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giovedì 25 maggio 2023

Il Gran Torneo Letterario del Comprensivo di St. Mary Mead - 3 - I giurati sospettosi

Un gregge di testi per il nostro concorso letterario
Infine il tempo delle consegne è scaduto e nella mia casella di posta sono giunti i 45 elaborati degli studenti e una tabella dove scrivere le valutazioni, da 1 a 100. Da brava e coscienziosa giurata (e curiosa come una gazza, sì come soglio essere) mi sono prontamente messa a leggere, dopo aver dismesso mentalmente i panni dell'Insegnante di Lettere (chissenefrega delle virgole, ignoriamo gli accenti fuori posto e le maiuscole mancanti... i congiuntivi sbagliati no, quelli abbassano la valutazione, e parecchio: mi interrompono il ritmo della lettura e dunque è giusto sanzionarli) ed essermi rivestita dei miei consueti panni di lettrice onnivora e pure un po' compulsiva. 
Leggo avidamente da quando avevo sei anni, correggo accenti da quando ne avevo trentotto. La lettrice è arrivata ben prima della correttrice di bozze, e non stacca la spina nemmeno quando correggo (il testo è scorrevole? Va giù liscio? Mi interessa continuare a leggerlo? Offre un punto di vista insolito e/o ben sviluppato? Mi insegna qualcosa? Ed ecco che il voto comincia a lievitare).
Ormai da più di vent'anni correggo testi di tutti i tipi prodotti da alunni che vanno dai dieci ai quindici anni, e se a volte mi sono imbufalita davanti a periodi inutilmente aggrovigliati e a pronomi che vagano alla deriva, molto raramente mi sono annoiata e molto spesso mi sono divertita o appassionata. Ci sono sempre, in una classe, almeno due o tre perle di gran capacità letteraria e contavo di ritrovarmi davanti la crema del nostro Istituto Comprensivo. E magari la crema c'era, ma sospetto che sia stata traviata e mal instradata.

