Norma è un opera molto amata e poco eseguita, di questi tempi. Mancano le interpreti, si spiega. C'era la Callas, certo. La Callas è stata la Norma per eccellenza, l'esasperante punto di riferimento supremo. In realtà tante e ottime interpreti si sono mirabilmente cimentate in Norma, con ottimi risultati ma... mancava sempre qualcosa. Il fatto è che la Callas, oltre che una grande interprete, era anche un ottima attrice - e soprattutto ci aveva il temperamento giusto. Perché, al di là delle indubbie difficoltà tecniche, Norma è un personaggio davvero difficile da interpretare.
E' un personaggio di illustri natali: nel suo albero genealogico ci sono la Medea di Euripide e la Didone di Virgilio - con la non lieve differenza che Norma non uccide i suoi figli e riesce a morire accanto al suo amante, in un finale dalla strana tessitura, che se non è interpretato alla perfezione sembra davvero un po' appiccicato per non far finire l'opera troppo male: all'ultimo momento l'incostante Pollione si rende conto che l'ama e l'ha sempre amata. Ma si può?
Per strano che sia, sembra proprio che si possa; ma, nonostante la musica aiuti parecchio, gli interpreti devono fare davvero i miracoli perché il tutto risulti convincente.
Per fortuna, l'opera ha tali e tanti pregi che, purché eseguita con cura, in scena funziona quasi sempre e andrebbe rappresentata più spesso, anche se non c'è più la Callas (e ormai sarebbe il caso di rassegnarsi, mi sembra, visto che da parecchio ormai non c'è più) perché quel che funziona in questa opera è proprio tutto l'insieme, grazie ad una bellissima musica e a una vicenda davvero ricca dove ognuno dei tre personaggi ha modo di farsi valere.
Stavolta c'era quasi tutto: un ottima orchestra diretta nel più eccellente dei modi dall'ottimo Pappano, un coro in grande spolvero, una Adalgisa (Sonia Ganassi) che, essendo un vero contralto non ha una voce ingolata che la renda simile a un uomo (mentre di solito, quando entra in scena Adalgisa, l'ascoltatore si domanda perplesso cosa ci fa un uomo dal timbro grave tra le vergini consacrate di Irminsul), un Oroveso un po' calante ma insomma si è sentito ben di peggio, un Pollione in ottima forma vocale (Joseph Calleja) che, nonostante il sadismo della regia è riuscito anche a recitare in modo assai convincente - perché Norma ha un carattere complesso, ma anche Pollione non è proprio lineare.
Poi c'era Norma, ovvero il soprano bulgaro Sonya Yoncheva, che oltre a essere un eccellente soprano belcantista, per l'appunto ci ha il giusto temperamento e ha cantato alla luna, rimesso al suo posto la sua bellicosa tribù, confortato e aiutato Adalgisa che le narrava il suo tormentoso e colpevole primo amore, strapazzato doverosamente Pollione per poi supplicarlo, esortato la tribù sul sentiero di guerra, risparmiato all'ultimo momento i suoi figli per poi morire nel più nobile dei modi con una curiosa punta di trionfo dopo aver svelato a suo padre che era doppiamente nonno e avergli ordinato di portare via i suoi figli.
Ne è venuta fuori un esecuzione certamente superiore a entrambe le versioni incise dalla Callas - dove c'era sì Norma, ma su tutto il resto dell'insieme si potrebbe trovare parecchio da ridire - e molto, molto coinvolgente; e credo che, dopo questa prova, Yanchova avrà parecchio da lavorare e Norma verrà rappresentata molto più spesso.
Tutto bene dunque? Sì, tutto bene, a parte la regia che era completamente folle.
Com'è noto, Norma è una sacerdotessa e una donna di potere. Anche se ha due figli segreti (e il fatto che siano rimasti segreti e la relazione con Pollione sia andata avanti per un buon numero di anni lascia capire che, sacerdotessa vergine o no, la donna aveva o si era presa dei buoni margini di libertà facendo letteralmente quel che le pareva senza che a nessuno venisse minimamente in testa di impicciarsi o indagare) Norma è una sacerdotessa vera, legge davvero i libri del destino e sa che lottare contro Roma è inutile, perché Roma può cadere solo corrosa dall'interno, non per la rivolta di una tribù qualsiasi. Il suo rapporto con gli dei sembra ottimo, e di sensi di colpa non si vedono particolari tracce. Se Norma ordinasse alla tribù di camminare sulle mani, tutta la tribù camminerebbe sulle mani senza minimamente mettere in dubbio la validità del suo ordine.
Non risulta che sia stata messa a forza tra le sacerdotesse di Irminsul, né che lo faccia malvolentieri; risulta invece, questo sì, che lo fa "a modo suo".
E' vero che Irminsul è un dio guerriero, che chiede sacrifici (di animali); ma non risulta che la religione pesi come una cappa funebre sulla tribù.
