Tutto andava normalmente, febbraio febbraieggiava tranquillo e l'azalea dei miei amati alunni stava mettendo su una sterminata quantità di boccioli, quando sulla scuola medi di St. Mary Mead si abbatté come un turbine la notizia: arrivava il freddo, un terribile freddo, con tanto di neve inclusa. Anzi, con tanta neve inclusa.
All'inizio sembrava trattarsi solo di due giornatelle un po' ghiacciate. Poi le previsioni le hanno fatte diventare tre, poi quattro... la neve comunque c'era sempre, solo che doveva venire di pomeriggio e sciogliersi durante la notte quindi sembrava non riguardarci granché.
Un tempo, prima dell'operazione, il freddo mi piaceva: non mi dava noia e bastava poco per coprirmi. Adesso uno sbalzo di temperatura basta a trasformarmi in un essere dolorante e lamentoso; insomma, da pinguina che ero sono diventata una lucertola tremebonda (e lagnosa).
Comunque ho cercato di organizzarmi per essere all'altezza della situazione.
Per l'azalea rimediare è stato facile: via dalla terrazza e dentro l'appartamento.
Un po' più complicati sarebbero stati gli spostamenti verso la scuola: tutti i giorni dell'anno vado e torno dalla stazione ferroviaria con un pregiato Liberty a due ruote, ma in questi giorni la temperatura sarebbe rimasta ben salda sotto lo zero anche durante il giorno. Uscendo dal suo tiepido garage il Liberty si sarebbe senz'altro messo in moto, ma dopo qualche ora passata sotto zero nel parcheggio della stazione? Chissà...
Meglio puntare sulla corriera. Così, Lunedì mattina a dieci alle sette, decorosamente intabarrata, aspettavo alla fermata.
Ho aspettato mezz'ora: la corriera era in ritardo - probabilmente per colpa del freddo, pensavano gli altri aspiranti passeggeri. Viene giù dalle montagne (beh, insomma, montagne...), le strade sono ghiacciate...
Sta di fatto che mezz'ora dopo, quando la corriera è infine arrivata, avevo ormai esaurito le batterie per tutta la settimana per tacere delle mani completamente congelate - talmente congelate che mentre compilavo il registro elettronico in classe muovevo ancora male le dita - e meno male che almeno il treno aveva fatto il suo dovere, arrivando e partendo con esemplare puntualità.
Decisamente malandata ho adempiuto come potevo alle mie incombenze, sempre continuando a rabbrividire perché la scuola non era sufficientemente calda: infatti il riscaldamento alla scuola media di St. Mary Mead produce una e una sola (moderata) quantità di calore, senza alcuna considerazione di quanto calore servirebbe (o, più spesso, non servirebbe affatto) alla malcapitata utenza. Insomma, era freddino - il che, vedevo bene, non era comunque di eccessivo incomodo nemmeno per i più freddolosi tra i miei colleghi, nonostante qualche moderata lamentela di sottofondo. Io invece stentavo assai.
Vivaddio, al ritorno un collega compassionevole mi ha preso in carico e portata fin sull'uscio di casa. Da lì infilarmi sotto molte calde coperte è stato affare di tre minuti, ma scaldarmi... ho cominciato seriamente a scaldarmi solo verso le sei del pomeriggio, e non si può proprio dire che stia in una casa fredda.
Per giunta, da qualche parte della mia gola aleggiava un sospetto di infiammazione. Ma ho fatto finta di niente. In sottofondo c'era anche l'amara consapevolezza che ero soltanto a Lunedì.
E venne il Martedì mattina, quando ugualmente entravo alla prima ora ma nell'aria c'erano quei due-tre gradi in più che rendevano l'esistenza tollerabile.
La corriera è arrivata con mirabile puntualità e alla stazione tutto procedeva regolarmente... tranne per i cinque minuti di ritardo del mio treno, che sono poi diventati dieci, quindici e infine venti "a causa delle avverse condizioni climatiche".
Qui andrebbe aperto forse un discorso (in effetti ne sono stati fatti parecchi, in questi giorni) sul funzionamento dei treni e su cosa si intenda per avverse condizioni climatiche. Sta di fatto che sulla piana fiorentina non c'era un fiocco di neve che fosse uno, eravamo solo moderatamente sotto zero e soprattutto il mio treno partiva da Firenze, dove le condizioni climatiche non avrebbero dovuto avere nulla di particolarmente avverso rispetto al resto della zona.
