E tutti sono molto preoccupati e protettivi con Harry ma nessuno gli spiega niente, però lui è ancora molto fiducioso negli Adulti Autorevoli e non insiste più di tanto, anche perché riceve ben presto un aiutino per cavarsi le curiosità da solo.

Il romanzo è in realtà proiettato verso il passato: non solo verso la notte in cui Harry riuscì misteriosamente a sconfiggere Voldemort, alla tenera e inconsapevole età di un anno, ma ancora più indietro, verso i tempi della giovinezza dei suoi genitori, quando anche suo padre era allievo di Hogwarts, e anche lui si era fatto un po' di amici: un adorabile, piccolo gruppo di amici un po' incoscienti, ma tanto simpatici (anche se non a Piton), comunque molto bravi negli studi. Silente un po' non vedeva, e parecchio fece conto di non vedere mentre le adorabili canaglie scorazzavano per Hogwarts infrangendo tutto il regolamento e ancor di più. Dentro la storia di questo gruppetto però è scritta la tragedia della famiglia Potter, e se molto viene detto su di loro, ben altro resta da dire per i libri futuri.
Sempre in tema di amicizia, per la prima volta il Trio si rompe e per molti mesi una frattura divide Ron da Hermione - che naturalmente è dalla parte della ragione, perché ha il Gatto, ma insomma si trova isolata dai due perché, anche per forza di inerzia, Harry preferisce stare con Ron pur non avendo avuto alcun contrasto con Hermione (che comunque è molto più irritabile del solito. Ci sarà un motivo?). 
Sarà però proprio Hermione a risolvere uno dei punti più delicati del finale, stavolta restando accanto ad Harry quasi fino alla fine.
Infine: tutti i romanzi di Harry Potter presentano almeno una sorpresa nel finale. A partire dal terzo volume queste sorprese diventano davvero notevoli, spiazzando regolarmente il lettore nonostante tanti piccoli indizi fossero stati seminati davanti a lui, rendendoli però scarsamente visibili con grande abilità. Dietro l'apparenza da impeccabile giallista inglese Rowling gioca decisamente sporco, con una tecnica degna di Agatha Christie - ed è quindi opportuno avvisare il futuro lettore che il fatto che un personaggio sia presente dal primo libro in un ruolo del tutto tranquillo non lo rende necessariamente innocuo.
La storia finisce nel complesso abbastanza bene: chi è innocente si salva, anche se sul momento non viene riabilitato, Voldemort non compare in scena (ma sappiamo che è dietro le quinte ad aspettare) e Harry ci guadagna un padrino che non sapeva di avere, ma perde il suo professore mannaro preferito per colpa dei pregiudizi del mondo magico -perché scopriamo che il mondo magico pullula di pregiudizi.

Veniamo alle principali new entry:
- l'adorabile e intelligentissimo gatto di Hermione, Crookshanks - assai impropriamente tradotto con Grattastinchi: sarebbe piuttosto un Imbrogliacaviglie, insomma uno di quei gatti il cui sogno è farti inciampare. Strofinoso, simpatico, socievole e molto fedele gli amici.
- il professor Remus Lupin, licantropo in incognito: un uomo malinconico, ma anche un eccellente professore, capace di entrare in grande empatia con gli alunni. Non piace molto a Piton - ma quando mai a Piton piace qualcuno? Senza contare che lo stesso Piton, alla fine del romanzo, non riesce simpaticissimo a molti lettori, anche se è divertente vederlo strepitare "Sono-sicuro-che-c'entra-Potter" sapendo che ha perfettamente ragione ma che non potrà dimostrarlo mai, mai e poi mai.
- la professoressa Sybill Trelawney (Cooman nella vecchia edizione, con grazioso riferimento alla Sibilla Cumana): insegnante di divinazione assai teatrale ma autrice di alcune importanti profezie.

Cedric Diggory: capitano della squadra di Quidditch di Tassofrasso. E' bello e leale; suo malgrado si ritrova a sconfiggere la squadra di Harry per circostanze avverse e non per merito ma non può farci niente.
Cho Chang, abile e graziosa Cercatrice della squadra di Quidditch di Corvonero (che viene sconfitta dai Grifondoro). Harry la apprezza molto.