Ma insomma, il regista ha stabilito che nella tribù di Norma la religione è cupa e oppressiva e al posto della foresta dove si svolgono i sacri riti abbiamo una selva... di crocifissi, e al momento della cerimonia sacra abbiamo le sacerdotesse vestite da preti e da vescovi, Adalgisa narra la storia del suo colpevole amore in un confessionale (in una scena che, nonostante tutto, riesce a venire bene), e i guerrieri della tribù sono vestiti... da generali spagnoli della guerra civile - cosa difficile da capire perché, a quanto ricordo, nella guerra civile gli antipaticissimi generali spagnoli vinsero.
Non solo, sopra la divisa da generali spagnoli portano strane toghe bianche da Ku Klux Klan (o da processione di Siviglia) che in certi momenti sembrano abiti da templari.
Abbondano le croci, che non sono vere croci cristiane ma le ricordano abbastanza apertamente, tira aria di inquisizione e, nel secondo atto, la casa dove vivono i figli di Norma è una specie di bunker arredato da mobili di Interform dove i bambini, vestiti in abiti moderni, giocano con giocattoli moderni e guardano alla televisione i cartoni animati (La collina dei conigli, per la precisione).
Il povero Pollione invece è vestito con un orrido completo vagamente malavitoso (che oltre a stargli singolarmente male è piuttosto brutto di per sé) oltre ad essere pettinato in modo orrendo. Perché tanta cattiveria verso un sì bravo cantante, che oltretutto recita pure lui molto bene? E perché fare un intera Casta diva senza una sia pur minima porzione di luna? E' un brano altamente lunare, dalla prima all'ultima nota. Non si chiama Casti crocefissi, non c'è motivo di coprire il soffitto con due giri di crocifissi attorcigliati.
Vabbé, alla fine son dettagli, e ascoltando qualche brano a occhi chiusi i crocefissi scomparivano. In realtà la scena del sacro rito aveva un suo charme in certi punti, in quel tripudio di pretesse e vescovesse - ha dato anzi un certo senso di rivalsa alla mia anima femminista.
I cantanti comunque non sembravano a disagio in quella selva di crocefissi. Come ho detto e ridetto, erano anche ottimi attori.
Ultimo dettaglio: tutti e tre hanno cantato benissimo dall'inizio alla fine, senza un attimo di cedimento.
Qualche anima buona ha già caricato qualche video su YouTube, e questo è il finale, a partire dal confronto Norma-Pollione.
Spero carichino in fretta anche il resto.
18 commenti:
No, ma lo sparo finale vuol dire che l'eutanasizza Oroveso?
Come una volta strangolavano (gentili!) i condannati al rogo, prima se volevano essere buoni?
Comunque davanti a scelte simili mi chiedo sempre se il regista avesse un'idea complessiva o se volesse solo comporre dei quadri un po' scioccanti per ogni scena. Perché poi sembra recitata in modo molto convenzionale, ad esempio l'abbraccio ai figli nella scena finale.
Insomma, si tratta di spazzare via l'esotismo druidico per lasciar il posto a una storia borghese ottocentesca claustrofobica piena di fantasmi di autopunizione (che effettivamente il gesto di Norma quello è), dovuta a convenzioni oppressive e più o meno religiose? Però non si capisce allora quel persino bello delirio barocco e molto spagnolo di vortici di crocifissi. La sanguinosa penitenza sivigliana assurta a simbolo dei sensi di colpa e delle voglie immoderate di espiazione di una società ottocentesca?
Negli anni '70 Ronconi aveva ambientato non so che Wagner (Tristano o Walkiria?) in un salotto ottocentesco. Per ragioni anagrafiche non ho mai visto quella rappresentazione, mi chiedo se le due operazioni possano avere un senso analogo.
I generali franchisti comunque non si spiegano in nessun modo. Ci vuole più fantasia della mia.
Il fatto è che io non conosco per nulla le fonti prossime di Norma. La conosco anche poco lei, non l'ho mai vista a teatro forse proprio perché la trama mi suscita una sensazione di morbosità che mi ha sempre allontanata, anche se a superarla ed ascoltarla tutta è un'opera affascinante. La donna che si immola per amore, anche se è potente (quindi deve finire immolata come Didone in Virgilio per ristabilire l'ordine?) meglio di no. Ma l'Ottocento mi mette sempre a disagio, più semplice Mozart, Haendel, Vivaldi, Monteverdi. Sono più lineari, più condivisibili per la mia testa, anche quando mettono in scena efferatezze.
Certo la musica di Bellini senza luna e senza natura un po' strana suona. O meglio: lei suona comunque, poi sul palcoscenico la gente si sa, fa cose strane...
Che bello andare all'opera, anche se al cinema.
Ronconi ambientò il Crepuscolo nel salotto Ottocentesco, e ci stava bene, però alla fine compariva il cavallo (statua), la pira, un bell'effetto di luci per il Reno che saliva... era una regia molto bella, e funzionava benissimo (sì, IO C'ERO ^__^). La parte centrale, con quello strano triangolo era in effetti una storia piuttosto borghese anche nel libretto, e ci stava piuttosto bene.
