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giovedì 29 settembre 2016

Ho un castello nel cuore - Dodie Smith


Di questo libro sentii parlare anni fa, quando appresi che era uno dei preferiti di J.K. Rowling, nei cui gusti letterari avevo gran fiducia - senza contare che di Dodie Smith avevo già letto La carica dei 101, che mi era piaciuto moltissimo.
Lo  cercai invano per biblioteche e librerie, poi mi rassegnai.
Anni dopo, in un blog dedicato al giallo classico che giusto in questi giorni sta chiudendo (come quasi tutti i blog che seguo, nemmeno fosse un epidemia) ne lessi una bella recensione -  non le solite due parolette di lode, ma un analisi dettagliata e approfondita. Lo stimato recensore raccontava che in Italia il romanzo era stato tradotto nella notte dei tempi, prima in edizione ridotta, poi integrale, ma sempre tra i libri per ragazzi. Invano però peregrinai per librerie, perché nel frattempo la fantomatica edizione integrale era esaurita - e in biblioteca continuava a non esservene traccia. 
Infine l'hanno ristampato e qualche biblioteca della mia zona, bontà sua, si è  degnata di acquistarlo; così finalmente l'ho letto e presto lo comprerò, perché sono sicura che rileggerlo mi darà almeno tanto piacere quanto me ne ha dato leggerlo la prima volta.

Il romanzo è stato pubblicato nel 1949 ed è ambientato negli anni 30 del secolo scorso in Inghilterra.
Nonostante la copertina fanciullesca, suppongo costruita ad arte per attirare le lettrici young adult (e forse per trasmettere una certa idea di costruzione dell'intreccio magari artistica ma un po' manierata) non è un libro specificamente per ragazzi. Certamente ci sono ragazzi dai sedici anni in su che possono leggerlo e apprezzarlo, così come ci sono ragazzi che leggono volentieri Il gobbo di Notre-Dame o Il vecchio e il mare, ma anche se la voce narrante (molto carismatica, come osserva J.K. Rowling) ha diciassette anni, il libro non è rivolto ad una precisa fascia di età.

A prima vista non è niente di insolito: c'è una ragazza, aspirante scrittrice e di belle letture, che tiene un diario dove racconta le vicende della sua strampalata famiglia e la sua iniziazione sentimentale. La famiglia è estremamente povera e vive confinata in un castello diroccato e ormai quasi completamente privo di mobili (sono stati venduti tutti), mettendo insieme con grande difficoltà pranzo e cena. La loro non è una povertà consunta e dignitosa, né una povertà ammantata di lusso (come quella di Flavia de Luce, per intendersi) ma una vera e autentica miseria che ricorda molto quella descritta nei primi capitoli di Capitan Fracassa. Il padre a suo tempo ha scritto un romanzo sperimentale che ha riscosso gran successo ma da allora sono passati più di dieci anni e nessuna nuova ispirazione l'ha soccorso. Topaz, la sua seconda moglie (la madre delle due ragazze è morta) è un  adorabile modella con forti venature new age ma ormai posa raramente perché non ama allontanarsi dal marito, di cui è molto innamorata. C'è poi un figlio, che studia, e di cui si tende a dimenticarsi fin quando non interviene, e due figlie che hanno rispettivamente diciassette e venti anni - e se la minore, Cassandra, sembra sopportare la situazione con no bile stoicismo, la maggiore, Rose, morde il freno e vorrebbe una vita ben più lussuosa (e come darle torto?); infine c'è anche il figlio della defunta governante che la famiglia poteva permettersi un tempo, che tiene un orto che è quasi l'unica risorsa alimentare del gruppo, più una adorabile cagna ormai diventata forzatamente vegetariana e un gatto che si nutre con mezzi propri.
Perché nessuno lavori (tranne il bellissimo figlio della defunta governante,  che adora tutta la sua famiglia adottiva, e in particolare Cassandra) non è ben chiaro all'inizio e non si può spiegarlo bene a parole, ma in qualche modo dopo un centinaio di pagine risulta abbastanza chiaro. In sintesi: perché no.
Il castello diroccato è in affitto (anche se l'affitto non viene più pagato da tempo) e un bel giorno arrivano i proprietari, arrivati di fresco in Inghilterra, che abitano in una bella villa lì vicino. Sono due fratelli, giovani, belli, molto ricchi e abbastanza americani. Rose entra subito in fibrillazione, e con lei tutte le femmine del gruppo, ansiosissime di aiutarla a realizzare il suo sogno di una vita migliore. Dal canto loro, i due americani restano affascinati dalla curiosa famiglia e si lasciano adottare sin dall'inizio, sborsando un bel po' di soldi (e di prosciutti) per migliorare il benessere dei loro inquilini. Inoltre, proprio in contemporanea con l'arrivo degli americani, l'eredità di un gruppo di pellicce - anche quelle piuttosto strampalate - riforniscono i castellani squattrinati con un po' di contante.