- gli ippogrifi: animali fieri ma di buon cuore. Hanno becco aguzzo e grandi artigli ma anche grandi ali, e volano veloci.
- i Dissennatori, per tenere a bada i quali ci vogliono molta cioccolata e un buon Patronus.
- Il Patronus:  specie di spettro argenteo a forma di animale che tiene lontano i Dissennatori e può avere anche altri utilizzi. Per produrlo richiede un incantesimo molto complesso.
Hogsmeade: piccolo villaggio a popolazione interamente magica piuttosto vicino a Hogwarts. Ogni tanto gli studenti sono autorizzati ad andarci in gita, a partire dal terzo anno. E' un simpatico paesello inglese da cartolina e ci riserverà diverse novità ad ogni libro.
- I Tre Manici di Scopa: il pub rispettabile di Hogsmeade, gestito dalla capace, simpatica e attraente madam Rosmerta.
- dovrei aggiungere anche il Nottetempo, ma chi come me soffre il mal d'auto non riesce ad apprezzare appieno siffatto mezzo di trasporto, per quanto utile e veloce si dimostri. Avremo più volte occasione di incontrare il suo bigliettaio, Stan Tiracorto (o Picchetto, nella prima traduzione).

Da questo romanzo è stato tratto un film dove, caso unico su sette, Harry ha effettivamente i capelli sempre scarmigliati come nei libri invece di mantenere un bel caschetto sempre ben laccato e in ordine. Inoltre il regista, non so perché, ha deciso di far vestire gli allievi in borghese, invece che da maghi. Sembra che i tre attori principali abbiano apprezzato molto, perché così hanno potuto usare pezzi autentici del loro guardaroba. In compenso gli spettatori sono rimasti assai perplessi domandandosi perché mai, nonostante i ricchissimi introiti meritatamente guadagnati con i film, costoro tenessero un guardaroba cui qualsiasi titolare di un banchetto a rufolo del mercato rionale avrebbe potuto offrire cospicui miglioramenti a prezzi davvero economici. Resta anche da capire quale sia il gran vantaggio di avere un film dove i giovani maghi sono vestiti di cenci.
(Ad ogni modo, nonostante alcune vistose falle e contraddizioni della trama, la scena della Giratempo che gira è bellissima e l'ippogrifo Fierobecco recita discretamente).

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro buone letture e buon inizio di primavera a tutti i partecipanti.

mercoledì 1 marzo 2017

Cedric Diggory, ovvero scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile

Cedrig Diggory appartiene alla casa di Tassofrasso - dove non ci si tira indietro se c'è da faticare, non si ricorre a frodi o stratagemmi né si cerca altra gloria che quella conquistata per puro merito e senza aiuti - e  dove infatti di solito non si vince un accidente e si viene pure guardati con un po' di compatimento dagli altri (del che un po' i Tassifrassi si dispiacciono, perché sono esseri umani pure loro).
Poi arriva Cedric Diggory, e sembra che anche per Tassofrasso sia arrivato il tempo della gloria: Cedric infatti è bello, bravo e intelligente, oltre che di nobilissimo carattere, ed è anche un buon Cercatore di Quidditch, che non guasta mai.

Lo incontriamo per la prima volta nel terzo volume, dove è appunto capitano e Cercatore della squadra di Quidditch e riesce a catturare il Boccino mentre Harry, terrorizzato dall'apparizione dei Dissenatori nel campo da gioco, perde i sensi e cade dalla scopa. Il tempo è orrendo, piove e diluvia, eCedric non si accorge di quel che è successo;  quando lo capisce cerca di far annullare l'incontro, perché non vuole una vittoria ottenuta grazie a un incidente dell'avversario, ma è troppo tardi: la partita è ormai conclusa e perfino il contrariatissimo capitano dei Grifondoro è costretto ad ammettere che la vittoria di Tassofrasso è legittima e onorevole.