Ammetto che la Norma ha una trama strana, ma non ci ho mai trovato nulla di morboso. Anche il sacrificio finale di Norma è per restare con Pollione, direi, di punirsi non le interessava molto finché la storia andava bene. Diciamo che risolve la situazione a modo suo.
Le fonti di Norma sono, per quel che ricordo vagamente, una storia dove lei effettivamente uccideva i figli e che si rifaceva molto a Medea. Felice Romani poi scrisse il libretto e ne fece una cosa piuttosto diversa, rifacendosi appunto alla Medea di Euripide e a Didone ma facendo di Norma un carattere piuttosto diverso - sono tutte storie di donne di potere che reagiscono ad una crisi della loro relazione. Ai tempi di Norma comunque per un eroina morire per amore era una bella e nobile cosa, eravamo in pieno romanticismo. Soprattutto, opere che finissero bene quasi non c'erano, e se ci fossero state il pubblico ci sarebbe rimasto piuttosto male.
Credo però che tu abbia capito le intenzioni del regista, che vede Norma intrappolata dalla religione. Del resto l'ha spiegata lui, nell'introduzione (ma non ha detto nulla dei generali franchisti, e lì una diritta ci avrebbe fatto comodo, se non altro per curiosità).
Io comunque ho avuto l'impressione che i cantanti recitassero la Norma consueta, e secondo me hanno fatto benissimo. E confesso che dei crocifissi avrei fatto volentieri a meno, anche se poi alla fine non disturbavano più di tanto.
E sì, credo che effettivamente Oroveso eutanasizzi Norma, anche se avevo rimosso lo sparto (mentre Pollione mi sembra che venga fatto arrostire. Del resto il povero Oroveso non aveva ancora avuto il tempo di sviluppare un particolare affetto per quel genero capitatogli tra capo e collo come i due nipoti).
Comunque è stato proprio bello!
Dalla voragine della mia ignoranza (in questo caso, musica lirica), posso solo dirti che il "casta diva" mi ha emozionato. Ho letto il libretto dell'opera e, nonostante la difficoltà del linguaggio e dei tempi scenici, mi ha coinvolto assai. Morire d'amore e per amore... credo sia possibile in qualsiasi epoca. Per Norma c'è pure la trappola della religione... ma c'è coerenza in lei, quasi uno scatto d'orgoglio, non so come dirlo.
La mia pigrizia ti ringrazia per queste pillole di musica, non sarei andata a cercare il video e avrei perso un'occasione di saperne di più.
@acquaforte:
L'italiano dei libretti d'opera, finché non si arriva alla fine dell'Ottocento, è una categoria davvero tutta sua: non solo è una lingua lontana nel tempo, ma è scritta appositamente per essere cantata in un dato modo; e d'altra parte è ammirevole come quei signori riuscissero a concentrare tante cose in così poche righe. Per esempio Macbeth, quando fa accomodare gli ospiti a banchetto, dice "Prenda ciascun l'orrevole seggio al suo grado eletto", che vuol dire "Ognuno sieda al suo posto", e l'orrevole non è qualcosa di spaventoso ma di onorevole (anche se poi lo spavento ci sarà, eccome). Di conseguenza gli amanti della lirica parlano tra loro in una specie di gergo cifrato che è molto divertente.
Sì, Norma è un fiero personaggio, ma soprattutto è molto coerente, tanto da riuscire a venire a capo di tutti i sentimenti contraddittori che l'assalgono in corso d'opera. La amo molto anche per questo ^__^
TU C’ERI??? RACCONTA, RACCONTA ANCORA! Il Reno che arriva in quella happy family... Fai un post lungo all’Hobbit 2? Sono curiosissima di quella messa in scena ma non ho mai parlato con nessuno che l’abbia vista! Dimmi anche che hai visto recitare Maria Callas…
Mi pare vagamente ricordare la questione Grane vero o statua come un tormentone wagneriano… ma dopotutto i cavalli nel XIX secolo erano ancora una presenza della vita quotidiana, magari non in salotto. Come mi piacerebbe vedere una nuvola di cigni veri, ma senza dubbio qualcuno l’ha già fatto.
Il carattere di Norma è particolare rispetto alle "antenate" pure per via del conflitto tra voto e relazione che a noi pare forse un interdetto più forte di quello di Medea o Didone. Si trova in una situazione più "colpevole" di loro che già ne hanno fatte di tutti i colori, si sono accordate con il nemico, innamorate di uno straniero, loro così potenti e saranno punite e ridotte alla disperazione.