Cominciamo dall'argomento: il titolo segnato nel bando era Alla ricerca della felicità. Non mi era sembrato male. Non avevo idea di come l'avrei svolto a quell'età e non ho nemmeno cercato di immaginarmelo, ma mi sembrava un campo piuttosto vasto, dove si poteva pascolare in modi molto diversi.
Alcuni testi però recavano come titolo Rifletti su cosa significa per te, alla tua età, la ricerca della felicità, che mi sembra piuttosto diverso.
Rifletti, prima di tutto. Nessuno nel bando gli chiedeva di riflettere su un bel nulla - padronissimi di riflettere quanto volevano, ma non era dato per obbligo. Ancor meno gli si chiedeva di tirare in ballo eventuali e fantomatici ragazzi della loro età. Ovvio che un tredicenne scrive dal suo punto di vista di tredicenne (ma comunque dal suo punto di vista di tredicenne, che non necessariamente è lo stesso del suo altrettanto tredicenne vicino di banco) ma perché non avrebbe dovuto provare a immaginarsi nei panni di un neonato, di un vecchio decrepito o di un capibara? La traccia del bando non mostrava alcuna volontà di inchiodarlo a sé stesso medesimo, e indubbiamente uno dei lati più interessanti della scrittura è che, volendo, ti permette di provare ad essere qualcun altro.
Oltre a leggere testi li assegno, e ho sempre gran cura di cercare una forma che permetta di addentare la questione dal maggior numero di lati possibili - e i giovani scrittori affidati alle mie amorevoli cure han spesso profittato di questa possibilità. Mai, a quanto ricordo, han chiesto di ridurgli il campo di azione. Perché un ragazzo, più o meno raziocinante, dovrebbe di sua spontanea volontà trasformare la traccia in quel modo?
Evidentemente Qualcuno, in qualche classe, è intervenuto, in un caso almeno riscrivendogli il titolo.
(Sospetto malvagio in sottofondo: forse anche per essere sicuro di poter riconoscere dal titolo i suoi alunni? Chissà).
Forse Qualcuni, in effetti; perché, su quarantacinque testi, una buona ventina si è preoccupata di precisare che, nonostante quel che dicono in tanti, la felicità non consiste nei beni materiali - che non è quel che si dice una osservazione particolarmente originale, ma possibile sia venuta in mente a quasi metà dei partecipanti? O sono io che sono troppo sospettosa?
E perché tutti quelli che tiravano in ballo i beni materiali convenivano come un sol scrittore che no, la felicità non è quello? A titolo personale posso anche essere d'accordo, ma magari avrebbe potuto essere divertente provare a sostenere il punto di vista opposto e fare una bella tirata sulla felicità data dal possedere una villa con parco, una squadra di calcio di serie A, una grossa quota di partecipazione a una multinazionale, un enorme scrigno stracolmo di gioielli di gran peso e di squisita fattura.
Il gruppo in questione comunque concordava sull'importanza di trovare la felicità nelle piccole gioie di ogni giorno. Forse dovremmo cambiarci nome e chiamarci Istituto Comprensivo Minimalista di St. Mary Mead.
Un nutrito gruppetto citava Leopardi - che ci sta benissimo, in effetti Leopardi parla parecchio della felicità e della sua ricerca, anche se non addiviene, per quanto ne ho letto, alla conclusione che sia effettivamente possibile trovarla. Tuttavia l'unico che ha tirato in ballo Leopardi approfondendo un po' la questione al di là di una bacinella di acqua calda è stato un ragazzo che ha citato anche altri cinque poeti, con tanto di passi scelti, scodellando un testo decisamente interessante che concludeva con una poesia sulla felicità di sua propria mano che era anche piuttosto ben fatta. Una specie di tesina. E perché no? Niente vietava di presentare una tesina. L'ho letta volentieri e gli ho messo un votazione bella alta.
La ventina di ragazzi minimalisti ha partorito dei testi tutto sommato corretti, ma di una noia davvero notevole. Dargli un voto sotto il sessanta non mi sembrava giusto (ahimé, la mia anima di insegnante riemerge nonostante tutto), e in qualche caso mi sono spinta anche sopra il settanta, anche perché tra i miei criteri di lettrice c'era la scorrevolezza, e in fondo molti erano scorrevoli, se pur soporiferi. I voti dall'ottanta in su però li ho rigorosamente riservati ai testi che mi sembravano scritti da un essere umano capace di interessarsi a qualcosa - una dote che magari non ti aiuta a trovare la felicità, ma che ti permette di scrivere dei testi capaci di interessare chi li legge.
Con una certa delusione da parte mia i testi originali non erano molti.
C'è un ragazzo che trova la felicità grazie a una buona terapia psicologica, e la storia si chiude con l'analista che gli offre di prenderlo come assistente per l'alternanza scuola-lavoro.
La felicità che si trova in un lavoro molto amato dove si raggiungono altissimi livelli è ripresa anche in un altro testo, che racconta la storia di un barbiere che esegue prodigiosi tagli di capelli. Sembra quasi una storia zen e mi è piaciuta molto (è il testo cui ho dato il massimo punteggio).
C'è un ragazzo che cerca la felicità facendo esperienze, e dopo averne collezionate diverse di vario tipo si dice "Ma io sono felice anche così, senza fare niente di particolare" e lì si chiude il racconto. Decisamente originale, con una sottile vena polemica che ho apprezzato molto: la felicità è una roba individuale, ognuno ha la sua.
Poi una storia abbastanza orrorifica, dove il protagonista una notte scopre prima il gatto sventrato, poi la madre altrettanto sventrata, ed è molto felice quando scopre che era solo un sogno. Non sono molto sicura che c'entri molto con la felicità, ma il racconto e le descrizioni facevano davvero paura ed era scritto singolarmente bene.
Una ragazza molto infelice perché tutti la guardavano con compatimento e quello che faceva era sempre sbagliato. Così un giorno decide di uccidersi buttandosi da un ponte, e quando muore prova una felicità assoluta. Purtroppo dopo si risveglia e scopre che era un sogno - mi è venuto il sospetto che l'autrice abbia avuto paura che la giuria restasse sconvolta davanti a una tesi così alternativa; secondo me il racconto avrebbe dovuto chiudersi proprio con l'immagine della felicità trovata con la morte; ma sono opinioni personali, e non è detto che il finale sia stato appiccicato per non turbare il professorale perbenismo, magari il racconto era nato proprio così nella mente dell'autrice. L'esaltazione provata al momento della morte però era descritta molto bene.
Poi c'è stata una ragazza che ha scritto una lunga dissertazione sull'importanza di piacersi perché la felicità non viene dall'esterno, con frequenti agganci al tema dei disturbi alimentari e al canone della bellezza che oggi è troppo esigente (ma quando mai non lo è stato?). Era più sul versante trattatistico, ma era scritto molto bene e con adeguata proprietà. Senz'altro molto apprezzabile.
In realtà una ragazza ha provato a parlare della felicità che non ha per colpa di una serie di traversine sentimentali - ma ne è venuto fuori un racconto talmente insulso e pasticciato che gli ho riservato uno dei voti più bassi. Sarai pure un'anima infelice per amore, ma il lettore ha diritto a non morire di noia leggendoti!
Poi c'erano le poesie. Una manciata, mezza dozzina al massimo.
Da sempre i giovinetti scrivono poesie. E' una nobile attività e i risultati talvolta sono affascinanti.
Non è stato questo il caso. Con una sola eccezione erano poesie atroci, brutte sia nella forma che nel contenuto, e con una metrica del tutto improponibile. Scrivere in versi sciolti non vuol dire scrivere ogni verso della lunghezza che ti pare, è un procedimento un po' più complesso. Mentre leggevo quegli abomini continuava a venirmi in mente la definizione di un mio amico dell'università "la poesia non è prosa dove ogni tanto vai a capo". Una invece aveva un bel ritmo molto cantabile (e anche quella ha preso un voto sopra al novanta), e poi c'era quella dell'autore della tesina. Erano comunque tutte poesie di andamento vagamente didattico - fermo restando che io contro la poesia didattica non ho proprio niente da ridire, anzi mi piace abbastanza; e mi rendo conto che trovare l'ispirazione per quelle è più facile che scrivere che si illuminano di immenso o cose del genere.
Poi c'era un testo abbastanza breve. Cos'era la felicità? Non era questo, né quello, e non veniva dall'esterno. Secondo l'autore la felicità si trovava attraverso Dio. Ho apprezzato molto.
Nessuno, ma proprio nessuno, ha avuto una parola per l'amore come felicità. Ammetto di esserne rimasta sorpresa, anche se il silenzio su questo tema è stato così assoluto che ho colto l'assenza soltanto alla fine della prima lettura. I nostri quarantacinque autori hanno, quasi tutti, già compreso che l'Amore non è la chiave della felicità.
Forse dovremmo cambiare nome in Istituto Comprensivo Ascetico di St. Mary Mead? Eppure, da tutta una serie di piccoli segnali, mi era sembrato di capire che le nuove generazioni non sono del tutto immuni alle lusinghe della fiera dolceamara.
Chissà?
Mancavano anche gli animali, con l'unica eccezione del gatto sventrato (che immagino non fosse molto felice). Eppure a St. Mary Mead moltissimi hanno animali da affezione e parecchi bazzicano per i maneggi. Assolutamente nessuno ha identificato la felicità con la nascita dei figli, ma considerata l'età non lo trovo strano.