Ritroviamo Cedric all'inizio del Calice di Fuoco, quando con suo padre e il gruppo dei Weasley (che ospita anche Harry ed Hermione) condivide una passaporta verso la finale della Coppa del Mondo. Con notevole mancanza di tatto Amos Diggory, che stravede per il figlio, è ben lieto di insistere proprio su quella disgraziata vittoria, nonostante il figlio cerchi di smorzare la cosa: "Harry è caduto dalla scopa, papà" mormorò "Te l'ho detto, è stato un incidente..." e insomma sarebbe più che disponibile a cambiare argomento perché non vede alcun motivo di vanto in quella vittoria.
Un paio di mesi dopo, il nome di Cedric Diggory viene estratto dal Calice di Fuoco come campione di Hogwarts per il Torneo Tremaghi, giusto pochi minuti prima che dal povero calice confuso spunti fuori anche il nome di Harry.
L'intera Hogwarts insorge contro Harry, colpevole di truffa, protagonismo, esibizionismo e quant'altro. Ma Cedric (come Cho Chang) non prenderà mai posizione contro di lui e non porterà mai la spilla diffusa dai Serpeverde "Harry Potter fa schifo!".  Non è molto convinto dell'innocenza di Harry, ma non avendo prove evita di pronunciare sentenze.
Tra i due si stabilisce una sorta di paludata cortesia: Harry fa sì che anche Cedric venga informato che la prima prova consisterà nell'affrontare un drago, Cedric gli spiega come venire a capo dell'uovo per la seconda prova... 
In testa, a pari punteggio, entrano insieme nel labirinto per la terza prova, al crepuscolo.
Lì tentano di fare ognuno la sua gara, ma per un concorso di circostanze finiscono per salvarsi reciprocamente la vita e ritrovarsi entrambi vicinissimo alla Coppa che dovrebbe dargli la vittoria del torneo - Cedric però è più vicino, mentre Harry si è fatto male a una gamba e non può muoversi.
Ma Cedric non si muove, anzi dice ad Harry "Prendila tu. Tu devi vincere. E' la seconda volta che mi salvi la vita qua dentro". Perché è una nobile anima e non vuole una vittoria che non senta di essersi completamente guadagnata.
Per sua immensa disgrazia, anche Harry è una nobile anima, e per giunta conosce i regolamenti: "Non è così che funziona" prova a spiegargli: i punti, la gara e il torneo spettano a chi arriva per primo alla coppa, e lui non può quasi muoversi, quindi è giusto che sia Cedric a vincere.
Cedric rifiuta.
"Smettila di essere nobile" disse Harry irritato "Prendila e basta, così possiamo uscire da qui".
I due discutono un po' cercando ognuno di convincere l'altro ad aver maggior diritto alla Coppa. Ma Cedric diceva sul serio. Stava voltando le spalle a quella gloria che la casa di Tassofrasso non conosceva da secoli.
"Vai tu" disse. Sembrava che ciò gli stesse costando fino all'ultima goccia di determinazione, ma aveva il volto risoluto, le braccia incrociate e sembrava deciso.
E alla fine, per sbloccare l'impasse, Harry decide: "Tutti e due"
Cedric non accetta subito, ma alla fine si lascia convincere, ed è così che i due ragazzi  prenderanno insieme la Coppa - che si rivela una passaporta che trasporterà entrambi nel cimitero dove Voldemort aspetta Harry.
E siccome Voldemort non tollera impicci tra i piedi, appena scopre che c'è un ospite imprevisto lo uccide.

Cedric Diggory è il primo dei Grandi Morti di Harry Potter, e il più innocente. Non viene ucciso in un duello o una battaglia, ma solo perché la sua involontaria presenza era indesiderata e superflua per l'Oscuro Signore. Perché sì, insomma.
La sua morte segna la definitiva conclusione della fase "Ma quanto sono carini i libri di Harry Potter" e apre la seconda parte. 
Cedric non ha fatto niente di sbagliato, e non ha nemmeno cercato in qualche modo di ostacolare Voldemort. Molto probabilmente lo avrebbe fatto in futuro, se fosse vissuto, col coraggio e la lealtà che lo caratterizzano - ma non gliene è stata nemmeno offerta la possibilità. Semplicemente, si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Non è mai stato una persona che, dovendo scegliere tra ciò che era giusto e ciò che era facile (secondo la bellissima frase che dice Silente al banchetto di fine anno) inclinava per ciò che era facile. Non ha mai voluto niente che non gli spettasse a pieno titolo, e se acconsente a prendere in mano quella maledetta coppa è solo perché si rende conto che Harry ha ragione: il meno che si possa dire è che hanno vinto entrambi, e che la Coppa ad entrambi spetta.
Se avesse scelto ciò che era più facile non avrebbe perso niente: sarebbe finito nel cimitero e sarebbe stato ucciso esattamente nello stesso modo. Se invece Harry non fosse stato a sua volta un anima nobile si sarebbe salvato, perché solo Harry avrebbe preso la Coppa.
Se al posto di Harry ci fosse stato non dico Malfoy, ma anche gli stimabili Seamus o Dean, Cedric avrebbe probabilmente vissuto una vita lunga e felice (magari con Cho), o almeno ne avrebbe avuta la possibilità (in compenso Seamus o Dean se la sarebbero passata parecchio male).
Ma per sua disgrazia, anche Harry è un anima nobile.