Per il poco che conosco del libretto, concordo sul fatto che Norma non sembra particolarmente a disagio nel suo ruolo di sacerdotessa e di amante insieme: vero è che le permette di proteggere Pollione, ma non mi sembra che gli chieda mai di andarsene lontano dai Druidi; evidentemente le piace il suo lavoro, vuol continuare a farlo e a essere sua pari, dato che sono entrambi dei capi, mentre la clandestinità non l’imbarazza più di tanto. La scena dell’autoaccusa la interpreto in maniera un po’ diversa. Lei parte a razzo per distruggere il Pollio. Avendo appena scoperto che l’unico suo punto debole è Adalgisa, manco i loro figli, vuole distruggerlo attraverso la rivale, nei confronti della quale evita peraltro di cadere nel risentimento personale. (Già questo ne fa un’opera più complessa di quanto l’intrigo di rivalità potrebbe suggerire.) Quando si rende conto di star venendo meno a se stessa e di condannare una colpevole di nulla se non con il desiderio, allora si autoaccusa. Come se per la prima volta aprisse gli occhi su una situazione che non si è mai presa la briga di definire, scansandola con abile indifferenza più che con scelta razionale. A quel punto non lascia fuori niente, spergiurodiopatria: in quel momento pensa a sé e a ciò che ha fatto non a Pollione. Che sia convenzione o convinzione, la scelta di rinuncia alla vendetta nella forma di un'autocondanna a morte arriva nel momento in cui è di fronte all’accusa di spergiuro ecc. di cui afferma tra sé e sé di sentirsi colpevole. La riflessione sul rogo comune arriva poi. mi è piaciuta molto per come è risolta anche registicamente, loro due sfatti accasciati sugli scalini, lei i capelli sciolti, come dopo un’ultima scena d’amore intenso sfinito e disperato all’interno di una scena di rottura. Eliminata ogni presenza sociale dal discorso, è come se fossero soli: una coppia davanti alla crudezza della scelta di un membro che ha deciso di porre termine alla relazione. In quel momento, il discorso di Norma, alla fin fine non ci lasciamo manco morta, un po’ morboso sembra. Ed insiste mentre tutti la supplicano di trovare una nipote di Mubarak qualsiasi ché loro voterebbero qualunque cosa pur di tenersela e comunque il dio invocato non sta facendo una piega, quindi non vuole sacrifici umani e la vita sessuale delle sacerdotesse non è affar loro più di tanto. Ma lei si riscuote solo al pensiero del destino dei figli. Qui come non pensare all’Ifigenia gluckiana, o all’Idomeneo, con il loro crudissimo attacco illuminista a ciò che allora si chiamava superstizione? Eppure mentre il coro è solidale con lei, lei rimane sola davanti all’idea di spergiuro e davanti al sacrificio che la pacifica con l’uomo amato e con la divinità per come lei la intende.
Il potere per essere tale dovrebbe sapersi fermare prima dell’autodistruzione.
Sicuro che l’italiano di Tosca sia poi così lineare? :-P
Forse è più chiaro Da Ponte, per dire.
Ma pure Metastasio e Goldoni.
Comunque sì categorie orrevoli come quelle del nostro XIX secolo difficile trovarne. Norma contribuisce a creare il clima dell’eroina che muore per amore cantando. Senza speranza come nel libro delle “eva”.
A livello di opera il nodo è sempre il romanticismo, perché prima le eroine non finivano male o quanto meno non si suicidavano, manco le vestali, a meno che non dovessero onorare la tradizione come Didone.
Ma anche se non si muore Le nozze di F finiscono bene? Finiscono in un equilibrio momentaneo come la vita (ok questione anche di genere musicale), con un accordo che non conclude nulla anche musicalmente. Ma sono una messa in discussione radicale dei rapporti sociali e in parte dei ruoli sessuali che incrina pesantemente la situazione di partenza. Nel Romanticismo invece non c’è questa continuità dentro la vita: se ti opponi, sei tanto sfigato e simpatico, però muori e stop. La dialettica settecentesca che rimodella i conflitti sociali in un continuum di contrattazione e riequilibrio mi pare più interessante. Anche se probabilmente più frustrante di una catarsi sul rogo :-).
La rappresentazione è molto intensa malgrado il lato visivo, di certo una bella serata.
P.S.:I contralti mi piacciono, del resto sono rossinofila, ma Norma è ancora più interessante nella sua originalità e nel suo momento storico musicale con i due soprani.
Quando dici donne di potere di fronte a una crisi di relazione viene in mente che tutte e tre hanno usato il loro potere per compiere liberamente delle scelte che oggi diremmo private che le hanno poste contro l'ordine dato, appunto "tradendo" il proprio paese, andando a letto con il nemico, obliando il cenere del marito e quant'altro. Cioè più o meno andando contro quello che ha dato loro potere, non per brama di tirannide ma per brama di vivere l'amore, il desiderio. Insomma una libertà femminile difficilmente sopportabile. Pure se potenti, saranno ricondotte all'ordine in un modo o nell'altro, facendosi molto male.
Scusa, devo spezzare i commenti perché blogger ha una lunghezza massima.