In conclusione, l'idea del concorso letterario mi sembra molto valida, anche sul piano didattico (dopotutto siamo una scuola, e il ritorno didattico è giusto che sia sempre in cima ai nostri pensieri) ma nel complesso mi sembra che l'occasione non sia ancora sfruttata come dovrebbe. Almeno un insegnante, ma a questo punto visto il numero di testi così simili sospetto che siano almeno due, ha cercato davvero troppo di guidare le cose (vanificando con ciò qualsiasi possibile ritorno didattico per gli alunni). Inutile che il prof. De Magistris si industri a trovare tematiche vaghe e larghe al dichiarato scopo di consentire a chiunque di esprimersi a modo suo, con un trattamento del genere nessun argomento può dare al meglio tutti i suoi frutti, per quanto accuratamente scelto. E d'altra parte da una parte mi sembra troppo sperare che il comprensivo disponga di ben dieci insegnanti di Lettere disposti ad ammettere che ogni alunno ha un cervello di prima qualità e dunque va lasciato il più possibile libero di usarlo; mi verrebbe da pensare che è anche un problema generazionale, ma ahimé un* dei miei sospettati ha una buona quindicina di anni meno di me, quindi sospetto che sia inutile sperare nelle nuove leve - e d'altra parte c'è un consistente numero di insegnanti che trova normalissimo suggerire ai suoi alunni durante le prove Invalsi, quindi forse non è un problema generazionale ma nazionale.