Sembrerebbe uno scenario molto inglese e piuttosto convenzionale, che lascia intravedere una trama abbastanza prevedibile. In realtà di prevedibile in tutta la storia non c'è proprio niente: né l'intreccio sentimentale, né le sorprese che il padre e Topaz riserveranno, né gli interventi apparentemente svagati ma in realtà molto concreti del fratello studente, né i sentimenti di Cassandra, analizzati e descritti con acutezza e precisione nel triplice diario riempito con gran cura con la scrittura veloce (in realtà una specie di stenografia) e accuratamente rielaborati in successive meditazioni con una sensibilità e una precisione che niente hanno a che vedere con le usuali introspezioni che occupano di solito questo tipo di diari romanzati. Ogni personaggio presenta un temperamento profondamente originale (e pure una buona dose di egoismo) e ognuno paga il suo prezzo e porta a casa il suo premio, nonostante le apparenze.

Uno di quei libri in cui ci si immerge dimenticando il mondo circostante e che alla chiusa dell'ultima pagina ti fa sentire un po' abbandonata. Funziona per tutte le stagioni e si può leggere a grosse tappe ma anche sbocconcellandolo durante il giorno quando si trova un po' di tempo libero.
Unico difetto: nonostante le sue cinquecento e passa pagine, è un po' cortino...

Con questo post partecipo al Venerdì del Libro di Homemademamma e auguro a chiunque passi di qua un felice inizio di autunno - quella meravigliosa stagione così adatta alle letture.

15 commenti:

dolcezzedimamma ha detto...

Il libro non lo conoscevo, ma sembra intrigante. Una riflessione più ampia è sui blog che chiudono: nell'era della velocità e del mordi e fuggi i blog sono diventati troppo "lenti", a vantaggio dei social che sembrano più immediati. Io, però, preferisco sempre i blog ai social che , saranno pure più rapidi, ma non ti permettono una comunicazione "reale". Velocità non è mai sinonimo di esaustività.

la povna ha detto...

Anche io non lo conoscevo, ma mi pare che, decisamente, sia nelle mie corde. Concordo con quanto dice Dolcezze sui blog, io i social li uso per altri scopi (sostanzialmente cazzeggio personale, condivisione di iniziative e didattica) e mi piace avere tutti e due.

Murasaki ha detto...

@ Dolcezze e la povna: Oh sì, sono anni che mi spiegano che il blog è in crisi per colpa dei social, ma io vedo intorno a me un sacco di blog che fioriscono e ramificano e fruttificano. Solo quelli che leggo io quest'anno stanno attraversando una preoccupante fase di morìa - a parte i vostri due, vivaddio!

@la povna:
Come sarebbe a dire che non lo conoscevi?!?!!?!?
Se me lo fossi mai immaginato te l'avrei segnalato tre anni fa, così potevi leggertelo in inglese! E sì, anch'io ritengo moooolto probabile che sia nelle tue corde, anche senza considerare la raccomandazione di Lady Rowling. In ogni caso è il tipico libro in cui il buon lettore filobritish (come me e te) DEVE poter mettere la bandierina "leximus"

acquaforte ha detto...

Ovviamente me lo segno. Ricordo ancora l'entusiasmo provato per "La pietra di luna " da te raccomandato tempo fa. Per non parlare di H.P. Anche se in questo periodo sto soprattutto rileggendo libri amati, cosa che mi piace assai perché, conoscendo ormai la storia, posso soffermarmi sulla scrittura, capire bene i personaggi, ecc...... è un tipo di lettura "senza sorprese" , ma decisamente molto rilassante.
In merito ai blog, soprattutto a quelli da te segnalati, vorrei ricordare che, anche se non commentati, sono seguiti con molta attenzione. Mi rendo conto che è una gran bella fatica la vostra, scrivere, interpretare i nostri (miei !) commenti spesso fuori contesto. È un lavoro duro, ma qualcuno lo deve fare ^__^.
Quindi una preghiera: NIENTE SCHERZI!!!!