Dunque, procediamo per ordine: sì, io c'ero, ma sono passati più di venti anni e ormai ricordo poco. Mi pare che dirigesse (bene) Zubin Mehta e tra tutti cantavano molto bene. Brunilde portava una bella tunica bianca con cintura ed era anche bella, i costumi erano molto rispettabili, un po' ottocenteschi ma molto compatibili con l'opera. La parte ottocentesca si limitava a un po' di bei mobili da salotto, e la reggia dei due fratelli Gunther e Gutrune era una specie di padiglione su un prato, la scena nel complesso era piuttosto vuota e tutti avevano spazio per muoversi. Il prologo MI SEMBRA che fosse cantato dalle figlie del Reno, insomma c'erano queste tre fanciulle vestite di veli verdeazzurri e molti riflessi acquei fatti con le luci. Era il tempo delle regie wagneriane simboliche, quando c'era solo l'essenziale.
I cavalli veri ogni tanto con Wagner provano a farli, ma Ronconi si guardò bene dal tentare l'esperimento, che comunque al Comunale avrebbe provocato un bel po' di guai. Quel che ricordo davvero bene era quanto eravamo commosse dopo la fine io e l'amica che era con me e un po' tutti gli spettatori.
Comunque cigni in volo non ne ho mai visti, ma qualche anno fa vidi una tetralogia fatta da la fura del baus che lavorava molto sulle immagini proiettate, ed era veramente bella, anche se di cigni non c'era manco l'ombra (sul blog ci sono le recensioni del Sigfrido e del Crepuscolo).
La Callas no, mi dispiace: quando smise di cantare ero proprio piccola, ho visto qualche filmato e sentito i dischi. L'hanno filmata poco, purtroppo.
Anche a me piacciono molto i contralti e anch'io sono rossinofila, però quando vidi la mia prima Norma dal vivo era proprio un edizione con due soprani, e funzionò benissimo. All'epoca conoscevo pochissimo quell'opera, quindi ho potuto ammirarla sul palcoscenico e innamorarmene in diretta, come dovrebbe sempre essere. C'era una bella regia classicheggiante, molto bella e molto lineare, e per quel che ricordo cantavano tutti bene. Quando l'ho sentita su disco c'era il solito contralto con voce maschile profondissima e rimasi molto delusa perché mi ricordavo un suono molto diverso. Con gli anni comunque ho trovato anche delle belle edizioni, però ricordo soprattutto quelle sentite in diretta dalla radio o viste dal vivo - secondo me è un opera che su disco perde qualcosa, se il disco non è preso dal vivo.
Norma non ha sensi di colpa, o almeno non ne parla in corso d'opera - sotto questo aspetto la fa molto più lunga Adalgisa. Da come Norma ricorda l'inizio della sua relazione sembra che sia stato tutto molto dolce e romantico. In questi giorni mi sono domandata se lei e Pollione avevano mai fatto particolari progetti per il futuro - sul momento lui era lì per lavoro, non è che poteva andarsene, insomma le cose sembravano andare bene anche in quella situazione un po' intricata. Nel momento in cui Pollione è richiamato a Roma immagino che lei si aspettasse di partire con lui (e con i figli), ma proprio in quel momento lui si innamora di Adalgisa, però nel corso degli anni la relazione era andata bene, il confidente di Pollione casca parecchio dall'albero quando Pollione gli spiega che nel suo cuore è spenta l'antica fiamma, per quanto ne sapeva lui Norma era persona assai importante per Pollione.
Il finale è piuttosto complicato: Norma scatena la tribù (che non aspettava altro che di essere scatenata) e tutto sarebbe finito in un bel lago di sangue, probabilmente con i tre protagonisti ancora vivi alla fine. Ma Pollione non trova di meglio da fare che farsi catturare mentre cerca di rapire Adalgisa (che non vuole partire con lui), e a quel punto la sua sorte è segnata, anche se Norma gli offre una via d'uscita. Per un attimo Norma pensa di accusare Adalgisa, poi ritorna in sé e siccome quel punto vivere senza Pollione non le interessa più risolve la situazione in un altro modo, morendo con lui, e gli canta quella bella aria che non avevo mai notato ricordandogli che lui ha cercato invano di fuggire con lei ma adesso saranno insieme anche nella morte. Quella scena è proprio come l'hai descritta - è bellissimo quando lei di leva le forcine e scioglie i capelli, stanca ma in un certo senso soddisfatta, mentre il coro in sottofondo si sente mancare la terra sotto i piedi e cerca un modo qualsiasi per cancellare quel che ha sentito - e alla fine diventa un duetto d'amore tra i due protagonisti.
Comunque per le tre donne che sono andate a letto col nemico la crisi arriva solo quando l'uomo cerca di andarsene. Non mi viene in mente un parallelo maschile per questa situazione, ma forse c'è. Enea se ne va e Didone sceglie di morire, ma in effetti si è messa in trappola con le sue mani e di fatto Enea se ne va perché è costretto. Medea risolve la situazione punendo il traditore, unico sopravvissuto tra quattro cadaveri quattro. Didone alla fine, unica delle tre, ottiene quel che vuole e riesce perfino a salvare i figli. In un certo senso l'opera finisce bene per tutti (anche se Oroveso non sembra molto contento).