6 commenti:

Paola ha detto...

Ho una domanda, che forse è stata spiegata in una puntata precedente: oltre al titolo, c'erano indicazioni sulla lunghezza dell'elaborato o vincoli d'altro tipo?
Molto interessante come esperienza e mi sembra un vero peccato che il probabile zampino di alcuni insegnanti abbia prodotto un appiattimento dei testi e delle idee. Secondo te un insegnante di fronte ad una prova come questa del concorso, non deve dire nulla o dovrebbe cercare di stimolare il processo creativo in un modo meno invadente? E, in questo caso, come si interviene?
Grazie, è sempre interessante e piacevole leggerti!
Paola

Filippo ha detto...

Trovo che questa esperienza sia stata decisamente positiva. Da rifare. E ovviamente da lasciare la massima libertà senza dare l'aiutino anche se richiesto sottobanco. Hai restituito abbastanza i risultati, sono contento per questi ragazzi che hanno avuto incitamento a esprimersi.

Murasaki ha detto...

Probabilmente ne ho parlato l'anno scorso, quando ci fu la prima edizione. Non c'erano vincoli, il testo del bando dice "Il concorso prevede la produzione di un elaborato in prosa o in versi sul tema "Alla ricerca della felicità". L'unico vincolo era la lunghezza, 11.000 caratteri e l'indicazione che doveva essere scritto in carattere Arial e cose del genere.
Credo che tutti abbiamo fatto qualcosina sull'argomento, tipo una discussione in classe o magari una poesia. Io mi sono limitata a fargli leggere l'Inno alla Gioia, perché parlavo delle istituzioni europee, e già che c'ero gli ho fatto scrivere un testo sulla Gioia, che se si vuole è una roba molto simile alla felicità, almeno come ne parla Schiller. Ah, e ho abbastanza insistito sul fatto che la ricerca della felicità è citata nella costituzione americana, e che era un tema portante dell'illuminismo - ma ci insisto sempre, quando parlo dell'illuminismo, e non ho citato il concorso. L'idea del testo è nata ANCHE dal fatto che, in fondo, una riflessione sull'argomento poteva incoraggiarli a partecipare. A tutt'oggi però non so chi ha partecipato. Voglio dire, uno spunto si può anche dare, non mi sembra sbagliato. Alla lontana, con garbo.

Elena ha detto...

A prescindere dai risultati mi sembra che 45 partecipanti siano un'ottimo risultato, non so l'anno scorso come sia andata, però mi pare che quest'anno sia andata più che bene. Magari qualcuno potrebbe essere propenso in futuro a partecipare ad altre iniziative simili, non necessariamente legate alla scuola.

Elena ha detto...

Ho scritto due volte risultato 😅 ripetizione

Murasaki ha detto...

@ Elena:
Infatti, credo che una delle finalità del concorso sia proprio quella.
Quanto al numero dei partecipanti l'anno scorso, devo ancora informarmi.