Pellegrina ha detto...

Trovi sempre dei bei classiconi, mi sa che questo me lo comprerò.

Murasaki ha detto...

@Acquaforte & Pellergina:
Ve lo consiglio con fiducia ^__^

@Acquaforte:
Chiariamo: amo teneramente il mio blog e non so immaginare la mia vita senza di lui, anzi con l'andare del tempo divento sempre più regolare nei miei tempi di postaggio, se la Telecom non si intromette. E sono soddisfattissima dei miei amati commentatori e anche dei miei carissimi lurker. Ma quest'anno il ramo dei blog di insegnanti ha subito una moria quasi collettiva, e ne soffro molto, e recentemente sono spariti anche altri che seguivo (per esempio Linda, che ogni tanto passa ancora di qua), e insomma quando anche il giallista ha tirato i remi in barca ci sono rimasta piuttosto male!
Ma insomma, così è la vita, anche in rete.
E anche a me piace molto rileggere ^__^

acquaforte ha detto...

Braaaava......qui non si chiude proprio niente. Ricordati che la mia giornata inizia con una tazza di English Breakfast Tea Twinings e la lettura del tuo blog. E finisce quasi uguale (al posto del English ecc.... c'è un libro. In questi giorni ho riletto "I doni della morte", che fra i 7 è quello che amo di più; stasera ho ripreso Hans Tuzzi con il suo bellissimo "La morte segue i Magi"). La mia salute mentale necessità di alcuni punti fermi. Non vorrai farmi finire in analisi, vero? ^__^

Mamma Avvocato ha detto...

Le tue recensioni sono sempre così acute e approfondite che mi viene voglia di leggere i libri di cui parli per vedere se mi ritrovo nelle tue descrizioni!
In questo caso, poi, il libro sembra fare per me che, quando ne trovo, adoro i romanzi british!
GRazie del prezioso suggerimento!
P.s. Quanto alla chiusura di molti blog, e' un fenomeno che ha travolto anche i blog di mamme (che sono quelli che più seguo io) e concordo con Dolcezzedimamma in merito alle possibili cause.

Pellegrina ha detto...

Sono molto felice che tu non sappia immaginare la vita senza il tuo blog, perché è una piacevolissima lettura. Anche per un motivo di forma: fai post lunghi!

Stefania ha detto...

Mi intriga un bel po'. E guarda caso sto partecipando ad una challenge che ha, tra gli attuali obiettivi, la lettura di un libro ambientato nel Regno Unito. Corro a cercarlo.

Anonimo ha detto...

Attenzione spoiler. Trovato in biblioteca, è immediatamente sparito negli appartamenti della mia avida e malvagia figlia quasi tredicenne, che però ha patito tantissimo il finale aperto, e le sta bene, così impara a leggere la mia roba. È corto! Mancano come minimo le ultime 200 pagine, e non mi sarebbe dispiaciuta una bella trilogia ( come minimo). Il mio personaggio preferito in assoluto è Heloise. La mia ingenua piccina non aveva capito che Rose e Neal si amavano. Dove ho sbagliato? Grazie per il blog, io sono la tua affezionata Lurkerella.

Murasaki ha detto...

Cara Lurkerella, nessun libro è più dolce di quello che si riesce a sottrarre alla mamma, quindi non hai sbagliato ^__^
Sì, è vero che è troppo corto, che mancano tante pagine, che manca il finale... Ma è bello anche per questo: Cassandra è convinta, con quella solida convinzione che si ha solo da giovanissimi, di avere ormai imparato quel che c'è da imparare, e chi legge sa che quel che è successo per lei è solo l'inizio.
Solo che vorremmo sapere cosa c'è stato, dopo l'inizio!
E grazie a te ^__^

Pellegrina ha detto...

Cosa c'è stato dopo l'inizio... mah, io ho la sensazione che come spesso succede nella narrativa anglosassone di un certo tipo dopo un inizio brillante (qui le prime 400 p.) arrivi un momento in cui non si sa più come sciogliere la trama, ci si è stancati del gioco e magari non si osa trarne proprio tutte le conclusioni. Quindi si pianta lì lasciando cadere il giocattolo in terra. Le prime 400 p. sono da tranquillo pomeriggio con freddo fuori e the e pasticcini - molti pasticcini! - dentro e si assaporano tutte, stando attente a non avere un sorso in bocca al momento del ritorno da Londra delle due ereditiere: ho riso fino ad avere il mal di stomaco, da tanto non mi capitava leggendo.