Sì, trovo che i libretti di Puccini siano più comprensibili di quelli ottocenteschi, e non solo perché sono più vicini a noi nel tempo. De Ponte comunque è una felice eccezione e spesso si riesce a capirlo senza troppi problemi.
Mi son letta un bel tomo su Mozart e la massoneria che analizza (anche) le tre opere di Da Ponte e sostiene che in realtà tutte e tre promuovano i valori della compassione, della comprensione e del perdono: gli uom ini della Così fan tuitte sono giustamente puniti per aver messo le loro donne alla prova, che è sempre una pessima idea perché tutti siamo soggetti a sbagliare e cadere e questi esperimenti non si dovrebbero fare, ma grazie a quel che è successo i quattro protagonisti hanno acquistato saggezza e comprensione. Anche il conte di Almaviva segue lo stesso cammino e il perdono della sposa è il reale suggello di un futuro più felice della loro relazione (e anche Figaro dopo quel che è successo sarà un marito migliore). Stesso discorso per Zerlina e Masetto, mentre don Giovanni nel corso della vicenda non progredisce in alcun modo e quindi giustamente finisce all'inferno.
Da allora ascolto queste opere con orecchie diverse e quindi posso dire che sì, per me il finale delle Nozze è un lieto fine, anche se prima di leggere quel libro l'avevo sempre trovato piuttosto malinconico, come quello della Così fan tutte e anche la riconciliazione di Zerlina e Masetto non mi aveva mai molto convinto. E si ritorna al discorso che facevi tu sui rapporti settecenteschi che si rimodellano secondo nuove contrattazioni, mentre con il Romanticismo quando le cose si fanno troppo intricate si dà un bel colpo di forbici e si muore, in una perenne ricerca dell'Assoluto invece di cercare di essere gentili e comprensivi e continuare a vivere e imparare.
Proprio bella questa discussione ^__^
Sì la Callas l'hanno filmata - troppo - poco e la Medea di Pasolini proprio non riesce a colmare il vuoto. Il turco mi piacerebbe vederlo con lei, pare anche Anna Bolena fosse estremamente interessante per il modo in cui recitava mettendo il collo in primo piano - un genio!. Il prologo del Crepuscolo è forse il pezzo che mi piace di più, e dalla tua descrizione sembra davvero molto bello ed equilibrato l'insieme. Quanto alla Fura, m'incuriosice e t'invidio parecchio pure quella, la sperimentazione mi piace in sé quando c'è una cifra artistica dietro che si articola in modo coerente. Di sicuro hai visto davvero dei begli spettacoli.
Fosse per me andrei all'opera tutte le sante sere... Ah!
Sai che sono d'accordo con te su Norma da un curioso punto di vista: quello di chi, per paradosso, a teatro non è mai riuscita a vederla? eppure, solo ascoltando i dischi, mi è venuto lo stesso pensiero: un'opera che perde - troppo - in disco. Sia drammaticamente sia come gioco scenico. I duetti N-A li si vorrebbe vedere dal vivo e anche come Norma domina il suo popolo. Soprattutto m'incuriosiscono gli spazi, mi sembra un gioco molto forte di primissimi piani e di grandi radure in mezzo alle foreste che si aprono e si restringono, come in quel pezzo della scena finale in cui i due si riconciliano. In un modo o nell'altro si finisce sempre a parlare di boschi ;-).
Intendi il libro della Bramani? L'ho in libreria, confesso di non averlo letto, più perché in attesa del momento di concentrazione in un periodo davvero convulso della vita che perché non interessata. Da quello che mi dici tu mi pare che riprenda la lettura di Mila (PBE se interessa), almeno per quanto riguarda il tema del perdono (Mila vede non a torto una sorta di corale religioso nell'Ah tutti - il solo momento religioso del matrimonio, interessante. Preti non ce ne sono a celebrare, anche se vestono Basilio da abate non sono sicura che lo sia). Poi in Beaumarchais il quale non ignorava il dongiovannismo di un Almaviva si scopre che l'equilibrio delle Nozze non è durato, ma Mozart è un'altra cosa.
Di certo quegli anni '70-'80 sono stati anni di riflessioni forti sul tema del matrimonio, che va molto al di là degli amori dell'opera barocca, per entrare negli equilibri intimi di una coppia davanti alle crisi. Si pensi anche a Gluck: Orfeo, Alceste, Paride ed Elena - quest'ultima poi quasi al quadrato. Sarebbe interessante riuscire a mettere le sue opere in rapporto con altre riflessioni coeve, romanzi, ma anche trattatistica ecc. Non c'era solo Rousseau (e mi vien a dire per fortuna, pure se i capelli non me li inciprio di certo).
Sì, sono d'accordo sulla crisi che arriva solo e soltanto quando la relazione finisce. Ma perché dovrebbe arrivare prima? Per me (ma poi è un filone interpretativo) c'è un legame tra potere attribuito alle donne e tragedia. Cioè: queste donne sono libere di farsi più o meno la vita che vogliono, di arrangiarsi un equilibrio che potrebbe apparire tutto sommato ragionevole agli occhi di oggi (l'anacronismo è sempre in agguato), MA la pagano, questa chance, perché perdono tutto, comprese sé stesse, dato che la loro scelta le porta quasi ineluttabilmente fuori dal campo concesso alle donne.