Ad ogni modo quei venti minuti di attesa al binario si sono rivelati letali, e quando infine il treno è arrivato avevo i piedi letteralmente gelati. Nemmeno il breve viaggetto verso St. Mary Mead è bastato a sgelarli, nemmeno la passeggiatina verso la scuola, e la mia mente ha cominciato a popolarsi di inquietanti e lugubri riflessioni legate al congelamento degli arti, oltre che di ansiose domande su come avranno mai fatto nei campi di deportazione in Siberia (di fatto, per quanto ne so, facevano infatti piuttosto male). Dopo dieci minuti in classe comunque la circolazione è ripresa, prima dolorosamente e poi normalmente.
In realtà mi sentivo piuttosto bene e, svolte coscienziosamente le due ore che il mio orario richiedeva, ho festeggiato con un bombolone alla crema mentre mi dedicavo a una serie di rogne, circolari, stampe, fotocopie, chiacchiere di corridoio eccetera - insomma al consueto contorno del nostro affascinante mestiere - per poi riprendere il treno più adatto a incrociare una simpatica corriera che mi avrebbe riportato a casa.
Tutto bene, dunque?
Sì e no. Tra l'altro la temperatura era calata, o comunque qualcosa non funzionava più a dovere. Sta di fatto che avevo la febbre, e anche se la tachipirina mi ha garantito una lunga notte di sonno (pesante e non troppo continuato) non mi sono granché riposata, e Mercoledì mattina la mia interiorità era piuttosto dolorante.
C'era il suo perché: a sorpresa, era molto più freddo del giorno prima. La tentazione di ritornare a letto era molto forte, e ripensandoci avrei probabilmente dovuto darle ascolto visto che era piuttosto insolita. Sta di fatto che entravo alla terza ora quindi ho fatto le cose con una certa calma, anche se la prospettiva di andare a piedi alla stazione mi lasciava dubbiosa. A sorpresa però ho trovato una bella corriera scodellata su un piatto d'argento e il resto è venuto da sé. A fine mattinata però ero decisamente scontenta della vita, e per giunta il bollettino prometteva neve per il giorno dopo - come del resto prometteva con grande costanza da una settimana: neve Giovedì, e solo e soltanto Giovedì, ma nel frattempo erano cambiati gli orari: la neve sarebbe caduta copiosa sin dalle ultime ore della notte e per tutta la mattinata.
Già nel primo pomeriggio si sarebbe sciolta, perché le temperature sarebbero risalite, ma che garanzie c'erano di arrivare a scuola, a che ora sarei riuscita ad arrivare, con quell'abitudine balorda di piazzare sui treni mezz'ore di ritardo come fossero noccioline ad ogni fiocco di neve che caratterizza la provincia di Firenze? D'altra parte per me Giovedì è un giorno molto pregiato perché ho tre ore con la Terza, e già so che mi scipperanno il prossimo Lunedì e Martedì con il ponte elettorale...
Il consulto in Sala Insegnanti è animato. Per chi abita a St. Mary Mead naturalmente non ci sono grandi problemi: basterà alzarsi e guardare fuori dalla finestra. Ma gli altri, tutti gli altri? In parecchi veniamo da fuori.
Infine il Comune decide di sollevarci dall'imbarazzo proclamando la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado per il giorno seguente. Gran tripudio tra le scolaresche, ma anche il corpo docenti è piuttosto sollevato e si ripromette di godersi serenamente lo spettacolo dei giardini e dei tetti innevati guardando dalla finestra con la tradizionale tazza di cioccolata calda in mano invece di arrancare per le provinciali o vagare per le stazioni ferroviarie.
Torno a casa di umore assai festoso, ma anche infreddolita a morte perché nel corso delle ore la temperatura è ulteriormente scesa. Di nuovo sotto le coperte, con la tazza di tisana calda. Il sospetto alla gola ritorna, la febbre pure. Altra notte inquieta nonostante la tachipirina, e il giorno dopo lo passo in uno stato di rincretinimento notevole perfino per i miei standard.
La neve arriva, la prima neve da quando abito in casa nuova. Molto suggestiva, sui giardinetti e sul prato e sui tetti, molto romantica, ma io la degno a malapena di uno sguardo. Come promesso, nevica generosamente tutta la mattina e i marmocchi del condominio si divertono alla follia; in compenso continua a nevicare con sentimento anche per buona parte del pomeriggio. Quando infine la neve si trasforma in pioggia siamo ancora molto vicini allo zero e la prospettiva di una bella ghiacciata incombe minacciosa.
Per il giorno dopo comunque ci hanno promesso dodici gradi.