Poi partono cento pagine di trip adolescenziale autoreferenziale che se vogliamo potrebbero anche starci però insomma a me sono parse un po' anzi decisamente lunghette; poi una serie di scenette da commedia (la terapia inflitta al padre, o i vari colloqui con i membri della famiglia della protagonista); poi si plana su una specie di confronto con il modello alcottiano che anche se non viene mai citato, contrariamente a Austin e Bronte, secondo me è più che presente. Poi si chiude su un "Non sarò vostra" cui non segue conclusione vera.

Morale: secondo me si sfilaccia parecchio, forse proprio perché non osa dare la conclusione più verosimile (i deu se ne rivanno come sono arrivati) né quella più scontata, con un lieto fine austeniano, appunto. E si sfilaccia in un modo morale che non mi convince del tutto.
Perché mi sembra un'esortazione a non voler troppo, a non voler tutto. Perché ci possono stare, agli occhi nostri sempre convinti di dover dare prova di autonomia, indipendenza e emancipazione, le lezioni sul non sposarsi per denaro, va bene l'idea di coltivare le proprie doti intellettuali da sole, va bene l'ambizione artistica, ma alla fin fine qui viene tutto voltato, in un contesto chiaramente irrealistico come quello dei due bei samaritani piovuti dal cielo ai piedi delle protagoniste, a insinuare senza parere una sottile critica dell'aver troppo che non ha connotati tanto sociali quanto appunto morali e individuali. Mentre il mondo reale, cioè quello degli adulti, non presenta un modello positivo che sia uno specialmente nelle interazioni di coppia ed è in questo spietatamente reale - anche classista, se vogliamo. Quindi la ragazza che desidera uscire dalla povertà si ritroverà in jeans in un ranch anziché in un vestito d'altamoda - ma solo così potrà avere l'amore senza sensi di colpa - quindi la protagonista rimette la matrigna in un matrimonio folle se mai ve ne furono facendola ricadere nelle sue ossessioni quando aveva finalmente osato la fuga in una vita che sembrava corrisponderle di più; quindi l'idillio con il giovane bello come un divo ma povero non si compirà, quindi lei stessa per poter continuare a scrivere dovrà rinunciare a qualcosa o meglio a qualcuno per cui ha smaniato per 100 noiosissime pagine, ma se mi fa la solfa che il suo è un sentimento vero mentre quello della sorella no, allora in nome di cosa rinunciarvi? Dopotutto i due si parlavano perfettamente e si piacevano parecchio. Ah, ma il lusso intorpidisce i dolori come le gioie e quindi è pericoloso... facciamo che è in prstito, facciamo che è un mecenatismo... insomma in fondo in fondo c'è un elogio del sacrificio, sia pure ben nascosto, che non mi persuade del tutto. Più Mansfield Park che gli altri romanzi, in cui tutto si compie al di là del ragionevole.

Pellegrina ha detto...

(segue) Ci sono anche altre cose che non convincono, ad esempio l'età della protagonista. Le vengono attribuiti diciassette/diciotto anni alla fine, ma al principio sembra averne non più di tredici/quattordici, per quanto "deliberatamente".
Forse c'è una impasse di ocnvenzioni sociali e letterarie, perché la conclusione classica avrebbe potuto andar bene mezzo secolo prima ma non nel secondo dopoguerra, nel welfare state nascente. La ricerca di una nuova maniera letteraria e stilistica necessaria al padre paralizzato (una bella metafora, se vogliamo, in un romanzo che si richiama espressamente ad altre autrici fortemente caratterizzate) si presenta anche allo scrittore dallo stile più convenzionale mentre è alle prese con una storia che convenzionale non si può al momento più mantenere. Ma dovranno arrivare gli anni Settanta per uscirne davvero del tutto? (salvo poi tornarci oggi, dopo gli "errori" degli anni Novanta :-))
Ad ogni modo un buon consiglio.

Pellegrina ha detto...

Ah, e comunque secondo me è assolutamente un libro per adolescenti, contrariamente a quel che ne dice l'altro blog: la prova sono proprio le lunghissime pagine dello psicodramma post bacio; e l'idea che l'analisi dell'intreccio tra sessualità adolescenziale e sentimenti non sia adatta a un romanzo di formazione rivolto ai ragazzi mi sembra ben più che sorprendente... è se mai un tratto tra i più moderni del libro, anche se tutte quelle storie per un minimo bacio!