Hai mai letto le Lettere persiane? Anche solo l'ultima di Roxane?
Sono d'accordo anche sul fatto che Norma non si mostra mai pentita in corso d'opera, e che Adalgisa è molto più turbata - e pure inibita - di lei dal suo affetto per Pollione che Norma sembravivere piuttosto familiarmente. Adalgisa è Norma come avrebbe "dovuto" convenzionalmente essere e in effetti tra le due donne c'è per tutta l'opera una sorta di gioco di specchi, a partire dalla scena in cui la novizia si confida con la grande sacerdotessa, la quale ascoltandola prova sentimenti intensi e contrastanti, ma tutto sommato solidali. E' come se la ragazza senza saperlo la costringesse, presente o solo nominata (come avviene nella scena finale appunto) a rivivere la sua storia, ma riflettendo alle azioni compiute o da compiere via via, cosa che Norma non pare avere fatto prima: l'aveva desiderato, l'aveva fatto e basta. "siccome quel punto vivere senza Pollione non le interessa più risolve la situazione in un altro modo" ecco è qui che io vedo altro, nel senso che poi probabilmente sopravviene questo, quando lei, dopo la scena "delle forcine" con Pollione, nella ripresa col coro decide di non mentire come la supplicano tutti di fare. Ma lì per lì, nel primo momento di denuncia, lei è una furia, poi si rende conto di quel che ha fatto per anni e volge la sua furia contro sé stessa, perché d'improvviso, siccome non è scema e è molto onesta (ad esempio non si scandalizza per niente del desiderio di fuga di Adalgisa) si vede colpevole, lei, e non lo sopporta per sé, non per vendicarsi di Pollione come sarebbe stato accusando Adalgisa. E sì, sono d'accordo che la relazione con Pollione sembrava instradata in modo un po' bizzarro ma saldo, duraturo - due figli insomma un minimo di tempo ci vuole, e poi si sa, il lavoro...
Decisamente un'opera dall'intreccio di sentimenti estremamente complesso e non banale, da sviscerare. insolita.
Il momento delle forcine è stato bellissimo.
"ammirarla sul palcoscenico e innamorarmene in diretta, come dovrebbe sempre essere": a me accadde con il Don Giovanni di Losey, anche se è un film. Era una delle prime opere che vedevo e le altre (Parisina e Traviata) non mi avevano appassionato granché. Ma lì fu il colpo di fulmine di una relazione che non arriverà mai a separazione. Ne uscii totalmente travolta e non mi fermai più. Capisco benissimo fin nelle fibre cosa voglia dire "innamorarsene in diretta".
Sono davvero contenta che ti piaccia tanto questa discussione.
Io nell'introduzione ho capito che il regista, spagnolo, proveniente dalla Fura dels baus, ha per qualche motivo letto la storia di Norma alla luce della storia del suonpaese (sic). Il perché è da vedere, comunque i ruoli erano del tutto sballati, casomai i franchisti dovevno essere i romani, mentre l'oppressione religiosa non è pervenuta dal libretto. Alla fine ti costringe pure a simpatizzare per Francisco Franco! La scena nel Bunker però era suggestiva (ma quando ci sono di mezzo bambini tendo a comuovermi) e in fondo anche la scena del confessionale era abbastanza toccante, ma magari se Norma avesse moderato la reazione verso la malinconia piuttosto che l'orgasmo non avrebbe rischiato il ridicolo.
D'accordo con te sulla direzione (che gli vuoi dire a Pappano?) e sulle voci femminili, ma Calleja mi sembra il tipico tenore in apnea che mi fa mancare l'aria ad ascoltarlo.
Sembra interessante il prossimo Così fan tutte il 17 ottobre: ci andrai?
Stasera, ore 21, Sky Classica HD trasmette il Tristano e Isotta, edizione del 1995 Festival di Bayreuth, Daniel Barenboim direttore. L'ho messo in registrazione e me lo vedrò con calma. L'unica mia esperienza di opera lirica è stata una Aida all'arena di Verona, molti anni fa, e ricordo solo lucine da accendisigari del pubblico, applausi e grida di entusiasmo da curva sud. Un concerto rock, praticamente.
Il tuo post e la conversazione con Pellegrina, così avvincente perché ricca di approfondimenti, mi ha fatto venire voglia di osare. La distanza è lunga, perché per me il massimo è il "clavicembalo ben temperato" di Bach eseguito al piano dalla Rosalind Tucker.
Però, a proposito della Norma, una domanda me la sono posta: il libretto è scritto da un uomo dell'800, per un pubblico dell'800. Così come la gran parte del repertorio operistico. Nella figura di Norma, noi oggi leggiamo, come dice Pellegrina, "una libertà femminile difficilmente sopportabile" per uno spettatore dell'800.