Cedric non ha mai tradito la sua natura: ha scelto ogni giorno della sua vita di vivere secondo determinati principi etici ed è morto solo perché ha avuto sfortuna - esattamente come tanti esseri umani muoiono ogni giorno intorno a noi.
La sua morte, più di qualsiasi altra di tutta la vicenda, ci ricorda le contraddizioni della condizione umana, dove non bastano saldi principi, coerenza, coraggio e buoni sentimenti per garantirci una vita felice - o anche semplicemente una vita.

sabato 25 febbraio 2017

Sui misteriosissimi motivi per cui Harry Potter ha avuto sì gran successo


Da tempo immemorabile gli adulti ADORANO dissertare sulle stranezze e stravaganze delle nuove generazioni, come ci ricorda Bennato in questa bella canzone ispirata alla storia di Pinocchio.

Nel 1997 in Inghilterra uscì Harry Potter and the Philosopher's Stone, primo di sette romanzi che andavano a formare una serie. Da lì si innescò un successo editoriale e mediatico senza precedenti che prosegue tuttora, anche dopo che l'ultimo romanzo e l'ultimo film sono ormai usciti da tempo. Difficile avere dati precisi, ma si parla in giro di 450 milioni di copie di libri, e di dodici solo per il mercato italiano (per il dato internazionale comunque le fonti sono vaghissime).
Una cospicua fetta di adulti se ne fregò del gran fenomeno, mentre un altra cospicua fetta si unì all'adolescenziale entusiasmo e, dopo attenta disamina e lettura, si appassionò notevolmente alla vicenda.
Ci fu poi una frangia di adulti che cominciò ad indagare con fare sospettoso il fenomeno, domandandosi perplessi come mai quei libri, con annessi e connessi, piacessero tanto. 
E si scervellarono per trovare la risposta, cercandone di solito una che in qualche modo minimizzasse il fenomeno (che per la verità ad essere minimizzato si prestava assai male).