La mattina dopo dei dodici gradi non c'è traccia, probabilmente siamo ancora sotto lo zero. Comunque non c'è ghiaccio, almeno sulle strade, e ci si muove senza troppi problemi. Non sono affatto convinta di stare bene ma ho il mio preziosissimo compito di storia sulla prima guerra mondiale e la rivoluzione russa da fare e la febbre sembra essersene andata. Inoltre il ponte elettorale dovrebbe infine aver ragione della mia stanchezza cronica e condurmi spedita verso un mondo migliore, dove una folta schiera di parlamentari di PiùEuropa ingentilirà con la sua savia presenza un parlamento che si prospetta come piuttosto rozzo.
La pioggia imperversa per tutta la mattinata, il mio stomaco decisamente di malumore si rifiuta di accogliere cibo, la febbre è tornata e sembro la morte in vacanza. Ottengo comunque il mio pacco di compiti e strappo perfino qualche interrogazione più che decorosa nella Terza Cignala.
Strisciando verso casa comunque ammetto perfino con me stessa che andare a scuola è stata una pessima idea e mi propongo fermamente, per Lunedì Mattina, di andare dalla dottoressa e insistere vivacemente perché trovi un modo per riportarmi ad uno stato di salute compatibile con una vita un po' più emozionante di quella di un fungo. La pioggia intanto mi ruscella gelidamente addosso.
Piuttosto sfavata, dopo una lunga seduta con un asciugacapelli mi infilo a letto e scivolo in un inquieto dormiveglia mentre ascolto la rassegna stampa. Combino poco per tutto il pomeriggio, ma sono troppo sfavata per preoccuparmene.
Il giorno dopo però la temperatura si alza davvero e la vita cambia prospettiva, nonostante la vaga sensazione di avere un po' di umori bloccati in gola.Tosse poca, in compenso un raffreddore fluviale mette a dura prova la mia pur consistente scorta di fazzoletti rigorosamente di stoffa. Decido di fregarmene dei compiti di storia e di dedicarmi al romanzo di Trollope che in questi giorni mi tiene meravigliosamente avvinta. Ci sono anche diverse faccende di casa che chiederebbero un certo disbrigo, ma le ignoro risolutamente.
Domenica il raffreddore sembra piuttosto placato, la gola non dà problemi (a parte quella strana sensazione di qualcosa che si è fermato dentro e non riesce a uscire) ma mi sento piuttosto giù di corda - e insomma finisco per ritrovarmi al seggio nell'ora di punta invece che la mattina presto come mi ero ripromessa. Un po' di coda, niente di che, però fa caldo - probabilmente ho messo un golf di troppo perché non ho tenuto conto che la temperatura si è alzata davvero... fa caldo, tanto caldo... e tutto diventa sempre più grigio...
Sto svenendo ma so che potrei anche riuscire a non farlo, perché mi è già successo una volta quarant'anni fa e anche allora riuscii ad evitarlo mettendomi lentamente a sedere per terra. Fortunatamente si vota nelle scuole, dove una sedia non manca mai. Riesco a procurarmene una e ad accasciarmici sopra con scarsa grazia. Ormai è quasi il mio turno, non sarebbe bene aspettare almeno di aver votato prima di svenire?
E' una strana sensazione, stare seduti ad aspettare il turno per entrare nella stanza del seggio e non sapere se si riuscirà ad alzarsi, o a fare quei due passi fino alla soglia della stanza. Ma, a sorpresa, una volta entrata nella stanza va subito molto meglio e stare in piedi non è un gran problema. Anche la scheda sembra piuttosto visibile, nonostante qualche zona grigia. Faccio quel che devo fare, riprendo i documenti, ringrazio con un sorriso cadaverico e guadagno l'uscita senza troppi problemi. A casa però mi sento come se fossi passata sotto uno schiacciasassi.
La mattina dopo, in discreta forma, approdo dalla dottoressa. Accenno di sfuggita al mio quasi svenimento, poi attacco a parlare del mio precario stato di salute. Non è che mi fili più di tanto.
"Si faccia sentire" ordina. I polmoni sono senz'altro la cosa che conosce meglio di me, a parte la gola.
"C'è qualcosa in basso" stabilisce "Non è stato un capogiro, lei non respirava".
Oh? In effetti è vero, il corridoio era pieno.
Antibiotico, cortisone, una lastra ai polmoni... "Stia in riposo per una settimana".
"Veramente oggi sto piuttosto bene, penso che potrei andare a sc...."
"Guardi che come le è venuta al seggio le può venire anche in classe".
Decido di rassegnarmi.
Comunque stavolta non è stata questione né di eroismo né di stupidità.
E' stata pura e semplice sfiga - che, com'è noto, ci vede benissimo.