Nel molto amato e molto defunto blog de Lo Hobbit tu scrivesti, a proposito della polemica Tolkien/Jackson, che un'opera, una volta scritta, non appartiene più all'autore, ma al pubblico che la fa sua, la interpreta. Ovviamente concordo. La lettura che noi diamo oggi è fedele allo spirito del librettista? Cioè, fino a che punto ci si può spingere per interpretare oggi un'opera senza farla diventare un'altra cosa? Le mie idee sono leggermente confuse....
Tra poco inizia il Tristano.
@Pellegrina:
provo a rispondere, anche se in ritardo. Sì, è il libro della Bramani, lo hanno i miei e così gli ho dato una scorsa - in realtà sono andata a guardarmi proprio le tre opere di Da Ponte che ai miei occhi erano quelle meno risolte. La trilogia di Beaumarchais comunque è stata composta in un lungo arco di tempo, e sospetto che ogni commedia sia nata per conto suo, senza che Beaumartchais sapesse cosa sarebbe successo dopo. Siccome lo spettatore è assolutamente convinto, dopo il Barbiere di Siviglia di Rossini, che Almaviva e Rosina saranno felici per tutta la vita le Nozze lasciano sempre una strana impressione di tradimento, o almeno per tutti quelli che conosco è così. Comunque Mozart non sapeva che la riconciliazione sarebbe stata breve, perché forse all'epoca non lo sapeva nemmeno Beaumarchais, e di sicuro non l'aveva ancora scritto.
Niente lettere persiane per ora, e in effetti poco anche di tutti gli illuministi anche se ho qualche progetto per un futuro indeterminato.
D'accordissimo con tutto quello che scrivi su Norma, ma per molto tempo sono stata convinta che lei avesse SEMPRE stabilito di accusare sé e non Adalgisa e non concepivo altra possibilità fin quando un amica mi ha detto che invece no, Norma cambia idea in diretta, all'ultimo momento. E temo proprio che abbiate ragione, te e lei.
In realtà le opere andrebbero sempre viste, più che ascoltate su disco (a meno che non siano edizioni dal vivo) perché... insomma, perché sì, sono spettacoli e maturano via via. Per questo mi irritano le discussioni sulle Celebri Arie quando sono fatte su uno spettacolo, tipo una discussione di 400 interventi sulle note più alte della Pira o sulla Casta Diva, che all'interno dello spettacolo sono solo momenti, e conta tutto l'insieme dell'interpretazione.
@Senzapre7ese:
Ma infatti, Oroveso in versione Francisco Franco e con l'aria depressa (perché, al contrario di Francisco Franco, non riesce a cavare un ragno dal buco) mi è sembrata un assurdo totale. Quanto a Calleja, forse non è il migliore dei tenori possibili per Pollione ma tutto sommato mi sembra che se la sia cavata piuttosto bene, soprattutto tenendo conto che gli avevano rifilato di gran lunga il peggiore costume di tutto l'allestimento.
Un pensierino sulla Così Fan Tutte ce l'avrei anche fatto, ma non so ancora se sarà possibile. Però ho visto che per queste dirette scelgono sempre edizioni extralusso, e quindi varrebbe senz'altro la pena.
@Acquaforte:
Il Tristano e Isotta con Baremboim è un top, ma Tristano è un opera che si consiglia male: ti immerge in un gorgo di musica di quattro ore e passa, praticamente ci si annega dentro, e tocca delle corde particolari. Insomma, Wagner è un autore particolare, piace moltissimo o dà sui nervi, forse perché usa delle frequenze particolari o cose del genere. Io sono nata wagneriana, nel senso che mi è sempre piaciuto da quando l'ho ascoltato per la prima volta a 13 anni, senza nessuna particolare competenza: ascoltavo e basta, mentre invece passa per autore molto intellettuale e anzi il melomane che ascolta Wagner è l'unico melomane guardato con rispetto dagli esperti di musica - credo perché si suppone che Wagner sia una palla e quindi ci voglia molta forza morale per apprezzarlo. A me però piace e basta, senza un perché.
Insomma, se ascoltandolo resti stranita o ti viene il mal di testa sappi che sei in illustrissima compagnia e prova qualcos'altro!
Sì, secondo me l'opera d'arte appartiene all'utente, e senza dubbio nel corso dei secoli gli vengono appiccicati significati che magari nella mente dell'autore non c'erano, ma io preferisco pensare che magari l'autore è andato oltre a quello che lui stesso capiva e sentiva, mettendo in tavola più di quello che i suoi contemporanei e lui stesso potevano vedere e capire a livello cosciente. E ci sono casi in cui anche il fraintendimento è molto fruttuoso. E quindi il librettista ha fatto il suo mioglio e noi facciamo il nostro, ma nel caso di Felice Romani sono convinta che le sue idee sulle donne e il potere non fossero tanto lontane dalle nostre, almeno alla luce di altri libretti (sto pensando soprattutto al Turco in Italia).
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