Visto che a tutt'oggi sembra che molti di loro non siano venuti a capo di codesto gran mistero, ho pensato di rendermi utile, forte ormai di una rilettura complessiva oltre che di svariate letture parziali, e di offrire qui una breve ed esauriente lista dei misteriosi motivi per cui i libri di Harry Potter sono piaciuti e piacciono tanto, e non soltanto ai ragazzini.
1 - Sono scritti bene. Molto bene.
La scrittura è scorrevole, ma soprattutto chiara. Mi rendo conto che possa non sembrare un gran titolo di merito per uno scrittore, ma il fatto è che leggendo una scena, qualsiasi scena, anche quella dove una quindicina di persone si azzuffa al Ministero della Magia, si sa sempre chi sta facendo che cosa, e molto spesso anche perché lo sta facendo e come si sente in quel momento; non solo, ma sappiamo anche sempre dove siamo e come funzionano gli spazi intorno ai personaggi.
L'azione non è convulsa né lenta, ha semplicemente il ritmo che deve avere. Le conversazioni sono pertinenti e hanno il giusto ritmo. Anche il paesaggio si staglia con gran chiarezza e sa essere molto espressivo. Le numerose entità (oggetti, animali, creature leggendarie, nuovi personaggi umani) che entrano in scena sono descritte in modo da farsi ricordare anche se molto raramente si scivola nella caricatura.
Siccome la Rowling è molto brava, tutto questo viene fatto con grande naturalezza - dando così l'impressione a molti che "chiunque saprebbe fare lo stesso" o anche che "dietro ci sia un buon editor" (il quale buon editor però, dopo aver lavorato a editare i romanzi di Harry Potter, ha deciso evidentemente di concedersi una lunghissima e meritata vacanza ai Caraibi invece di aiutare altri scrittori).
2 - L'universo dove sono ambientati è ben strutturato
almeno per quello che ci interessa sapere sul momento. Può darsi per esempio che sulla parte economica e produttiva ci siano degli aspetti che meritano qualche chiarimento (né è detto che questi chiarimenti non si possano avere, chiedendoli all'autrice) ma se nei film spesso e volentieri saltano fuori contraddizioni e falle spettacolari, i libri mostrano un tessuto coerente, che romanzo dopo romanzo si apre davanti al lettore (e ad Harry)
3 - I personaggi restano impressi. Tutti. Pur essendo un numero esorbitante.
Alcuni piacciono alla follia, altri restano mortalmente antipatici, e altri ancora restano antipatici ma piacciono alla follia proprio per quello.
(Corre voce che tra quelli mortalmente antipatici ci sia proprio il protagonista, Harry. So però che gode comunque di un certo seguito e personalmente l'ho sempre apprezzato molto).
Impossibile fare l'elenco dei più carismatici, ma uno dei più apprezzati, amati e odiati è di sicuro l'apparente avversario, ovvero Piton, e lo stesso Voldemort conta numerosi fan.
Ognuno di loro poi ha una sua personalità particolare. 
Prendiamo ad esempio la famiglia Weasley, dove ognuno è quel che è per influenza (non sempre benefica) degli altri ma mantiene comunque un suo nucleo individuale collegatissimo all'essenza della famiglia - all'apparenza una normale famigliola da commedia, quasi un riempitivo. Quanti scrittori sono capaci di descrivere una famiglia così interdipendente e a farla intervenire con naturalezza nell'azione (in cui hanno, tutti, una parte rilevante)?
4 - La trama è ben tessuta, ma non è affatto scontata
anzi riserva delle notevoli sorprese sino alla fine; e se la maggior parte dei lettori adulti non si era fatta ingannare dalla scena della morte di Silente grazie a un certo retroterra di esperienze letterarie e aveva capito da che parte stava Piton, il motivo per cui ci stava non ci è risultato dei più trasparenti fin quando lo stesso Piton non si è fatto avanti a spiegare il come e il perché. 
E che dire del topastro di casa Weasley e delle sorprese che ci ha riservato Malocchio Moody? E dei morti a sorpresa che arrivano senza un filo di preavviso, nemmeno fossimo in una storia vera?
Un gruppo di romanzi ben scritti e ben ambientati, di gradevole lettura, che raccontano una storia interessante e ricca di sorprese con dentro un bel gruppo di personaggi.
Come ha fatto ad avere successo?
Chissà.

Tuttavia c'è ancora un aspetto da valutare: la società dei maghi è classista, razzista (ma di un razzismo basato non tanto sul gruppo etnico di appartenenza, quanto sulla purezza del sangue magico) e decisamente specista ma, vivaddio, non sessista. In sette libri, alcuni dei quali lunghissimi, non c'è alcun cenno a carriere riservate o precluse a una donna, a naturali inclinazioni femminili o a lavori che una strega non è qualificata a fare in quanto strega e non mago. Sappiamo che ci sono state ministre della magia, streghe presidi di Hogwarts e che anzi la scuola venne fondata nella notte dei tempi da due maghi e due streghe (una delle quali era notoriamente la più intelligente dei quattro). 
Anche nel corso della storia la più brava della scuola è una strega (per giunta babbana), ed è anche quella che spesso e volentieri contribuisce notevolmente a fare arrivare la vicenda a buon fine.
E' possibile che questo piccolo dettaglio di sfondo, a cui non viene mai dato particolare rilievo nel corso della narrazione (del resto, perché dovrebbe? Non è ovvio che sia così? Come altrimenti potrebbe mai essere?) possa avere più o meno consapevolmente influenzato le lettrici - non solo delle nuove generazioni - predisponendole favorevolmente all'acquisto o alla lettura di sette libri ben scritti e che raccontavano una storia avvincente ricca di personaggi affascinanti ambientata in un mondo assai interessante?
Chissà.